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Autore: Alexiels    25/07/2012    2 recensioni
Sovrappensiero, sollevò la sottile tazza di porcellana bianca.
Al suo interno il Lung Ching continuava a rigirarsi lento, come se fosse smeraldo liquido, e la ragazza ne sentiva l’aroma fresco diffondersi per la sala assieme a leggere volute di vapore.
Improvvisamente, a dispetto delle voci che risuonavano tra le mura color avorio dell'Host Club, in lei si fece strada un’intuizione silenziosa che per un attimo ovattò ogni altro suono.
Anche se aveva sempre considerato molto simili le loro condizioni, le bastò un attimo per notare che invece lei aveva avuto la libertà di sottrarsi, con disinteresse e noncuranza, all’imprescindibile e prescritta scelta a cui Kyouya si era da sempre sentito vincolato.
Quella tra bianco o nero, successo o mediocrità, ereditare o meno la compagnia della propria famiglia.
Lui la poteva chiamare scommessa, viverla con l’aristocratica indifferenza con cui avrebbe partecipato a un gioco, eppure Kimie continuava a pensare che sarebbe dovuto essere asfissiante, trascorrere la propria vita nei precisi e invalicabili confini in cui lui l’aveva relegata.

Ammetto di aver pubblicato questa ff per obbligarmi a finirla: non volevo archiviare un'altra storia incompleta.
Nondimeno, mi piacerebbe sentire il vostro parere ;)
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kyoya Ohtori, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Hotta si portò una mano alla bocca, tossendo piano, ma il suono gli si strozzò in gola all’occhiata di rimprovero scoccatagli da Tachibana quando quel rumore, risuonato nel silenzio assoluto che permeava l’auto, arrivò alle sue orecchie.
Stiracchiando leggermente le dita, senza però staccare le mani dal volante, diede una sbirciata, la più discreta che gli riuscì, all’espressione tirata e stanca del suo superiore, seduto sul sedile anteriore affianco a lui e, attraverso il riflesso dello specchietto interno, al signorino Kyouya che, nonostante la rigida postura, aveva lo sguardo distratto, perso a fissare un punto immaginario.
La sua espressione imperscrutabile era per certi versi simile a quella del signor Ootori, la quale però era resa più grave dalle rughe leggere che gli solcavano il viso e dalla fermezza dei suoi lineamenti, meno affusolati rispetto a quelli del figlio.
Nessuno dei due aveva parlato da quando erano entrati in macchina, probabilmente si erano già detti tutto il necessario, e lui e Tachibana si guardavano bene dal farlo.
Ecco il perché di quell’atmosfera ingrigita da un così pesante silenzio, che lui percepiva come profondamente tesa, e che gli faceva più che mai desiderare che Aijima si fosse unito a loro, invece di – per motivi di spazio – scortare la signorina Oot.. no, la signora Shiro (dopo tanti anni di servizio, gli suonava strano chiamarla col suo cognome da sposata), suo marito e il cognato del signor Ootori, perché la sua presenza aveva su di lui, come su chiunque altro, un effetto sorprendentemente calmante.  
In ogni caso, arrivarono senza problemi, se non si considerava il leggero ritardo causato dal traffico di Tokyo.
Senza che ci fosse bisogno di dire nulla, Tachibana andò ad aprire lo sportello ai passeggeri, mentre lui restava seduto nel posto del guidatore.
Appena i due furono usciti, rimise in moto la macchina: prima di raggiungerli doveva lasciarla nel parcheggio riservato agli spettatori.

Tachibana dal canto suo lanciò un’occhiata truce all’orologio, innervosito dal fatto che avessero trovato un ingorgo stradale più esteso di quanto avesse calcolato, ma si ricompose in fretta.
Osservò velocemente il cielo, quella notte sembrava un velo leggero, di un blu intenso attraversato da sottili pennellate color ottanio, rischiarato dai flebili bagliori delle stelle che, almeno per quella sera, non avevano permesso ai gas ed alle altre luci di offuscarle.
Abbassò in fretta il suo sguardo e, seguendo come un ombra i signori Ootori, varcò il portone dell’Outo, il teatro fatto costruire anni fa da Yuzuru Suou.
Il motivo della presenza dello staff Ootori a quella première, come in qualsiasi altro evento ed occasione, era quello di impedire un qualunque attacco alla sicurezza dei presenti, senza ovviamente dare nell’occhio.
Quindi seguì a poca distanza il signorino Kyouya e suo padre attraverso l’ampio attico, fino all’ elegante foyer, dove si era già riunita la maggioranza degli spettatori.
La prima impressione che ebbe Tachibana fu quella di essere finito nella tavolozza di un pittore, per via dei variegati colori degli abiti delle dame, che visti in lontananza spiccavano con decisione contro lo sfondo del marmo di Carrara che rivestiva le pareti e i completi scuri dei loro compagni.
Ovviamente, anche il signor Ootori e suo figlio si sarebbero intrattenuti nella sala fino all’inizio dello spettacolo (una tragedia di Shakespeare, se non ricordava male) e lui li seguì con circospezione, osservandoli scambiare affabili commenti di circostanza con la moltitudine di persone che gli si era avvicinata per salutarli, ma non potendo fare a meno di notare ammirato i abiti, la qualità dei tessuti e l’eleganza dei tagli.
Avrebbe potuto persino elencare gli stilisti che li avevano disegnati, e tutto questo a causa di sua figlia che, da qualche mese a questa parte, non faceva altro che parlargli di moda e lasciare giornaletti sulle vite dei suoi idols preferiti in giro per la casa.
Aggrottò le sopracciglia, richiamando bruscamente la sua attenzione sulla sala, e vide il signorino Kyouya raggiungere assieme a suo padre un gruppo di persone sulle quali era puntato l’attento sguardo color ossidiana di Aijima.
Affrettandosi a raggiungerli e scansando giusto in tempo un cameriere con in mano un elegante vassoio d’argento sul quale erano appoggiati un paio di calici dall’aspetto estremamente costoso, riconobbe la chioma scura e la voce gentile della signora Shido, la quale, semplice ed elegante nel suo vestito color miele, si trovava vicino a suo marito e stava parlando con un signore dagli occhi di un verde singolarmente intenso, enfatizzato dai capelli corvini e la pelle pallida, quasi malaticcia, che si ricordò essere il signor Amamiya.
Fissandolo, provò una netta sensazione di disagio, c’era un nonsoché nella sua figura filiforme, nella gestualità enfatica delle mani, nel silenzio dei suoi sguardi..
Mosse impercettibilmente la testa, quasi a voler scacciare quell’immagine, e vide affianco a loro il signor Enjyo, il quale catturò la sua attenzione a causa del colore della sua pelle, di diverse tonalità più scura di come se la ricordava, sulla quale risaltava con decisione un sorriso aperto e i denti chiari.
Quando cercò sentire ciò che stava dicendo a una signorina dalle spalle esili e la vita sottile vestita di un sobrio color malva, di cui non riusciva a vedere il viso perché, trovandosi difronte al signor Enjyo, stava dando loro seppur involontariamente le spalle, si accorse di non conoscere la lingua con cui stavano parlando.
Che lei sia una straniera?
Pensò tra sé e sé, dopo aver osservato la sua chioma fulva, raccolta in un elegante chignon.
La lingua usata in ogni caso non era l’inglese e, anche se per la musicalità delle parole e le radici di alcuni termini assomigliava al francese, i suoni non erano abbastanza nasali.
In ogni caso, i due tacquero appena risuonò la voce del signor Amamiya e Tachibana si voltò piano, quasi a sincrono con loro, cercando di mettere a fuoco ciò che stava dicendo, sorpreso dalla sua distrazione (causata probabilmente da tutto quel lavoro arretrato che aveva dovuto sbrigare la notte scorsa), che non gli era affatto solita.
Li ascoltò distrattamente salutarsi, lo sguardo che analizzava ognuno dei presenti alla ricerca di qualcosa di sospetto.
In fondo Aijima sarebbe rimasto con loro, lui avrebbe fatto meglio a raggiungere Hotta che, appena arrivato, si era appostato vicino all’ingresso del palco degli Ootori.


Allora.. per prima cosa, chiedo scusa per il ritardo con cui ho postato questo capitolo (il mio hard disk ha realizzato di odiarmi e si è suicidato, facendomi tra l’altro perdere tutti i miei documenti D:) e poi, colgo l’occasione per ringraziare di nuovo le persone che stanno seguendo questa storia, chi è stato così gentile da commentare, ma anche chi si limita a leggere, o l’ha messa tra quelle da ricordare o seguite.. Grazie mille, davvero ^^
Spero che non cambiate idea dopo aver letto questo capitolo che, me ne rendo conto da sola, è l’inutilità fatta parole.. Non so nemmeno perché avevo iniziato a scriverlo T_T  Solo che i membri dello staff Ootori hanno da sempre riscosso la mia simpatia e per una volta mi sarebbe piaciuto cambiare punto di vista.. >.<
In compenso, ho praticamente finito di scrivere il successivo, che credo posterò a momenti..

Ah v.v un ultima cosa: non so se qualcuno l’ha notato, ma ho scelto di ambientare questi capitoli nel teatro di cui parla Kyouya (nel capitolo in cui, dopo aver giocato a nascondino, Haruhi scopre che Tamaki è il figlio del direttore dell’Ouran xD) onestamente non ne ricordavo il nome – e forse nell’anime è stato anche omesso, anche se ricordo d’aver visto la scena – ma dopo qualche ricerca sono riuscita a recuperarlo e..
..Aspettate D: ho dimenticato il reale motivo per cui avevo aggiunto questa precisazione o.O diciamo che se mi ritornerà in mente (cosa di cui, conoscendomi, dubito fortemente xD) completerò il discorso..
Odio quando mi dimentico di cosa volevo parlare, anche se temo che sia quello che succede ad aprir bocca senza prima aver pensato seriamente a cosa dire T__T


  
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