I
Qualche anno prima
Groenlandia
Il
frastuono prodotto dall’elicottero squarciò il silenzio della crepuscolo che
dominava incontrastato sulle distese sconfinate della Groenlandia, non lontano
dal Circolo Polare.
Destinazione finale era una radura isolata
alle pendici di un ghiacciaio, dove lo attendeva una jeep a bordo della quale
attendeva un giovane uomo di bell’aspetto, occhi azzurri e capelli biondi
abbastanza lunghi.
Una volta che l’elicottero fu atterrato ne
scesero due persone, un uomo anziano prestante e dall’aspetto reverendissimo,
ben vestito e con un lungo cappotto a fargli da mantella, e un giovane
bellissimo dallo sguardo vitreo, magro e slanciato, capelli castani e occhi
rosso spento.
Non sembravano sentire minimamente il freddo,
nonostante ci fossero quasi venti gradi sotto zero e indossassero abiti
piuttosto leggeri, di certo non adatti a un luogo simile.
Il giovane biondo scese dalla jeep,
avvicinandosi ai nuovi venuti.
«Benvenuto, eccellenza.» disse porgendo la
mano all’anziano, che tuttavia non la strinse.
«Lo avete trovato?».
Quello allora sorrise quasi beffardo, e fatto
un cenno ai due li invitò a salire sul suo mezzo, quindi salì a sua volta e la
macchina partì.
«Trovare il punto esatto è stato un problema.»
disse il biondo mentre viaggiavano «Come può immaginare, in questo posto non ci
sono elementi o punti di riferimento che potessero aiutarci nella ricerca.
Siamo dovuti andare a caso, sfruttando le
poche informazioni che possedevamo, ma proprio il mese scorso finalmente
abbiamo trovato quello che stavamo cercando».
Il vecchio strinse un po’ più forte le mani
attorno all’impugnatura dorata del suo bastone e guardò in basso, mentre una
goccia di sudore gli rigava la fronte rugosa.
Dopo circa un’ora di viaggio la jeep raggiunse
quello che sembrava un piccolo accampamento di fortuna, costruito tutto attorno
ad una specie di sito di scavo, costituito da un enorme foro nel ghiaccio che
scendeva inesorabilmente verso il basso perdendosi nell’oscurità.
Tutt’attorno erano stati costruiti argani e
paranchi, mentre il braccio di una gru si protendeva fino al centro del
cratere.
Quando i tre uomini scesero dalla jeep c’era
grande fermento tutto attorno al buco e tra gli operai, quasi tutti gente del
posto; proprio in quel momento, infatti, la gru sembrava intenta a tirare fuori
qualcosa.
Doveva essere qualcosa di molto grosso, perché
il braccio tremava e scricchiolava, e l’operazione doveva essere svolta molto
lentamente.
Poi, lentamente, cominciò a venire alla luce
qualcosa, e dalle ombre dei ghiacci eterni riemerse qualcosa di incredibile.
I cavi d’acciaio della gru erano aggrovigliati
attorno a quello che sembrava un gigantesco blocco di diamante grezzo, molto
opaco ma ancora dotato di una strana lucentezza, come un bagliore ultraterreno.
L’enorme blocco fu dapprima sollevato in aria,
e poi abbassato dolcemente fin su di un ripiano appositamente realizzato, e
prima ancora che il giovane biondo potesse fare un cenno l’anziano vi era già
davanti, intento a rimirarlo passandovi sopra una delle sue mani ossute.
A guardar bene, sembrava quasi che vi fosse
qualcosa al suo interno, come una specie di ombra, e fu quella all’apparenza ad
attirare maggiormente la sua attenzione.
«Quanti anni sono passati. Quanti secoli di
ricerche e di speranze.» disse con la voce rotta dall’emozione.
Il giovane castano si avvicinò, ed il vecchio
volse lo sguardo nella sua direzione.
«Qui c’è il nostro destino, giovane Kuran. Il futuro e la speranza della nostra specie».
La
macchina nera si fermò davanti ad una squallida abitazione nella periferia di
San Pietroburgo, l’alloggio che la sede locale aveva concesso ad Eric Flyer e
alla sua succube durante la loro permanenza in città.
Erano arrivati in Russia solo da due
settimane, ma già si erano fatti conoscere.
Ne scesero un uomo e una donna vestiti
elegantemente, lui castano e sulla quarantina lei mora un po’ più giovane. La
donna recava con sé una ventiquattrore nera e rimaneva sempre un passo dietro
al suo compagno, verso il quale sembrava provare un misto di sottomissione e di
rispetto.
L’uomo guardò la stamberga, quindi, salitane
la piccola scalinata d’ingresso assieme alla propria compagna, suonò il
campanello; dopo una decina di secondi Nagisa venne
loro ad aprire, e lo stesso uomo esibì il distintivo dell’associazione.
«Buonasera.»
«Buonasera.» disse la ragazza
«Chiedo perdono per l’ora piuttosto tarda. Eric
è in casa?»
«Prego, entrate».
Fatti accomodare i due ospiti la ragazzina li
condusse nel salotto dove il suo padrone era intento a leggere un libro
comodamente seduto in poltrona.
Eric si volse a guardare i nuovi arrivati
appena questi entrarono in salotto, riservando loro uno dei suoi sguardi
glaciali, poi si rivolse a Nagisa.
«Chiedo scusa per essere giunto qui senza
preavviso e ad un’ora così poco cortese.» disse l’uomo mentre Eric riponeva il
libro sul tavolino accanto alla poltrona con aria annoiata «È un onore fare la
sua conoscenza, signor Flyer. Mi chiamo Alfred Hachcomb,
e lavoro per l’Interpol. Inoltre, curo i rapporti fra
la vostra organizzazione e le autorità britanniche.»
«Ho sentito parlare di Lei, signor Hachcomb. La sua fama di diplomatico e negoziatore la
precede.»
«Lo stesso vale per Lei, signor Flyer. Per
quanto frequenti poco gli ambienti dell’associazione, il suo nome è molto noto.
Lei invece è Helen, la mia fedele partner».
La donna fece un cenno di saluto, al quale
però Eric non rispose, e dopo poco il signor Hachcomb
fu invitato a sedersi.
«Allora, signor Hachcomb.»
disse Eric «Adesso che abbiamo fatto le presentazioni, vuole dirmi che cosa
vuole da me l’Interpol?»
«Va’ diritto al sodo. Una qualità comune fra i
cacciatori di vampiri.»
«Ebbene?».
Il signor Hachcomb,
al secondo richiamo, fece sparire quel suo sorriso di circostanza, facendosi di
colpo tremendamente serio.
«Il fatto è che è sopraggiunto un problema
improvviso e del tutto inaspettato. Vista la possibile gravità della cosa e la
necessità di agire il più rapidamente possibile potevamo ricorrere ai canali
convenzionali, così siamo venuti direttamente da lei».
Doveva trattarsi veramente di qualcosa di
serio, pensò Eric, se per porvi rimedio si era disposti a dare un calcio al
protocollo.
Negli anni recenti, e con il procedere della
civiltà, l’associazione si era sempre mossa nel mezzo, cercando di agire il più
possibile nell’ombra tentando però di ottenere quanto più aiuto possibile dalle
proprie conoscenze e dai propri infiltrati nei maggiori potentati del mondo,
oltre che naturalmente dagli stessi uomini di potere che, venuti in un modo o
nell’altro a conoscenza dell’organizzazione, accettavano di appoggiarne e
coprirne l’operato nel nome dell’interesse e della sicurezza nazionale.
«Allora, cosa è successo di così grave?»
chiese Eric.
Il signor Hachcomb
fece un cenno alla sua attendente la quale, aperta la sua valigetta, mise sul
tavolino fra le due poltrone alcune foto di cadaveri orrendamente dilaniati e
squartati rinvenuti in qualche bosco, abbandonati alle intemperie e agli
animali.
«La situazione è questa. Da qualche tempo,
sulle montagne bulgare, stanno avvenendo fatti strani ed inquietanti. Solo
negli ultimi due mesi, quattro persone originarie dei villaggi nella zona
nord-occidentale del Paese sono state uccise e mutilate da un assassino che non
si è ancora riusciti a identificare. L’esame autoptico condotto da personale
fedele all’agenzia ha riscontrato segni riconducibili ad attacchi di vampiro.»
«L’associazione non ne sapeva nulla.»
«Per ora non è stata ancora diramato
l’annuncio ufficiale».
Eric prese le foto e le guardò attentamente;
chiunque le avrebbe trovate raccapriccianti ed inguardabili, ma lui le scrutava
come se niente fosse.
«È un vampiro di basso livello. Probabilmente
un Livello E. E forse, non si tratta di un unico individuo.»
«Nei villaggi della zona sono tutti molto
preoccupati e spaventati. Lei capisce, è gente superstiziosa. Credono che il
diavolo sia arrivato in mezzo a loro. Se le cose andassero avanti di questo
passo, potrebbe scoppiare il caos.
L’associazione e la stessa Interpol
richiedono che il problema sia risolto rapidamente e in silenzio, per non
creare scandali o eccessiva pubblicità».
Il Signor Hachcomb a
quel punto prese una lettera dall’interno della sua giacca e la mise sul
tavolino.
«Qui ci sono le direttive di missione e
l’autorizzazione ad agire firmata dal capo dell’associazione.
Un jet privato la sta aspettando.
Siamo qui per accompagnarla in aeroporto».
Eric rimase in momento soprapensiero, poi si
alzò dalla seria, raggiunse una mensola ed aprì la cassetta di legno scuro
finemente decorata con intarsi d’oro che vi era appoggiata sopra, prendendone
fuori i suoi due machete, che ripose nei rispettivi foderi ed assicurò alla
cintura.
«Andiamo allora.» disse infilando il cappotto.
Il
villaggio che era stato teatro dell’ultimo omicidio si trovava da qualche parte
tra le montagne al confine tra l’Bulgaria e la Serbia, un agglomerato di case
piccole e semplici raccolte tutto attorno alla piccola chiesa sulla collina più
alta.
Davvero un posto dimenticato da Dio, dove
tutti andavano a messa la domenica e giravano con il rosario in tasca, pronti a
farsi il segno della croce al primo fenomeno sopra alle righe e a guardare di
sottecchi ogni faccia straniera.
Eric e Nagisa
arrivarono sul posto in un uggioso e freddo pomeriggio autunnale, con la nebbia
e le nuvole basse a lambire le cime e un’umidità che faceva scricchiolare le ossa,
guidando una vecchia berlinetta scassata messa a loro disposizione all’arrivo
in aeroporto.
«Non è certo un paese che esprime simpatia.»
disse Eric notando gli sguardi obliqui dei pochi paesani che sostavano nella
piazza.
Stando alle informazioni ricevute durante il
volo, un altro cacciatore, un professionista, era in viaggio per la Bulgaria,
ma non sarebbe arrivato prima della tarda notte o il mattino successivo al più
tardi.
Mentre Eric e Nagisa
finivano di scaricare i loro pochi bagagli, venne loro incontro il sindaco del
paese, un tipo grassottello e baffuto ma estremamente cupo.
«Benvenuti.» disse stringendo la mano ad Eric
«Voi siete gli inviati del Washington Post, vero?».
I due ragazzi si fissarono complici; quella
era la storia di copertura ideata per giustificare la loro presenza laggiù.
«Esatto.» rispose Eric
«Prego. La vostra stanza è già pronta».
Il villaggio disponeva di una pensioncina per
i forestieri con meno di una decina di camere.
Eric e Nagisa ne
chiesero una a testa, il che non fu un problema visto che non c’era nessun
altro a parte loro, e subito andarono a chiudersi dentro quella del ragazzo.
«Posso fare qualcosa per voi?» chiese ancora
il sindaco
«Se non è un problema, vorrei vedere il corpo
dell’ultima vittima. Non è stato ancora sepolto, vero?».
Il sindaco esitò, guardando in basso e
mordendosi una mano, ma alla fine non fece resistenza ed acconsentì alla
richiesta di quelli che credeva essere solo giornalisti in cerca di una buona
storia.
Lungo il breve viaggio a piedi dalla
pensioncina all’obitorio annesso allo studio del medico, un tale dottor Pevlov, Eric poté notare ancor meglio l’atteggiamento
diffidente e sospettoso dei pochi abitanti di quel paese, quasi tutti vecchi;
vedendoli, molti si scostavano, guardavano altrove o addirittura si segnavano.
«Dovete perdonarli.» disse il sindaco «È gente
semplice e timorosa. La maggior parte di loro non ha mai visto nulla al di
fuori di queste montagne. E ora sono molto spaventati.»
«È comprensibile.»
«Credono che un demonio si sia annidato nella
foresta che li circonda, e ne temono la collera. Fino ad ora sono riuscito a
tenerli buoni, ma ormai la situazione è in procinto di esplodere».
Il dottor Pevlov era
un simpatico e arzillo medico di città, che passati i settant’anni aveva voluto
trasferirsi in quell’eremo sperduto dimenticato da Dio alla ricerca di un luogo
dove condurre serenamente e pacificamente la propria vecchiaia continuando a
fare del bene.
L’obitorio accanto al suo studio era provvisto
anche di una cella frigorifera, l’unica nel raggio di cento miglia, che aveva
fatto realizzare di tasca propria, e all’interno della quale era stato riposto
l’ultimo corpo finora ritrovato.
Con l’aiuto del sindaco, questo fu tirato
fuori, appoggiato sul tavolo anatomico e infine scoperto.
La sua vista avrebbe scioccato chiunque, e
infatti il sindaco dovette girare subito gli occhi, trattenendosi a stento dal
vomitare.
Anche se il dottore aveva ricucito alla meno
peggio le ferite, i segni dello smembramento erano più che evidenti; il braccio
destro era quasi staccato, la mano sinistra non aveva più le dita, e diverse
altre parti presentavano segni come di masticamento.
«L’abbiamo trovato in un fosso, un chilometri
circa dal villaggio, nelle foreste a nord.»
«Chi è la vittima?»
«Un cacciatore del posto. Una sera di cinque
giorni fa è uscito come al solito per andare a caccia, e alla mattina è stato
ritrovato così da un collega di passaggio.»
«Scusate.» intervenne il sindaco «Credo che vi
aspetterò fuori».
Il dottore aveva uno sguardo strano, e parve
quasi tirare un sospiro di sollievo quando vide il primo cittadino lasciare la
stanza tenendosi lo stomaco.
«Dunque.» disse Eric «Questa è la quarta
vittima.»
«No, signore.» rispose cupo l’anziano «Questa
è la decima».
Eric e Nagisa
alzarono gli occhi perplessi.
«È così. Ufficialmente sono solo quattro, ma
in realtà altre sei persone sono state attaccate ed uccise negli ultimi due
mesi. Erano cacciatori e allevatori che vivevano in baite sperdute in mezzo al
nulla, così nessuno si è accorto della loro scomparsa.»
«Vi siete fatti qualche idea su chi possa essere
il responsabile.»
«L’ampiezza dei morsi e lo stato delle vittime
mi fa pensare ad un animale di grandi dimensioni. Un orso forse. Anche se in
certi casi verrebbe da pensare più ad un leone.»
«Il che è impossibile.
Dove sono state compiute le aggressioni?»
«In un’area di circa sessanta – settanta
chilometri quadrati, nelle montagne e nelle foreste tutto attorno. In un caso
si è spinto fino nel centro abitato, e ha assalito una donna che passeggiava
per le strade dopo il tramonto».
Eric poi, incredibilmente, chiese i poter fare
un giro nei boschi dove erano avvenute le aggressioni, cosa che il dottore ed
il sindaco non mancarono di trovare come terribilmente pericolosa.
«Avete detto che aggredisce solo di notte.»
rispose allora il giovane «Quindi non dovrebbe esserci pericolo».
Così, senza aggiungere altro, il ragazzo e la
sua fedele assistente gambe in spalla si inerpicarono su per il crinale che
dominava il villaggio dalla parte ovest, in prossimità del luogo dove era stata
rinvenuta l’ultima vittima.
Il silenzio lì dentro era raggelante, e la
nebbia che continuava ad aleggiare tra gli alberi secolari gettava su tutta la
foresta un’atmosfera decisamente spettrale.
Eric e Nagisa
camminarono per una mezz’ora, senza mai bisogno di doversi fermare per prendere
fiato nonostante l’estrema pendenza del terreno, fino a che non raggiunsero un
po’ meno densa di alberi.
Qui, entrambi si guardarono attorno, cercando
di cogliere ogni più piccolo segnale trasportato dal vento; nel frattempo
quella fastidiosa pioggerellina era cessata, anche se il tempo continuava ad
essere decisamente uggioso.
A saperli trovare, i segni del passaggio di un
vampiro c’erano tutti in quel luogo. Strani graffi sugli alberi, orme ed
impronte nel terreno fangoso, rami spezzati e, soprattutto, un forte odore di
sangue.
Nuovamente, Eric e Nagisa
si guardarono tra di loro; a quanto pare l’intelligence non si era sbagliata. In
quel posto stava davvero succedendo qualcosa.
Appena
tornati in albergo, Eric si mise immediatamente in contatto con i suoi
superiori; poiché in Bulgaria non esisteva una sede dell’associazione il
ragazzo dovette fare riferimento a quella più vicina, ovvero la sede di
Budapest, in Ungheria.
«È confermato. In questa regione si è
insediato un vampiro. Probabilmente, anche più di uno.
Sono cani sciolti. Sicuramente dei Livello E
impazziti. Hanno preso possesso della zona, e ne hanno fatto il loro territorio
di caccia.
Attaccano e mangiano di tutto. Ho parlato con
alcuni cacciatori, e mi hanno detto di aver trovato diverse carcasse di animali
sventrati nelle foreste circostanti. Inoltre, sono state profanate anche alcune
delle tombe più recenti del cimitero locale.»
«Hai già identificato i vampiri in questione?»
chiese dall’altro capo della linea il capo della sezione
«Ancora no. Si fanno vivi solo la notte. A giudicare
dall’odore, alcuni di loro se non tutti non devono essere molto lontani da qui,
quindi è probabile che stanotte tenteranno di attaccare il villaggio. Mi farò
trovare pronto.»
«Il tuo uomo di rinforzo dovrebbe arrivare
entro domattina. Fino ad allora, cerca di tenere la situazione dotto controllo.
Chiudo».
Erik si tolse l’auricolare e si buttò sullo
scomodo letto, perennemente seguito con lo sguardo da Nagisa.
«Conviene riposarsi un po’. Sarà una lunga
notte».
Al
calare delle tenebre, il villaggio piombò nel buio e nel silenzio più assoluti.
Tutti le luci erano spente, le finestre
sprangate. Qualcuno aveva messo sbarre e inferriate per sentirsi più sicuro,
qualcun altro aveva messo dei grossi pezzi di carne sanguinante davanti alla
casa, nella speranza che il predatore misterioso si accontentasse e passasse
oltre, qualcun altro ancora, i più superstiziosi, aveva inciso croci sulle
porte e lasciato rosari a pendere all’esterno.
Ogni mezzo era lecito per proteggersi da
quella specie di piaga che da mesi terrorizzava le montagne.
Nessuno osava mettere il naso all’esterno, ed
il villaggio stesso era persino più silenzioso delle foreste che lo
circondavano.
Appostato nel buio, sotto ad un telo che ne
nascondeva la vista e l’odore nel bel mezzo del cimitero, Eric restava in
attesa delle sue prede.
La trappola era già piazzata.
Il corpo dell’ultima vittima era stato sepolto
in tutta fretta, la terra ancora smossa e l’odore perfettamente percettibile;
una preda troppo ghiotta per poterla ignorare.
Quel trucco glielo aveva insegnato un altro
cacciatore, che per un breve tempo era stato suo maestro; per acchiappare un
Livello E ormai diventato nulla più che una bestia, era sicuramente il metodo
migliore.
Dall’alto del campanile, invece, Nagisa scrutava l’oscurità con il mirino ad infrarossi del
suo fidato fucile anticarro, pronta ad incenerire ogni creatura della notte che
si fosse avvicinata troppo al centro abitato.
L’attesa non si rivelò molto lunga.
Poco dopo mezzanotte, infatti, ombre
minacciosa cominciarono ad aggirarsi attorno al basso cancelletto che
delimitava il camposanto, ed entro qualche minuto cinque vampiri comparvero
dall’oscurità accalcandosi attorno alla tomba affamati di sangue.
Si trattava senza dubbio di Livello E, poco
più che animali; sicuramente vampiri ex umani.
Subito presero a scavare, ma ben presto la
loro attenzione fu attratta dalla comparsa improvvisa di un odore minaccioso. Giratisi,
videro Eric comparire dinnanzi a loro con i suoi machete già tra le mani.
«Mi dispiace, la cucina è chiusa.» disse
sommessamente, ed alzati gli occhi piombò su di loro come un dio della morte.
Quelli tentarono una confusa reazione, ma non
erano certo avversari all’altezza di un vampiro sangue puro come Eric, che ne
fece scempio in meno di dieci secondi; solo uno tentò un assalto alle spalle,
ma fu prontamente intercettato ed incenerito da Nagisa
con un colpo ben piazzato che gli disintegrò la testa.
«Missione compiuta.» disse Eric «Bersagli
eliminati».
Magari fosse stato così.
Neanche il tempo di rinfoderare i machete, che
Eric avvertì una nuova corrente di minaccia, mentre un numero imprecisato di
altre presente cominciavano a comparire intorno a lui.
Occhi rossi si accesero nell’oscurità della
notte, e dalle tenebre uscirono non uno, ma decine di altri vampiri, tanti
quanti Eric non ricordava di averne mai visti tutti insieme in tutta la sua
vita.
«Oh, merda.» disse vedendosi circondato.
Non ce la cosa lo preoccupasse o lo
impensierisse più di tanto, ma certo affrontare tutti quegli avversari in una
volta sola non era certo un’impresa da poco.
I nuovi venuti sembravano più normali di quelli
che Eric aveva appena ucciso, più razionali, ma ciò nonostante restavano
comunque dei Livello E, o dei Livello D volendo esagerare.
Anche Nagisa restò
colpita nel vederli, ed una strana sensazione si impadronì di lei nella forma
di un improvviso formicolio in tutto il corpo, accompagnato da una sensazione
di pesantezza al centro del petto.
«L’avevo detto che sarebbe stata una lunga
notte.» disse Eric facendo roteare i due machete «Fatevi sotto».
Per nulla intimoriti, i quindici e più nuovi
avversari si scagliarono all’attacco, piombando addosso al giovane cacciatore
da tutte le direzioni.
Eric li affrontò tutti a spada tratta e senza
esitazioni, mulinando le sue lame a destra e a sinistra con mortale precisione.
Come era facile intuire, non si trattava di comuni armi da taglio; la polvere d’argento
di cui erano in parte composte le rendeva estremamente pericolose per qualsiasi
vampiro, cosicché anche solo un piccolo taglio risultasse doloroso quanto un
arto strappato di netto.
Dal campanile Nagisa
dava una mano, anche se in quella confusione persino la sua mira micidiale
veniva messa a dura prova; Eric faceva molto affidamento sulla copertura che la
sua inseparabile compagna gli garantiva dall’alto, quindi le cose per lui si
complicarono non poco quando il fucile della ragazza si inceppò
improvvisamente, lasciandolo sguarnito.
«Maledizione!» mugugnò vedendo come i nemici
si facessero sempre più audaci.
Quella faccenda rischiava di farsi più difficile
del previsto, se non che all’improvviso un fulmine a ciel sereno si abbatté sul
cimitero nella forma di un giovane uomo dall’aspetto austero ma gentile,
capelli biondi piuttosto lunghi raccolti in un lungo codino e occhi chiari, che
piombò dal nulla armato di spada prendendo subito a fare strage di vampiri con
una scioltezza e una facilità straordinarie.
Eric non stette troppo a lungo a fare il
sorpreso, e rifattosi coraggio tornò a menare fendenti, fino a che non rimase
neanche un mostro in vita.
Solo allora, il giovane vampiro volle guardare
meglio chi lo aveva appena aiutato.
La sua espressione era risoluta e pregevole
allo stesso tempo, indossava un cappotto color terra, e la spada che impugnava
era chiaramente un’arma ammazza-vampiri.
«Mi era parso che avessi bisogno di una mano.»
disse quello mettendo una mano in tasca e cavandone fuori un paio di occhiali
da vista che infilò con un gesto rapido e pacato
«Sei tu l’uomo di rinforzo che dovevano
inviare quaggiù?» chiese Eric mentre rinfoderava le lame
«Sono Kaien Cross. Direttore
dell’Accademia Cross».
Eric sgranò gli occhi nel sentire quel nome.
Non aveva mai visto quell’uomo, ma la sua fama
all’interno dell’associazione era quasi leggendaria; correva voce che avesse
abbandonato da tempo l’attività di cacciatore per dedicarsi interamente alla
gestione di quella scuola che aveva voluto con tutto sé stesso, e il fatto che
si trovasse lì era la dimostrazione che anche ai piani alti avevano avuto il
sospetto che quella fosse qualcosa di più dell’ennesima magagna prodotta da uno
o più Livello E usciti di testa.
«Sembra che le cose qui siano piuttosto
serie.» disse Kaien sistemandosi gli occhiali «Questi
non erano fin troppo forti per essere comuni Livello E.»
«Infatti».
Eric si avvicinò ad uno dei corpi, uno non
ancora inceneritosi, osservandone le caratteristiche.
Il tratto comune che distingueva i vampiri ex-umani era che il segno del morso non riusciva a
cicatrizzare, rimarginandosi; l’unico modo per chiudere la ferita era apporvi
un sigillo magico, altrimenti la cicatrice sarebbe sempre rimasta in bella
vista.
Nel caso di quel vampiro il segno del morso
era ben visibile, e oltretutto chiaramente recente; eppure, chissà come, la
ferita si era parzialmente richiusa in modo apparentemente naturale.
Sia Eric che Kaien
strinsero i denti nel vedere quella cosa, dimostrando a chiare lettere che
quella non era la prima volta che si imbattevano in qualcosa del genere, per
quanto apparentemente impossibile.
In quella sopraggiunse anche Nagisa, la quale, vedendo ella stessa quel fenomeno così
anormale, serrò le labbra come inebetita per poi toccarsi un momento il collo,
mentre uno sguardo truce si accendeva nei suoi occhi.
«Maledizione.» mugugnò il ragazzo «Ci
risiamo.»
«E dire che speravo fosse una storia chiusa.»
disse Cross.
La vicenda risaliva a circa tre anni prima,
quando Eric aveva iniziato da poco la sua vita nell’associazione.
Per molto tempo, le coste occidentali del
Giappone e quelle più settentrionali della Cina erano state tormentate da un
misterioso ed imprendibile vampiro che, pur essendo un comune Livello B,
riusciva chissà come a vampirizzare comunque le sue vittime, creando oltretutto
dei Livello E molto più forti rispetto alla media, ma anche estremamente più
aggressivi.
Erano serviti alcuni mesi per riuscire a
stanarlo, ma alla fine il vampiro in questione era stato preso ed ucciso, anche
grazie alla collaborazione dello stesso Eric, che con quell’azione si era
guadagnato il diritto di entrare a pieno titolo nell’agenzia diventando un
apprendista; si era sempre pensato ad un evento eccezionale, una mutazione
genetica anomala come avveniva talvolta anche tra gli stessi esseri umani, ma
ora che il fenomeno si stava ripetendo a distanza di così poco tempo la cosa
cominciava a farsi davvero preoccupante.
«Questi erano tutti dei Livello E.» disse Eric
mentre anche l’ultimo corpo si mutava in cenere«E sono pronto a scommettere che
erano tutti o quasi come questo qui.»
«Il che significa.» replicò Cross guardando
verso il villaggio «Che chiunque li abbia creati quasi sicuramente si trova
ancora da queste parti».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccoci dunque al primo
di (credo) 11 capitoli che comporranno questa breve fanfic
dedicata al personaggio inventato per la RR di Ly.
Allora, che ve ne
pare?
Molto lugubre, direi.
Per creare il villaggio mi sono ispirato, oltre che ai molti film
horror-thriller, anche a tanti paesini di montagna persi nel niente di cui le
mie dolomiti venete sono piene da scoppiare. Avendoci anche vissuto per un
certo periodo ne conosco l’atmosfera, anche se ovviamente ho voluto calcare un
po’ la mano.
Mi fa piacere che la
storia sia piaciuta, e spero che continuerà ad esserlo.
A presto!^_^
Carlos Olivera