Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _amethyst_    24/07/2012    4 recensioni
« No, non è uno scherzo: è stata tutta colpa sua.
Colpa dell’unico individuo della casa che assisteva senza essere protagonista, colpa di colui che inconsapevolmente ha causato tutto.
Non sono pazza: è stata colpa di quel gatto! »
- Prendiamo due cugine, castane e completamente diverse l'una dall'altra.
Prendiamo due amici, uno smielato potenzialmente figo e un musone che crede di saper scrivere canzoni, anche lui potenzialmente figo.
Prendiamo due ex, un biondo gay effettivamente figo e una piattola bionda con la mania dell'ordine.
Prendiamo un gattaccio puzzolente e dal muso schiacciato di nome Parmigianino.
Mescoliamo insieme questi elementi in un unico calderone e ne deriverà un disastro.
Un ENORME disastro.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il quaderno.

capitolo 15

 



Non diedi né a Chase né a Matt occasione di parlarmi, nella settimana successiva.
Rimasi appartata in camera a leggere, limitandomi a mettere piede fuori da essa esclusivamente per i pasti, per lavarmi e per andare a lezione all’università. Avevo deciso di starmene per i fatti miei per un po’, concedendo unicamente a Prudence di starmi accanto.
Non volevo vedere altre facce, neanche quella di Will, nonostante mi fossi decisa a scusarmi con lui per tutto il pastrocchio che avevo – inconsapevolmente – creato.
Il quando era ancora un mistero, ma mi ero decisa a farlo appena avessi trovato le parole più adatte.
- Heathcliff è uno stronzo. Anche se ha avuto un’esistenza infelice non significa che debba rompere le scatole agli altri! – esordii storcendo il naso, mentre leggevo per la settima volta Cime Tempestose.
- Non so di cosa tu stia parlando. – rispose Prudence, totalmente disinteressata, mentre sfogliava con fare tediato un catalogo di cosmetici.
- Mai sentito parlare di Cime Tempestose? –
- Sì ma non ho mai avuto il coraggio di leggerlo. Mi sono fermata alle prime pagine, sai che noia! –
Eravamo entrambe distese comodamente sui nostri lettini, annoiate e sonnolente.
Purtroppo (e in un certo senso per fortuna) l’estate cominciava a lasciare il posto alla fresca brezza autunnale, e alle prime pioggerelle. Infatti, al di là del vetro della finestra, si cominciavano a scorgere dei nuvoloni tutt’altro che confortanti.
- Fra poco pioverà. – sospirai, distogliendo lo sguardo dal cielo grigiastro per posarlo nuovamente sulla pagina stampata.
- Sì, è probabile. – confermò la ragazza, concedendosi qualche istante di silenzio nell’osservare con fare pensoso le nuvole cariche di pioggia. Non parlammo per un pezzo, entrambe assorte nelle nostre faccende, fino a quando Prudence non si mise a sedere, cominciando a fissarmi con aria ostinata.
Dapprima non ci feci affatto caso ma, quando mi resi conto che non sembrava essere intenzionata ad abbassare lo sguardo, sollevai un sopracciglio, interrogativa.
- Che c’è? –
- Hai intenzione di uscire da questa camera e affrontare i tuoi problemi o rimarrai a fare la muffa per qualche altro decennio? –
- La seconda, credo. –
- Perché? Non ho ancora capito cos’è successo di tanto… -
- Chase non è gay, primo. In compenso è un idiota. E Matt è uno stronzo, secondo, ma questa non è una grande novità. –
- Che ne dici di spiegarmi tutto dal principio? È una settimana che quei due si guardano in cagnesco, ma tu sei troppo impegnata a ignorarli per rendertene conto. –
- Ma non mi interessa se si odiano. Spero che si prendano a botte, se lo meriterebbero entrambi. –
- Uhm, potrei sapere cosa ti hanno fatto? Sembrava che tu e Matt… -
- Beh, Chase mi ha detto che ama Ileen, ma che vuole anche me. E mi ha baciata, per la seconda volta. In più quell’idiota di Matt se ne stava tranquillo a fare da baby-sitter alla piattola, lasciando che si strofinasse addosso a lui, con tanto di sorrisetto da Parmigianino bollito sulla faccia. Non voglio vederli neanche in cartolina, mi fanno venire la nausea! –
- Non posso darti torto su Chase. Mi sembra un tantino indeciso, non credi? Ma Matt… credo che tu ti sia lasciata un tantino trasportare dalla gelosia… sbaglio? – le lanciai un’occhiata tutt’altro che benevola appena la sentii pronunciare quella parola.
Io, Bethany Stevens, non avrei mai e poi mai ammesso di essere gelosa, meno che mai di lui.
- Per mille Parmigianini, non dire che sono gelosa! –
- Ileen era ubriaca, cos’altro poteva fare se gli è saltata addosso? –
- Lui non mi sembrava poi così seccato di avercela sopra. –
- Cristo Bethany, vai a parlarci! Non dico che devi affrontare anche Chase (una disgrazia alla volta) ma almeno potresti provare a non mandare a puttane tutto prima che tu abbia un valido motivo per farlo! – sbuffai, non avendo alcuna voglia di discutere sull’argomento proprio quando sembrava che avessi raggiunto il Nirvana, ma dovetti ammettere che in un certo senso il discorso di Prudence non era poi così sconclusionato. E se avessi soltanto esagerato, come al solito?
- Solo perché tra te e Will sta andando tutto a gonfie vele non significa che anche a me debba andare bene con Matt. Sei sempre la solita fottuta ottimista! –
- Come fai ad essere così cieca? Lui è pazzo di te, e anche se Will si rifiuta di parlarne (sì, è ancora incazzato) io so che anche lui la pensa come me. –
- Questa è la millesima volta che ti dico che non m’importa? –
- Dai, non fare la bambina. Certo che t’importa! Vai in camera sua, tanto Will è andato a fare la spesa dieci minuti fa. E se proprio la cosa va per le lunghe lo trattengo io… -
Le lanciai un’occhiataccia, per poi enfatizzare, stizzita:
- Non sul mio letto, se proprio lo devi trattenere in quel modo! –
- Tu non ti preoccupare. Preoccupati invece di fare quello che ti ho detto. –
- Se lo faccio giura che non mi romperai più i coglioni per le prossime quarantottore. Giuralo! –
- Giuro su Parmigianino e sulle sue graziose orecchiette pelose che tapperò la bocca, anche se forse dovresti… -
- Shh! Basta, ora vado, così almeno smetterai di torturarmi. –
- Non ho bisogno di farlo, ci pensi già tu a farti del male da sola. – alzai gli occhi al cielo e introdussi il segnalibro tra le pagine, per poi abbandonare il volume in un angolino del letto e alzarmi.
- Bene, anche se non so che cazzo dirgli proverò a improvvisare. –
- Se ti presenti così davanti al suo letto ho paura che non baderà molto alle tue parole. – sogghignò, ed io mi esaminai prontamente, constatando che irrompere in camera sua con una canottiera semitrasparente ed un paio di shorts molto shorts sarebbe stato un attentato ai suoi neuroni.
- Oh, fanculo! – imprecai e, senza pensare neanche per un solo istante di cambiarmi, uscii dalla stanza, chiudendola silenziosamente alle mie spalle.
L’appartamento era stranamente quieto e in corridoio non c’era anima viva, così non fu difficile sgusciare di fronte alla stanza accanto senza essere vista da testimoni scomodi.
Esitai qualche istante di troppo, ma alla fine posai la mano sulla maniglia e aprii la porta, col cuore che inevitabilmente velocizzava i suoi battiti, raggiungendo in breve tempo una rapidità logorante.
Nonostante fossi già al corrente della presenza di Matt non riuscii a non sentirmi stranamente scossa, quasi incapace di dire alcunché, alla sua vista. I suoi occhi di ghiaccio mi studiarono attenti, e il modo in cui si immobilizzò appena mi vide mi suggerì che non si aspettava affatto una mia visita.
Forse si era già rassegnato al mio silenzio.
- Disturbo? – trasportai un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, non essendo in grado di restare immobile in una posizione tanto imbarazzante: mi trovavo dinanzi alla sua imponente batteria, in piedi, mentre lui se ne stava adagiato sul letto, concentrato a scribacchiare chissà che su un banale quaderno nero.
- No, vieni. – rispose, stupito dalla mia improvvisa gentilezza.
Scattò a sedere, nascondendo il taccuino sotto il cuscino, e mi indicò di sedermi accanto a lui.
Mi avvicinai, insicura e visibilmente imbarazzata dalla situazione in generale, nel tentativo di non inciampare su tutto il ciarpame che stava nei pressi dello strumento, e miracolosamente ci riuscii senza combinare disastri di alcun genere. Affondai nel materasso con un sospiro, per poi piombare nel silenzio più assoluto, senza sapere neanche io da dove cominciare.
- Ero un po’ arrabbiata con te. – deglutii, sentendo il coraggio concentrarsi su ogni parola – Me ne sono andata per questo. Ce l’avevo con te perché invece di fermarmi sei rimasto dov’eri, con quella addosso poi… – apparivo sempre più come una fidanzatina gelosa, e più andavo avanti col discorso più davo mentalmente ragione a mia cugina. Ero gelosa, non avevo scusanti, né sapevo come avrei ancora potuto negarlo senza ridicolizzarmi.
- Cos’altro potevo fare: lasciarla da sola? A differenza di te era sbronza, tu te la sai cavare. Lei, beh… -
- Lo so. Ma cazzo, se io avessi fatto lo stesso con Chase per te sarebbe stato indifferente? – tacque, zittito dal mio paragone. Sapevo che avrebbe reagito come me, o quasi. Forse con meno diplomazia.
- E comunque so che questo è ridicolo. Io e te non stiamo insieme, non siamo nulla. – continuai, cocciutamente decisa a non sollevare lo sguardo. Incontrare quegli occhi sarebbe stato poco meno di un suicidio, ed io desideravo sentire la risposta di Matt prima che le sue iridi celesti mi uccidessero.
- Sei venuta qui solo per questo? –
- B-beh, sì. –
- Visto che sei sparita per più di una settimana ero convinto che avessi qualcosa di più da dire. –
- A questo punto credo che sia tu quello ad avere qualcosa da dirmi. – affermai, rendendomi conto di quanto le sue ultime parole suonassero pungenti.
- Può darsi, ma non ha importanza. Per te non ne ha mai. – strabuzzai gli occhi, senza riuscire a trattenermi dal lanciargli uno sguardo a dir poco malevolo. Di cosa esattamente non mi importava?
- Cosa ti costa parlare? Io sono venuta qua per te, se ancora non l’hai capito! – cominciavo a spazientirmi, ed il cuore sembrava desiderare ardentemente di uscirmi dal petto.
Le mani non facevano che ancorarsi al lenzuolo immacolato, come se quella stretta potesse rendere maggiormente sopportabile la situazione, che lentamente si surriscaldava sempre più.
- Dopo esserti chiusa in camera tua per una settimana. Grazie tante. –
- Cosa ti aspettavi? –
- Ho imparato a non aspettarmi niente da te. Perciò nulla. –
- E allora spiegami perché ce l’hai tanto con me. –
- Bene. – si alzò in piedi, distanziandosi dolorosamente dal suo stesso letto, e si avvicinò alla finestra con aria tutt’altro che serena, forse incapace di respirare ancora la mia stessa aria.
Quella separazione imprevista servì a riscuotermi dall’intontimento che il profumo del suo dopobarba causava in me, e fu per questo motivo che mi armai di una forza nuova.
Forza che mi spinse ad alzarmi circa dieci secondi dopo che lo ebbe fatto lui.
- Avanti, sono proprio curiosa. – soffiai coraggiosamente, e intanto scorsi qualche goccia rigare il vetro della finestra, segnando finalmente la prima pioggerella dell’autunno.
Il rumore della pioggia impregnò la mia mente per qualche beato istante, e mi parve quasi di sentirla precipitarmi addosso, fredda e pungente.
L’attesa delle sue parole mi faceva sentire come nel bel mezzo di un feroce temporale, zuppa e intirizzita: avevo paura di ciò che avrei sentito, di come avrebbe potuto ferirmi.
Del fragore di un tuono e delle sue conseguenze.
Si voltò, ed io non fui in grado di dare un nome a ciò che vidi.
Forse era stanchezza, quella che albergava sul suo bel viso da modello di Abercrombie?
- Non lo accetto. Più ti conosco e meno ti capisco. Prima mi fai entrare in camera tua, fai la carina e la simpatica, poi ti lasci baciare… e il giorno dopo è tutto come prima. Tutto daccapo. Ogni cazzo di volta. È questo il problema: mi prendi per il culo ogni giorno, perché ti lasci baciare anche da Chase e poi svanisci nel nulla. Ma ciò che mi fa incazzare davvero è che è da qui che non te ne vai. – si indicò la fronte, rimanendo a distanza di sicurezza da me, come per paura che mi avvicinassi e marcassi con forza la mia presenza. Come se facendo questo potessi fargli del male in qualche modo.
- Vorrei soltanto che tu mi lasciassi in pace se non sai cosa vuoi. Ma non lo fai, neppure se non ci sei. –
- Ma io lo so cosa voglio. È proprio questo il problema. – replicai, terminando il poco fiato che mi era rimasto nei polmoni.
- E allora cosa vuoi da me? –
- Non voglio niente da te. Io voglio te. Credi di poterlo accettare? – non compresi esattamente come riuscii a dirglielo, né dove trovai il coraggio per farlo, ma pronunciai quelle parole. E l’attimo dopo che lo feci avrei tanto desiderato scappare, tornare in quell’angolino sicuro che il mio letto rappresentava.
Eppure non lo feci: rimasi con i piedi piantati sul pavimento, in silenzio, perché volevo conoscere unicamente la sua risposta. In realtà volevo anche sentire la sua voce, come sempre, e volevo pure che mi guardasse negli occhi, nonostante non fossero belli come i suoi. Mi sarebbe piaciuto che ci leggesse dentro la sincerità delle mie parole e non cercasse di confonderla con una menzogna.
E avrei voluto che si avvicinasse, perché tutta quella lontananza mi faceva mancare l’ossigeno.
Attesi qualche secondo, ma niente. Lui non rispose, non fece nulla.
Ed io mi spegnevo ogni istante che passava. Ero la pioggia che si frantumava sull’asfalto.
Rispondi… rispondi… rispondi…, pensai, sedendomi sullo sgabello della batteria, ormai rassegnata a non ottenere alcuna risposta. Matt riprese ad analizzare il cielo al di là della finestra, e probabilmente non avrebbe fatto diversamente per un po’.
Sembrava non volersi voltare a guardarmi, ma mi avrebbe prestato attenzione.
Ora come ora, non desideravo altro che farmi ascoltare.
Agguantai le bacchette di legno e cominciai a percuotere i tamburi a caso per spezzare quel fastidioso silenzio che mi stava schiacciando a poco a poco. Non produssi un suono particolarmente piacevole, ma qualunque schiamazzo sarebbe stato meglio di non sentire nulla.
Andai avanti così per qualche minuto, finché una voce alle mie spalle non mi fece capire che Matt si era avvicinato, e non aveva alcuna intenzione di allontanarsi presto.
- Sbagli nell’impugnarle. – sussurrò, prendendo le mie mani e guidandomi con le sue, in modo da farmi comprendere meglio come utilizzarle. Mi fece alzare dallo sgabello, conducendomi sulle sue cosce, ma adagiarmi su di lui fu eccessivo per i miei nervi.
Cominciai a sentire una gran voglia di piangere, e nel tentativo di non lasciarmi andare di fronte a lui rischiai di ruzzolare giù, sul pavimento: Parmigianino, quell’orrenda massa di peli fetente, si era infiltrato fra le mie gambe, e non avendolo né visto né sentito avevo provato ad allontanarmi in fretta da Matt per non ostentare la mia debolezza, incespicando su di lui.
- Vattene, gattaccio puzzolente! – esclamai con le ultime forze che mi rimanevano, la voce ridotta dal nodo che pian piano andava ingrandendosi all’interno della gola.
- Beth, che… stai calma… - mi resi conto che le mani del moro mi stavano stringendo soltanto quando cercai di liberarmene, e allora mi arrestai, rassegnata dal fatto che non avrei potuto dileguarmi in nessun caso.
Asciugai con irritazione una lacrima fuggitiva e tentai di non cadere rovinosamente sulle mattonelle o fare qualsiasi genere di figuraccia, ma già il fatto che lui avesse compreso che stavo piangendo era un punto a mio sfavore.
- Che ti prende adesso? – insistette, stringendomi in un abbraccio che mi rasserenò e mi sconvolse allo stesso tempo.
- E me lo chiedi anche?! Prima litighiamo come dannati, poi te ne stai zitto a guardare chissà che e dopo ti avvicini come se nulla fosse! Hai idea di quanto possa essere snervante??? –
- Beh, è quello che fai tu ogni volta, o sbaglio? –
- V-veramente… - mi interruppi, incapace di trovare qualcosa di abbastanza intelligente da dire: non perché mi mancasse la capacità di trovare prontamente una risposta, ma perché quella facoltà mentale era stata brutalmente soppressa appena le sue mani mi avevano toccata. Mi accarezzò i capelli, sfiorandomi accidentalmente la spalla, e questo fu sufficiente a farmi venire la pelle d’oca.
Brutta situazione Bethany, datti una svegliata! pensai, e quasi in risposta a questa riflessione lo spinsi via, allontanandomi di almeno mezzo metro.
- Ti comporti in modo davvero strano, mi stai preoccupando. – furono le sue parole meravigliate, appena lo feci. Spalancò le palpebre e mi squadrò con quelle iridi che sapevano levarmi con tanta facilità le parole di bocca e la volontà dal cervello. Deglutii, ma non seppi rispondere, per l’ennesima volta.
- Forse è meglio che vada a… passare l’aspirapolvere. Sì. – mi voltai per andarmene (ed esaudire finalmente il mio profondo desiderio di darmela a gambe), ma non fu sufficiente oltrepassare la batteria e accostarmi alla porta. Mi prese per i fianchi e mi riportò indietro, sul suo letto… sul suo letto.
Ossantissimoparmigianinochecavolostafacendo?!, mi domandai atterrita, senza trovare il coraggio di muovermi o fiatare.
- Prima che tu ti metta ad urlare come una psicopatica e a dimenarti come un’anguilla vorrei tanto sapere che cosa cazzo ti prende, perché giuro che non lo capisco proprio. –
Mi aggrappai agli unici due neuroni superstiti, nel tentativo di articolare una frase di senso compiuto, con soggetto, verbo e (possibilmente) complemento.
- Tu. Mi stai sopra. –
- Eh, e allora? –
- E allora togliti, no? –
- No! Dimmi che hai. –
- Sei un fottuto bastardo, ecco cos’ho. –
- E tu sei dolce come un barile di acido muriatico. Avanti, parla! –
- Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. –
- Sul serio. Di che hai paura? –
- Non ho paura. –
- Giusto… sei terrorizzata. –
- Ti odio! Levati. –
- L’odio è un sentimento forte. Wow. Provi un sentimento forte per me… Betty? –
- Pensi di starmi sopra ancora per molto… Matthew? –
- Uhm, sì, l’idea era quella. A meno che non ci voglia stare tu, sopra di me. – tacqui, assumendo un’intensa tonalità tra il rosso e il violaceo: ero certa che le sue intenzioni fossero tutt’altro che innocenti.
Forse per colpa delle sue labbra, che presero a lambire avidamente la mia gola. Forse per le sue mani, che davano prova di essere tutto fuorché discrete. O forse era a causa del suo profumo, che confondeva i miei sensi senza il mio consenso.
Addio neuroni. Addio volontà. Addio buone intenzioni.
Per me era finita. Mi avrebbe annullata totalmente nel giro di qualche secondo.
Lo sentii trafficare con la cerniera degli shorts, e in seguito con la canottiera: entrambi raggiunsero in breve tempo il pavimento, e lo stesso fecero i suoi indumenti.
Lasciai che le mani percorressero la sua schiena nuda, senza freni né restrizioni, e finalmente mi impossessai delle sue labbra, mentre lo spogliavo degli ultimi vestiti che gli erano rimasti addosso.
I respiri si fecero affannosi e i corpi più vicini, e le sue frasi, i contrasti, le azioni, divennero nient’altro che un indistinto e lontano ricordo.
- Giurami che smetterai di farmi del male. – sibilai, trafiggendo le sue iridi con le mie.
- Non ho mai voluto farlo… - sospirò, e tutto il resto perse inaspettatamente valore.
 
(Pov. Nick)
- Cazzo! I panni saranno tutti umidi adesso! – strepitai, lanciando un’occhiataccia al mio gemello, prima di dirigermi di tutta fretta verso il balcone. Se Brian se ne stava stravaccato sul divano senza fare niente, io tentavo in tutti i modi di non rendere vano il mio lavoro. A Martha toccava la spesa, perciò il resto delle faccende era compito nostro. Mio, in questo caso.
- Certo, sta piovendo. – rispose quello, sbadigliando sonoramente e affondando ulteriormente nei cuscini.
- E tu ovviamente non fai nulla per darmi una mano. – il fastidio nella mia voce era palese, per questo lui si voltò a guardarmi, con quegli occhi grigi (così simili ai miei) che rispecchiavano una certa indolenza.
- Scusa Nick, non ne ho proprio voglia oggi. –
- Nemmeno io se è per questo. Ma lo faccio lo stesso. –
Brian sospirò, distogliendo lo sguardo malinconico dalla montagna di panni bagnati che tentavo di reggere fra le braccia. Qualcosa non andava, e non ci misi molto a posare i vestiti sul tavolo e accomodarmi accanto a mio fratello, pronto a porgli una serie di fastidiose domande inquisitorie.
- Beh, perché quella faccia da culo? – sollevai un sopracciglio.
- Non ho voglia di parlartene. È una cosa stupida. –
- Appunto che è stupida. –
- Dai, lasciami stare. – si lamentò con fare lagnoso, spostando repentinamente lo sguardo altrove.
- Mi dici sempre tutto, cosa c’è che non va ora? –
- Come ho già detto è una cosa stupida, non vale neanche la pena che io sprechi del tempo a parlartene. –
- Allora, se è tutto così stupido come dici te, aiutami a stendere i panni al coperto, prima che te li lanci addosso! – sorrisi, nel vano tentativo di strappare un accenno di risata anche a lui.
Fu totalmente inutile. Non voleva espormi i suoi problemi, ma, da gemello testardo qual’ero, non me la sentii di abbandonarlo così, non quando ero a conoscenza di quanto la sua malinconia potesse essere snervante.
- Problemi di cuore? – domandai indiscreto, convinto che una donna non potesse essere la causa dei suoi mali. Brian non era mai stato un tipo particolarmente impegnato sentimentalmente (le sue ultime relazioni risalivano alle superiori, circa) e di certo non mi aspettavo che penasse per questo.
- Non dire assurdità! – replicò, con un’enfasi tale da lasciarmi perplesso. Mi sistemai meglio sul divano, pronto ad insistere fino a fargli vuotare completamente il sacco.
- Ti sei infognato con qualcuna eh? – assunsi un’aria divertita e maliziosa, determinato a punzecchiarlo e prenderlo in giro, nonostante non avessi idea di cosa avesse potuto generare la sua apatia.
- Preoccupati della tua acidella… -
- Me ne preoccupo già abbastanza, senza che tu me lo dica. –
- Allora perché non vai a scopartela e mi lasci in pace? –
- Perché sta facendo la spesa e tu hai una fastidiosa faccia da depresso. E ti ostini a non volermi dire il motivo. –
- Come ti ho già detto poco fa è una cosa stupida. Tanto stupida da non avere nessuna rilevanza. – detto questo, lo vidi alzarsi infuriato e spostarsi in camera sua, serrando la porta a chiave.
Sospirai e scossi il capo, ritornando alle mie faccende e cercando di non dare peso alla situazione che giorno dopo giorno si faceva più pesante.
 
(Pov. Chase)
Sistemai la roba asciutta nell’armadio, dividendola per colore e per genere, e ficcando i panni sporchi nella bacinella azzurra. Mi soffermai ad osservare una camicia verdolina semitrasparente e repressi un brivido d’orrore: fingevo che fosse la mia preferita soltanto perché era talmente atroce da poter piacere solo ad Ileen e a qualche individuo appassionato di moda, generalmente gay.
Mi sarebbe piaciuto ritornare al classico abbigliamento eterosessuale, ma le circostanze richiedevano ancora un po’ di tempo. Sospettavo che Ileen mi odiasse, mentre ero del tutto certo che Bethany desiderasse il mio scalpo, e di conseguenza una mia rapida – e dolorosa assai – dipartita.
Matt, manco a dirlo, avrebbe esaudito molto volentieri il desiderio della sua presunta dolce metà, ed il resto dei coinquilini sembrava essersi dimenticato totalmente della mia presenza.
Chiusi le ante dell’armadio, concedendomi una rapida occhiata allo specchio, ed un paio di grandi iridi indaco mi restituì lo sguardo, impassibile e distante. Potevo permettermi di essere me stesso poche volte al giorno e qualche ora durante la notte, se l’insonnia prendeva il sopravvento sulla stanchezza: inutile dire che ogni volta mi ripetevo quanto fossi stato idiota, ad allestire quell’altrettanto stupido teatrino.
Sapevo che non mi avrebbe portato da nessuna parte, che mi avrebbe creato solo guai. Ero consapevole di quanto irragionevoli fossero le mie azioni, ma, per un motivo o per un altro, non riuscivo a ripudiarle.
E, come se non bastasse, dovevo ancora fare luce su alcune questioni oscure che mi levavano il sonno:
1) Bethany, e il punto di domanda che rappresentava.
2) Che ruolo avesse avuto Parmigianino in tutta questa storia.
3) L’esito della segreta, sporca, scommessa tra Matt e Will, che, ne ero fermamente convinto, non erano a conoscenza del fatto che io sapessi tutto né che a breve li avrei messi entrambi con le spalle al muro.
 
(Pov. Bethany)
Aprii gli occhi di scatto, svegliata da un improvviso e molesto rumore. Con una smorfia notai quell’arcigno e orrendo felino di nome Parmigianino squadrarmi malignamente, adagiato in tutta tranquillità sul mio stomaco. Coperta unicamente dal lenzuolo spiegazzato, tentai di mandarlo via sventolandogli pigramente una mano davanti al muso. Niente. Rimase piantato dov’era.
- Sciò? – un magro e fallimentare tentativo di fare in modo che il gatto se ne andasse.
Mi guardai intorno, e mi resi istantaneamente conto di essere sola, nella stanza di Matt.
Sfarfallai le ciglia, reprimendo un lungo sbadiglio.
La pioggia continuava a cadere, e pareva che aumentasse ogni minuto.
Meeeow! Il gatto prese a farsi le unghie sulla mia pancia, trapassando il lenzuolo con i suoi artigli felini e graffiandomi inevitabilmente.
- Ahio! – mi lamentai e, pur di non toccare quella palla di pelo puzzolente, afferrai il cuscino e glielo scagliai contro, in modo da costringerlo a spostarsi. Finalmente, con un elegante balzo, Parmigianino si levò dalle scatole, sgusciando chissà dove a rompere le palle a chissà chi, ma io non mi preoccupai di lui: un quaderno nero dall’aria vissuta fece la sua comparsa da sotto il cuscino, lo stesso che Matt aveva accantonato di tutta fretta appena avevo messo il piede in stanza. Lo presi fra le mani e, senza preoccuparmi che il moro tornasse improvvisamente, lo aprii, leggendo le prime parole della prima pagina. La scrittura era alquanto puerile, e ciò che stava scritto al di sotto chiariva che quel quaderno fosse sufficientemente vecchio da potersi definire un reperto archeologico. O quasi.
Una lunga serie di testi di canzoni abbozzati mi saltò all’occhio, ma sorpassai un bel po’ di pagine prima di trovare qualcosa che mi incuriosì davvero. Aggrottai le sopracciglia, cercando di comprendere cosa significasse quanto scritto. La data era piuttosto recente, ma risaliva a circa qualche giorno prima che mettesse piene nell’appartamento insieme a Will.
Scommessa n°1: vinta. Non avevo la minima idea di cosa si trattasse, infatti – non sapendo come interpretare la cosa – voltai pagina in breve tempo, ritrovandomi davanti altri testi, la maggior parte dei quali lasciati a metà o totalmente cancellati. Ma, a distanza di una decina di fogli, ecco che una seconda frase enigmatica mi catturò nella sua tela. Scommessa n°2: loading.
La data era proprio quella del loro arrivo in appartamento.
Sotto, una lunga serie di strani simboli incomprensibili copriva il resto della pagina, e quelle dopo, e quelle dopo ancora. Appunti, forse. Annotazioni scritte con uno strano alfabeto, sicuramente di sua invenzione.
- Ma che cazzo…? – sbottai, constatando che il resto del quadernino era interamente ricoperto da quello stranissimo linguaggio. Udii un rumore dietro la porta, e questo mi costrinse (a malincuore) a chiuderlo immediatamente e rinfilarlo sotto il cuscino, esattamente dove sarebbe dovuto rimanere.
Appena in tempo: Matt comparve sulla soglia, mezzo nudo e fresco di doccia, con un sorriso appagato sul bel viso e tutta l’aria di voler ritornare sotto le lenzuola nel più breve tempo possibile.
- Ehi. – mi sorrise, ed io sentii il mio cervello morire schiacciato sotto il peso del suo sguardo. I miei poveri neuroni giacevano inermi da qualche parte della mia scatola cranica, ma nell’osservare i suoi occhi azzurri mi mancava tutta la voglia di andare a cercarli.
- Mi sono svegliata poco fa. – umettai le labbra, lasciando che si infilasse nuovamente accanto a me. La sua vicinanza cancellò rapidamente ogni traccia di dubbio ed ogni domanda riguardante il quadernino, ma qualcosa mi disse che ben presto ci avrei riavuto a che fare.
 
(Pov. Will)
Mi affettai a spostarmi di reparto in reparto, facendo mente locale su ciò che mi ero appuntato di comprare. Farina, latte e pacchi di pasta erano le cose che Ileen mi aveva istericamente ricordato di acquistare in dosi massicce, e già a metà del mio percorso all’interno del supermercato il carrello era pieno per tre quarti. Come avrei fatto a trasportare tutto da solo rimaneva un mistero, ed improvvisamente mi pentii di aver rifiutato l’offerta d’aiuto di Chase, che, seppur generosa, mi lasciava abbastanza perplesso.
Inoltre, più passava il tempo, meno il biondo mi stava simpatico, e non soltanto per ciò che aveva combinato con Bethany, ma anche per il modo in cui aveva cominciato a squadrarmi, come se fosse in attesa di qualcosa. Mi innervosiva, e se avesse continuato così probabilmente gli avrei domandato se ci fosse qualche problema. E in tal caso, quale fosse.
- Posso, ehm, passare? – una vocina timida e vagamente ironica mi distrasse dalle mie riflessioni, e quando mi voltai riconobbi un viso familiare.
- Ah, giusto. – risposi intanto, senza distogliere lo sguardo dal bel volto della ragazza – Ci conosciamo? – continuai, certo di averla già vista da qualche parte.
Lei mi osservò inespressiva, prima di replicare:
- Può darsi. – non pareva molto loquace, ma io (da bravo rompiscatole qual’ero) insistetti ugualmente.
- Ti chiami Martha, giusto? – ricordai improvvisamente, analizzando la chioma rossa, mascherata abilmente da un berretto di lana grigio.
- Sì… scusa, non mi ricordo come ti chiami. –
- Will. Ci siamo conosciuti al locale che c’è qua vicino, ricordi? – la rossa sembrava avere tutta l’aria di non esserci particolarmente con la testa. Mi rivolse uno sguardo alluvionato, afferrando con aria assente un pacco di spaghetti.
- Probabile, visto che lavoro lì. –
- Bene, la mia memoria allora non mi inganna. – sorrisi amichevole, spostando il carrello in modo che la ragazza potesse passare senza fare acrobazie inutili.
- Evidentemente no. Ora, scusa, mi piacerebbe tanto chiacchierare, ma devo andare. Sono un po’ di fretta. Ci vediamo… Will. – mi liquidò in quattro e quattr’otto, dileguandosi il più rapidamente possibile con la sua spesa, ed io, sconcertato dalla sua fuga, mi costrinsi a continuare ciò che stavo facendo, ossia svaligiare il negozio per conto di Ileen.
 
(Pov. Martha)
Girai la chiave nella toppa a fatica, armeggiando con due bustoni colmi e pesanti, e con la testa altrove. Era dalla settimana prima che riflettevo senza sosta, ed ora anche l’incontro con quel ragazzo al supermercato era diventato oggetto di riflessione.
- Sono tornata! – annunciai, spingendomi all’interno dell’appartamento. Posai le buste sul bancone e mi guardai intorno, alla ricerca dei due gemelli. Non vidi nessuno dei due.
Con un’alzata di spalle chiusi la porta d’ingresso e mi levai il berretto, e in seguito la giacca.
Avevo fame, così decisi di sistemare la spesa e di divorare un tramezzino subito dopo, in modo da placare quella fastidiosa sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco.
Mi adoperai per smistare il cibo il più celermente possibile, canticchiando nel mentre una delle canzoni che avevo ascoltato con l’i-Pod nel tragitto di ritorno a casa e, appena terminai, aprii le ante del frigo, alla disperata ricerca dei miei adorati tramezzini.
La mia ricerca attenta fu però interrotta bruscamente da una voce dolorosamente familiare.
- Martha, devo chiederti un favore. – il tono freddo con cui pronunciò quella frase confermò che colui che mi aveva parlato era Brian. Deglutii, e quando i miei occhi si puntarono su di lui smisi momentaneamente di respirare, come se farlo potesse contaminare quell’attimo di beatitudine rubata.
- Un altro? Mi pare che la spesa toccasse a te oggi, no? – lui si avvicinò, palesemente contrariato, fino a quando non me lo ritrovai a poco più di quaranta centimetri di distanza.
- Ho bisogno che tu porti questo al locale e lo metta sul mobile del camerino. Ti pago lo straordinario se lo fai. – abbassai lo sguardo e vidi che nella mano destra il biondo stringeva una lettera imbustata.
La sua aria disperata fu una spiegazione sufficiente. E terribilmente dolorosa.
- Hai detto che mi paghi lo straordinario… dov’è la fregatura? – domandai, mostrandomi apparentemente sospettosa.
- Non voglio che mio fratello si intrometta. Perciò se vai non devi assolutamente dirgli nulla di questo. Intesi? – lo guardai con le labbra serrate, a lungo, poi gli strappai la missiva dalle mani.
- E va bene. Farò come dici tu, ma sappi che se non mantieni la parola tuo fratello verrà a conoscenza di tutto. – ovviamente mentivo, ma Brian non poteva certo saperlo.
Mi allontanai, indossando la giacca e il berretto, e mi avventurai fuori dall’appartamento senza neanche salutare. Appena arrivai al pianerottolo e fui certa che Brian fosse rimasto dentro, aprii la lettera e la lessi, aspettandomi già di conoscere il contenuto:
Ti prego, non puoi respingermi così ogni volta. Quello che c’è stato tra di noi non è stato solo sesso, lo so, e lo sai anche tu. Mi sto umiliando per te, come fai a non capire?! Lascia almeno che ti parli, non chiedo altro, se non vuoi dirmi chi sei. Brian.
Mi morsi un labbro, rattristata ed innervosita da quelle parole.
Lui amava l’altra, non me, non Martha, lei. E continuavo a non volerlo accettare.
Appallottolai la lettera con forza e uscii fuori dalla palazzina. Non mi importava della pioggia, tantomeno del fatto che fossi sprovvista di ombrello: arrivata in prossimità di un cestino gettai la pallina di carta, con furia, immergendomi nelle strade ormai oscurate dal calare della notte.



NdA: Beh, sono stata più puntuale questa volta, no? Sì, so che prima aggiornavo mooolto più rapidamente, ma ora che la storia volge quasi al termine è più difficile seguire il filo, anche perché ogni volta aggiungo particolari che inizialmente non avevo ideato. Ce l'abbiamo fatta, io, Matt e Bethany XD 
Ma... non è tutto rose e fiori, e presto ve ne accorgerete!
Chase trama qualcosa, e il quaderno che è appena spuntato sarà importantissimo nei capitoli a venire.
Ah, ovviamente ringrazio chiunque sia arrivato fin qui a leggere e recensire, ma soprattutto ringrazio chi mi ha copiato la storia per avermi fatto sentire importante, anche se avrei preferito evitare di vedere la copia sputata di questa ff, copiata peraltro in modo abbastanza pessimo ;) spero che questa persona legga e capisca che non ricava niente dalla sua poca originalità, se non un sentimento di pena da parte mia.
Okay, dopo aver lanciato questa frecciata stile bazooka... spero che il capitolo vi sia piaciuto e che lo recensirete.
Spero di aggiornare presto e di poter terminare questa storia u.u visto che a breve ne comincerò un'altra.
Bene, a presto lettori, taanti bacetti (L)

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _amethyst_