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Autore: Kisuke94    25/07/2012    2 recensioni
Ecco a voi un'altra storia originale, scritta dal sottoscritto. Alcuni argomenti trattati in essa sono un pochetto maturi, ma non mancheranno le risate, tranquilli. La storia vuole essere più reale possibile, nonostante sia fantasy, come, per esempio, in location, dialoghi e personaggi. Ora vi chiederete qual'è l'elemento fantasy, leggete e scopritelo ;)
Cosa succederebbe se a quattro ragazzi come tanti venissero dati dei poteri "Apocalittici"? Leggete e vedrete ;)
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IV CAPITOLO

Era sera. La luna in cielo dominava incontrastata, le stelle erano sbiadite a causa della sua luce riflessa, poche nubi, solitarie, si spostavano grazie al vento freddo, che rinfrescava l’aria torrida di quell’estate infernale, il cui caldo era accentuato dal calore dei mezzi e dei condizionatori sparsi per la città.

La città, sempre in movimento, non dorme mai, le strade sono colme di persone di ogni razza, colore e classe sociale. La società giapponese in sé è molto variegata, varietà che contrasta con la poca personalità dei singoli individui, sempre limitati dai parenti a seguire stereotipi che minano la crescita caratteriale della persona. Frequenti erano i casi di suicidio, un po’ per l’economia altalenante del paese, un po’ per la mafia, la famosa Yakuza, retta da leggi proprie ma composta, comunque, da esseri senza cuore, e in generale, suicidi causati da una mancanza di fiducia in se stessi e nel futuro del paese. In questo quadro, di per sé caotico e problematico, gli incidenti degli ultimi giorni non passarono inosservati, non facendo altro che aumentare i disordini, e ad alzare un muro mediatico contro la polizia incapace, sfortunatamente, di trovare collegamenti logici tra le vittime, o tracce di killer seriali.

«Buona sera e ben trovati ad un nuovo appuntamento con le news dal paese. Morti misteriose si sono verificate negli ultimi giorni, tra il distretto di Ishikawa e Osaka. La polizia è ancora nel pieno delle indagini, pur ipotizzando varie piste, gli inquirenti hanno difficoltà a tracciare un qualche filo logico tra i vari crimini avvenuti nei due distretti. Notizia dell’ultima ora, il ritrovamento di sei corpi, senza vita, di ragazzi di età media intorno ai quindici anni, ma ce ne parlerà meglio il nostro inviato. Onoki ci senti? sei in linea.»

«Grazie. Sì come hai detto poco fa, è una notizia dell’ultima ora, in un quartiere di Osaka, già noto alle forze dell’ordine, per questione di ordine pubblico legato alle bande che girano per queste strade. Qui la situazione non è delle migliori, ci hanno negato di riprendere con le telecamere il luogo dell’incidente, dalle prime indiscrezioni sembrerebbe un giro andato male, ma, vi assicuro, lo stato  in cui si trovavano quei corpi è indescrivibile, basti sapere che le parti del corpo erano irriconoscibili, e sparse un po’ ovunque. Per ora è tutto, linea a voi in studio.»

«Grazie al nostro Onoki, vi terremo informati per ulteriori aggiornamenti nel corso del TG. E ora passiamo ai problemi in..»

-Altre morti inspiegabili?-

Si chiese Aaron, abbassando il volume della televisione. Durante il servizio aveva prestato molta attenzione al caso, dopotutto aveva assistito a una di quelle morti misteriose, ma continuava a credere che queste fossero in qualche modo legate tra loro, e collegate a ciò che gli stava accadendo in quei giorni. Posò il telecomando sulla tavola, apparecchiata, e si sedette a mangiare, controllando continuamente la tv nel caso sarebbero giunte nuove informazioni sul caso. Cercava di mangiare, sì, ostacolato però dalle immagini che riaffioravano nella sua mente, il volto sanguinante di quella bambina, e delle immagini, mai viste prima, in cui immaginava come quel telecronista avesse trovato i corpi di quei giovani. In pochi attimi si sentì male, si alzò di fretta, facendo cadere la sedia, corse in bagno e rimise. Quell’odore nauseante lo costrinse a restare sull’orlo del water per molto tempo, i dolori di quei giorni non erano spariti del tutto, e riaffioravano nei momenti meno opportuni; prese coraggio, si avvicinò al lavandino per sciacquarsi il viso, lo bagnò due volte e, ancora gocciolante, alzò il volto contro lo specchio, le gocce scendevano lungo il viso, quando a un tratto, per un istante, vide il volto della bambina, ormai in decomposizione, sul riflesso dello specchio. Il giovane sussultò, il cuore sembrò interrompere il suo normale battito, il circolo sanguigno era ormai fermo, quell’immagine lo spaventò a morte. Si colpì due volte per tornare in sé, nel frattempo, l’acqua calda che scorreva, aveva appannato il vetro, che non rifletteva più le immagini, diventato ormai opaco. Aaron lo pulì e per fortuna rivide il suo candido viso, ma incrociò con lo sguardo la cicatrice che aveva poco al di sotto dell’orecchio, quella cicatrice lunghissima, che arrivava fino alla schiena, colma di ricordi dolorosi.

Stanco e un po’ rattristato, tornò in cucina, spense la televisione, e s’incamminò nella sua stanza, lasciando tutte le luci accese. Nel letto, volgendosi verso l’unica finestra che aveva nella stanza, fissò la luna, la cui visione era alterata dalle lacrime che avevano ricoperto l’intera superficie oculare, voleva dimenticare tutto ma non ci riusciva, cercava di focalizzarsi su altro, ma ogni tentativo risultava vano. La sua mente ormai era un misto di ricordi ed emozioni, emozioni che gli toglievano il respiro, lo facevano riflettere su ciò che accadeva intorno a sé e su ciò che accadrà, e da ciò dedurre come lui si sarebbe dovuto muovere in quel contesto, era un calcolatore, tutto ciò che faceva, aveva uno scopo ben preciso, tutto ciò che diceva, non era detto a caso.

L’indomani, alzatosi presto, andò in centro, in cerca di svago, e più in generale di risposte. Da casa sua prese l’autobus che fermava proprio alla via principale del centro città, e per tutto il tragitto non fece altro che criticare le persone che salivano e scendevano dal pullman, descrivendole  come gente senza spina dorsale, incapaci di far valere i loro diritti, personali e politici, critiche rivolte quasi con compassione, con un pizzico di egoismo, con un modo di fare che lo poneva ostinatamente al di sopra di tutti, aveva sempre desiderato, infatti, decidere per gli altri, sentirsi un capo, sicuro di essere l’unico, in tutta la nazione, ad esserne realmente capace.

-Ah, com’è bella la città al mattino presto, senza idioti con giacchetto e pistola, dal grilletto facile, senza quegli attivisti in giacca e cravatta, falsi e innaturali, e senza quelle stupide ragazzine, goth, che sostano sui ponti a fare foto stupide come la loro esistenza. L’aria pura e incontaminata del mattino è ineguagliabile, perfino lo smog è inferiore a quest’ora, è un bene, la maggior parte delle morti annuali sono causate da fumi tossici inalati in centro.-

Iniziò a dire Aaron, inspirando profondamente, girandosi intorno e commentando ogni persona che incontrava il suo sguardo. La vita in centro aveva già preso piede, la moltitudine di volti che andava e veniva per le strade era impressionante, nei palazzi più lussuosi, entravano tutti i funzionari del governo o delle pubbliche amministrazioni, tutti in tiro, con la loro inseparabile valigetta e i capelli sistematicamente riportati all’indietro, per chi aveva ancora la fortuna di averceli i capelli. Vi erano poi le persone comuni, che tra una faccenda e l’altra si lasciavano il tempo di un gelato o di una chiacchierata tra amici al bar della zona, i loro abiti sono molto casual, dominava per di più l’azzurro dei blue jeans, che in Giappone sin dal secolo precedente spopolava, tutti rigorosamente bermuda, il caldo si faceva temere, e nonostante molte di quelle persone dovevano attaccare con il lavoro, non potevano resistere con dei pantaloni a gamba lunga, era improponibile.
Saltavano all’occhio invece, quella schiera di giovani, con età compresa tra i tredici e i ventisei anni, la cui vita vuota e monotona, li costringeva a trovare delle “vie” alternative per scappare dai loro mondi tanto odiati, alternative che potevano essere o una banda, di moda tra i maschi, decisamente più violenti, oppure quello delle Gothic Lolita, ragazze vestite con abiti decisamente maid, solite portare buffi cappelli decorati, e ombrelli in tema con l’abito. Non erano pochi, inoltre, i party, tenuti anche al mattino, in cui questi ragazzi possono liberare il loro IO, possono sentirsi svincolati da quelle opprimenti regole imposte dai loro genitori, in quelle ore possono apparire chi d’avvero sono o vogliono essere. Loro erano attaccati da Aaron per il semplice fatto che si ribellavano in silenzio, organizzando appunto feste in discoteche periferiche, o almeno, conosciute solo da chi le frequenta, invece che opporsi al volere ostinato dei loro genitori, che gli impongono di seguire determinati esempi. Ma Aaron, che di questi problemi non ne ha mai avuti, avendo sempre detto ciò che pensa senza paura delle conseguenze che le sue parole avrebbero portato, non criticava solamente, lui rifletteva sul mondo e su come questo potesse essere cambiato in qualcosa di meglio, a partire proprio dal carattere dei singoli individui. Tutto quello era ciò che abitualmente il ragazzo pensava e faceva, ma ora era diverso, tra quelle persone cercava qualcuno, voleva delle prove, credeva, infatti, che a causare quelle morti non fosse la mano del destino, ma qualcosa di più pericoloso e vicino.
Guardandosi intorno, sentendosi quasi escludo dal mondo, si concentrò su ogni respiro, azione e chiacchiera, che gli giungevano ai cinque sensi. Localizzò, come un computer, le varie persone che lo circondavano, stilandone una sorta di didascalia, per trovare la gusta cavia. Un violento manrovescio chiamò l’attenzione del ragazzo che, voltatosi, vide una ragazza di appena sedici anni maltrattata da un ragazzo di poco più grande, lei, in ginocchio, subiva quei colpi in silenzio, lasciandosi però scappare lacrime cristalline, che riflettevano i raggi solari, proprio in direzione di Aaron. Nessuno muoveva un dito, le persone tendevano a scansare la coppia, fregandosene di cosa stava accadendo a pochi metri da loro, quest’atteggiamento era fin troppo abituale, difficilmente, infatti, si vedeva un eroe che aiutava i più deboli, in quella società che, gli eroi, li abbatteva.
Scosso, alquanto, da ciò che stava accadendo sotto i suoi occhi, con un sorriso beffardo, decise di dare manforte alla giovane, ma a distanza, infatti, se ciò che aveva intuito era esatto, sarebbe riuscito nel suo intento senza errore.

-*Bene, capiti a pennello, t’insegno io a prendertela con i più deboli!*- disse tra sé e sé, allontanando le tre dita che aveva poggiato al volto. Lui sospettava che le morti di quei giorni erano causate da qualcuno, che conscio o meno di ciò che stava facendo, toglieva la vita alle persone. Se le sue teorie erano esatte, anche lui era capace di uccidere, ma non aveva ancora capito come.
-*Okay, devo concentrarmi, sarà questa la chiave di volta. Ho letto molti manga, ho un vasto arsenale di scelte per attivare questa sorta di potere!!*-

Esclamò, tendendo la mano verso quel ragazzo, che, ignaro di tutto, continuava a menare la ragazza. Chiuse l’occhio sinistro, per ottenere maggior precisione, cercando di mantenere la mano ferma, inutilmente. Attese pochi secondi, e non vedendo nessun tipo di effetto, passò a una seconda prova, chiuse entrambi gli occhi, focalizzando il suo pensiero non su ciò che stava accadendo, ma a ciò di cui più caro aveva perso, pensò poi al volto della bambina tra i cavi elettrici e, infine, immaginò il ragazzo che aveva di fronte, provando una rabbia che non avrebbe mai immaginato.
-Adesso!!- urlò a voce altissima, aprendo gli occhi. La sua voce attirò, questa volta, le persone che passavano di lì.  Ma ciò che più scioccò i passanti, e Aaron stesso, fu ciò che sotto i loro occhi accadde. La mano del giovane, che stava per sferrare un nuovo colpo alla ragazza, rimase ferma in carica, mentre il ragazzo iniziò a tremare, non era paura quella, sembrò quasi che davanti non vedesse la ragazzina, ma la morte stessa. Pochi istanti dopo, all’ennesimo tremito, la mano iniziò a disgregarsi in tanti piccoli pezzettini, che volarono in aria come foglie al vento. Il ragazzo prese il braccio menomato con l’altra mano, non credendo a ciò che stava accadendo, attribuendo però la colpa di tutto alla giovane, non avendo sentito, nella foga, la voce di Aaron.

-Brutta puttana cos’hai fatto?- domandò poi a voce alta, allungando il braccio cercando di colpire con un pugno ben assetato il suo volto. Tra i due vi si intrappose Aaron, fermando il pugno con una velocità sovraumana.

-Ah- Ah. Lo sapevo!-

Disse poi, con un ghigno minaccioso in volto, un sorriso quasi diabolico, pari a quello di uno scienziato pazzo che aveva riportato in vita un essere umano. L’eccitazione era forte, così come la voglia di scoprire potenzialità e limiti di questa cosa, tutte quelle ipotesi che aveva supposto si erano rivelate veritiere, e questo lo rese eccentrico, finalmente avrebbe potuto attuare un piano di pulizia, agevolato in tutti i sensi da quel potere. Inaspettatamente, però, successe qualcosa che il ragazzo non aveva programmato, ma che non lo stupì più di tanto, ciò che era accaduto, fu che il pugno, che aveva fermato in precedenza, iniziò a disintegrarsi, così come l’intero braccio e, se non si fosse fermato, avrebbe tolto al ragazzo l’intero corpo. Il ragazzo, che aveva ormai perso la mano sinistra e l’intero braccio destro, non emise fiato, non era chiaro però se per paura o perché non sentiva dolore, fu chiaro comunque che lì era pericoloso, e  per questo scappò via, inciampando tre volte.

-Grazie di avermi salvata, sei il mio eroe- disse poi la ragazza con voce sottile, reggendosi a malapena sulle sue gambe, cercando appoggio sulla schiena di Aaron.

-Non vedo nessun eroe qui. Ciò che ho fatto, non era per proteggere qualcuno- replicò poi il ragazzo, prendendo sulle spalle la giovane, portandola poi su di una panchina al lato della strada. La gente intorno, dopo qualche minuto di perplessità, ritornò alla propria vita, come se quello che era successo non fosse mai accaduto.

-*Dunque, al minimo contatto l’azione è automatica, devo ricordarmelo. Devo fare più pratica!*-

Pensò Aaron, stringendo gli occhi, appoggiando la ragazza sulla panchina. Si raddrizzò e con un colpo di schiena, scrocchiò le ossa della spina dorsale, voltò lo sguardo verso qualcuno che, nella folla che attraversava su ogni lato dell’incrocio, lo stava fissando e che probabilmente aveva assistito a tutto. Un brivido lo scosse, gli occhi di quell’individuo erano accesi, nonostante la distanza che li separava si sentiva nell’aria una tensione mai riscontrata prima, quell’individuo tra la folla bramava quel potere. Un attimo, però, e quella tensione svanì, insieme al misterioso personaggio.

Sfortunatamente, colui che Aaron stava fissando nella folla, era Juro che, dal giorno precedente, lo stava pedinando, che, felice ed eccitato, si allontanò da quel posto. Saltellando per l’incontro cui aveva assistito, prese il palmare per informare l’altra agente di quanto aveva visto, ma accidentalmente il suo smartphone cascò nel tombino che aveva davanti, in seguito ad un inciampo. Rimasto con gli occhi spalancati per pochi minuti davanti a quel buco profondo, da cui saliva un odore sgradevole e nauseabondo, scosse il capo e si rialzò, non facendosi scrupoli nel chiedere il cellulare ai passanti.

-Scusi mi presta il suo telefono?- domandò a un agente della sicurezza di un palazzo d’affari.

-Ehi, Serena, mi senti?- chiese mantenendo il cellulare con due dita, con tanto di vivavoce.

-Ma dove sei finito???- domandò invece la ragazza, fin troppo calma dopo l’enorme esplosione che poco prima aveva intravisto tra i palazzi.

-Senti c’è stato un piccolo problemino da queste parti. Shishishi!- rispose quest’ultimo, ridendosela con gusto, mentre nei suoi occhi si riflettevano le fiamme dell’inferno.

-Ho delle notizie interessanti- aggiunse poi, attirando l’attenzione della giovane compagna.

-Non dirmi che sei stato tu a causare quella forte esplosione?!- esclamò lei, cambiando decisamente tono di voce, molto più serio e teso.

-Bhè, in effetti, non posso dire che qui faccia fresco, shishishi!-

Rispose Juro, con una risata isterica, allontanando le braccia in direzioni opposte, aperte allo spettacolo terrificante che si trovava di fronte. C’erano fiamme ovunque, i palazzi erano sommersi dal fumo, nero come la pece, che nascondeva un’immagine ancora più disastrata della zona, infatti, l’onda d’urto causata dal ragazzo, aveva frantumato tutti i vetri dei palazzi, e li aveva fatti collidere tra loro. Per strada c’erano cadaveri ovunque, ma anche persone che correvano cercando di spegnere quelle fiamme che avevano intorno a loro, tutto questo agli occhi di Juro che, senza rispetto alcuno, sedeva su una pila di corpi senza vita, che perdevano sangue a fiumi, ed erano quasi tutti carbonizzati. Senza la luce del sole, sembrava un teatro apocalittico, da cui nessuno sarebbe uscito vivo. Il giovane, che ancora rideva della strage che aveva fatto, prese una sigaretta dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni e, allungandosi verso un corpo che ancora andava a fuoco, si abbassò e la accese.

-Ho trovato quello che stavamo cercando!- riferì, dopo aver cacciato il fumo dal naso, passandosi un dito sulla guancia, pronto a raccontare tutto ciò che sapeva, ma ancor più esaltato dal fatto che, a momenti, sarebbero arrivati la polizia, i vigili e i mass media.
 
Nel frattempo Aaron era tornato a casa, si era chiuso nella sua stanza senza mangiare, eccitato più che mai da ciò che era successo ore prima, non facendo nemmeno caso a tutte le sirene che tempestavano la città. Sedutosi a gambe incrociate sul suo letto, rifletté su come avesse fatto a distruggere la mano di quel ragazzo, e comprese come serva un sentimento forte per azionare il meccanismo di disintegrazione dei corpi sui quali presta la sua attenzione. Ripercorse ogni attimo di quei momenti, focalizzandosi su ciò che aveva visto nella sua mente prima di attaccare, sperando di trovare un modo alternativo per attivare i poteri, giacché non avesse la ben che minima voglia di ripensare a quell’incidente che aveva innescato la reazione.

-Aaah, che strazio, devo riuscirci a ogni costo-

Disse, iniziando a fare svariate prove. I sentimenti che doveva provare li conosceva, così come i suoi obbiettivi, ma c’era dentro di lui una vocina che, come un tormento, continuava ad avere un timore; timore che, a lungo andare, avrebbe chiesto sempre più potere, entrando in un circolo vizioso da cui non sarebbe riuscito ad uscire. Fortunatamente il ragazzo era conscio di questa cosa, e si ripromise che avrebbe badato a ciò che faceva, avendo ormai trovato il modo per attuare il suo piano. Sicuro ormai di aver trovato un’alternativa per l’attivazione, si compiacque che una mosca entrò dalla finestra di fianco al letto, la fissò e senza indugiare la utilizzò come cavia, si concentrò su di essa e, utilizzando il nuovo sistema, chiuse l’occhio destro e vide la mosca librarsi in aria mentre ogni pezzo del suo minuscolo corpo si frammentava in infiniti altri pezzetti.

-Perfetto!- gridò il giovane, digrignando ancora, con gli occhi vuoti e completamente neri.


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Anche questo capitolo è concluso, come vi pare stia procedendo la storira? continuate a seguirla che i climax narrativi non tarderanno ad arrivare ;)

   
 
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