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Autore: Carlos Olivera    25/07/2012    5 recensioni
"Mi chiamo Eric Flyer.
Sono nato il dodici gennaio 1945 a Tokyo, in Giappone.
Io odio i vampiri.
Perché li odio? Perché sono dei mostri. Si ritengono un gradino al di sopra della catena evolutiva, ma per come la vedo io sono solo un vicolo ceco dell’evoluzione che prima sparirà, e meglio sarà per tutti.
Ma non è solo per questo.
Io odio i vampiri perché… anch’io sono come loro. Sono anch’io una creatura della notte."
Il cacciatore di vampiri Eric Flyer, vamprio egli stesso, arriva in Europa per indagare su alcuni efferati omicidi che convolgerebbero altri suoi simili.
Ma la verità è molto più complessa e spaventosa, e legata ad un'antica leggenda dimenticata: quella del leggendario vampiro Valopingius.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaien Cross, Kaname Kuran, Nuovo Personaggio, Seiren
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I

 

 

Qualche anno prima

Groenlandia

 

Il frastuono prodotto dall’elicottero squarciò il silenzio della crepuscolo che dominava incontrastato sulle distese sconfinate della Groenlandia, non lontano dal Circolo Polare.

Destinazione finale era una radura isolata alle pendici di un ghiacciaio, dove lo attendeva una jeep a bordo della quale attendeva un giovane uomo di bell’aspetto, occhi azzurri e capelli biondi abbastanza lunghi.

Una volta che l’elicottero fu atterrato ne scesero due persone, un uomo anziano prestante e dall’aspetto reverendissimo, ben vestito e con un lungo cappotto a fargli da mantella, e un giovane bellissimo dallo sguardo vitreo, magro e slanciato, capelli castani e occhi rosso spento.

Non sembravano sentire minimamente il freddo, nonostante ci fossero quasi venti gradi sotto zero e indossassero abiti piuttosto leggeri, di certo non adatti a un luogo simile.

Il giovane biondo scese dalla jeep, avvicinandosi ai nuovi venuti.

«Benvenuto, eccellenza.» disse porgendo la mano all’anziano, che tuttavia non la strinse.

«Lo avete trovato?».

Quello allora sorrise quasi beffardo, e fatto un cenno ai due li invitò a salire sul suo mezzo, quindi salì a sua volta e la macchina partì.

«Trovare il punto esatto è stato un problema.» disse il biondo mentre viaggiavano «Come può immaginare, in questo posto non ci sono elementi o punti di riferimento che potessero aiutarci nella ricerca.

Siamo dovuti andare a caso, sfruttando le poche informazioni che possedevamo, ma proprio il mese scorso finalmente abbiamo trovato quello che stavamo cercando».

Il vecchio strinse un po’ più forte le mani attorno all’impugnatura dorata del suo bastone e guardò in basso, mentre una goccia di sudore gli rigava la fronte rugosa.

Dopo circa un’ora di viaggio la jeep raggiunse quello che sembrava un piccolo accampamento di fortuna, costruito tutto attorno ad una specie di sito di scavo, costituito da un enorme foro nel ghiaccio che scendeva inesorabilmente verso il basso perdendosi nell’oscurità.

Tutt’attorno erano stati costruiti argani e paranchi, mentre il braccio di una gru si protendeva fino al centro del cratere.

Quando i tre uomini scesero dalla jeep c’era grande fermento tutto attorno al buco e tra gli operai, quasi tutti gente del posto; proprio in quel momento, infatti, la gru sembrava intenta a tirare fuori qualcosa.

Doveva essere qualcosa di molto grosso, perché il braccio tremava e scricchiolava, e l’operazione doveva essere svolta molto lentamente.

Poi, lentamente, cominciò a venire alla luce qualcosa, e dalle ombre dei ghiacci eterni riemerse qualcosa di incredibile.

I cavi d’acciaio della gru erano aggrovigliati attorno a quello che sembrava un gigantesco blocco di diamante grezzo, molto opaco ma ancora dotato di una strana lucentezza, come un bagliore ultraterreno.

L’enorme blocco fu dapprima sollevato in aria, e poi abbassato dolcemente fin su di un ripiano appositamente realizzato, e prima ancora che il giovane biondo potesse fare un cenno l’anziano vi era già davanti, intento a rimirarlo passandovi sopra una delle sue mani ossute.

A guardar bene, sembrava quasi che vi fosse qualcosa al suo interno, come una specie di ombra, e fu quella all’apparenza ad attirare maggiormente la sua attenzione.

«Quanti anni sono passati. Quanti secoli di ricerche e di speranze.» disse con la voce rotta dall’emozione.

Il giovane castano si avvicinò, ed il vecchio volse lo sguardo nella sua direzione.

«Qui c’è il nostro destino, giovane Kuran. Il futuro e la speranza della nostra specie».

 

La macchina nera si fermò davanti ad una squallida abitazione nella periferia di San Pietroburgo, l’alloggio che la sede locale aveva concesso ad Eric Flyer e alla sua succube durante la loro permanenza in città.

Erano arrivati in Russia solo da due settimane, ma già si erano fatti conoscere.

Ne scesero un uomo e una donna vestiti elegantemente, lui castano e sulla quarantina lei mora un po’ più giovane. La donna recava con sé una ventiquattrore nera e rimaneva sempre un passo dietro al suo compagno, verso il quale sembrava provare un misto di sottomissione e di rispetto.

L’uomo guardò la stamberga, quindi, salitane la piccola scalinata d’ingresso assieme alla propria compagna, suonò il campanello; dopo una decina di secondi Nagisa venne loro ad aprire, e lo stesso uomo esibì il distintivo dell’associazione.

«Buonasera.»

«Buonasera.» disse la ragazza

«Chiedo perdono per l’ora piuttosto tarda. Eric è in casa?»

«Prego, entrate».

Fatti accomodare i due ospiti la ragazzina li condusse nel salotto dove il suo padrone era intento a leggere un libro comodamente seduto in poltrona.

Eric si volse a guardare i nuovi arrivati appena questi entrarono in salotto, riservando loro uno dei suoi sguardi glaciali, poi si rivolse a Nagisa.

«Chiedo scusa per essere giunto qui senza preavviso e ad un’ora così poco cortese.» disse l’uomo mentre Eric riponeva il libro sul tavolino accanto alla poltrona con aria annoiata «È un onore fare la sua conoscenza, signor Flyer. Mi chiamo Alfred Hachcomb, e lavoro per l’Interpol. Inoltre, curo i rapporti fra la vostra organizzazione e le autorità britanniche.»

«Ho sentito parlare di Lei, signor Hachcomb. La sua fama di diplomatico e negoziatore la precede.»

«Lo stesso vale per Lei, signor Flyer. Per quanto frequenti poco gli ambienti dell’associazione, il suo nome è molto noto.

Lei invece è Helen, la mia fedele partner».

La donna fece un cenno di saluto, al quale però Eric non rispose, e dopo poco il signor Hachcomb fu invitato a sedersi.

«Allora, signor Hachcomb.» disse Eric «Adesso che abbiamo fatto le presentazioni, vuole dirmi che cosa vuole da me l’Interpol

«Va’ diritto al sodo. Una qualità comune fra i cacciatori di vampiri.»

«Ebbene?».

Il signor Hachcomb, al secondo richiamo, fece sparire quel suo sorriso di circostanza, facendosi di colpo tremendamente serio.

«Il fatto è che è sopraggiunto un problema improvviso e del tutto inaspettato. Vista la possibile gravità della cosa e la necessità di agire il più rapidamente possibile potevamo ricorrere ai canali convenzionali, così siamo venuti direttamente da lei».

Doveva trattarsi veramente di qualcosa di serio, pensò Eric, se per porvi rimedio si era disposti a dare un calcio al protocollo.

Negli anni recenti, e con il procedere della civiltà, l’associazione si era sempre mossa nel mezzo, cercando di agire il più possibile nell’ombra tentando però di ottenere quanto più aiuto possibile dalle proprie conoscenze e dai propri infiltrati nei maggiori potentati del mondo, oltre che naturalmente dagli stessi uomini di potere che, venuti in un modo o nell’altro a conoscenza dell’organizzazione, accettavano di appoggiarne e coprirne l’operato nel nome dell’interesse e della sicurezza nazionale.

«Allora, cosa è successo di così grave?» chiese Eric.

Il signor Hachcomb fece un cenno alla sua attendente la quale, aperta la sua valigetta, mise sul tavolino fra le due poltrone alcune foto di cadaveri orrendamente dilaniati e squartati rinvenuti in qualche bosco, abbandonati alle intemperie e agli animali.

«La situazione è questa. Da qualche tempo, sulle montagne bulgare, stanno avvenendo fatti strani ed inquietanti. Solo negli ultimi due mesi, quattro persone originarie dei villaggi nella zona nord-occidentale del Paese sono state uccise e mutilate da un assassino che non si è ancora riusciti a identificare. L’esame autoptico condotto da personale fedele all’agenzia ha riscontrato segni riconducibili ad attacchi di vampiro.»

«L’associazione non ne sapeva nulla.»

«Per ora non è stata ancora diramato l’annuncio ufficiale».

Eric prese le foto e le guardò attentamente; chiunque le avrebbe trovate raccapriccianti ed inguardabili, ma lui le scrutava come se niente fosse.

«È un vampiro di basso livello. Probabilmente un Livello E. E forse, non si tratta di un unico individuo.»

«Nei villaggi della zona sono tutti molto preoccupati e spaventati. Lei capisce, è gente superstiziosa. Credono che il diavolo sia arrivato in mezzo a loro. Se le cose andassero avanti di questo passo, potrebbe scoppiare il caos.

L’associazione e la stessa Interpol richiedono che il problema sia risolto rapidamente e in silenzio, per non creare scandali o eccessiva pubblicità».

Il Signor Hachcomb a quel punto prese una lettera dall’interno della sua giacca e la mise sul tavolino.

«Qui ci sono le direttive di missione e l’autorizzazione ad agire firmata dal capo dell’associazione.

Un jet privato la sta aspettando.

Siamo qui per accompagnarla in aeroporto».

Eric rimase in momento soprapensiero, poi si alzò dalla seria, raggiunse una mensola ed aprì la cassetta di legno scuro finemente decorata con intarsi d’oro che vi era appoggiata sopra, prendendone fuori i suoi due machete, che ripose nei rispettivi foderi ed assicurò alla cintura.

«Andiamo allora.» disse infilando il cappotto.

 

Il villaggio che era stato teatro dell’ultimo omicidio si trovava da qualche parte tra le montagne al confine tra l’Bulgaria e la Serbia, un agglomerato di case piccole e semplici raccolte tutto attorno alla piccola chiesa sulla collina più alta.

Davvero un posto dimenticato da Dio, dove tutti andavano a messa la domenica e giravano con il rosario in tasca, pronti a farsi il segno della croce al primo fenomeno sopra alle righe e a guardare di sottecchi ogni faccia straniera.

Eric e Nagisa arrivarono sul posto in un uggioso e freddo pomeriggio autunnale, con la nebbia e le nuvole basse a lambire le cime e un’umidità che faceva scricchiolare le ossa, guidando una vecchia berlinetta scassata messa a loro disposizione all’arrivo in aeroporto.

«Non è certo un paese che esprime simpatia.» disse Eric notando gli sguardi obliqui dei pochi paesani che sostavano nella piazza.

Stando alle informazioni ricevute durante il volo, un altro cacciatore, un professionista, era in viaggio per la Bulgaria, ma non sarebbe arrivato prima della tarda notte o il mattino successivo al più tardi.

Mentre Eric e Nagisa finivano di scaricare i loro pochi bagagli, venne loro incontro il sindaco del paese, un tipo grassottello e baffuto ma estremamente cupo.

«Benvenuti.» disse stringendo la mano ad Eric «Voi siete gli inviati del Washington Post, vero?».

I due ragazzi si fissarono complici; quella era la storia di copertura ideata per giustificare la loro presenza laggiù.

«Esatto.» rispose Eric

«Prego. La vostra stanza è già pronta».

Il villaggio disponeva di una pensioncina per i forestieri con meno di una decina di camere.

Eric e Nagisa ne chiesero una a testa, il che non fu un problema visto che non c’era nessun altro a parte loro, e subito andarono a chiudersi dentro quella del ragazzo.

«Posso fare qualcosa per voi?» chiese ancora il sindaco

«Se non è un problema, vorrei vedere il corpo dell’ultima vittima. Non è stato ancora sepolto, vero?».

Il sindaco esitò, guardando in basso e mordendosi una mano, ma alla fine non fece resistenza ed acconsentì alla richiesta di quelli che credeva essere solo giornalisti in cerca di una buona storia.

Lungo il breve viaggio a piedi dalla pensioncina all’obitorio annesso allo studio del medico, un tale dottor Pevlov, Eric poté notare ancor meglio l’atteggiamento diffidente e sospettoso dei pochi abitanti di quel paese, quasi tutti vecchi; vedendoli, molti si scostavano, guardavano altrove o addirittura si segnavano.

«Dovete perdonarli.» disse il sindaco «È gente semplice e timorosa. La maggior parte di loro non ha mai visto nulla al di fuori di queste montagne. E ora sono molto spaventati.»

«È comprensibile.»

«Credono che un demonio si sia annidato nella foresta che li circonda, e ne temono la collera. Fino ad ora sono riuscito a tenerli buoni, ma ormai la situazione è in procinto di esplodere».

Il dottor Pevlov era un simpatico e arzillo medico di città, che passati i settant’anni aveva voluto trasferirsi in quell’eremo sperduto dimenticato da Dio alla ricerca di un luogo dove condurre serenamente e pacificamente la propria vecchiaia continuando a fare del bene.

L’obitorio accanto al suo studio era provvisto anche di una cella frigorifera, l’unica nel raggio di cento miglia, che aveva fatto realizzare di tasca propria, e all’interno della quale era stato riposto l’ultimo corpo finora ritrovato.

Con l’aiuto del sindaco, questo fu tirato fuori, appoggiato sul tavolo anatomico e infine scoperto.

La sua vista avrebbe scioccato chiunque, e infatti il sindaco dovette girare subito gli occhi, trattenendosi a stento dal vomitare.

Anche se il dottore aveva ricucito alla meno peggio le ferite, i segni dello smembramento erano più che evidenti; il braccio destro era quasi staccato, la mano sinistra non aveva più le dita, e diverse altre parti presentavano segni come di masticamento.

«L’abbiamo trovato in un fosso, un chilometri circa dal villaggio, nelle foreste a nord.»

«Chi è la vittima?»

«Un cacciatore del posto. Una sera di cinque giorni fa è uscito come al solito per andare a caccia, e alla mattina è stato ritrovato così da un collega di passaggio.»

«Scusate.» intervenne il sindaco «Credo che vi aspetterò fuori».

Il dottore aveva uno sguardo strano, e parve quasi tirare un sospiro di sollievo quando vide il primo cittadino lasciare la stanza tenendosi lo stomaco.

«Dunque.» disse Eric «Questa è la quarta vittima.»

«No, signore.» rispose cupo l’anziano «Questa è la decima».

Eric e Nagisa alzarono gli occhi perplessi.

«È così. Ufficialmente sono solo quattro, ma in realtà altre sei persone sono state attaccate ed uccise negli ultimi due mesi. Erano cacciatori e allevatori che vivevano in baite sperdute in mezzo al nulla, così nessuno si è accorto della loro scomparsa.»

«Vi siete fatti qualche idea su chi possa essere il responsabile.»

«L’ampiezza dei morsi e lo stato delle vittime mi fa pensare ad un animale di grandi dimensioni. Un orso forse. Anche se in certi casi verrebbe da pensare più ad un leone.»

«Il che è impossibile.

Dove sono state compiute le aggressioni?»

«In un’area di circa sessanta – settanta chilometri quadrati, nelle montagne e nelle foreste tutto attorno. In un caso si è spinto fino nel centro abitato, e ha assalito una donna che passeggiava per le strade dopo il tramonto».

Eric poi, incredibilmente, chiese i poter fare un giro nei boschi dove erano avvenute le aggressioni, cosa che il dottore ed il sindaco non mancarono di trovare come terribilmente pericolosa.

«Avete detto che aggredisce solo di notte.» rispose allora il giovane «Quindi non dovrebbe esserci pericolo».

Così, senza aggiungere altro, il ragazzo e la sua fedele assistente gambe in spalla si inerpicarono su per il crinale che dominava il villaggio dalla parte ovest, in prossimità del luogo dove era stata rinvenuta l’ultima vittima.

Il silenzio lì dentro era raggelante, e la nebbia che continuava ad aleggiare tra gli alberi secolari gettava su tutta la foresta un’atmosfera decisamente spettrale.

Eric e Nagisa camminarono per una mezz’ora, senza mai bisogno di doversi fermare per prendere fiato nonostante l’estrema pendenza del terreno, fino a che non raggiunsero un po’ meno densa di alberi.

Qui, entrambi si guardarono attorno, cercando di cogliere ogni più piccolo segnale trasportato dal vento; nel frattempo quella fastidiosa pioggerellina era cessata, anche se il tempo continuava ad essere decisamente uggioso.

A saperli trovare, i segni del passaggio di un vampiro c’erano tutti in quel luogo. Strani graffi sugli alberi, orme ed impronte nel terreno fangoso, rami spezzati e, soprattutto, un forte odore di sangue.

Nuovamente, Eric e Nagisa si guardarono tra di loro; a quanto pare l’intelligence non si era sbagliata. In quel posto stava davvero succedendo qualcosa.

 

Appena tornati in albergo, Eric si mise immediatamente in contatto con i suoi superiori; poiché in Bulgaria non esisteva una sede dell’associazione il ragazzo dovette fare riferimento a quella più vicina, ovvero la sede di Budapest, in Ungheria.

«È confermato. In questa regione si è insediato un vampiro. Probabilmente, anche più di uno.

Sono cani sciolti. Sicuramente dei Livello E impazziti. Hanno preso possesso della zona, e ne hanno fatto il loro territorio di caccia.

Attaccano e mangiano di tutto. Ho parlato con alcuni cacciatori, e mi hanno detto di aver trovato diverse carcasse di animali sventrati nelle foreste circostanti. Inoltre, sono state profanate anche alcune delle tombe più recenti del cimitero locale.»

«Hai già identificato i vampiri in questione?» chiese dall’altro capo della linea il capo della sezione

«Ancora no. Si fanno vivi solo la notte. A giudicare dall’odore, alcuni di loro se non tutti non devono essere molto lontani da qui, quindi è probabile che stanotte tenteranno di attaccare il villaggio. Mi farò trovare pronto.»

«Il tuo uomo di rinforzo dovrebbe arrivare entro domattina. Fino ad allora, cerca di tenere la situazione dotto controllo.

Chiudo».

Erik si tolse l’auricolare e si buttò sullo scomodo letto, perennemente seguito con lo sguardo da Nagisa.

«Conviene riposarsi un po’. Sarà una lunga notte».

 

Al calare delle tenebre, il villaggio piombò nel buio e nel silenzio più assoluti.

Tutti le luci erano spente, le finestre sprangate. Qualcuno aveva messo sbarre e inferriate per sentirsi più sicuro, qualcun altro aveva messo dei grossi pezzi di carne sanguinante davanti alla casa, nella speranza che il predatore misterioso si accontentasse e passasse oltre, qualcun altro ancora, i più superstiziosi, aveva inciso croci sulle porte e lasciato rosari a pendere all’esterno.

Ogni mezzo era lecito per proteggersi da quella specie di piaga che da mesi terrorizzava le montagne.

Nessuno osava mettere il naso all’esterno, ed il villaggio stesso era persino più silenzioso delle foreste che lo circondavano.

Appostato nel buio, sotto ad un telo che ne nascondeva la vista e l’odore nel bel mezzo del cimitero, Eric restava in attesa delle sue prede.

La trappola era già piazzata.

Il corpo dell’ultima vittima era stato sepolto in tutta fretta, la terra ancora smossa e l’odore perfettamente percettibile; una preda troppo ghiotta per poterla ignorare.

Quel trucco glielo aveva insegnato un altro cacciatore, che per un breve tempo era stato suo maestro; per acchiappare un Livello E ormai diventato nulla più che una bestia, era sicuramente il metodo migliore.

Dall’alto del campanile, invece, Nagisa scrutava l’oscurità con il mirino ad infrarossi del suo fidato fucile anticarro, pronta ad incenerire ogni creatura della notte che si fosse avvicinata troppo al centro abitato.

L’attesa non si rivelò molto lunga.

Poco dopo mezzanotte, infatti, ombre minacciosa cominciarono ad aggirarsi attorno al basso cancelletto che delimitava il camposanto, ed entro qualche minuto cinque vampiri comparvero dall’oscurità accalcandosi attorno alla tomba affamati di sangue.

Si trattava senza dubbio di Livello E, poco più che animali; sicuramente vampiri ex umani.

Subito presero a scavare, ma ben presto la loro attenzione fu attratta dalla comparsa improvvisa di un odore minaccioso. Giratisi, videro Eric comparire dinnanzi a loro con i suoi machete già tra le mani.

«Mi dispiace, la cucina è chiusa.» disse sommessamente, ed alzati gli occhi piombò su di loro come un dio della morte.

Quelli tentarono una confusa reazione, ma non erano certo avversari all’altezza di un vampiro sangue puro come Eric, che ne fece scempio in meno di dieci secondi; solo uno tentò un assalto alle spalle, ma fu prontamente intercettato ed incenerito da Nagisa con un colpo ben piazzato che gli disintegrò la testa.

«Missione compiuta.» disse Eric «Bersagli eliminati».

Magari fosse stato così.

Neanche il tempo di rinfoderare i machete, che Eric avvertì una nuova corrente di minaccia, mentre un numero imprecisato di altre presente cominciavano a comparire intorno a lui.

Occhi rossi si accesero nell’oscurità della notte, e dalle tenebre uscirono non uno, ma decine di altri vampiri, tanti quanti Eric non ricordava di averne mai visti tutti insieme in tutta la sua vita.

«Oh, merda.» disse vedendosi circondato.

Non ce la cosa lo preoccupasse o lo impensierisse più di tanto, ma certo affrontare tutti quegli avversari in una volta sola non era certo un’impresa da poco.

I nuovi venuti sembravano più normali di quelli che Eric aveva appena ucciso, più razionali, ma ciò nonostante restavano comunque dei Livello E, o dei Livello D volendo esagerare.

Anche Nagisa restò colpita nel vederli, ed una strana sensazione si impadronì di lei nella forma di un improvviso formicolio in tutto il corpo, accompagnato da una sensazione di pesantezza al centro del petto.

«L’avevo detto che sarebbe stata una lunga notte.» disse Eric facendo roteare i due machete «Fatevi sotto».

Per nulla intimoriti, i quindici e più nuovi avversari si scagliarono all’attacco, piombando addosso al giovane cacciatore da tutte le direzioni.

Eric li affrontò tutti a spada tratta e senza esitazioni, mulinando le sue lame a destra e a sinistra con mortale precisione. Come era facile intuire, non si trattava di comuni armi da taglio; la polvere d’argento di cui erano in parte composte le rendeva estremamente pericolose per qualsiasi vampiro, cosicché anche solo un piccolo taglio risultasse doloroso quanto un arto strappato di netto.

Dal campanile Nagisa dava una mano, anche se in quella confusione persino la sua mira micidiale veniva messa a dura prova; Eric faceva molto affidamento sulla copertura che la sua inseparabile compagna gli garantiva dall’alto, quindi le cose per lui si complicarono non poco quando il fucile della ragazza si inceppò improvvisamente, lasciandolo sguarnito.

«Maledizione!» mugugnò vedendo come i nemici si facessero sempre più audaci.

Quella faccenda rischiava di farsi più difficile del previsto, se non che all’improvviso un fulmine a ciel sereno si abbatté sul cimitero nella forma di un giovane uomo dall’aspetto austero ma gentile, capelli biondi piuttosto lunghi raccolti in un lungo codino e occhi chiari, che piombò dal nulla armato di spada prendendo subito a fare strage di vampiri con una scioltezza e una facilità straordinarie.

Eric non stette troppo a lungo a fare il sorpreso, e rifattosi coraggio tornò a menare fendenti, fino a che non rimase neanche un mostro in vita.

Solo allora, il giovane vampiro volle guardare meglio chi lo aveva appena aiutato.

La sua espressione era risoluta e pregevole allo stesso tempo, indossava un cappotto color terra, e la spada che impugnava era chiaramente un’arma ammazza-vampiri.

«Mi era parso che avessi bisogno di una mano.» disse quello mettendo una mano in tasca e cavandone fuori un paio di occhiali da vista che infilò con un gesto rapido e pacato

«Sei tu l’uomo di rinforzo che dovevano inviare quaggiù?» chiese Eric mentre rinfoderava le lame

«Sono Kaien Cross. Direttore dell’Accademia Cross».

Eric sgranò gli occhi nel sentire quel nome.

Non aveva mai visto quell’uomo, ma la sua fama all’interno dell’associazione era quasi leggendaria; correva voce che avesse abbandonato da tempo l’attività di cacciatore per dedicarsi interamente alla gestione di quella scuola che aveva voluto con tutto sé stesso, e il fatto che si trovasse lì era la dimostrazione che anche ai piani alti avevano avuto il sospetto che quella fosse qualcosa di più dell’ennesima magagna prodotta da uno o più Livello E usciti di testa.

«Sembra che le cose qui siano piuttosto serie.» disse Kaien sistemandosi gli occhiali «Questi non erano fin troppo forti per essere comuni Livello E.»

«Infatti».

Eric si avvicinò ad uno dei corpi, uno non ancora inceneritosi, osservandone le caratteristiche.

Il tratto comune che distingueva i vampiri ex-umani era che il segno del morso non riusciva a cicatrizzare, rimarginandosi; l’unico modo per chiudere la ferita era apporvi un sigillo magico, altrimenti la cicatrice sarebbe sempre rimasta in bella vista.

Nel caso di quel vampiro il segno del morso era ben visibile, e oltretutto chiaramente recente; eppure, chissà come, la ferita si era parzialmente richiusa in modo apparentemente naturale.

Sia Eric che Kaien strinsero i denti nel vedere quella cosa, dimostrando a chiare lettere che quella non era la prima volta che si imbattevano in qualcosa del genere, per quanto apparentemente impossibile.

In quella sopraggiunse anche Nagisa, la quale, vedendo ella stessa quel fenomeno così anormale, serrò le labbra come inebetita per poi toccarsi un momento il collo, mentre uno sguardo truce si accendeva nei suoi occhi.

«Maledizione.» mugugnò il ragazzo «Ci risiamo.»

«E dire che speravo fosse una storia chiusa.» disse Cross.

La vicenda risaliva a circa tre anni prima, quando Eric aveva iniziato da poco la sua vita nell’associazione.

Per molto tempo, le coste occidentali del Giappone e quelle più settentrionali della Cina erano state tormentate da un misterioso ed imprendibile vampiro che, pur essendo un comune Livello B, riusciva chissà come a vampirizzare comunque le sue vittime, creando oltretutto dei Livello E molto più forti rispetto alla media, ma anche estremamente più aggressivi.

Erano serviti alcuni mesi per riuscire a stanarlo, ma alla fine il vampiro in questione era stato preso ed ucciso, anche grazie alla collaborazione dello stesso Eric, che con quell’azione si era guadagnato il diritto di entrare a pieno titolo nell’agenzia diventando un apprendista; si era sempre pensato ad un evento eccezionale, una mutazione genetica anomala come avveniva talvolta anche tra gli stessi esseri umani, ma ora che il fenomeno si stava ripetendo a distanza di così poco tempo la cosa cominciava a farsi davvero preoccupante.

«Questi erano tutti dei Livello E.» disse Eric mentre anche l’ultimo corpo si mutava in cenere«E sono pronto a scommettere che erano tutti o quasi come questo qui.»

«Il che significa.» replicò Cross guardando verso il villaggio «Che chiunque li abbia creati quasi sicuramente si trova ancora da queste parti».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Eccoci dunque al primo di (credo) 11 capitoli che comporranno questa breve fanfic dedicata al personaggio inventato per la RR di Ly.

Allora, che ve ne pare?

Molto lugubre, direi. Per creare il villaggio mi sono ispirato, oltre che ai molti film horror-thriller, anche a tanti paesini di montagna persi nel niente di cui le mie dolomiti venete sono piene da scoppiare. Avendoci anche vissuto per un certo periodo ne conosco l’atmosfera, anche se ovviamente ho voluto calcare un po’ la mano.

Mi fa piacere che la storia sia piaciuta, e spero che continuerà ad esserlo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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