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Autore: Akari_    26/07/2012    2 recensioni
Come ogni lezione, Lui era lì. Il sudore che gli colava sulle tempie, la maglietta fradicia e il suo corpo che era un'unica cosa con quella armoniosa melodia che si irradiava per tutta l'aula.
Nonostante la stanza fosse piena zeppa di ragazzi e soprattutto ragazze gli occhi del giovane Choi Minho erano saldamente incollati alla figura di quel ragazzo dai capelli corti e rossi che gli facevano un po' la testa a fungo di cui non sapeva neanche il nome.
Che cosa ci faceva lui lì, dietro quella porta a guardare ininterrottamente quel ragazzino?
Neanche lui stesso sapeva dare una risposta a questa domanda, l'unica cosa che sapeva era che sfruttava spudoratamente il suo migliore amico Kim Kibum che quasi ogni giorno lo portava con se alle sue lezioni di danza solo per farlo felice.
Che poi Kibum s'era sempre chiesto perché Minho lo tormentasse per accompagnarlo e stare circa due ore impalato nel corridoio della scuola di danza...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Quasi tutti, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Revelations.

Pesanti colpi alla porta. Urla incazzate e calci che non accennavano a smettere mi circondavano colpendomi anima e corpo. Le voci riecheggiavano intorno a me senza che però riuscissi a comprendere il loro significato. Qualcuno stava provando ad entrare, qualcuno stava venendo a salvarmi?
Almeno credevo fosse così, in quel momento ero concentrato nell’isolare la mia anima in una stanza insonorizzata in attesa della fine di tutto, come accadeva quasi ogni giorno. Non potevo farci nulla, non potevo ribellarmi o quelli li avrebbero picchiato ancora più forte. Non mi rimaneva che creare una barriera per proteggere i stralci della mia anima, volevo custodire almeno i pochi brandelli che ne erano rimasti. Che rovinassero pure il mio corpo, le ferite fisiche, quelle si rimarginano, anche se rimangono le cicatrici. Il vero problema erano le ferite del cuore e dell’anima, quelle sono quasi impossibili da far guarire, ed in questo campo io avevo molta esperienza, forse troppa. Sta di fatto che i squarci che avevo nel cuore sanguinavano ancora abbondantemente lasciandomi vuoto, sfinendomi e rendendo Lee Taemin non più una persona ma un corpo, un agglomerato d’apparati senza sentimenti, senz’anima, un involucro che ormai non aveva più nulla dentro di se. Innalzai il mio scudo e rimasi fermo, immobile, come da routine: loro picchiavano, io soffrivo, se ne andavano, nessuno aveva visto o sentito nulla e il giorno dopo sarebbe accaduta la stessa identica cosa.  
Mai mi sarei aspettato che quel giorno qualcuno stravolgesse questo ciclo.
Le spallate contro la porta cessarono e dedussi che qualcuno era riuscito ad entrare, i bulli che mi stavano pestando si arrestarono visto che non sentivo più i calci arrivare. Trovai un po’ di coraggio ed aprii gli occhi, la stanza era completamente a soqquadro come la ricordavo quando mi ci avevano spinto dentro. L’unica novità era l’ammasso di ferraglia davanti alla porta messa lì ovviamente per non far entrare nessuno, o almeno era questo ciò che riuscivo a vedere mentre ero ancora accasciato sul pavimento con i corpi dei bulli a coprirmi la visuale. Poi uno di loro si fece avanti, sbraitando cose che non volevo sentire, e riuscii a scorgere il nuovo arrivato pregando che, chiunque fosse stato, sarebbe riuscito a tirarmi fuori da quella situazione rimanendone illeso. La prima cosa che riuscii a vedere del tizio appena entrato erano le converse nere e i jeans scuri e stretti che gli fasciavano perfettamente le gambe, gambe che conoscevo troppo, troppo bene. Sgranai gli occhi appena i miei neuroni si rimisero in funzione e sentenziarono ciò che temevo e che al contempo speravo con tutto il cuore.
Era Minho. Non avevo dubbi.
Ebbi un tuffo al cuore.
Cosa ci faceva lui qui? Nella mia scuola!
La sua facoltà era abbastanza lontana da li, dubitavo che fosse finito per caso in un liceo statale malmesso, magari era tutto calcolato, magari sapeva che quello era il
MIO Liceo Statale malmesso, magari

Bloccai i miei pensieri contorti prima di arrivare ad una conclusione alquanto improbabile, e che mi avrebbe lasciato con l’amaro in bocca. Ricollegai il cervello al mondo esterno prendendo atto di ciò che mi accadeva intorno anche se avrei preferito di gran lunga tornare a fantasticare lasciando che le cose si risolvessero da sole come accadeva ogni dannato giorno ma in questo caso non potevo fare come al solito, no perché di fronte a quei bulli di merda c’era Lui.
Non sapevo se essere felice oppure in ansia; non volevo che quegli stronzi facessero male a Minho, il mio Minho, avrei ucciso, non so come o con quali forze, chiunque avesse osato fargli del male, lo amavo troppo per permettere che ferissero anche lui, una delle poche persone a cui tenevo davvero, l’unica persona che avrei mai amato.
Si, ero da poco arrivato alla conclusione d’amarlo, o più precisamente mi ero appena arreso all’idea di essermene innamorato visto che in realtà provavo questi sentimenti da molto, molto tempo, diciamo, dalla prima volta che il mio sguardo l’aveva incontrato. Non appena i miei occhietti curiosi si erano posati sulla sua figura avevo imboccato il sentiero che mi avrebbe inevitabilmente portato ad amarlo, esattamente dove mi trovavo in quel momento. L’avevo subito inquadrato, Choi Minho, alto e col fisico di un atleta, le gambe snelle e le braccia muscolose ma non troppo, era a dir poco perfetto. Poi, quei suoi capelli scuri che incorniciavano il volto perennemente serio che si ammorbidiva leggermente solo quando era con Kibum, lo vedevo che se ne stava sempre nel corridoio, appena fuori la porta ed aspettava che l’amico finisse la lezione per poi riportarlo a casa, tutte le volte, vedevo come ogni tanto sbirciava dentro l’aula e speravo che lui non vedesse quando puntualmente  lo cercavo con lo sguardo, ma tanto probabilmente non sapeva neanche della mia esistenza, di cosa avrei dovuto preoccuparmi?
I primi tempi, nello sconforto più totale avevo creduto che quei due stessero insieme visto tutto quello che Minho faceva per l’altro. La prima volta che pensai una cosa del genere il mio cuore si incrinò pericolosamente; non sapevo come, quando o perché il mio cervello fosse giunto ad una tale conclusione così –fortunatamente– insensata. Si, perché dopo pochi giorni, grazie al cielo, ed alle voci che si diffondevano a macchia d’olio all’interno del nostro gruppo, riuscii a scoprire che quei due non stavano affatto insieme e che erano semplicemente migliori amici, fatto sta che finche non mi arrivò quella notizia avevo temuto d’averlo perso nonostante non fosse mai stato mio; mi ero trasformato in una sottospecie di fantasma, senza emozioni, senza forze, ero vuoto, ero diventato un vegetale che si trascinava impassibile, con occhi spenti senza un briciolo di luce, di vita, per le strade di Seul seguendo macchinalmente la routine di tutti i giorni, persino farmi picchiare si era rivelato meno fastidioso del solito in quel periodo.  Persino mangiare si era rivelato un bisogno superfluo di cui riuscivo a fare a meno, chi ne aveva bisogno? Io no di certo, non mi serviva mangiare o tantomeno dormire, ma forse abbandonarmi tra le braccia di Morfeo era l’unico modo di scampare al dolore per una misera manciata di ore. Di riempire il mio stomaco però non se ne parlava, come ho detto prima non trovavo una ragione per la quale dovessi mangiare, vivere, respirare, ormai ero convinto che Minho non fosse alla mia portata, più di quanto non lo fosse in precedenza, che avrei dovuto fare? La miglior aspettativa che mi ero fatto era quella di marcire, dentro e fuori e diciamo che avevo imboccato la giusta strada. Magari qualcuno avrebbe trovato stupida la mia reazione a quella falsa notizia chiedendomi “Come puoi ridurti così per una persona con cui non hai neanche mai parlato?!”
Ho potuto, non so come, ma appena quell’idea si è fatta strada nella mia ragione ho sentito rompersi qualcosa, il pavimento sottilissimo, che mi divideva ancora per miracolo da quell’abisso nero e denso senza via d’uscita, è scoppiato in mille pezzi facendo iniziare senza preavviso la mia caduta libera verso di esso e più cadevo più la bellissima luce nella quale ero vissuto fino a quel momento si allontanava dai miei occhi e dalla mia anima, quella luce composta da Lui, Minho, dai suoi occhi sempre attenti ma schivi, quegli occhi grandi e timidi di un caldo color castagna che ogni tanto vedevo puntati verso di me, o molto più probabilmente verso qualcuno o qualcosa sulla stessa linea del suo sguardo. Si, perché non avrebbe mai potuto guardarmi, il bellissimo e strapopolare, da ciò che avevo sentito, Choi Minho che guardava l’insignificante e sfigato Lee Taemin, impossibile no?!
Poi però, Lui non accompagnò più Kibum hyung per un paio di settimane e durante la sua assenza, la sera della cena coi nostri compagni, Key, soprannome davvero adatto per lui visto il suo talento naturale nel risolvere ogni problema, era stato l’unico a preoccuparsi per me, l’unico che si era gentilmente offerto di accompagnarmi al ristorante per poi riportarmi a casa nonostante avesse dovuto allungare il tragitto per tornarsene a casa. Le mie esili spalle si curvarono visibilmente verso il basso quando il mio hyung si propose  di scortarmi realizzando solo qualche momento dopo che Minho non c’era.

Lo rividi qualche giorno dopo, strafelice che fosse tornato, impaziente di poter tornare a lanciargli quelle silenziose e segrete occhiate di cui non si sarebbe mai accorto. Senza preavviso, quello stesso giorno appena finita la lezione iniziai a chiacchierare con Kibum che lentamente durante la nostra conversazione si avvicinava all’uscita dell’aula oltre la quale mi sarei trovato di fronte Lui, questa consapevolezza mi mise addosso un’agitazione terribile  che cercai di dissimulare continuando a chiacchierare, forse anche troppo energicamente. Senza alcuna via di fuga me lo ritrovai di fronte accorgendomi solo in quel momento quanto fosse alto; dopo che Key gli saltò letteralmente addosso, facendomi sentire una specie di terzo in comodo, senza preavviso quest’ultimo iniziò a fare le presentazioni  e per la prima volta sentii la sua voce, così calda e profonda. Immaginai che effetto facesse il mio nome pronunciato da lui ma subito mi rimproverai mentalmente cercando di smetterla di pensare come una ragazzina di 13 anni e cercando di riacquistare la sanità mentale che in pochi attimi per colpa di quel fusto era andata a farsi benedire. Mentre Kibum pronunciò il suo nome mi venne quasi da ridere, avrei voluto rispondergli “Si, lo so come si chiama!” ma mi trattenni dal farlo per evitare una orribile figuraccia.
Era così bello stargli vicino e avrei voluto che quei minuti non passassero mai ma improvvisamente Minho si dileguò con un misero
“Key, io ti aspetto in macchina, arrivederci Taemin-ah”. Inutile dire che il minuscolo barlume di felicità che mi aveva attraversato si spense in un battito di ciglia; me ne rimasi immobile a sbattere le palpebre sperando che tornasse indietro con un sorriso stampato sulle labbra dicendoci che era tutto uno scherzo per poi iniziare a chiacchierare del più e del meno tra di noi. Ma quelle erano solo stupide fantasie che sarebbero rimaste tali, infatti lo guardai sparire nel labirinto dei corridoi della scuola senza poter far nulla.
Anche il mio hyung rimase stizzito di fronte a quel comportamento ma non feci domande, d’altronde non erano affari miei, no?! Anche se… avrei voluto davvero sapere cosa passava per la testa a quello spilungone.
Così, senza preavviso mi balenò nella mente di dovermi sbrigare per raggiungere Minho sotto l’accademia dove stava aspettando Kibum; ma a quale scopo? Solo per vederlo qualche secondo in più? Per parlargli? Di cosa poi? A malapena ci eravamo presentati e già pretendevo di avere una conversazione –su non so cosa – con lui? Stavo perdendo la ragione, oh si, ma c’era da dire che la maggior parte della colpa andava addossata a Key-hyung che, con estrema nonchalance, mi aveva trascinato inevitabilmente davanti a lui non immaginandosi minimamente quale immenso e confuso e assurdo turbinio d’emozioni mi avesse provocato quel gesto ovviamente non premeditato.  Spero non l’avesse fatto a posta, era impossibile che avesse capito che mi piacesse da morire il suo amico, no?! Come mi ero detto di fare mi lavai come un fulmine, mi infilai addosso i vestiti in un batter d’occhio congedandomi dal mio amico con un veloce segno della mano contando sul fatto che, come al solito, ci avrebbe messo secoli e secoli prima d’esser pronto così da poter risparmiarmi una sua prevedibile sfuriata annessa a domandine alquanto imbarazzanti del tipo: ”Come mai ci hai messo così poco a prepararti Taeminnie?!” –soprannome affibbiatomi da lui in persona non so per quale diamine di motivo– . Avrei decisamente preferito evitare tutto ciò. Mi precipitai giù per le rampe di scale che mi dividevano dalla fredda serata primaverile ma soprattutto che mi dividevano da un bellissimo Minho sicuramente seduto tutto tranquillo nella sua macchina che di li a poco si sarebbe visto piombare davanti al finestrino un adolescente a lui quasi sconosciuto che avrebbe voluto intrattenere una breve chiacchierata con lui senza un motivo apparente. Alquanto sarcastica la faccenda. Quella sera i gradini sembravano non finire mai cosa che non mi dispiaceva troppo visto che avrei dovuto pensare a qualcosa di vagamente sensato da farmi uscire dalle labbra una volta trovatomi di fronte a Lui. Vedevo chiaramente l’uscita della scuola che affacciava sulla tranquilla e tiepida serata durante la quale avrei avuto la più unica che rara occasione di conoscere meglio colui che occupava quasi costantemente la mia mente da circa un anno e mezzo. Il problema però era quello di riuscire a trovare quattro parole sensate da dirgli per riuscire ad attaccare col discorso ma, fatalità, quella sera ero dannatamente a corto di idee.  Una volta fuori dall’edificio l’aria mi colpì il volto ma senza darmi fastidio, sbattei un paio di volte le palpebre per abituarmi all’oscurità rischiarata solamente da qualche raro e debole lampione che emettendo una luce fioca conferivano tutto intorno a me un’aria quasi spettrale, e non è che io fossi proprio un amante dell’horror o cose di questo genere.
La mia mente era ancora vuota, priva di idee ma non me ne curai più di tanto visto che ormai era fatta, mi sarebbe bastato individuarlo e dirigermi senza esitazione verso di lui; poi avrei pensato al resto. I miei pensieri si rivolsero nuovamente all’ambiente che mi circondava dove di Minho non c’era traccia, ne a destra, ne a sinistra, ne dietro, ne di fronte a me. Mossi qualche passo sperando di trovarlo ma l’unica cosa che vidi era una coppietta della quale non mi curai troppo; scrutai con attenzione ogni automobile trovandola però tristemente vuota e priva di Minho, o di qualsiasi cosa che avrebbe potuto portarmi da lui. Nonostante i miei sforzi su quella buia via c’eravamo solo io e qui due innamorati che si scambiavano sguardi pieni d’amore e sorrisi imbarazzati mentre passeggiavano tranquillamente mano nella mano, ignari del dolore che stessero provocando al cuore di un diciottenne innamorato di un ragazzo di due anni più grande di lui che a malapena conosceva il suo nome. Quei due non sapevano quanto anche io avrei voluto passare così le mie serate con Lui, magari per loro era stato anche facile, avevano avuto sicuramente la strada spianata e nessuno li avrebbe mai giudicati per l’amore che provavano l’uno verso l’altra. Loro si che potevano permettersi di sorridere, mentre a me, a me non rimaneva che aspettare, sperare ed ancora sperare in qualcosa che molto probabilmente non si sarebbe mai avverato.
Sentii gli angoli degli occhi inumidirsi ed abbassai immediatamente il capo nel tentativo di celare ad occhi inesistenti tutto lo sconforto che in un attimo si era posato con un tonfo sordo sul mio cuore; addentai il labbro inferiore nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime, me ne concessi una sola, l’unica da quando, un anno prima, qualcuno di molto importante per me, se n’era andato.
Minho non c’era e mi costrinsi a farmene una ragione girando i tacchi e dirigendomi decisamente controvoglia verso casa, se così potevo chiamare il luogo dove non avrei voluto mai più mettere piede ma l’unico posto dove potevo dormire avendo un tetto sulla testa.

Sentii qualcuno scuotere leggermente la mia spalla, come a volermi svegliare ma allo stesso tempo facendo attenzione a non farlo.
Ma che cazz…? Ero svenuto?
Il pavimento freddo ed impolverato riconfermò la mia ipotesi.
La mia mente si ricollegò immediatamente alla realtà ricordandomi la situazione in cui ero finito, non che ci fosse stato nulla di nuovo nel venir pestato dopo la scuola, il problema era che Minho era faccia a faccia con quei bulli e io di sicuro non potevo essergli d’aiuto neanche volendo.
Riaprii gli occhi e li sbattei un paio di volte, in lontananza la corsa e le imprecazioni contrariate dei miei assalitori si facevano sempre più lontane; poi il Suo volto entrò nel mio campo visivo mandandomi maggiormente in confusione più di quanto non lo fossi già. I suoi grandi e dolci occhi pieni di preoccupazione mi fissavano per pochi secondi per poi rivolgersi verso la porta con ancora banchi e sedie addossati nel tentativo di bloccarla. La sua voce mi arrivò alle orecchie piena di apprensione
“Taemin? Come stai? Riesci ad alzarti?”
Questa volta il suo sguardo si soffermò su di me più del solito, intenso, in attesa di una mia risposta che stentava ad arrivare a causa della confusione più totale che in quel momento albergava nella mia testolina roscia.
“Oh, ehm, s-si!” balbettai mettendomi di scatto seduto. Mossa sbagliata. Un tremendo giramento di testa mi costrinse a prendermi il capo tra le mani, chiudere gli occhi e respirare lentamente.
Inspira, espira. Inspira, espira.
Calmati Taemin, calmati e pensa a qualcosa di rilassante, pensa ai leggeri e candidi fiocchi di neve che leggiadramente volteggiano fino a scontrarsi inevitabilmente al suolo creando quel soffice manto bianco, così puro e perfetto; pensa al bankai giapponese, con tutti quei meravigliosi petali di ogni sfumatura del rosa che quasi letteralmente piovono dagli alberi di ciliegio che ti avvolgono e di donano una pace quasi irreale; pensa a-
Sobbalzai. La sua mano grande e calda si era delicatamente posata sulla mia spalla, stringendomela un poco, per richiamare la mia attenzione. Con tutto il coraggio che mi era rimasto in corpo mi volsi verso di lui, verso il suo volto così perfettamente simmetrico e bellissimo che aveva la capacità di farmi mancare l’aria.
Mi persi, di nuovo, nei suoi occhi profondi come l’oceano ma questa volta cercai di darmi un contegno.
“Tutto ok?” domandò continuando a stringermi leggermente la spalla, che, sotto il suo tocco aveva iniziato a bruciare. Avvampai ed in un fluido ma lento movimento mi alzai ed indietreggiai un po’ rimanendo sempre con il capo abbassato nel vano tentativo di nascondere l’imbarazzo. Annuii un paio di volte per poi sussurrare un “grazie” appena udibile. Anche lui rivolse il suo sguardo al pavimento e tra noi calò un imbarazzante silenzio, non che prima ci fosse stata chissà quale conversazione. Passarono dei secondi interminabili che parvero  minuti, nessuno si mosse o parlò, non ebbi il coraggio di dire nient’altro, forse per l’agitazione nel fatto d’averlo a neanche un metro da me, o forse per paura di dire qualcosa di sbagliato. C’erano mille forse che impedivano alle mie corde vocali di emettere suoni e ad ogni secondo che passava una nuova preoccupazione andava ad aggiungersi bloccandomi sempre di più le parole in gola.
Come se non ci fosse momento migliore per una cosa del genere i colpi dei bulli iniziarono a farsi sentire, in modo particolare uno di loro mi aveva sferrato un potente calcio sull’anca che ora ne stava largamente risentendo, mi portai la mano sul punto dolorante e soffocai un gemito di dolore involontariamente. I suoi occhi si puntarono immediatamente su di me e si fece più vicino cercando di immettere il suo volto nel mio campo visivo visto che non avevo ancora avuto il coraggio di guardarlo in faccia.
“Taemin-ah, sei sicuro di star bene?”
Perché continuava ad insistere, gli avevo detto che stavo bene! Che motivo c’era di preoccuparsi a questo modo? E poi cosa diavolo era quello sguardo così profondo ed apprensivo? Quanto avrei voluto dirgli tutto quello che mi frullava in testa, quanto avrei voluto urlargli in faccia che lo amavo, lo amavo anche se non lo conoscevo per niente, avrei voluto chiedergli che ci faceva nella mia scuola a perché diavolo si stava preoccupando così tanto per un ragazzino semi-sconosciuto di cui a malapena sapeva il nome. Perché?
“Si è tutto a posto, grazie ancora…”
Mi diressi verso la porta a passi incerti, non lo guardai neanche per un secondo per paura che la debolezza prendesse il sopravvento, si, perché io non ero forte, non ero uno a cui non fregava un cazzo di nulla, non so se purtroppo o per fortuna, io ero uno di quelli sensibili, che vengono feriti troppo facilmente, che venivano presi di mira dai bulli. Ero uno di quelli che era costretto ad indossare una maschera da duro con gli altri, ma tanto, alla fine, venivo sottomesso in ogni caso. Nonostante provassi a nascondermi, coloro che volevano farmi del male riuscivano comunque a trovare e colpire senza pietà le mie debolezze, non importava quanto mi nascondevo, non potevo difendermi. Ero debole.
Ero arrivato alla porta dopo pochi passi ma improvvisamente le mie gambe non furono più in grado di reggere il mio poco peso e fui costretto ad aggrapparmi allo stipite che venne presto sostituito dalla spalla di Minho che ben presto mi fece mancare la terra sotto i piedi e mi si caricò sulla schiena.
“E tu eri quello che stava bene?!” soffiò tra lo scocciato ed il sarcastico. Non potei fare a meno di arrossire all’istante sentendo il cuore martellarmi nella gabbia toracica.
“Guarda che sono capace a camminare…” sbuffai con la voce meno stridula ed agitata che riuscii a fare.
“Ne sei sicuro? Prima non sembrava affatto!” sogghignò quasi compiaciuto della mia ‘invalidità’ mentre si incamminava verso l’uscita della scuola dove ormai non c’era più anima viva.
“Vuoi scommettere!?” quelle due parole uscirono automaticamente dalla mia bocca prive di alcuna malizia o competitività ma non sapevo perché le avevo dette. Lo sentii abbassarsi e i miei piedi tornarono a toccare terra, eravamo ancora nei lunghi ed intricati corridoi della scuola e le nostre voci riecheggiavano tutto intorno a noi.
“Su, forza, vediamo!”
Perché all’improvviso era diventato così acido? Aveva per caso disturbi della personalità? Quel ragazzo mi stava davvero facendo impazzire, in tutti i sensi. E così sia! Iniziai a camminare a testa alta senza degnarlo di uno sguardo visto che mi aveva altamente fatto rodere il culo con quel suo comportamento altezzoso, ma dopo neanche mezzo passo una fitta di dolore all’anca mi fece finire inginocchiato per terra. Ma stranamente non mi feci male nel cadere, anzi non ero neanche sicuro di averlo toccato il pavimento visto che senza neanche accorgermene la schiena di Minho si era frapposta tra me ed il suolo facendomi tornare in braccio a lui. Lo aveva fatto a posta quel dannato. Stavo iniziando ad odiarlo, se per odiarlo si può intendere anche ‘amarlo ancora di più’.
“Dicevi?” mi fece con un mezzo sorriso soddisfatto sulle labbra.
Mi rifiutai di rispondergli e mi voltai dall’altra parte, arrossendo, di nuovo.

“Ohw, si, gira qui, siamo arrivati…”
Ci eravamo appena fermati sotto ‘casa’ mia, mi aveva accompagnato con la sua auto, non aveva voluto sentire ragioni e mi aveva praticamente lanciato nell’abitacolo senza neanche farmi ribattere, non che ne avessi avuto intenzione, anzi, dentro di me stavo facendo i salti di gioia. Ma non appena riconobbi la strada, le case e l’ingresso della palazzina grigia e squallida nella quale vivevo ogni briciolo di allegria scomparve dai miei occhi e credo che Lui se ne accorse.
“Abiti qui Taemin-ah?” mi chiese con quella sua voce profonda in cui riuscii a scorgere un minimo di apprensione.
Apprensione? Ma cosa gliene può importare se vivo qui o no? Perché me lo sta chiedendo? E’ impossibile che gli importi di me in qualsiasi modo. Impossibile.
O almeno questo era quello che mi diceva il mio cervello bacato.
“S-si, vivo qui…perché?” domandai in un sussurro preparandomi a ricevere una risposta, una risposta che non so per quale strano motivo avevo paura di ricevere.
E se fosse stata deludente? E se avesse iniziato a fare altre domande a cui avrei preferito di gran lunga non rispondere? E se si fosse pentito di avermi aiutato? E se fosse rimasto deluso, ma poi, deluso di cosa? Dal posto in cui vivevo? Di non-so-cosa?
Troppi ‘se’ e troppe domande si stavano accavallando nel flusso dei miei pensieri. Troppa confusione rischiava di farmi esplodere il cervello mentre cercavo di apparire tranquillo, rilassato, ai suoi occhi, perché non avrei mai voluto sfigurare, anche se, dopo l’episodio di quel pomeriggio la mia ‘reputazione’ era già andata a farsi fott…friggere. Quel silenzio prolungato mi stava mandando al manicomio, mentre lui, era così sereno e guardava fuori dall’auto ferma, fissava la mia palazzina quasi con ammirazione con la mano sotto il mento, come se stesse pensando intensamente a qualcosa. Inutile dire che di lì a poco sarebbero iniziati a venirmi dei tic nervosi all’occhi quando finalmente, si mosse. Si sistemò sul sedile e si voltò verso di me.
Sorrise.

“Ti va di fare un giro?”






Note dell'autrice:
*alza le mani* VI PREGO NON SPARATE! 
Siete autorizzate ad insultarmi >___< 
Non immaginate quanto mi dispiaccia non aver aggiornato per tutto questo tempo!
CHIEDO UMILMENTE PERDONO! 
Mianhaeyo! Gomen nasai! Sorry! (sorry sorry sorry, nega nega nega monj...ops...)
Scusate ancora e spero di soddisfarvi un minimo con questo nuovo capitolo :'3
Alla prossima~ <3 

Akari_ 
  
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