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Autore: valah__    25/07/2012    2 recensioni
Cosa fareste se risvegliandovi dopo un anno di coma vi accorgeste che la vostra vita è completamente cambiata?
Questa è la situazione che si trova a vivere Juliet, la quale cercherà di ricostruire la sua vita e di salvare un amore tormentato con Logan...
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando la luce della lampada sopra al mio letto mi invase gli occhi faticai a richiuderli senza aver alcun fastidio; mi sentivo come se qualcuno mi avesse appena gettato in una vasca di acqua ghiacciata ed io stessi li immersa senza poter reagire, quasi ne fossi prigioniera.
Quella luce richiamava alla mia mente solo l’ultima scena che avevo vissuto prima del buio, ovvero la luce prodotta dal furgone che alla fine di Marzo aveva sfondato la portiera dell’auto che trasportava me e la mia amica nuovamente a casa. Il sapore metallico del sangue era l’unica cosa che potevo percepire ancora seduta sul sedile, mentre dentro di me speravo che qualcuno si accorgesse dell’auto finita fuori strada in mezzo alle colline californiane; sentivo come se fosse tutto finito e qualcosa stesse per iniziare, ma dopo aver udito il suono delle sirene delle ambulanze che venivano a soccorrerci ci fu soltanto il nulla.
Quello che però tastavano le mie dita non era più la pelle dei sedili dell’auto di Hanna e persino quella luce tanto aggressiva era surreale per me che avevo riaperto gli occhi da pochi istanti.
Spalancandoli mi accorsi che mi trovavo in una stanza bianca immersa in delle lenzuola azzurre a me estranee; la camera vuota rifletteva il mio stato d’animo di quel momento, non riuscivo a provare niente, forse perché ero completamente smarrita. Forse ero morta e in realtà il mio corpo era inerme posato sul sedile di quell’auto, ma qualcosa sembrava volermi riportare a tutti i costi alla realtà: rumori e profumi invasero i miei sensi e quel forte ‘bip-bip’ echeggiava sul vociferare del corridoio, facendomi intuire che ero viva.
Sedici Febbraio. Questo era quello segnato dall’orologio posato sul comodino vicino al letto e non mi ci volle molto per capire che durante il mio sonno il mondo era andato avanti senza di me. Era quasi passato un anno, ma era difficile rendersene davvero conto.
Lungo la parete attaccata al mio letto correva una piccola corda, probabilmente l’allarme che avrebbe fatto arrivare in mio soccorso un medico, o qualcos’altro. Mentre allungavo la mano per raggiungere la corda mi guardai le dita delle mani: le mie unghie erano cresciute e avevano un aspetto sano e forte. Abbassai lo sguardo notando che il camice bianco che avevo indosso era coperto fino alla vita da ciocche di capelli castani, mossi e ben arruffati: i miei.
Suonando il campanello mi resi conto della moltitudine di flebo che avevo collegate al mio braccio destro, una che partiva dal dorso della mano e un’altra che partiva dalle vene del gomito, ma magari fossero state le uniche cose che avevo addosso. Tubi che mi terminavano nel naso e ventriloqui che mi attraversavano il petto.
Il rumore sordo provocato dalla corda fece arrivare in fretta una donna con addosso il camice da infermiera che quando mi vide sembrò attraversata da uno spasmo, tant’è che senza nemmeno rivolgermi la parola tornò di corsa indietro, probabilmente per avvisare un suo superiore.
Quando tornò indietro, circa sedici secondi dopo, era in compagnia di altre sette persone incamiciate che sbalordite mi osservavano stare seduta sul mio materasso.
Un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati diede uno sguardo veloce alla cartella che teneva sotto gli occhi, poi mi osservò.
-Juliet, bentornata- disse, ma le sue parole non sembravano minimamente scuotere qualcosa dentro di me.
Mi limitai a ricambiare lo sguardo e il medico lanciando un’occhiata ai giovani di fianco a lui fece cenno loro di scrivere qualcosa su ciò che avevano davanti.
Si avvicinò a me tranquillo, poi prendendo una sedia si accomodò davanti a me e sorrise.
-Bene, Juliet. Vedo che ti sei riuscita a sedere e questo è un buon segno…- si fermò appena per vedere se avevo qualcosa da dire, ma per qualche ragione mi venne solo un piccolo cenno con il capo.
-Allora, Juliet…- accese una specie di penna con in cima una luce –ti dobbiamo fare dei controlli per vedere come risponde il tuo corpo al coma dal quale ti sei svegliata, quindi non preoccuparti- lo fissai e sentii echeggiare la parola ‘coma’ nella mia testa per qualche istante prima di riuscire ad annuire nuovamente con la testa.
I minuti seguenti li passai in compagnia di quella squadra che si preoccupava di studiare i miei comportamenti, manco fossi stata un’animale al circo che sfoggiava le proprie doti stando in piedi su un trampolino. Arco riflesso, qualche passo ed esercizi con le dita delle mani. Sembrava che andasse tutto ok, ma per qualche ragione il dottore e la sua troupe non sembravano convinti.
-Juliet. Sai dirmi il tuo cognome?- mi chiese posandomi una mano sulla spassa e attendendo una risposta.
Solo in quel momento il mio corpo fu attraversato da un brivido che sembrò accendere il cervello fino a quel momento rimasto addormentato. E potevo ricordare un sacco di cose, inclusa la notte dell’incidente.
-Wickmann- risposi a bassa voce, terrorizzata che la risposta fosse errata. Lui mostrò un sorriso e in quel momento si alzò in piedi.
-Beh, la tua famiglia sta arrivando, ma dovrai stare ancora qualche settimana in ospedale per verificare come il tuo corpo risponde al risveglio- sorrise nuovamente, poi mettendo un piede fuori dalla stanza si arrestò per un istante –Ah! Voglio che tu scriva un diario in questi giorni, un diario che ovviamente non verrà letto da nessuno, ma che può aiutarti ad allenare la mente-
Lo osservai ed osservai le infermiere che nel frattempo stavano modificando tutti i dosaggi delle endovene attualmente allacciate al mio corpo.
-Posso avere un quaderno?- questa volta parlai più forte e il medico sembrò apprezzare, ma senza rispondermi uscì dalla stanza.
Rimasi sola con me stessa per qualche ora prima che dal corridoio arrivasse un vociferare frenetico di voci a me ben note.
La prima a catapultarsi in camera fu mia madre che incredula e singhiozzando tra le lacrime si fiondò sul mio letto abbracciandomi delicatamente, quasi preoccupata di rompermi o spezzarmi.
Mio padre era quasi irriconoscibile: i capelli scuri che solo un anno prima gli coprivano la cute ora erano di un grigio incredibilmente lontano dal nero, ma nemmeno vicino al bianco: un grigio distinto, insomma. Le occhiaie gli solcavano gli occhi, così come la stanchezza che ricopriva i volti di tutti, anche di mia sorella.
E così nell’intimità della nostra famiglia ricominciai a vivere.

I ricordi della mia vita stroncata a metà riaffioravano ogni giorno di più e il giorno in cui tornai a casa mia ero quasi riuscita a recuperare tutti i vocaboli che usavo precedentemente. Lo scrivere il diario mi era servito molto e in appena tre settimane ne avevo riempiti cinque.
Passavo le giornate a scrivere e a disegnare sui fogli giallastri di quelle Molaskine spesse come mattoni, ma per ogni riga che scrivevo me ne venivamo altre tre in mente.
Pensieri e ricordi di amici a me cari e del mio ragazzo.
Subito non ricordavo il nome di coloro i quali mi erano stati vicini prima dell’incidente, ma con l’aiuto di mia sorella, che si era procurata una foto di tutti i miei contatti face book, ero riuscita a collegare i nomi ai volti e di conseguenza anche i ricordi mancanti.
Hanna non era sopravvissuta all’incidente che l’aveva fatta morire sul colpo, proprio qualche mese prima che partisse per il viaggio dei suoi sogni in Europa.
Il conducente del furgone che ci aveva prese in pieno aveva fatto qualche giorno di coma, e dopo fu condannato a otto anni di carcere, ora gliene restavano solo sette.
Il mio ragazzo, invece, si chiamava Logan, e non parlo di lui al passato perché sia morto o cosa, ma perché dopo tre mesi che aveva passato venendomi a trovare aveva ritenuto più giusto costruirsi una vita migliore, una in cui la sua ragazza non fosse attaccata a ventriloqui e flebo.
Non avevo ancora acceso il mio cellulare, e quando lo schermo si accese e comparve la foto mia e di Logan comparvero immediatamente gli avvisi di quattrocentoventisette messaggi non letti e dieci messaggi in segreteria.
Trecento di quei messaggi erano di Logan.
  
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