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Autore: Moonage Daydreamer    25/07/2012    3 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Don't Bother Me.





Ero in un seminterrato buio, rannicchiata in un angolo.
Urlavo. 
Delle braccia forti mi tenevano stretta ad un petto muscoloso, ed io cercavo in tutti i modi di liberarmi. 
- Basta piangere, piccola. Va tutto bene. - disse una voce.
Alzai lo sguardo, asciugandomi le lacrime.
- Papà?- chiesi, esitante.
L'uomo sorrise.
- Va tutto bene.- ripeté.
La porta si aprì con un colpo secco e la figura di una donna apparve sull'uscio. Indossava un tailleur elegante e un foulard azzurro. 
I suoi occhi erano pieni di odio e di desiderio di vendetta. In mano stringeva un coltello da carne.
- Sta' lontano da lei!- ordinò mia mamma avvicinandosi e puntando il coltello contro mio padre.
- Bea, calmati. La piccola ha avuto un incubo, sto cercando di tranquillizzarla.- spiegò l'uomo lasciandomi e alzando lentamente le mani. 
- Bastardo!- gridò mia madre e si avventò su di lui.  Affondò il coltello nel collo di suo marito fino al manico e il sangue schizzò sul suo viso, macchiandole il bel foulard di seta.
Estrasse la lama, e mentre il corpo di mio padre rovinava a terra, la donna assunse un'espressione di totale soddisfazione. Guardò il cadavere e scoppiò in una risata perversa. 
Si chinò sul corpo e cominciò a praticare delle profonde incisioni, godendo di ogni attimo. 
Quando si ritenne abbastanza soddisfatta era coperta di sangue. Io la guardavo, incapace di qualsiasi movimento. Si chinò al mio fianco e mi abbracciò, sporcandomi.
- D'ora in poi, nessuno potrà farti del male .- sussurrò al mio orecchio.
Chiusi gli occhi, lasciandomi confortare dalla sua stretta nonostante quello che avevo appena veduto.
Non mi accorsi che mia mamma fece scivolare il coltello nel mio ventre. Chiusi gli occhi, senza sentire dolore.
Quando li aprii ero circondata dalla nebbia. Ero in piedi in mezzo al nulla, come se fluttuassi nel vuoto. Indossavo un abito bianco, sporcato di sangue laddove mia mamma mi aveva accoltellata.                    Davanti a me, gli occhi color del ghiaccio ridevano.
- Dove sono?- chiesi, ma parlare mi provocò una fitta che mi fece finire a terra. Sputai sangue.
- Sei morta, piccola Anna. Ti ha uccisa tua mamma.- rispose la voce dell'Uomo.
Fissai gli occhi con odio.
- No! Non riuscirai a farmi credere che lei è la cattiva. - 
Una risata che assomigliava a quella di una iena risuonò nell'aria.
- Scommettiamo?-
Mi ritrovai in una cripta semi-buia. La luce di un'unica piccola candela danzava sinistramente sulla parete di roccia scabra. L'angusto ambiente era troppo affollato. Tutta la famiglia di mia madre era riunita in circolo, e fra gli Italiani scorsi anche James ed Elisabeth. Non riuscivo a capire intorno a cosa fossero stretti.
Come si accorsero della mia presenza, tutti si voltarono verso di me, puntandomi contro gli indici. Si aprirono, in modo che potessi vedere.
C'era una bara di legno scuro, con sopra appoggiato un rametto di fiori di pesco, i preferiti di mia mamma. Tutte le persone presenti, compresi i miei genitori adottivi, mi guardavano con odio. Abbassai lo sguardo e mi avvicinai alla bara, sfiorando il legno con la punta delle dita.
A quel contatto, i fiori presero fuoco, che si esaurì senza propagarsi solo quando il rametto fu cenere. La bara si aprì lentamente. Dentro v'era il corpo di mia madre.
Soffocai a stento un gemito e mi coprii la bocca con una mano.
Gli occhi di mia madre si aprirono.
Gridai.
Il suo sguardo era iniettato d'odio e di rabbia, ed era... color del ghiaccio.
Mi guardai intorno, accorgendomi solo in quel momento che tutte le persone presenti avevano gli stessi occhi satanici.
Cominciai a piangere e a tremare, finché le gambe cedettero e io caddi sul pavimento di pietra gelata. Mia mamma uscì dalla bara con un gesto teatrale.
La guardai, terrorizzata.
- Mamma?- sussurrai - Mamma, per favore, aiutami.- 
La donna mi rivolse un sorriso malvagio, ma poi si chinò su di me.
- Perché ti sei vestita di bianco, piccola mia?- mi chiese. - Non sei tu quella che ha detto che il bianco è il colore dei morti? -
Sgranai gli occhi, mentre lei mi afferrava per gli avambracci con talmente tanta forza da lasciarmi dei lividi. Mi sollevò facilmente, mentre tutto intorno a noi le persone scoppiavano a ridere.                     Chiamai mia mamma più volte, implorandola di lasciarmi andare, ma lei mi ignorò.
Mi buttò nella bara.
- Spediscimi una cartolina, amore mio.- disse prima di chiudere la bara.
- Mamma!- gridai, cominciando a colpire il legno che mi circondava. - Mamma!-
Le mie urla terrorizzate e i miei singhiozzi non riuscirono a coprire le voci di mia madre e degli altri.
- Finalmente ce l'hai fatta a liberarti di lei. - stava dicendo Elisabeth - Io e James ci stavamo chiedendo quando ti saresti decisa a completare l'opera. - 
- Chiedo scusa a te e a tuo marito per il fastidio. Stupida, capricciosa bambina. Ma volevo una fine in grande stile. -
Elisabeth rise:- Ne è valsa la pena. -
Cercai di aprire la bara, ma il legno non cedeva. Ero allo stremo delle forze.
- Vi prego! Qualcuno mi aiuti!-
Sentii mia madre tamburellare contro la bara.
- Urla e strepita quanto vuoi, sciocca bambina. Esaurirai l'ossigeno più in fretta.- disse. - Spero ti divertirai lì dentro! E' una di quelle esperienze che capitano una volta nella vita. -   
- Per favore, tirami fuori di qui! - piansi, ma sia mia mamma sia tutte le altre persone sembravano essere svanite. L'ossigeno cominciò a scarseggiare, ma io non riuscii a fare altro che a singhiozzare in modo più evidente.
Chiusi gli occhi, mentre cominciavo a sentire che non mi sarebbero rimasti molti altri respiri. 
- Povera piccola Anna. - disse la voce dell'Uomo dagli occhi di ghiaccio. Non ebbi bisogno di aprire gli occhi per percepire che il suo sguardo era proprio davanti a me.
- Non avrebbero mai dovuto torturarti in questo modo. - continuò la voce, poi sospirò. - Ma converrai con me, piccola Anna, quando dico che a questo punto è meglio sfruttare la situazione, no? Sono sicuro che ci divertiremo un mondo, io e te. -  
La voce rise, mentre decine di mani mi toccavano il corpo, facendo marcire la carne.            


I miei occhi si spalancarono sulla stanza buia. Mi strinsi le mani nei capelli così forte che mi strappai qualche ciocca.                                                                                                                                      Gemetti. 
"E' stata colpa tua." mi disse una voce nella mia testa. 
"No, non è vero!" risposi disperata. 
"Sì, invece. E tu lo sai. Se tu non fossi mai nata, lei non sarebbe morta. Per vivere hai ucciso tua madre."
Scoppiai in lacrime di terrore.
"Assassina!"
- No!- gridai.
Mi alzai sulle gambe instabili e corsi in bagno. Mi accasciai contro la porta e incrociai le braccia sul petto, rannicchiandomi su me stessa.
Ero terrorizzata dall'eventualità che quella parte di me che diceva che era colpa mia avesse ragione. 
No, io sapevo che quella parte aveva ragione: ero un'assassina e anche se le mie mani non erano sporche del sangue di mia madre, almeno non in modo diretto, ciò non significava che io non l'avessi uccisa. 
"Sarei dovuta morire io al suo posto." pensai, mentre le lacrime scorrevano incontrollate lungo le mie guancie.
Provavo ribrezzo nei confronti di  me stessa. Non ero altro che un parassita che viveva a scapito delle persone che circondava. Non avevo fatto altro, da quando ero nata: distruggere la vita degli altri.      
Mi avvicinai al lavandino e appoggiai la fronte contro lo specchio. Guardai il mio riflesso. 
I miei occhi... non erano tanto più scuri di quelli dell'Uomo. 
Singhiozzai, mentre un pensiero malato, un'intenzione morbosa cominciava a martellarmi nella mente.
Aprii il rubinetto, in modo che l'acqua coprisse qualsiasi altro rumore, poi mi chinai sul water e mi caccia due dita in gola.
I denti lasciarono dei segni rossi sull'indice e sul medio.
Mi girava la testa e mi sentivo come se un branco di cavalli mi avesse travolta.
Ma non mi bastava.
Mi rialzai e tornai al lavandino.  Aprii lo sportello dell'armadietto vicino allo specchio e cominciai a frugare.
"Dove diavolo l'ha messo? L'ho visto qui pochi giorni fa!" pensai furente. Cominciai a imprecare mentalmente e mi fermai solo quando, finalmente, trovai quello che cercavo.
Il rasoio di James.
Allungai il polso destro sul lavandino e strinsi nella mano sinistra la lametta talmente forte che mi tremava la mano.
Serrai la mascella.
Lasciai la presa sul rasoio, che ricadde nel lavandino con un rumore secco.
Guardai la mia mano aperta, scioccata.
Lentamente chiusi il pugno e portai le braccia lungo i fianchi.
"Che... cosa stavo per fare?!"
Ebbi un altro conato di vomito; spontaneo, questa volta.
Arrancai di nuovo fino in camera e mi chiusi dentro.
Mi lasciai scivolare contro la porta e nascosi il volto fra le ginocchia.
"Perché ti sei fermata?" pensai "Te lo saresti meritata!"
Provai a rialzarmi, con l'intenzione di tornare in bagno e fare quello che poco prima non ero riuscita a portare a termine, ma non ci riuscii: non ne avevo la forza.
Ricaddi sul pavimento e strinsi le gambe al petto.
Scoppiai in un altro pianto isterico. La mia mente era piena delle immagini di lame e coltelli che tagliavano la carne.
"Trova il coraggio di alzarti e andare a tagliarti quelle cazzo di vene!" continuavo a ripetermi, ma un secondo dopo mi rendevo conto della natura dei miei pensieri e gridavo.                                                 Mi alzai a fatica e accesi la luce.
Andai alla ricerca di tutto ciò che avrebbe potuto tagliarmi: oltre al paio di forbici distrutte, matite, penne, temperini, compassi... Presi in mano tutto, ma mi trovai ad esitare.                                                    Sarebbe stato così facile... Scossi la testa, sconvolta.
Aprii la porta e ammucchiai tutto appena fuori dall'uscio, poi mi richiusi nella camera.
"Ti pentirai di averlo fatto, e lo sai." pensai. Gemetti.
Trascinai la scrivania fino alla porta e ce la piazzai davanti, in modo che nessuno, e in particolar modo io, potesse aprirla di nuovo.                                                                                                               Ansimai per lo sforzo fisico e tornai a sedermi contro la porta, sotto la scrivania, per un attimo fiera di aver trovato la forza per liberare la mia stanza da ogni oggetto con cui avrei potuto ferirmi.
"Stupida, stupida ragazza!" mi urlai contro il secondo successivo. Cominciai a graffiarmi le spalle con le unghie.
- Anna, apri la porta!- gridò James bussando furiosamente dopo aver cercato di entrare in camera mia. Non risposi.
"Andatevene." pensai.
- Anna, per favore! - mi implorò Elisabeth.
- No. - mormorai. Non credevo riuscissero a sentirmi.
Ogni colpo inferto alla porta mi provocava una fitta alle tempie. Mi asciugai furiosamente le lacrime.
- Andate via!- dissi a voce più alta. Temevo che se avessero continuato avrei ceduto alle loro richieste e avrei aperto quella dannata porta.
- Non finché non avrai aperto.- replicò James. Soffocai a stento un grido frustrato.
- Lasciatemi in pace!-
- Anna, ti prego! Siamo spaventati a morte ...- sussurrò Elisabeth sull'orlo delle lacrime.
"Anche io, Elisabeth, anche io." pensai. 
Non riuscivano a capire... Io ero terrorizzata da me stessa, da quello che avrei potuto fare.
Rimanere chiusa lì dentro era l'unica possibilità che vedevo. Non osavo immaginare che cosa sarebbe accaduto se quei pensieri mi fossero venuti mentre ero per strada o vicino alla stazione o al porto.
- Per favore, lasciatemi sola.- dissi. James smise di picchiare contro la porta e tutto sprofondò nel silenzio. 
Si sentirono dei singhiozzi. Forse erano miei, o forse di Elisabeth.                          

Nei giorni seguenti non uscii mai, nemmeno per bere. Ero troppo spaventata per farlo.
Anche se in alcuni momenti mi rendevo conto che tutto ciò era assurdo, una parte di me continuava a gridarmi che ero io la responsabile della morte di mia mamma e che dovevo farmi del male. 
I miei genitori venivano spesso a cercare di convincermi ad uscire, ma se ne andavano sempre senza aver ottenuto niente.
- Elisabeth, ti prego. Smettila. - mormorai un pomeriggio, mentre la mia madre adottiva bussava con particolare insistenza.
- C'è Stu fuori. Vorrebbe vederti.- disse lei.
- Digli di andare via.-
- Anna, adesso basta. Ci stai facendo preoccupare tutti. - cercò di imporsi Elisabeth.- Esci di lì. -
- Non posso...- gemetti, di nuovo sull'orlo delle lacrime.
fine aveva fatto la forza che avevo da bambina? Ero riuscita ad affrontare una situazione ben peggiore di quella senza versare una lacrima, e ora non facevo altro che rimanere accoccolata a piagnucolare e a graffiarmi le braccia e le spalle quando avevo troppo schifo di me stessa.
Le ore si trascinavano lente e prive di alcuna emozione. Sembrava che il sole facesse di tutto per non tramontare e non sorgere il giorno dopo.                                                                                                 L'unica cosa che temevo era di addormentarmi e facevo di tutto per tenermi sveglia: quando sentivo che i miei occhi si chiudevano cominciavo a camminare per la stanza, finché non riuscivo a scrollarmi il sonno di dosso.
Pian piano i sentimenti e pensieri più violenti iniziarono a sopirsi, ma ancora non mi arrischiavo a sposare la scrivania. Sapevo che in quella stanza ero relativamente al sicuro e che se fossi uscita avrei avuto milioni di modi tra cui scegliere per ferirmi.
Per il momento, quindi, era meglio rimanere dov'ero.
"Tanto chi vuoi che senta la tua mancanza?" mi dicevo.
Per passare le ore cominciai a sistemare la stanza, nei limiti del possibile. Misi di nuovo in piedi il cavalletto caduto e ammucchiai tutte le piume nella federa meno malmessa che riuscii a trovare. Mi accorsi, con grande dispiacere, che niente di ciò che avevo buttato nel cesto bianco era recuperato e rigirando fra le mani la copertina rovinata del quadernetto scoppiai di nuovo a piangere.
" Adesso basta." pensai asciugandomi le lacrime con rabbia.
- Adesso basta. - mi fece eco la voce di Cynthia al piano di sotto - La ringrazio, signora Allen; conosco la strada. -
Sentii la mia amica salire di corsa le scale; cominciò a picchiare contro la porta con tanta violenza che credevo che sarebbe riuscita a sfondarla.
- Aprimi, Anna. - ordinò, senza alzare la voce.
- No. - risposi - Vattene, Cyn. -
- Non ci penso proprio! Prima esci da quella stanza, mi fai vedere che stai bene, e forse potrei ripensarci.-
- Non ti voglio vedere.-
- Non me ne frega assolutamente niente.-
Il suo tono duro mi fece infuriare.
- Vattene via !- gridai. Cynthia non mi rispose. Sentii dei tonfi.
- Che stai facendo?- chiesi, addolcendo di nuovo il tono.
- Se aprissi la porta lo vedresti. -
Sbuffai.
- Mi sto sedendo, comunque.-  disse poi la mia amica.
- Perché?-
- Non ho alcuna intenzione di aspettare in piedi che tu esca di lì!-
Tirai un pugno contro la gamba della scrivania.
Per tutto il resto del giorno non dicemmo un'altra parola, anche se ogni tanto Cyn tamburellava contro la porta per farmi capire che era ancora lì o canticchiava qualcosa sottovoce.
- Non dovresti andare a casa?- chiesi quando mi accorsi che era l'imbrunire.
- No. Elisabeth ha telefonato a mia mamma e le ha spiegato la situazione. Posso rimanere quanto voglio.- rispose ostentando entusiasmo.                                                                                                                  - Fantastico.- mormorai in tono gelido.
Udii i passi di uno dei miei genitori adottivi che saliva le scale.
- Cyn, ti ho portato la cena. - disse Elisabeth.
- Grazie mille, signora Allen. E' davvero gentile da parte sua. -
- Sono io che ti devo ringraziare. - replicò la mia madre adottiva. Sentii che bisbigliavano qualcosa fra loro, ma non capii una sola parola.
- Ti preparo il divano in salotto.- affermò la donna.
- No- replicò Cynthia. - Grazie, ma preferisco rimanere qui. - 
- Non posso lasciare che tu dorma per terra. -
- Non voglio lasciare la testarda. -
Sbuffai. E così stava provando con il giochetto dei sensi di colpa, ma non avrebbe funzionato quella volta: io non le avevo mai chiesto di bivaccare fuori dalla porta della mia stanza.
- Ti porto delle coperte e un cuscino, perlomeno. - concluse Elisabeth. La udii allontanarsi.
Ritornò poco dopo e Cyn la ringraziò, poi ci lasciò di nuovo da sole.
- Odio quando ti impunti. - mormorai.
La mia amica trovò la forza di ridere:- Senti chi parla. Bene, io mi metto a dormire. Buonanotte, Anna. -
Non le risposi. Sapevo che le sue intenzioni erano le migliori, ma quell'ultima frase sembrava una presa in giro. Cominciai a piangere silenziosamente finché gli occhi cominciarono a bruciarmi per la stanchezza.
"Non devo addormentarmi." mi imposi, ma poco dopo , nonostante le mie intenzione, sprofondai nel sonno.
- Anna!- gridò Cyn, svegliandomi dall'incubo. Picchiava disperatamente sulla porta.
- Cyn...?- mormorai quando riuscii a calmare i tremiti. Non riuscivo a capire il motivo per il quale e fosse  chiusa fuori dalla mia porta. Poi ricordai, non era lei che era chiusa fuori, ero io che mi ero reclusa dentro.
- Stai bene?- chiese la mia amica.
- Certo. - risposi con un tono che riuscì perfino a suonare convincente - Era solo un sogno.-
Mi schermai gli occhi con la mano, perché il sole era esattamente di fronte alla finestra centrale della mia stanza.
- Ma che ore sono?- chiesi mentre mi alzavo a tirare le tende.
- Mezzogiorno meno dieci. - rispose Cyn. - Senti, Anna: sono giorni che non esci di lì. -
- Non lo farò nemmeno oggi!- sbottai.
- Non era questo che volevo dirti. - replicò lei, con una nota mortificata nel tono. Mi morsi il labbro.
- Elisabeth ha cucinato del cibo italiano. So che ti piace molto. Potresti aprire la porta...-
- No!- la interruppi.- Non chiedermelo, Cyn. Non posso farlo!-
La mia amica sospirò:- Lo so, Anna. Ti stavo proponendo di aprirla abbastanza perché io possa passarti il piatto.-
Chiusi gli occhi, accorgendomi solo in quel momento della fame e della sete che avevo. Tossii e deglutii più volte, per rimediare all'arsura che avevo in gola.
- No...- mormorai - Non voglio trovarmi in mano un coltello o una forchetta.-
Cyn rimase a lungo in silenzio dopo essersi resa improvvisamente conto del reale motivo che mi aveva spinta all'isolamento.
- Dei biscotti, allora. - propose infine - E del tè caldo. O del latte, se preferisci.-
La sua insistenza cominciava a spossarmi.
- Va bene...- cedetti infine.
- Perfetto!- cinguettò Cyn ritrovando il suo solito entusiasmo.- Torno subito, tu rimani lì e non muoverti.-
Un qualcosa di simile ad una risata uscì dalla mia gola.
La mia amica tornò come promesso poco dopo e bussò contro la porta nello stesso modo che usavamo quando eravamo bambine e andavamo a dormire una a casa dell'altra.
Strisciando uscii dall'angolino sotto la scrivania, alla quale mi appoggiai per riuscire ad alzarmi. Spostai il mobile quel tanto che serviva affinché Cyn potesse allungarmi il pacco di biscotti, una tazza di tè e una bottiglia d'acqua.
Quando ebbe ritratto il braccio richiusi la porta e vi avvicinai di nuovo la scrivania.
Lasciai il cibo lì dove l'aveva posato Cyn e mi sedetti sopra la scrivania, appoggiando la schiena contro la porta.
- Devi anche mangiarli, però. - borbottò, mentre tornava a sedersi.
- Certo. - risposi, anche se non avevo alcuna intenzione, almeno per il momento, di obbedirle.
- Stu mi ha detto che gli hai fatto vedere i tuoi disegni. - disse dopo un po'.
- E' vero. -
Ero sorpresa che avesse cominciato un discorso all'apparenza normale e avesse smesso di insistere per farmi uscire.
- Dovresti venire alla scuola d'arte. -
- No, non credo. -
- Anche John ha intenzione di mollare la Quarry Bank e passare da noi. -
- Un motivo in più per stare lontano da quella scuola, allora. -
- Non c'è speranza che voi due andiate d'accordo, vero? -
Riuscii ad accennare ad un sorriso.
- Forse sì, chi lo sa. Magari quando il suo gruppo skiffle sarà diventato più famoso di Elvis e avrà fatto un tour mondiale. -
Cyn rise:- Stiamo freschi, allora! A parte gli scherzi, non sono poi così male. Dovresti andare a sentirli una volta o l'altra, almeno per fare un piacere a Shotton. -
- Io e lui non siamo così amici. Ci siamo parlati sì e no quattro volte. - 
- Fa' come vuoi. - disse la mia amica per prendermi in giro. - Più che proporti qualcosa, io non posso fare. -
 - Se proprio ci tieni... - sbuffai.
- Hai mangiato?- chiese all'improvviso, cogliendomi di sorpresa.
- No. - risposi.
- Anna Mitchell, sfondo la porta e ti faccio fuori se non trovo il pacco di biscotti vuoto! -
Alzai gli occhi verso il soffitto, poi mi sdraiai a pancia in giù sulla scrivania, cercando di raggiungere i biscotti e il resto senza scendere dal mobile. Metà del tè, com'era prevedibile, si rovesciò addosso a me e benché non fosse più bollente, non trattenni un'imprecazione.
- Fammi indovinare: ti sei rovesciata il tè addosso! - esclamò Cyn ridendo.
- Perspicace la ragazza. - sibilai. Bevvi il resto del contenuto della tazza tutto in un fiato, poi presi il primo biscotto e mi sforzai di mandarlo giù. Dopo quello, cominciai a mangiare con più decisione e svuotai in fretta la bottiglia d'acqua. Mi sentivo decisamente meglio.
Cyn andò avanti a chiacchierare per ore. Una volta che attaccava a parlare, era impossibile fermarla.
- Sono un' egoista, vero?- chiesi d'un tratto.
- No, non lo sei. - rispose lei.
- Sì, invece. Per tutto questo tempo non ho fatto altro che sguazzare nell'autocommiserazione. "Povera Anna" di qua, "povera Anna" di là. - dissi - Senza curarmi delle persone che ferivo con il mio comportamento a dir poco infantile. -
- Non essere così dura con te stessa. Ciascuno ha il suo modo di reagire al dolore. -
- Ma il mio non è affatto un modo per reagire al dolore, più la cosa giusta da fare per rimanerci intrappolata dentro. -                                                                                                                                          Scesi dalla scrivania e camminai nervosamente in mezzo alla stanza. Mi sentivo una stupida bambina che fa i capricci per avere una bambola nuova.
- Che tutto vada a fanculo! - sibilai, poi spostai la scrivania senza preoccuparmi di contenere la rabbia.
- Anna, che succede ora?- domandò titubante Cynthia. Non le risposi, poiché ero troppo concentrata a calmare il respiro accelerato.
Girai lentamente la maniglia e aprii la porta. Cyn era seduta in mezzo ad alcune coperte e  come mi vide si alzò in piedi.
Sul suo viso si dipinse il sorriso più dolce che qualcuno mi avesse mai rivolto.
I miei occhi si riempirono di lacrime.
Cyn mi abbracciò ed io mi aggrappai a lei con tutte le mie forze.
- Mi dispiace, Cyn...- singhiozzai nascondendo il volto contro il suo collo. Lei mi strinse e le sue lacrime si mischiarono ben presto alle mie.
- Di cosa, Anna?- mormorò, anche se la sua voce tremava leggermente.
Le mie ginocchia cedettero e cademmo tutte e due sul cuscino che Elisabeth aveva portato alla mia amica.
- Mi dispiace...- ripetei. Non ero in grado di dire altro.
Cyn cominciò ad accarezzarmi i capelli.
- Ho paura. - gemetti.
- Lo so...- sussurrò lei, poi mi guardò negli occhi. - Ma cerca di ricordarti che sei circondata da persone che ti vogliono bene. Questa volta non sei sola a cercare di portar via le macerie, e invece della carriola giocattolo hai un bulldozer. -
Riuscì a strapparmi un sorriso appena accennato.
- Ho te, e quando ti incazzi vali come una flotta intera, no?- replicai a bassa voce.
- Esatto!- esclamò lei - Solo che non c'è pericolo che io possa ammutini: ci sarò sempre per te, ventiquattro ore al giorno, sette giorni la settimana, festivi compresi. Tu sei la mia sorellina minore.-
Le lacrime ripresero a scorrermi lungo il volto. Cyn mi strinse di nuovo e io chiusi gli occhi.
- Grazie...- sussurrai.
- Ti voglio bene, Anna. -                                                                                                                                          

_________________________________________

Ciao a tutti. Questo capitolo non mi piace granché, se si esclude l'ultima parte e sono stata più volte tentata di cancellarlo completamente, ma poi ho cominciato a scrivere il dialogo con Cyn, e ho deciso che nonostante tutto valeva la pena aggiungerlo al resto della storia.

Vorrei dedicare questo capitolo a Beba257, conosciuta comunemente come Bea (sì, ti dedico solo i capitoli che fanno schifo, contenta? xD) perché è stata la persona che mi è rimasta più vicina in uno dei momenti peggiori della mia vita e perché senza di lei, quasi sicuramente, questa storia non sarebbe mai nata. Quindi ti ringrazio, Bea, dal più profondo del mio cuore.
Bene, dopo aver fatto questa dedica molto tenera (sì, come no...), è mio dovere informarvi che per un po' di tempo ci saranno capitoli un po' più allegri, perché mi sto facendo venire la depressione da sola...


Ruben_J : nemmeno mi vergogno a dire che ho pianto scrivendolo. (cosa che ho fatto anche per questo appena pubblicato)                                                                                                                               
Ti prometto che ti regalerò una fornitura di fazzoletti.

BibiGreenEyes : ti ringrazio! Sono contenta di sapere che ci sono altre persone che si immedesimano nella protagonista, perché sto dando fondo a tutte le mie risorse per farla sembrare verosimile e reale.

Lonely Heart : Anche a me i parenti di Anna stanno antipatici. Non li sopporto proprio! Quella povera ragazza prima o poi uscirà dal computer e si verrà a vendicare di tutto quello che le sto facendo passare (e che ho intenzione di farle passare. * risata diabolica.)
MaryApple : Mi dispiace deluderti, ma John ci metterà ancora un po' a svegliarsi.
E non ti preoccupare per la recensione: è tre,quattro volte meglio del patetico tentativo che ho fatto io.

Grazie a tutti coloro che hanno la pazienza di leggere la storia.


Peace n Love.

 
  
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