Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Gloom    24/07/2012    1 recensioni
-Sai, essere figli di genitori che non si amano è una fregatura: dentro noi siamo per metà come un genitore e per metà come l‘altro. Se non sono riusciti a restare insieme loro, ancora più difficile sarà per noi. . . Perché loro si sono potuti separare; noi invece dobbiamo faticare per mettere d’accordo geni incompatibili dal principio.
 
L'Allegra Brigata non aveva altre ambizioni se non quella di passare indenne i sedici anni dei propri componenti. Ma quando mai le cose più semplici danno mostra di esserlo? Lauretta, Giak, Cicca, Margherita e Riccardo dalla loro hanno che si vogliono bene: per il resto, che si preparino pure ad una sfida dalla quale nessuno uscirà indenne... c'è una spiaggia alla fine della corsa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
In quel periodo arrivarono le pagelle.
Erano temute ed aspettate come quando vedi le nuvole d’estate e pensi “no, non può piovere davvero" e invece, inevitabilmente, piove.
Il preside entrò in classe come se dovesse solo scambiare quattro parole con la prof, ma dal modo in cui gli studenti scattarono in piedi l’entità del disastro fu palese. Posò il fascio di cartellette sulla cattedra mentre, dietro di lui, la professoressa riusciva a malapena a nascondere un sorrisetto.
 -Merda!- sussurrò Cicca a Riccardo. Riccardo riferì il messaggio a Giak.
In ordine alfabetico, iniziò la sfilata di studenti ansiosi. Alcuni inciamparono, altri riempirono lo spazio con falcate più ampie del normale, altri si mordevano le labbra.
 I nostri cinque ritirarono le loro pagelle, senza aprirle prima di essersi seduti al loro posto.
 Il preside ci mise meno di una decina di minuti per consegnare tutto il consegnabile, poi li abbandonò al loro destino.
La prof, dopo aver incassato stoicamente l’interruzione, provò a convincere i suoi studenti a mettere da parte le pagelle, ma quelli ci misero un po’: stavano tutti esaminando i propri voti. E i propri pagellini, ovviamente: era tutto un circolare di fogli da stampante che avrebbero decretato il loro secondo quadrimestre.
 -Greco e storia. . . merda, anche storia!- mugolò Lauretta disperata.
 -Anche a me ha ridato storia, e geografia. . . ma ‘sti cavoli, per quelle non ci servono gli esami- disse Cicca. Si sentiva in colpa, perché era sicuro che quei sei a greco e latino tutto erano tranne che meritati, ma non se la sentiva di parlarne proprio in quel momento.
 - Giak, come è andata?-
 -Come previsto- rispose lui, scuro in volto, -greco, latino, inglese e matematica-.
 -Cavolo, mi spiace. Dai, inglese e matematica non sono un problema, ci metterai poco. . . - tentò Margherita.
 -Margheri’, ti prego, non serve. So come stanno le cose-.
 -Scusa!-
 Giak sospirò e infilò la pagella tra i libri, assicurandola dentro lo zaino.
 -Fa niente-.
 Lauretta diede un buffetto a Margherita: le avrebbe voluto dire di non prendersela, che ultimamente Giak si comportava così per Alex e per tutti gli altri casini, ma non ce ne fu bisogno: Margherita già lo sapeva.
 
Lauretta riportò la pagella a casa, senza sapere come avrebbe reagito sua madre alla vista di quei voti e quello stupido pagellino di greco.
Infilò la chiave nella toppa per scoprire che sua madre in realtà era già tornata e stava cucinando, in tenuta casalinga. Lauretta l’aveva sempre trovata più bella con i pantaloni della tuta e la felpa slargata, ma non glie l’aveva mai detto.
 -Ciao. Come è andata la scuola?- chiese lei.
 -Ci hanno portato la pagella. . . - mugugnò Lauretta. -Tieni- continuò cacciandola dalla borsa.
 Sua madre inforcò gli occhiali, prese la cartelletta e Lauretta vide le sue sopracciglia avvicinarsi sempre di più man mano che scorreva i voti.
 -Greco, scritto tre e orale quattro. Storia, quattro. Lauretta, come me lo spieghi?- sibilò alla fine.
 Lauretta si abbandonò su una sedia della cucina, improvvisamente stanca:
 -Come dovrei spiegartelo. . . È difficile il classico-. Sperava di far leva sul fatto che sua madre non aveva frequentato quel liceo.
 -L’anno scorso sei andata molto meglio-.
 -Sì, be’, quest’anno no-.
 -E perché?-
 Lauretta alzò lo sguardo e lo puntò su quello di sua madre:
 -Perché quest’anno è diverso dall'anno scorso-.
 La donna chiuse la pagella e la sbatté sul tavolo. Forse aveva capito l’allusione di Lauretta, forse no. In ogni caso decise di non rispondere, tenendo quell’atteggiamento sostenuto e glaciale che le era sempre riuscito bene.
 Lauretta abbandonò la cucina e si rinchiuse in camera sua. Non era stata per nulla soddisfatta della reazione di sua madre; non si era aspettata niente di preciso, ma forse avrebbe preferito che le urlasse contro, che la rimproverasse, che la facesse incazzare al punto di piangere. E invece niente di tutto ciò.
 Però si era arrabbiata lo stesso. Forse perché cominciava a pensare che di lei non importasse niente a nessuno dei genitori.
 -Fantastico- mormorò tra sé e sé. Poi accese il computer, alzò il volume delle casse al massimo e iniziò a scartabellare tra la sua poca musica.
 Le piacque ascoltare musica ad alto volume, come tempo prima le aveva consigliato di fare Giak.
 Uscì qualche minuto dopo, quando sua madre le urlò di mettere la tavola. Lei la raggiunse, scaraventò un paio di piatti e un paio di bicchieri sopra la tovaglia e si sedette, aspettando il pranzo.
 Mentre mangiavano, sua madre le disse che quella sera non ci sarebbe stata.
 -Dove vai?- chiese Lauretta.
 Non ricordava neanche l’ultima volta che sua madre si era impappinata in quel modo: ma, dopo alcune sillabe sconnesse, la risposta fu: -devo discutere con un mio collega sul caso che stiamo seguendo-.
 Lauretta si fece bastare quella risposta e non aggiunse altro. Continuò a deglutire forchettate di pasta, sempre più esigue, ma si rese conto di doversi sforzare per compiere quei gesti così normali.
 Non aveva la testa per studiare quel pomeriggio, eppure si impegnò per farcela; il risultato fu una traballante versione lasciata a metà (confidava in Riccardo e Margherita la mattina dopo) e diversi paragrafi di italiano che la sua memoria avrebbe catalogato come effimeri.
 Sua madre uscì verso le sette. Lauretta non avrebbe davvero voluto vederla, ma lei andò a salutarla mentre stava ancora studiando, così si accorse di come, per la prima volta da tempo, la vedesse curata: indossava un tailleur scuro, si era gonfiata i capelli di spuma e li aveva fissati con la lacca ( a Lauretta quella pettinatura ricordava sempre quando usciva per le serate speciali, e portò un’ennesima vagonata di scomodi ricordi), ed aveva un profumo così buono e sofisticato da sembrare più giovane di diversi anni.
 -Ciao- la salutò voltandosi. Non le sembrò carina come cosa, ma vederla così acconciata per un altro uomo le aveva fatto un effetto bruttissimo. Le parve quasi di aver bisogno di vomitare.
 Si ritrovò a casa da sola. Che piacevole novità.
Annoiata, dopo aver messo da parte i libri soppesò l’ipotesi di cenare, ma poi decise di farne a meno. Non ne aveva voglia.
 Invece si sedette davanti al computer, si connetté a internet e, senza sapere bene come ingannare il tempo, pensò che forse era venuta l’ora di iscriversi a Facebook. Non che le piacesse poi così tanto, ma le avevano detto di iscriversi anche solo per entrare a far parte del gruppo di classe, dove qualche anima buona, quando e se aveva tempo e voglia, scriveva le frasi o le versioni per il giorno dopo.
 Fu facile: nome, cognome, data di nascita ed e-mail, ed ecco finalmente cos’era quel social network che aveva stregato milioni di schizzati.
 Chiamò Margherita per farsi istruire un po’, e lei la aggiunse subito come amica.
 -Guarda che cosa stupida! Secondo internet, io e te abbiamo stretto amicizia solo ora- commentò ghignante Lauretta.
 -La settimana scorsa mamma ha stretto amicizia con papà, pensa un po’! Ora io devo andare a cena. Tu intanto vai tra i miei amici e aggiungi un po’ di gente che conosci. . . E vedi di mettere una foto del profilo al più presto!- Margherita la salutò e riattaccò.
 Lauretta smanettava su internet, mentre scorreva centinaia di nomi di gente di cui neanche ricordava l’esistenza. Nel frattempo aveva scaricato l’immagine di una nana bianca e ne aveva fatto la propria immagine del profilo.
 Trovò subito Cicca, Giak e Riccardo. Poi quasi tutto il resto della classe, e anche quelle delle medie e delle elementari. Aggiunse Sara e un altro paio di cugini più grandi. Aggiunse gente che conosceva di vista e vecchi professori andati in pensione (e che quindi non avrebbero potuto interferire sulla sua vita scolastica). 
 A un certo punto, tra gli amici di Sara, trovò Alex. Era abbastanza sicura che fosse lei, ma prima di aggiungerla controllò le foto.
Sì, era davvero lei: tra le foto aveva anche il disegno che le aveva fatto Giak. . . Lauretta fu stizzita quando scoprì che solo Alex avrebbe potuto eliminarlo da lì: le era venuta una voglia bestiale di farlo per lei.
 Una che asserisce di aver avuto “altre esperienze in passato per cui aveva sofferto tanto”, quando invece non aveva neanche quindici anni, non avrebbe dovuto avere la decenza di farsi vedere con un disegno del suo amico.
Solo che poi, scorrendo tra le immagini del profilo, ne trovò una che le sembrò parecchio familiare. . .
 Sconcertata, corse a prendere il ritratto che Giak aveva fatto per lei. Ci mise poco per accorgersi che in realtà quella nel disegno era Alex, solo con alcuni tratti e il taglio di capelli modificati.
 Rimase perplessa. L’unica cosa certa era che non avrebbe aggiunto Alex tra gli amici, lei che era stata così bastarda con Giak: fingersi interessata ed illuderlo in quel modo, solo per far ingelosire un truzzetto. Roba per cui lei avrebbe volentieri ucciso.
C’era però qualcosa che non le piaceva nel fatto che Giak avesse ritratto Alex e poi l’aveva spacciata per lei. Forse perché sapeva cosa aveva fatto quella ragazza al suo amico, e perché aveva visto Giak nei giorni seguenti.
 Non aveva mai avuto più paura di avvicinarsi a lui: sembrava così cupo, irritabile e scontroso da lanciare fulmini dagli occhi.
 O forse a non piacerle era proprio il fatto che Giak avesse voluto (e continuasse a volere) così bene a quella carogna. Stava forse diventando gelosa? O lo era sempre stata?
Lauretta decise di mettere da parte il disegno; avrebbe chiesto chiarimenti il mattino dopo, a scuola.
 Solo che, così facendo, si ritrovò con un’intera serata da trascorrere in casa, da sola. Aggiungendo questo al fatto che per Lauretta si avvicinava quel periodo del mese in cui la luna gira e i brutti pensieri salgono, immaginate facilmente verso quali baratri di tristezza sarebbe sprofondata.
 La mattina dopo ci fu l’esplosione.

Si era svegliata che erano da poco passate le sei. Oggi ho battuto ogni record. 
 Pensò se fosse il caso di riaddormentarsi, ma decise di no: magari avrebbe potuto finire la versione del giorno prima. . . Magari. Ma scoprì di avere ancora il cervello in pappa, per cui fu facile rinunciare.
 Andò in cucina e cercò di mangiare, ma l’odore rivoltante di qualche prodotto andato a male nel frigo le fece passare la voglia di fare colazione.
Scazzata al massimo, un’ora e mezza dopo si accingeva a prendere l’autobus. Sarebbe arrivata prima del resto del mondo a scuola, ma non le importava.
 Si sedette sul solito muretto, con le cuffie alle orecchie e il libro di italiano davanti al naso. Come se servisse davvero a qualcosa.
Guardava la gente arrivare, gli autobus scaricare studenti, la barista vendere cornetti, e di tanto in tanto salutava qualcuno da lontano.
Solo dopo un quarto d’ora vide Riccardo che le si avvicinava:
 -Ciao Lauretta. Come mai sei già qui?- chiese.
 -Mi sono svegliata troppo presto. Si vede?-
 -Un po’-.
 -Tu?-
 -Mauro oggi ha la simulazione di terza prova ed è voluto arrivare per forza in anticipo. . . Io devo stare appresso a lui, che ha la macchina. Ma vabbò-.
 -Hai visto qualcun altro?-
 -Tra un po’ arriva Cicca. Ma tanto non sarà di compagnia. . . Ieri diceva di voler fare sega-.
 -Oh. . . -
 -Vai anche tu con lui?-
 -No, credo di no. Deve interrogarmi ad italiano, e poi già ho saltato abbastanza giorni. . .-
 Era vero: durante le ultime settimane del primo quadrimestre, Lauretta aveva usato il vecchio ripiego per fuggire alle interrogazioni sempre più spesso. Non lo decideva mai prima, anzi, studiava. . . e pure tanto. Solo che poi la mattina si sentiva così impreparata che, non appena Cicca la guardava con sguardo allusivo, cedeva. E poi aveva scoperto di saper falsificare la firma della madre alla perfezione, indi per cui. . .
 -Ciao raga’- salutò Giak, appena sceso dall’autobus. Aveva la faccia più nera del solito; solo in seguito avrebbero scoperto che era dovuta al viaggio in autobus, di cui aveva usufruito anche Alex. Che ovviamente era tornata a prendere la stessa linea di Giak, ora che tutto era chiarito e che lui non le si sarebbe avvicinato per nulla a mondo.
 Gli amici salutarono e rimasero lì ad aspettare Cicca, che arrivò con un cornetto ripieno e Margherita. Poi, dopo aver abbandonato Cicca con alcuni amici di un’altra sezione, entrarono.
 Anche Margherita rasentava la furia: ci mise un po’ per raccontare a Lauretta il perché avesse litigato con Marco, per l’ennesima volta.
 -Che palle! Oggi state tutti neri!- esclamò Riccardo, tra l’ora di storia e quella di italiano.
 -Be’ direi, tra un po’ mi interroga e non so niente- rispose Lauretta.
 -Ma come? Perché non hai studiato?- chiese Margherita. Lauretta le puntò addosso lo sguardo, irritata:
 -Ho studiato! Solo che non mi ricordo niente. Non passo mica le giornate a cazzeggiare- sibilò. Che ne sapeva Margherita di tutto quello che le passava per la testa? Lauretta non credeva di essere mai stata troppo suscettibile, ma talvolta certe uscite di Margherita le smuovevano qualcosa dalle parti del fegato e riusciva a rimetterlo a posto solo saltando su come punta da una vipera.
 -Ehi, tranquilla. . .- Margherita decise di lasciarla perdere e si concentrò su Giak, ma neanche lui era dell’umore adatto per fare conversazione. A quel punto si scambiò uno sguardo esasperato con Riccardo, l’unico che pareva immune allo stato di arrabbiatura collettiva, e tornò a farsi i fatti suoi in attesa della prof.
 Ma da qualche parte la catena doveva pur cominciare: la scintilla doveva accendersi, il combustibile spargersi, il fuoco divampare.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Gloom