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Autore: avalon9    09/02/2007    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti

Ciao a tutti!

Finalmente, ho finito gli esami della sezione invernale e per un mesetto-un mesetto e mezzo posso starmene tranquilla. Certo, ne ho già altri quattro da preparare, ma dovrei anche avere il tempo di scrivere qualcosina e andare avanti con la storia che, secondo le mie previsioni, per la prima parte, non dovrebbe superare i cinquanta capitoli.

 

Bene, avevamo lasciato Alessandra con Inuyasha e con una richiesta di aiuto. Cosa avrà deciso il nostro amico? E come reagirà Sesshomaru?

 

Fatemi sapere cosa ne pensate! E grazie infinite a chi legge e commenta, ma anche a chi legge soltanto.

 

 

 

CAPITOLO 33

FRATELLI

 

 

Rabbia. Odio. Disprezzo.

Il volto di Sesshomaru era fisso in un’espressione altera e sprezzate. Furiosa. Anche se nemmeno un muscolo faceva trapelare il ribollire del suo sangue nelle vene. La voglia di scattare e uccidere. Cancellare quell’errore. Definitivamente.

 

Inuyasha provò un fremito, quando lo guardò. Era così calmo. Da quando era entrato nel suo studio non aveva ancora detto una parola. Prima, si era irrigidito per la sorpresa. Naturale del resto. Nessuno lo aveva convocato. E lui non aveva mai visto quel palazzo, quello di suo padre. Non avrebbe neppure dovuto sapere della sua esistenza, e fino al giorno prima lo ignorava completamente. Eppure, adesso era di fronte al fratello, in piedi. A separarli, solo un basso tavolino di lacca. E Alessandra.

 

Aveva accettato. Era partito con lei per provare ad aiutare il fratello. Forse per curiosità anche. Perché davvero non riusciva a capacitarsi del motivo per cui il demone avesse bisogno di un compagno di allenamento. La ragazza era stata molto vaga circa le motivazioni. Gli aveva detto che lo avrebbe capito da solo, al momento opportuno. Frasi sibilline. Ambigue. Ma non inganni. L’hanyou era certo che non si stesse dirigendo in una trappola.

 

Era stato sincero anche lui. Ci avrebbe provato, ma non era sicuro che Sesshomaru lo avrebbe accettato. Probabilmente, quello si sarebbe rivelato un viaggio a vuoto. Non si facesse illusioni. L’odio reciproco era troppo antico per poter essere cancellato in un attimo. Anche se lui, in realtà, aveva sempre e solo ammirato il fratello. Invidiato. Ma mai odiato davvero. Sesshomaru, invece…ne era certo: lo avrebbe ucciso appena avesse potuto.

 

“Cosa significa?”

 

Sesshomaru si alzò lentamente in piedi. Non accettava l’idea di dover alzare la testa verso il fratellastro. Un’umiliazione cui non si sarebbe mai sottoposto. Ma più di tutto lo infastidiva il fatto che fosse lì, nella casa di suo padre. Nella sua casa. E che ce lo avesse portato Alessandra. Dimostrando una capacità di azione e decisione che avrebbe potuto definitivamente comprometterla a corte. Già era sopportata per sola paura dell’inuyoukai; se si fosse sparsa la voce che aveva invitato il bastardo, sarebbe stata in grave pericolo.

 

No. Non era solo quello. Sesshomaru non riusciva ad accettare il fatto che fosse quella l’unica soluzione possibile. La conosceva anche lui, ma si era cocciutamente rifiutato di accettarla. Sarebbe significato rivedere tutte le sue convinzioni, tutto se stesso. E in più gli faceva male il pensiero che la ragazza fosse uscita da palazzo a sua insaputa. Gli faceva male la preoccupazione che gli era esplosa dentro all’improvviso. Per due giorni lo avevano ingannato bene. Raggirato come uno sciocco. Intollerabile. Gli avevano detto che non stava molto bene, ma nulla di grave. Aveva solo bisogno di riposare. Non aveva voluto disturbarla. Anche perché era stato molto impegnato. E adesso si pentiva di non aver voluto controllare di persona.

 

Alessandra continuava a fissarlo. Possibile che davvero non sopportasse il fratello? Non riusciva a crederlo. Ma non capiva la fortuna che aveva, ad averlo lì, a poter contare su di lui? Niente, invece. Sesshomaru la fissava col gelo negli occhi spenti. Era davvero arrabbiato. Offeso. Perché lei si era presa una libertà che lo aveva ferito. Perché gli aveva portato davanti il frutto di un’umiliazione. Di un dolore che il Principe aveva solo accantonato. Mai medicato.

 

Inuyasha continuava a spostare lo sguardo dal fratello alla ragazza. Non aveva mai visto nessun essere umano fronteggiare suo fratello in quel modo. Con autorità e sicurezza. Senza paura. In quel momento, lui aveva paura. Era nervoso e solleticava il saya, pronto a impugnare la katana ad un minimo accenno di pericolo. Sesshomaru avrebbe potuto attaccarlo in un qualsiasi momento. La ragazza, invece, era perfettamente tranquilla. E continuava a sfidarlo con lo sguardo. Doveva essere molto coraggiosa, o pazza. Fino a che punto il demone avrebbe sopportato quel comportamento?

 

“Cosa significa?” ripetè Sesshomaru con un tono leggermente più alto. Nella sua voce si coglieva una punta di nervosismo. Di rabbia. Voleva una risposta chiara. Perché lo aveva portato lì? Chi le aveva detto dell’esistenza di suo fratello? Lui non gliene aveva mai parlato. Lui non aveva mai parlato della sua famiglia.

 

“È la soluzione per gli allenamenti”

 

“Lui?”

 

Sesshomaru indicò con sufficienza l’hanyou, mentre sulle labbra gli si dipingeva un sorriso di scherno. Davvero credeva che si sarebbe abbassato a tanto? Non avrebbe mai accettato suo fratello come compagno negli allenamenti. Non avrebbe mai permesso che soggiornasse nel palazzo della sua famiglia. Non si sarebbe mai mostrato debole davanti a lui.

 

“È solo un patetico mezzo-demone. Indegno di ciò che ha ingiustamente ricevuto in eredità. Insignificante. Pensi davvero che sia alla mia altezza? Non è nulla. È solo un…”, fermò un istante la frase. “…bastardo”.

 

Assottigliò gli occhi, compiaciuto. Lo aveva umiliato di nuovo, davanti alla ragazza. Aveva sottolineato il suo essere spezzato a metà. La sua duplice natura che non gli permetteva nessuna collocazione definita. Che lo gettava in un limbo di vuoto e solitudine. S’immaginò la rabbia deformargli i lineamenti, incendiargli gli occhi. E godette al pensiero che si doveva trattenere. Che non lo poteva attaccare, se voleva uscir vivo da quelle mura. Era alla sua mercè. Esposto alle sue parole, ai suoi insulti. Alla sua spada.

 

Non potè vedere Inuyasha chinare la testa e nascondere gli occhi nell’ombra della frangia. Non potè vedere l’amarezza nei suoi lineamenti, il sorriso di autocommiserazione che gli increspò le labbra. Non vide il suo dolore, l’umiliazione di non essere nulla per lui. Solo un errore…un bastardo…ecco, cos’era…Qualcosa da eliminare, per non provare vergogna nei possibili paragoni.

 

Sesshomaru non lo vide, ma lo fece invece Alessandra. Le parole del demone l’avevano disgustata. Lo aveva offeso volutamente. Lo aveva deriso e denigrato per umiliarlo. Si era aspettata che il ragazzo reagisse, e invece lo aveva solo visto chinare la testa sul petto. Sconsolato. Annullato. Provò tanta tristezza per lui. Come si sarebbe sentita lei se Leone l’avesse trattata in quel modo? Cosa avrebbe provato? Era un sentimento che non aveva nome, un misto di disillusione, rancore, abbattimento…

 

Sentì la rabbia montare, mentre fissava l’youkai impassibile davanti a lei. Era compiaciuto del suo risultato. Gli sembrò odioso. In quel momento, non riusciva a ritrovare in lui nulla del ragazzo che amava. Era solo il demone. Accecato dalle sue convinzioni di razza. Dal suo delirio di potenza e superiorità. Ma non ce la fece più quando sentì di nuovo quella voce fredda e tagliente. Una spada nel cuore.

 

“Vattene. Non sopporto più il tuo fetore nauseante”. Sesshomaru si voltò verso una porta. Per lui, il colloquio era finito. Lo aveva cacciato. Lo aveva rifiutato. Non c’erano possibilità, speranze. Fra loro non ci sarebbe mai stato nessun rapporto. Inuyasha liberò un respiro profondo. Non avrebbe mai visto realizzato il suo sogno di bambino. E adesso, non avrebbe più neanche potuto tenere in piedi un’illusione.

 

Si girò. Voleva uscire da lì. Voleva prendere Kagome e andarsene. Dimenticare quell’incontro, quelle parole. Dimenticarsi di lui. Voleva tornare a Musashi. A casa. Lontano dal disprezzo. Dall’odio. Solo con la sua fragile incompletezza e la sua felicità costruita con fatica.

 

Ebbe appena il tempo di accennare il movimento, quando vide Alessandra attraversare la stanza per andare a fermare il demone. Lo afferrò per il braccio, trattenendolo e costringendolo a voltarsi verso di lei. La ragazza lo aveva raggiunto. E adesso lo fissava dura. Cocciuta. Senza paura. Inuyasha aprì e chiuse la mani, sentendo le dita scricchiolare. Teso. Era agitato e preoccupato. Per Alessandra. Cosa le era passato per la testa? Era già fortunata che l’youkai non le avesse detto niente. Perché adesso lo aveva afferrato in quel modo brusco?

 

Deglutì a vuoto. Si stavano fissando. Si studiavano. Come due avversari su un campo di battaglia. Dannazione, non avrebbe mai fatto in tempo. Se Sesshomaru si fosse spazientito, non avrebbe fatto in tempo a salvarla. A sottrarla alla mano mortale del fratello. Doveva avvicinarsi e portarla via. Doveva metterla al sicuro. Per ringraziarla della possibilità che gli aveva offerto. Perché non era giusto che lei ci andasse di mezzo.

 

Tuttavia, non riusciva a muoversi. Li guardava, comandando al suo corpo di camminare. Ma non rispondeva. Nessun muscolo gli obbediva. Poteva solo restare lì, immobile, muto spettatore di quel duello silenzioso. Isolato. Dimenticato.

 

Sesshomaru e Alessandra si dimenticarono la sua presenza. Concentrati solo su se stessi. L’youkai a cercare di cogliere le emozioni della ragazza, ad aspettare una sua parola, una spiegazione al suo gesto. Lei a fissare le sue iridi spente, a ricercare un segno della sua dolcezza, su quel viso di marmo. Freddo. Altero.

 

“Sei uno stupido!”

 

Sesshomaru assottigliò lo sguardo. Nessuno poteva permettersi di parlargli in quel modo. Neanche lei. Di insultarlo. Soprattutto, davanti a un bastardo com’era Inuyasha. Si liberò con uno strattone dalla mano della ragazza e si girò completamente verso di lei. Era imponente, alla luce infuocata del tramonto. Alto, teso, autoritario. In un altro frangente, le sarebbe parso dannatamente sensuale. Ma, in quel momento, la ragazza riusciva solo a percepire le tempie pulsarle selvaggiamente. Rabbia. Rabbia. Rabbia. Come non l’aveva mai provata verso di lui. Neanche delusione. Solo rabbia. Perché non voleva capire. Perché si ostinava.

 

Era arrabbiata con lui. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. Alessandra si sorprese spaventata, mentre cercava di trattenere il tremore furioso del corpo. Temeva le differenze che c’erano anche fra loro. Temeva di veder la fine di quel sentimento che li legava. Le sue paure e i suoi dubbi erano tornati. Prepotenti. Le martellavano nella mente. Lancinanti. Aveva disconosciuto suo fratello. Un fratellastro, va bene, ma con il suo stesso sangue. Eppure, non aveva esitato un attimo a insultarlo e cacciarlo.

 

Avrebbe fatto lo stesso con lei? Perchè fra loro nessuno aveva mai voluto affrontare quell’argomento. Qual era il nome del loro rapporto? Stavano assieme? Poteva considerarsi la sua fidanzata? Sesshomaru non le aveva mai chiarito cosa fosse per lui. Non le aveva mai fatto promesse. Non le aveva mai detto di amarla. Solo che era importante.

 

Ma cosa voleva dire, importante? Fino a che punto? Quanto un oggetto prezioso, o era di più? Non era un oggetto. Non lo sarebbe mai stato. Il demone era stato chiaro a quel riguardo. Ma avevano sempre ignorato quello che lei sarebbe stata dopo la guerra. Quando il suo ruolo di archiatra sarebbe stato superfluo. Si era ripromessa solo di vivere. Con lui. Senza porsi domande. Ma quelle domande non potava proprio ignorarle.

 

Era disposta anche a passare tutta la vita in quel palazzo, fra demoni che non la consideravano e la schernivano. Che la equiparavano a un insetto insignificante. Non le sarebbe importato nulla della loro invidia e del loro astio. Ma voleva essere sicura che per lui invece contava qualcosa. Che non era un’ombra nelle sue giornate. Voleva sapere se…l’amasse.

 

“Bada”. Sussurrò con voce bassa e tagliente. “Sesshomaru non permette a nessun ningen di parlargli in questo modo”

 

“Allora sarò io il primo a farlo” sibilò Alessandra di rimando, avanzando di un passo.

 

Inuyasha, visibilmente sorpreso del cambiamento della ragazza, si spostò di lato per riuscire a vederle il viso. Una maschera di cera. Fredda. Gli occhi bui e taglienti. Magnetici, ma inquietanti. Un mare oscuro in cui affogare. Naufragare senza salvezza. Ne fu impressionato. Molto. Quella ragazza fragile, quella ragazza umana, stava sfidando suo fratello con un menefreghismo folle. Sembrava che il viso impassibile del demone trovasse in lei lo specchio della sua espressione.

 

Alessandra aveva dovuto alzare un po’ la testa per poter continuare a fissarlo. Non le era proprio piaciuto come l’aveva chiamata: ningen. Sì, era una ningen. Un essere umano. Che male c’era, in fondo? Si credeva superiore perché aveva i sensi più sottili e un aspetto etereo? Se le differenze si basavano su quello, allora era un superficiale. Un illuso.

 

“Vedi di smetterla. Queste non sono cose che ti riguardino”. Erano emerse l’aggressività e la strafottenza che caratterizzavano le sue reazioni nei momenti di eccessiva tensione. Sesshomaru non si lasciava travolgere quasi mai dagli eventi e non abbandonava la sua singolare eloquenza, espressiva e penetrante, anche se lo tradiva la sfumatura glaciale e seccata della sua voce. Però, in quel momento, riusciva solo a pensare a quello che era. Al ruolo che ricopriva e che la ragazza stava mettendo in discussione. Si stava intromettendo nel suo passato. Nella sua vita segreta e dolorosa.

 

“Non mi riguardano?! Hai davvero un’alta considerazione di me, se lo pensi davvero!”. Alessandra aveva ricevuto in pieno viso quella frase. Con la forza di uno schiaffo. Probabilmente, se davvero l’avesse colpita, le avrebbe fatto meno male. Invece, l’aveva trafitta con le parole. Dure. Pungenti. Affilate. Lame.

 

Non era nulla per lui. Nulla! Era importante, ma per cosa? Per cosa?! Per le sue labbra, forse. O per il suo corpo. No. Non lo voleva credere. Glielo aveva detto: le aveva detto che non era la sua amante. In un istante, le ritornarono alla mente le settimane trascorse. Gli incontri clandestini, le carezze e i baci rubati con la paura di essere scoperti. Lei che si alza prima dell’alba, scivolando fuori dalle sue braccia, per raggiungere la sua stanza prima che Jacken o un attendente si rechi dal Principe.

 

Non era la sua amante, eppure perché in quel momento si vergognò di avergli ceduto? Di aver dormito con lui? Non si era mai pentita della sua scelta. Perché credeva che lui le volesse bene. Che prima o dopo avrebbero trovato il modo per poter camminare alla luce del sole. Invece, adesso, nella sua mente si insinuava il dubbio che non fosse la corte il nemico da affrontare. Ma lui. Con le sue convinzioni. Con la sua testardaggine.

 

Non era la corte a non volerla, era Sesshomaru ad essere incapace di accettare per lei un ruolo diversi da quello di una presenza indefinita al suo fianco. Si era adagiato nell’incerto, lasciando tutto irrisolto. Fornendole spiegazioni false. Mendaci. Solo per non affrontare se stesso.

 

“Cosa sono per te?...”. Un sussurro impercettibile, ma che giunse alle orecchie del demone. Sesshomaru però lo ignorò. In quel momento, la sua rabbia era ancor troppo grande. Per l’umiliazione. Perché gli aveva risposto a quel modo davanti a suo fratello.

 

“Ritirati adesso. Ci vedremo dopo”

 

Alessandra raddrizzò le spalle. Non era ai suoi ordini. Non gli apparteneva. Lei sola decideva per sé. E in quel momento, nonostante tutto quello che le gravava sul cuore, un solo pensiero le attraversava la mente. Convincerlo. Perché di Inuyasha aveva bisogno. Doveva allenarsi, per riuscire a sopravvivere. Per vincere la sua cecità. L’ultima cosa: convincerlo. Perché, anche se lei poteva non valere nulla, lui era troppo importante. E all’idea che fosse esposto alla morte non poteva evitare di sentirsi angosciata. Nonostante il modo in cui l’aveva trattata.

 

“No! Io non ma ne vado finchè non mi spieghi come pensi di risolvere la questione”

 

“Come è stato fatto finora”

 

“Koga non potrà muoversi per almeno una settimana ancora!”. Aveva alzato la voce. Per la prima volta, la sentiva urlare, con la forza della disperazione e un’intonazione roca e agitata.

 

“Smettila di urlare”. Alessandra si accorse solo in quel momento di aver gridato. Non lo faceva quasi mai. E con lui non lo aveva mai fatto. Aveva sempre trovato nella calma la sua forza. L’arma migliore per affrontarlo e stupirlo. Invece, adesso si era lasciata travolgere dalla paura.

 

“Se servirà una settimana, aspetterò”

 

“Ma non vuoi capire?! Ogni giorno perso equivale a un suicidio! Cosa ti impedisce di accettare il suo aiuto? Cosa?!”

 

Sesshomaru si allontanò da lei. Sentiva la rabbia pronta a esplodere. Ma istintivamente si era ritratto. Per evitare di farle del male. Per cercare di dominare una reazione che lo avrebbe portato a colpirla. A ferirla. Senza volerlo. Solo per rabbia. Per farla tacere. Per non dover sentire quelle domande che lo costringevano a cercare delle risposte che non voleva più ascoltare.

 

“Sesshomaru! Rispondimi!”. Lo afferrò per le spalle e lo scosse con disperazione.

 

“È solo un bastardo”

 

“È tuo fratello!” ribattè stringendo ancora di più la veste del suo kimono. Non capiva il motivo di quella ostinazione. Di quell’insensato rifiuto.

 

“Un fratello che vorrei morto!”

 

Sentì la presa allentarsi si colpo e la ragazza allontanarsi da lui. Aspettava una risposta che non venne. Ci mise un attimo a capire il motivo di quel silenzio. Le sue parole…Quello che aveva detto. Come aveva potuto farlo? Quelle parole…dovevano averla ferita. Lei…suo fratello…lo aveva perso. E gli voleva bene. Solo in quell’istante realizzò le drammatiche conseguenze di quelle parole che gli erano sfuggite. La verità, ma che probabilmente la ragazza non avrebbe mai accettato. Non lo avrebbe più accettato. Non lo avrebbe più voluto. Solo odiato. Per quello che aveva detto.

 

La sentì allontanarsi, sconvolta. Incredula. Percepì il suo odore confuso con quello dell’hanyou. Se ne stava andando. Con lui. Lasciando un sussurro a riempire il buio della sua mente.

 

“Ti auguro che non accada mai. Anche se te lo meriteresti. Perché quello che si prova è straziante”

 

*****

 

Sistemò un nuovo hoari nel bagaglio, e poi si voltò verso il futon. Rin si era addormentata, finalmente. Accanto a lei, un batuffolo bianco sonnecchiava, muovendo di quando in quando le orecchie a captare qualche rumore sospetto. Alzava il musetto a controllare e poi si risistemava accanto alla sua padroncina.

 

Alessandra coprì la bimba e la sfiorò con una carezza. Per quella sera, le avrebbe lasciato il suo letto. Tanto lei, di dormire, non ne aveva voglia. Si alzò per prendere una coperta da infilare nello zaino di Kagome. La strada per tornare a Musashi sarebbe stata lunga, e l’inverno era ormai al suo culmine. La ragazza avrebbe sofferto il freddo, durante la notte. Anche se Inuyasha, probabilmente, l’avrebbe scaldata tenendola stretta a sé, voleva cercar di rendere il loro ritorno il più agevole possibile. In fondo, se si erano spinti così lontani, era stato per colpa sua.

 

Avrebbero dovuto percorrere un territorio molto vasto. Avrebbero fatto quella stessa strada che lei aveva compiuto con il demone. Si abbracciò istintivamente le spalle. Era bello quando erano ancora lontani dal palazzo. Quando erano solo loro due, senza nomi né impegni. Quando Sesshomaru l’aiutava a salire sugli alberi e la teneva stretta a sé, mentre aspettavano l’alba. Quando lui era solo un ragazzo. Quello che l’aveva accarezzata, che le aveva dato il suo primo bacio, con cui aveva dormito. Allora non c’erano paure se non quelle dettate dal loro imbarazzo, dalla loro innocenza. Allora, non c’era niente. Solo loro due.

 

“Stai bene?”

 

Alessandra trasalì nel sentirsi toccare la spalla. Kagome le si era seduta accanto, un po’ preoccupata. L’aveva chiamata tre volte, ma non aveva risposto. Restava lì immobile, persa nei suoi pensieri. L’aveva sfiorata, ma ancora non rispondeva. Alla fine, le aveva scosso la spalla.

 

Alessandra alzò su di lei gli occhi tristi. La luce della candela sfumò nel buio di quello sguardo. Tremò e si contorse. Ne era come inghiottita. Ma comunque le sorrise rassicurante. Stava bene. Aveva solo avuto un momento di debolezza. Di sconforto.

 

Kagome le prese di mano la coperta, e la sistemò nello zaino. Sembrava pronto a scoppiare. Forse aveva esagerato. Ma in fondo, meglio essere prudenti. Alessandra rubò un biscotto dal tavolino e gettò un’occhiata alla torre, oltre la veranda. La luce dello studio era accesa: Sesshomaru era ancora sveglio. Sospirò, passandosi una mano nei capelli. Non era più arrabbiata con lui. Solo delusa. Mortalmente affranta. Non sapeva se sarebbe ancora riuscita a guardarlo come prima. Rischiava di ritrovarsi ad analizzare ogni suo gesto, ogni sua parola.

 

“Hai un’altra coperta?”

 

Il sussurro di Inuyasha la fece voltare verso l’interno della stanza. Kagome si era addormentata appoggiata al ragazzo. Era davvero stanchissima. Le avevano raccontato del colloquio, degli insulti e delle parole sprezzanti. Era stata tentata di andare dall’youkai e scaricare su di lui tutta la sua rabbia. Ma chi si credeva di essere? Solo perché era un demone completo si considerava superiore al fratello?

 

È facile ritenersi migliori quando la vita ti ha offerto sempre tutto su un piatto d’argento. Quando non hai mai dovuto lottare, per conquistarti qualcosa. Per affermare quello che sei. Sesshomaru aveva sempre trovato tutto pronto, mentre Inuyasha aveva dovuto farsi strada nella vita con le unghie e con i denti. Ricacciando indietro umiliazioni e angherie. Alzando la testa anche quando la voglia di piangere è un nodo alla gola che ti impedisce di respirare.

 

E nonostante quello che le avevano detto, del modo in cui Alessandra era stata trattata e di come avevano litigato, la ragazza aveva rifiutato il loro invito. Aveva scosso la testa e sorriso malinconica. Voleva restare. Almeno, ancora per un po’.

 

Alessandra estrasse dall’armadio un futon e l’hanyou vi adagiò la ragazza, facendo attenzione a non svegliarla. Le sfiorò il viso con una carezza gentile e le diede un bacio sulla fronte. Kagome mugolò qualcosa di incomprensibile, ma le sue labbra si atteggiarono in un sorriso. La contemplò ancora un attimo, e poi raggiunse Alessandra sulla veranda.

 

“Non hai freddo?”

 

La ragazza scosse le spalle. Sì. Aveva freddo. Ma non era un freddo normale. Le veniva da dentro. Dalla mancanza di lui. Da quello che le aveva detto. Invitò il ragazzo a sedersi e tornò a concentrarsi sul primo spicchio di luna. Forse anche lei era destinata a vivere la storia della signora d’argento. Amare qualcuno d’irraggiungibile. Perché loro appartenevano a due modi troppo diversi. Avevano educazioni diverse e convinzioni differenti. Eppure…eppure erano sempre stati capaci di capirsi. Avevano instaurato fra loro una complicità silenziosa e intrigante. Un coinvolgimento suadente.

 

In fumo. Era davvero andato tutto in fumo? Scosse la testa e si voltò verso il suo ospite. Di profilo, nella penombra della candela, assomigliava molto al fratello. Se non fosse stato per le orecchie canine e lo sguardo caldo, avrebbe davvero potuto illudersi che ci fosse Sesshomaru con lei. Inuyasha si accorse dello sguardo smarrito della ragazza e si voltò interrogativo verso di lei. Lo fissava in un modo strano. Malinconico.

 

“Che hai?”

 

“Scusami” Alessandra abbassò il viso.”Non avrei dovuto insistere. Se sei stato insultato, la colpa è mia”

 

“Non dire sciocchezze!”. Il ragazzo l’aveva interrotta bruscamente, sviando il suo sguardo subito dopo. Non doveva essere abituato a ricevere delle scuse. Lo mettevano in imbarazzo. Alessandra si sorprese della sua reazione e dopo un attimo lui continuò in modo più conciliante.

 

“Tu non hai colpe. E poi, sono abituato alle offese di Sesshomaru. Non ti preoccupare. Non è la prima volta che mi rinfaccia di essere un bastardo, né sarà l’ultima. Ho sopportato di peggio”

 

Alessandra si cinse le gambe e non commentò. Avrebbe voluto consolarlo, rassicurarlo. Cambiare discorso per distrarlo. Ma lei non era brava in quello. Non sarebbe mai stata in grado di consolarlo come aveva fatto Kagome alcune ore prima. Era riuscita a dissipare tutte le rughe dalla sua fronte e a cancellare la malinconia dai suoi occhi. Lei, invece, quando si trovava in situazioni del genere, non sapeva mai come comportarsi. Aveva paura di peggiorare le cose. E allora se ne stava zitta. In disparte. La tacciavano di superficialità, di cinismo e indifferenza. In realtà, la sua sensibilità la spingeva a restare accanto a che fosse triste per offrigli il suo aiuto. Ma non con le parole, che spesso sono vuote e false. Con la sua presenza.

 

“Sei sicura di voler restare qui?”

 

Annuì. Non lo sapeva spigare bene neanche lei, ma non aveva la forza di lasciare il demone. Nonostante quello che le aveva detto. Non se ne sarebbe mai andata, almeno non prima di aver chiarito con lui tutte le domande che le ronzavano in testa. Ed erano tante. Sarebbe rimasta con Sesshomaru. Anche perché aveva preso un impegno. Era l’archiatra di corte. Finchè il fantasma della guerra non si fosse dissolto, lei non se ne sarebbe andata. Ma anche non gli avrebbe più ceduto. Non prima di aver ottenuto delle risposte. Vere. Esaurienti. Autentiche.

 

“Perché? Hai visto come ti ha trattata, no? Per lui, tutto ciò che non ha un’aura demoniaca al suo livello vale meno di un verme. Perché vuoi restr qui a farti umiliare?”

 

Non riusciva capire la testardaggine di quella ragazza. Quando le aveva sentito addosso l’odore del fratello, lo aveva sfiorato il dubbio che fosse la sua amante. Anche Rin odorava di demone, ma in modo diverso. Meno penetrante. Alessandra, invece, ne era rivestita come un velo invisibile. E perché fosse accaduto doveva essere stata molto tempo e molto a lungo vicina al demone. Ma poi, dopo aver visto come l’aveva trattata quella sera, si era dovuto ricredere. L’odore era dovuto al fatto che, come medico, forse lo aveva curato alcune volte. Nulla di più.

 

La ragazza lo guardò e poi fissò la torre con gli appartamenti dell’youkai. Perché voleva restare? Facile. Perché lo amava. Perché stare lontano da lui significava perdere ciò che le aveva ridato la vita. Equivaleva a riprecipitare nel buio della depressione. Dell’inganno disilluso. Lei lo sapeva, ma non poteva dirglielo. Non poteva esprimergli quello che provava per Sesshomaru. Forse l’avrebbe derisa o forse solo avrebbe creduto ad una scusa. Mentì. Aggrappandosi a quella bugia che il demone aveva costruito per lei. Alla loro protezione ingannevole.

 

“Ho preso un impegno”.

 

*****

 

§§

 

Appena rientrò a palazzo, gli fu comunicato che un alcuni subordinati di suo padre chiedevano di poterlo incontrare: ragioni di stato della massima importanza. Sbuffò in modo impercettibile. Suo padre gli aveva lasciato un compito ingrato. Avrebbe mille volte preferito andare con lui in battaglia, invece di restare a palazzo.

 

Ma Inutaisho era stato categorico. Lo aveva fatto chiamare nel suo studio e lo aveva fissato serio negli occhi. Suo figlio stava crescendo: bello, fiero, autoritario. Adulto. Troppo adulto, per la sua età ancora giovane. Non si abbandonava mai ad uno scherzo, ad un sorriso. Sembrava che fosse stato estratto dal ghiaccio: ammaliatore, ma freddo.

 

E adesso, una responsabilità enorme su spalle ancora fragili. Un compito gravoso per un ragazzo così giovane. Ma aveva bisogno di essere sicuro, nella sua casa. Di lasciarsi dietro qualcuno di fidato. Della sua vecchia cerchia, Morigawa era ormai solo un ricordo e Hidoshi purtroppo era morto già da tempo. Restava solo Kumamoto, ma lui doveva seguirlo in battaglia. Quindi non c’erano altre possibilità. Aveva affidato al figlio il sigillo della casata. Lo aveva investito del compito di rappresentarlo, ogni suo atto sarebbe equivalso alla sua parola.

 

Sesshomaru lo aveva fissato con una punta di delusione negli occhi d’ambra. Avrebbe preferito una nomina nell’esercito. Inutaisho, allora, gli aveva poggiato un mano sulla spalla. Un contatto, dopo tanto tempo. Uno dei pochi che riusciva a strappare al figlio. Capiva perfettamente il suo stato d’animo.

 

“Quel sigillo è segno di una delle più alte dignità al mondo e il portarlo comporta capacità ben maggiori di quelle di un guerriero. È qui, nel palazzo, che imparerai ad essere un Principe, non sul campo di battaglia. È la politica la professione di un sovrano, non l’uso della lancia e della spada”.

 

Quelle parole gli risuonarono in testa, mentre lasciava le sue stanze e si dirigeva verso la sala delle udienze. Chissà cosa avevano da dirgli di tanto importante, da non aspettare nemmeno il giorno e non lasciarlo riposare.

 

Entrò nella grande sala illuminata da lucerne d’oro cesellato e con colonne lignee rivestite di corallo e avorio. Raggiunse la piattaforma rialzata e sedette al suo posto. Non si sarebbe mai seduto al posto del padre. Non ancora. E in cuor suo sperò che quel giorno non arrivasse mai.

 

Ad un suo cenno, il più anziano dei dignitari gli si avvicinò e si inginocchiò davanti a lui. La freddezza degli occhi del principino era tale da scoraggiare chiunque. Era ancora giovanissimo, eppure si mostrava degno del padre. E forse migliore di lui.

 

“Mio signore…Perdoni la nostra impudenza…ma è cosa importante è…”

 

“Non tergiversare”. Voce fredda e tagliente. Gli stavano solo facendo perder tempo. E lui non era proprio nelle condizioni di spirito ideali per sentire le loro sciocche preoccupazioni e i loro insulsi battibecchi.

 

“Vostro padre ha un’amante”

 

Sesshomaru sorrise. Un sorriso impercettibile. Di scherno. Nel vedere il dignitario spiare impaziente la sua reazione. Non sapeva nulla, di un’amante. Ma non ne avrebbe certo fatto una tragedia. Lui era cresciuto ormai, e suo padre aveva tutti i diritti di cercare qualcuno che lo compiacesse.

 

“Mio padre è vedovo da molti anni. Se ha voluto un’amante, non posso certo biasimarlo”

 

Il dignitario alzò il viso. Sembrava sorpreso. E molto preoccupato. E Sesshomaru non ne capiva la ragione.

 

“È diverso, signore. Vostro padre si è innamorato di una principessa. Di una ningen”

 

Provò un moto di ribrezzo. Una ningen. Ma, in fondo, forse era meglio così. Non poteva che significare che era alla ricerca di un semplice divertimento. Una ningen richiede meno attenzioni di una yasha. Nessun riguardo.

 

“Non vedo differenze. Anzi, ritengo proprio che il fatto che abbia scelto una ningen denoti solo che cerca un’avventura”

 

“Vi dico che è diverso!” insistette il demone, con una sfrontatezza che lo fece tremare, perché il giovane Principe non perdonava chi gli avesse recato in alcun modo offesa. Come stava facendo lui, contraddicendolo. “È innamorato, ha perso la testa. È come quando…” fece un breve respiro “…come quando viveva ancora vostra madre”

 

Sesshomaru cominciò a sentirsi agitato. Suo padre…suo padre innamorato. Infatuato di un’umana. Di una stupida ningen. No. Non poteva essere vero. Doveva essere un trucco. Una trappola ordita apposta. Avevano detto che era una principessa…Forse sperava di ottenere un qualche vantaggio per i suoi possedimenti.

 

Sì. Doveva essere così. Suo padre si stava fingendo innamorato perché la voleva usare per arrivare ai suoi territori. E in più si sarebbe concesso un’avventura. Tutto calcolato. Certo. Perfetto. Ma la sua sicurezza svanì appena il cortigiano riprese a parlare.

 

“L’umana è incinta, e noi temiamo che la voglia sposare”

 

“Sono solo vostre supposizioni”. Voce ferma, ma dentro un campanello d’allarme suonò. Avvisaglia di un sospetto che non voleva accettare. Era incinta…E allora perché era ancora viva? Perché suo padre non l’aveva uccisa, cancellando la possibilità di un figlio di sangue misto? Di una macchia nella loro stirpe pura?

 

“Supponiamo che la ragazza partorisca un maschio…”

 

Sesshomaru ammutolì, agitato da un turbamento improvviso. “Spiegati chiaramente. Dì quello che pensi: chi ci ascolta condivide le tue parole”

 

“Supponiamo, dunque, che il Principe voglia davvero sposarla. Noi non potremmo opporci, è troppo potente. Ma quella femmina comprometterebbe la nostra stirpe pura e suo figlio potrebbe essere nominato Principe come voi. Potrebbe, anche, divenire lui l’erede legittimo, e voi il bastardo, il figlio della precedente sposa”

 

Sesshomaru non ci voleva credere. Suo padre gli voleva bene. Si era sempre impegnato perché fosse fiero di lui e lo aveva educato per essere un Principe. Non aveva senso quel discorso. Non poteva averlo.

 

“Non succederà mai”

 

“Voi non capite. Una ragazza bella e ardente può sconvolgere completamente la mente di un uomo maturo, e un bambino appena nato attirerà tutte le sue attenzioni, perché lo farà sentire giovane, riportando indietro il tempo che scorre inesorabile anche per noi demoni”.

 

Sesshomaru non sapeva cosa rispondere, ma si vedeva che quelle parole lo avevano profondamente turbato. Si passò una mano sugli occhi. Doveva fidarsi di quei demoni? Doveva credere alle loro parole spesso ingannevoli?

 

“Cosa dovrei fare, secondo voi?”

 

“Siete l’erede. Voi ora avete il sigillo e il potere, in questo momento”

 

“Cosa intendi?”

 

“Per voi, ora, sarebbe facile eliminare il problema. Anche fino alla radice. Basterebbe pagare qualcuno”

 

Sesshomaru rabbrividì. Gli stavano proponendo di ordire un omicidio. Un agguato mortale ai danni di quella ningen e del frutto di un errore. Gli stavano proponendo di eliminare anche suo padre, se aveva capito bene le loro allusioni. Ne fu disgustato. Non per la donna umana. Lei avrebbe potuto essere eliminata in ogni istante. Ma per suo padre. Perché non riusciva a credere che potesse lasciarsi irretire da un essere inferiore. Che non avesse calcolato tutto. Che davvero volesse un altro figlio. Anche un hanyou. Che non fosse soddisfatto di lui.

 

Si alzò senza degnargli di una risposta e uscì dalla sala. Avrebbe parlato con suo padre. Direttamente. Avrebbe chiesto a lui spiegazioni. Sperando di sentirsi dire una parola diversa dalla realtà prospettata.

 

§§

 

*****

 

Cieco.

Sesshomaru era cieco. Ecco spiegato il motivo per cui necessitava di aiuto. Non se ne era accorto, la sera prima. Non si era avvicinato al fratello abbastanza, e poi lui aveva atteggiato ogni suo movimento alla naturalezza. Lo aveva ingannato.

 

Ora, però, lo stava fissando nelle iridi d’oro opaco. A poca distanza dal suo viso. Gli occhi dell’youkai leggermente dilatati per la sorpresa. Per lo stupore. E anche lui era stupito. Incredulo. Ansimava. Quasi addosso a lui. Se non fosse stato per la presa che esercitava sull’elsa, probabilmente gli sarebbe rovinato addosso.

 

Continuava a fissarlo. Adesso, la sensazione di pericolo era esplosa nella sua testa. Ecco cosa Alessandra non aveva voluto dirgli. Le parole ambigue, le frasi sibilline…tutto assumeva contorni chiari e definiti. Spiegazioni. Anche la frase della ragazza, prima che iniziassero a combattere.

 

Si erano alzati all’alba, per ripartire evitando di dover incrociare qualche cortigiano. Inuyasha non aveva voglia neanche di vedere Koga. Eppure, avrebbe dovuto andare a ringraziarlo, perché, facendo il suo nome ad Alessandra, lo aveva indirettamente riconosciuto come una persona molto forte. Più di lui. Aveva cacciato quel pensiero. Non se la sentiva proprio di dover spiegare all’ookami i motivi della sua partenza. Non in quel momento.

 

Voleva solo tornare a Musashi. Con Kagome. La ragazza aveva messo in spalla il suo zaino e aveva di nuovo cercato di convincere Alessandra a seguirli. Le sembrava incredibile che preferisse restar lì. Che senso aveva, se nulla la legava a quel luogo? Non avrebbe preferito, invece, tornare nel presente? Alessandra aveva scosso la testa. Lei lì non aveva più nulla, solo ipocrisia. Che senso aveva quindi, ritornare? La credessero pure morta suicida. Non le importava.

 

Kagome proprio non capiva: anche in quel palazzo era circondata dall’ipocrisia e dal disprezzo. C’erano Rin, Koga e Ayame, d’accordo, ma lei non credeva che fosse quello un motivo sufficiente. Tanto più che la persona di cui era medico era un demone freddo e insensibile, distaccato. Almeno fosse stato gentile con lei. E invece niente. L’aveva umiliata.

 

Alla fine, aveva dovuto desistere, ma era riuscita comunque a strappare alla ragazza la promessa che, se non si fosse trovata bene, se non avesse più sopportato quel luogo, li avrebbe raggiunti. Loro erano disposti a proteggerla, ad allontanarla dal demone. Non doveva temere una vendetta o per la sua vita. Loro non avrebbero permesso che Sesshomaru le facesse del male.

 

Stavano per incamminarsi, quando una voce li aveva fermati. Dal palazzo, si era avvicinata lentamente una persona. Kagome non aveva capito subito di chi si trattasse, ma Inuyasha invece sì. Lo aveva capito dall’odore. E la cosa non gli piaceva.

 

Sesshomaru li aveva raggiunti. In mano, stringeva la sua spada. Tokijin. Un riverbero sinistro alla prima luce del giorno. Aveva un’espressione fredda e dannatamente determinata. Vogliosa di combattere.

 

“Se vuoi andartene, allora dovrai sconfiggermi”

 

Lo sapeva. Lo sapeva. Suo fratello non avrebbe perso l’occasione di sfidarlo. Di batterlo. Nella sua casa. Nel suo palazzo. Avrebbe trionfato di nuovo; lo avrebbe sconfitto e umiliato. Lo avrebbe ucciso. E Kagome sarebbe stata persa. No. Non poteva lasciarsi sconfiggere. Anche se di combattere non aveva nessuna voglia. Era stufo di farlo. Contro di lui. Perché non lo lasciava in pace? Perché?!

 

Aveva snudato Tessaiga contro voglia e aveva detto alle ragazze di allontanarsi. Kagome aveva subito obbedito al suo invito, ma Alessandra invece non si era mossa. Continuava a fissare l’youkai. A scrutarlo come se volesse leggere nella sua anima. Era vestito con un semplice komon nero con motivi d’oro. Non era in tenuta da combattimento. Come se la decisione di combattere lo avesse colto all’improvviso. Facendolo uscire dalle sue stanze senza neanche curarsi di smettere l’abbigliamento informale.

 

Avrebbe voluto chiedergli spiegazioni. Sapere il perché di quello scontro. Ma lui si era limitato a gettarle un’occhiata distratta e poi si era concentrato nuovamente sul fratellastro. Non gli aveva mai visto uno sguardo simile. Non era quello di quando voleva uccidere. Di quando si allenavano o combatteva realmente. C’era l’ombra del dubbio in quelle sfumature opache. E Alessandra ne fu sorpresa.

 

Alla fine, si era allontanata. Sussurrando all’orecchio di Inuyasha una preghiera. Quella di non affrontarlo con tutta la sua forza, se non fosse stato strettamente necessario. Quella di evitare un attacco frontale che avrebbe potuto essergli fatale. L’hanyou aveva acconsentito con un cenno del capo, ma senza capire il perché della richiesta. Se non ci stava attento, era lui quello che rischiava di non uscirne illeso. Altro che andarci per il sottile.

 

Adesso, sapeva. Tutto tornava. Alessandra gli aveva fatto quella richiesta perché era a conoscenza della cecità del demone. E perché non voleva che si uccidessero. Che lui lo uccidesse. Continuava a fissare l’ambra opaca del fratello. A spiare le sue reazioni. Sembrava non ricordarsi nemmeno di averlo davanti.

 

Il viso si Sesshomaru si rifletteva sulla lama di Tessaiga. Gli aveva sfiorato il volto, producendogli un sottile taglio sulla guancia e conficcandosi nel muro di cinta dietro di lui. Se suo fratello non avesse calibrato male l’attacco, lui, in quel momento, non sarebbe più vivo. Un rivolo di sudore gli percorse il viso. Ancora non riusciva crederci. Lo aveva battuto. E con una facilità sorprendente. Aveva percepito l’odore della cicatrice del vento, ma con l’aria che si era alzata durante lo scontro non sarebbe mai stato in grado di evitarla. Era stato vicino all’essere ucciso.

 

Ma anche durante lo scontro, nonostante fossero solo cinque giorni che aveva smesso gli allenamenti con Koga, aveva faticato molto. Non riusciva tener testa al fratello. Si trovava costretto a schivare gli assalti all’ultimo, sentendo l’odore del ferro sfiorarlo.

 

Non aveva proferito parola per tutto il tempo. Concentrato sulle mosse dell’avversario. Era sceso in campo con la convinzione di liquidarlo in poco tempo. Con la determinazione di aver ragione: lui non aveva paura di essere sconfitto da lui. Non voleva convincersi che Kumamoto avesse ragione. Non lo avrebbe mai accettato.

 

Il generale si era presentato davanti alle sue stanze poco prima dell’alba. Appena rientrato dalla notte passata in esplorazione, aveva saputo da Homoe che Alessandra aveva portato a palazzo il fratello di Sesshomaru. Che si erano scontrati e che alla fine il suo signore aveva cacciato il ragazzo e liquidato qualsiasi possibilità di allenamento con lui. Gli era stato detto che lo aveva deriso e schernito, e che non aveva risparmiato neanche la ragazza.

 

Non aveva neanche aspettato che gli slacciassero la corazza e si era precipitato verso gli appartamenti del Principe. I soldati di guardia lungo i corridoi avevano tentato inutilmente di fermarlo, ma lui aveva ruggito come un leone. Si sentiva le vene scoppiare per la rabbia, l’incredulità e la frustrazione. Aveva fulminato con un’occhiata Jacken, che gli si era fatto incontro, e lo aveva scostato con un gesto rude. Non gli importava proprio che fosse ancora prestissimo e che l’youkai fosse rientrato da poco nei suoi appartamenti. Doveva vederlo subito.

 

Sesshomaru era balzato sul letto, tenendosi la testa che gli scoppiava. Era appena riuscito a chiudere occhio, sprofondando in un sonno greve e agitato. Tormentato da mille ricordi, dal pensiero di quando aveva saputo della possibilità di avere un fratello mezzo-sangue. Dal ricordo delle emozioni provate quando suo padre aveva confermato la veridicità delle parole dei cortigiani. La prospettiva di un fratello hanyou si era insinuata nel suo cervello come una fitta atroce, che ti scuote per poi farti svenire. La rabbia, il dubbio di aver fallito, di non esser stato all’altezza. Aveva rivissuto tutto in una carrellata continua e snervante. Agitata. Si era dimenato nel sonno, sudando, ansimando.

 

E ora veniva svegliato in quel modo. All’improvviso. Quando aveva dato chiaramente disposizione di non disturbarlo per nessun motivo. Si era sollevato a sedere e aveva gridato. Cosa che faceva davvero raramente. Ma di cui non si accorse nemmeno. Ancora troppo intontito per prestare attenzione la tono della sua voce.

 

“Chi osa…”

 

“Io!”, aveva gridato non meno forte Kumamoto.

 

Sesshomaru aveva smorzato la sua collera come fosse stato Inutaisho in persona a entrare nella sua stanza. Si era alzato sistemandosi la veste e passandosi la mano fra capelli scarmigliati. Non lo poteva vedere, ma aveva percepito la collera del soldato.

 

“Cosa c’è, generale?”

 

“Perché lo hai fatto? Perché hai cacciato tuo fratello?”

 

Aveva saputo. Non erano passate che poche ore, e lui ne era già stato informato. Davvero la corte poteva avere orecchie dappertutto, se un incontro riservato come quello nel suo studio già era di dominio pubblico. Ma non fu quello a indignarlo. Fu il tono di rimprovero di Kumamoto. Come se lui avesse potuto rimproverargli qualcosa.

 

“Inuyasha non è mio fratello. È solo un hanyou”

 

“Che sciocchezze stai dicendo?! È questo che ti hanno insegnato i tuoi maestri? Questi i principi cui ti sei rifatto fino adesso? Dove sono, invece, gli insegnamenti di tuo padre?”

 

“Questi sono gli insegnamenti che ho ricevuto e che mio padre ha dimenticato! E io non ha intenzione di mostrarmi debole come lui!”

 

Sesshomaru ormai gridava senza neanche cercare di trattenersi. Come si permetteva, quel generale, di salire in cattedra, di riprenderlo e insinuare il sospetto che lui non fosse degno del padre? Lo stava trattando come se fosse suo figlio. Come se lui avesse il dovere di riprenderlo perché stava sbagliando. Ma lui non sbagliava. Stava facendo quello che i suoi criteri morali gli dettavano. Salvaguardava l’integrità della sua famiglia. Della sua stirpe pura.

 

“Sei uno sciocco! Neanche tu lo hai capito! Eppure, Inutaisho si augurava che tu cambiassi. Che almeno tu stessi dalla sua parte! E da quella di Inuyasha! Quel ragazzo è venuto qui per aiutarti! Si è avventurato nella tana del lupo consapevole di quello che avresti potuto fargli! Ma non ha esitato!”

 

Kumamoto era livido di indignazione. Il figlio del suo caro amico, il suo piccolo principe, era stato plagiato per bene. I dubbi e le preoccupazioni di Inutaisho si stavano rivelando corrette. L’educazione di Sesshomaru gli stava impedendo di crescere realmente. Lo aveva confinato in una rigidità mentale da cui difficilmente sarebbe riuscito a uscire.

 

“Vedi di smetterla, altrimenti non avrò riguardo nemmeno per il fatto che eri un subordinato di mio padre!”

 

“Tuo padre mi ha sempre trattato da suo pari! Lui non sapeva neanche cosa fosse la superiorità di cui ti hanno riempito la testa i tuoi maestri! Lui era fortissimo, ma non certo perché credeva nell’invincibilità della sua razza!”

 

“Bada! Stai disonorando la sua memoria! E mancando di rispetto a me!”

 

“Oh, ma io ti sto facendo mostra del rispetto che meriti! E sto salvaguardando il ricordo di tuo padre dai tuoi stupidi deliri di supremazia e dominio!”

 

Sesshomaru aveva fatto scricchiolare le nocche. Aveva voglia di picchiarlo. Di farlo tacere. Lo stava umiliando. Sbeffeggiando. Irridendo. E soprattutto, stava dicendo che aveva sbagliato tutto. Che non aveva mai seguito le orme del padre. Che non era alla sua altezza. Non ebbe tempo di far nulla che ricevette un comando secco. Il primo che gli venisse dato, in tutta la sua vita.

 

“Preparati! Tu adesso andrai a chiedere scusa a quel ragazzo! E anche ad Alessandra”

 

“Non hai alcun diritto di darmi ordini, generale!”

 

“E tu che diritto hai di trattarli a quel modo? Rispondimi! Ti credi davvero tanto superiore? Perché allora non accetti che si alleni con te? Se davvero non è alla tua altezza, lo batterai in poco tempo. O forse hai paura che ti possa sconfiggere?”

 

“Io non ho nessuna paura. E non devo dimostrare a nessuno quello di cui sono capace! Né a te né a nessun altro”

 

Kumamoto lo aveva afferrato per la veste e strattonato. Possibile che gli occhi di quel ragazzo dovessero essere sempre così gelidi? Non riusciva a essere grato alla ragazza che si era preoccupata per lui? Non riusciva a riconoscere di aver bisogno di aiuto? Non ci sarebbe stato nulla di male. Nessuno glielo avrebbe mai rinfacciato. Non era una debolezza mostrarsi vulnerabili, ma il crederlo. Quello sì.

 

“Tu ti allenerai con lui! O di tua volontà o ti saprò costringere io!”

 

“Mai! Piuttosto la morte!”

 

“È tuo fratello!”

 

“È un bastardo!”

 

Sesshomaru si era ritrovato a terra, scaraventatovi da uno schiaffo inaspettato. Improvviso. Non era preparato e non aveva potuto evitarlo. Aveva sentito un bruciore fortissimo alla guancia e poi aveva realizzato di non trovarsi più in piedi. Si era portato la mano al volto; gli occhi sbarrati e increduli. Lo aveva colpito. Kumamoto. Lo aveva schiaffeggiato come neanche suo padre aveva mai fatto. Lo aveva trattato come un bambino. E adesso lo sentiva incombere su di sé. Ansimante.

 

“Battilo, e io accetterò qualsiasi pena. Ma se fallirai, almeno sarai cosciente di cosa hai perso”

 

Se ne era andato lasciandolo a terra, con il labbro spaccato. E la testa che gli pulsava. Il Principe aveva afferrato la sua katana e si era precipitato fuori. Ripetendosi che lo faceva solo per dimostragli che lui non temeva nessuno. Che lui non era secondo a nessuno. E che Inuyasha non avrebbe mai potuto batterlo.

 

E ora, la realtà era davanti a lui. Suo fratello lo aveva sconfitto. E lui era vivo solo per miracolo. Si riprese e lo allontanò con un gesto brusco, incamminandosi verso il palazzo. Sentì la voce del ragazzo chiamarlo.

 

“Sesshomaru…”

 

Si fermò senza voltarsi. Cosa voleva ancora? Irriderlo? Schernirlo? Pensò ad Alessandra, a pochi passi da lui. Non aveva mai avvertito così incolmabile quella distanza come in quel momento. Doveva esser contenta. Aveva ragione lei. Non era in grado di combattere. E Inuyasha era l’unico che avrebbe potuto aiutarlo. Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. Alla fine, aveva vinto lei. Eppure, non riuscì a immaginarsi sul viso della ragazza la soddisfazione per quanto avvenuto sotto i suoi occhi.

 

“Tu…Tu sei…”

 

Inuyasha non completò neanche la frase. Ancora non voleva crederci. Aveva combattuto con lui in quelle condizioni, ed era riuscito a impegnarlo non poco. Nulla da dire. Suo fratello era davvero forte. E molto abile.

 

Sesshomaru sospirò mentalmente. Già… aveva scoperto che era cieco, non poteva non averlo notato. Inutile mentirgli. Ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di dirglielo. Di ammettere la sua debolezza.

 

“Hai vinto. Puoi andartene”

 

“Non ne ho alcuna intenzione”

 

“Non voglio la tua pietà”

 

Inuyasha sorrise. Quello era suo fratello. Cocciuto e ostinato. Freddo. Fiero. Quello era il fratello che gli era toccato. E cui voleva bene. Anche se non lo ammetteva apertamente.

 

“Nessuna pietà. Diciamo che non voglio rischiare che tu venga ucciso da qualcun altro”

 

Sesshomaru tentennò un attimo. Ma poi riprese a camminare. Passando accanto al generale che aveva assistito a tutto lo scontro. Non vide, negli occhi di Kumamoto, la scintilla di soddisfazione che li attraversava. Il piccolo principe forse stava iniziando a crescere davvero.

 

“Fa come ti pare”

 

Il sorriso di Inuyasha si allargò maggiormente. In un modo tutto suo, ma gli aveva accordato il permesso di restare. E aveva accettato di allenarsi con lui.

 

Maledetto testardo! Certo che farò di testa mia! E tu tornerai a combattere come una volta. Te lo prometto, Sesshomaru!

 

  
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