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Autore: Luce14    26/07/2012    1 recensioni
"Devi amare per poter suonare." L. Armstrong.
Lei è Amelia, ha sedici anni ed è cresciuta in un orfanotrofio.
E' cresciuta nel mistero, ignara delle sue origini.
Non è mai stata amata da nessuno.
Ma qualcosa sta per cambiare: Viene trasferita in un collegio a Torino, per poter coltivare la sua passione più grande, ovvero la musica.
Lei ha la musica nel sangue, il pianoforte è il suo migliore amico.
Lei trova l'amore. E' un amore freddo, graffiante, incosciente.
Lei troverà la chiave che apre i cassetti dei suoi ricordi ignari.
Lei è Amelia, e ritroverà la forza di rialzarsi dopo una caduta che le ha causato ferite profonde nell'anima.
**
Angolo autrice: Salve a tutti, sono Luce14 e questa è la mia seconda storia orignale. Spero che l'apprezziate, perchè io l'ho scritta con il cuore, per tutti voi.
Un grande abbraccio a chi mi leggerà, seguirà e soprattutto recensirà. Accetto critiche perchè penso che siano molto costruttive.
Saluti e buona lettura! :)
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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CHAPTER -ONE


“Avanti, siediti pure, Amelia. Sulla poltroncina laggiù.” Mi ordinò la direttrice in tono pacato, un po’ frettoloso. Mi aveva fatto chiamare nel suo studio prima della mia ormai imminente  partenza per Torino, per trasferirmi nel collegio che mi aveva gentilmente donato una borsa di studio.
L’ufficio della signora Ruffini era una stanza piccola ed arredata miseramente ma allo stesso tempo era semplice ed elegante. Sulla scrivania la direttrice teneva sempre la foto dei suoi figli … molte volte l’avevo sorpresa a fissarli, spensierata. Sarebbe stato bello, magari, così, avere qualcuno che tenesse la mia foto sulla sua scrivania a che sorridesse nel vederla …
“Tra poco arriverà Suor Caterina, era lei a volerti parlare.” Mi annunciò in tono rigido ed io annuii. Mi strinse la mano e si congedò. Quella, me lo sentivo, sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei vista.
Attesi per qualche minuto in ansia Suor Caterina che quando arrivò mi salutò con un caloroso abbraccio. Quella gentile vecchietta dagli occhi marroni ... Era sempre stata dolce e gentile nei miei confronti, mi consigliava e per me era ormai come una madre.
Mi fece sedere nuovamente e iniziò a parlarmi in tono grave: “ Ti ho fatto venire qui per una ragione specifica, mia cara.” La guardai confusa e perplessa e riprese dicendo: “Questa è’ una cosa che non ti ho mai detto … Ma è giunta l’ora che tu sappia.” Disse facendo  una pausa per poi riprendere guardando fuori dalla finestra:
“Dodici anni fa, quando tu arrivasti qui, non eri sola.” Mi raccontò ed io la fissai sgomenta.
“Come?” Dissi gelata.
“Sì, è così. La persona che era con te, mi chiese di prendermi cura di te, perché lei, non ne aveva né le forze né il denaro.” Mi guardò preoccupata, di sottecchi.
E’ così era vero. Ero stata abbandonata. Quante notti avevo pensato assiduamente alle mie origini? A chi io realmente fossi?
“Chi è? Chi era questa persona?” Chiesi, presa da un’improvvisa tremarella e da un’ansia che mi attanagliava il cuore.
“Io non so se ciò che mi disse sia vero, ma …” disse timorosa e allo stesso tempo fissando un punto indefinito dietro di me.
La guardai spalancando le orbite, per farle cenno di proseguire. Lei si alzò e si avvicinò alla finestra, per poi puntare, finalmente, gli occhi su di me.
“Quell’anziana signora, era tua nonna, Amelia.” Disse scandendo le parole, perché io capissi bene.
Ed io avevo capito benissimo.
“M-m-mia n-nonna?” Chiesi sull’orlo del pianto o dell’isteria, sensazione che non seppi definire nemmeno io. L’anziana signora mi si avvicinò e mi poggiò le mani sulle spalle, come per rincuorarmi.
Io non volevo la pietà di nessuno.
Ma non mi mossi di un millimetro. Era pur sempre lei che si era presa cura di me negli anni.
Mi trattenni, e non piansi, ma dall’espressione che avevo sul viso, la mia confidente, capì tutto ed andò a sedersi al suo posto.
“Non so nulla di quell’anziana, perché non mi disse nulla, tranne il tuo nome: Amelia” Mi guardò e continuò.”Ed alcuna parole che non scorderò mai: prendetevi cura della mia piccola nipotina, lei non ha fatto nulla di male al mondo, e si merita molto di più di ciò che potrei mai darle io.” Disse stanca e si portò una mano sul viso.” Mi ricordo ancora che mi porse due lettere ed un pacco, per  donarti un dolce bacio sulla fronte, per poi sparire così com’era arrivata.” Finì di raccontarmi e finalmente mi guardò.
Lacrime calde, scendevano lente dal mio viso, così, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Avevo il capo chino e nascondevo la mia inquietudine a tutti ormai, da sempre. E’ così difficile stare al mondo senza sapere qual è il proprio posto nel mondo. E pensare di non averlo proprio, come i rifiuti sporchi della società, mi faceva stare male.
Mi guardò come a chiedermi il permesso di continuare ed io annuii.
“La prima lettera, la più piccola, era intestata a me. Dentro di essa vi era un foglio che diceva:
                                      Lei si chiama Amelia.
                              Lei ha la musica nel sangue.”
Singhiozzai forte e mi riscossi un po’ dall’apatia che mi aveva attanagliato il cuore.
“E … L’altra lettera? C-cosa diceva?” chiesi un po’ petulante.
“Non lo so. Quella è per te” Disse “Ed anche il pacco era intestato a te.”
Cautamente si alzò per raccogliere un sacchetto che stava nascosto dietro la lunga scrivania della sua superiore.
“Eccoli sono qui dentro.” Mi disse porgendomi il grande sacchetto di carta decorato a mo’ di note musicali. Che bel pensiero…
“Ma ora devi andare.”Mi disse posandomi le mani sulle spalle. “Dentro al sacchetto c’è anche un mio piccolo pensiero, perché tu ti possa ricordare di me, e per la partenza, mia dolce brunetta.” Mi disse commossa, con le lacrime che le affioravano agli angoli degli occhi.”C’è anche il mio numero di telefono.”Mi porse un bigliettino. “Chiamami se ti serve qualcosa.”
Le sorrisi grata, davvero grata.
Le diedi un lunghissimo abbraccio e la ringraziai, per tutto.
Poi mi girai, aprii la porta e andai titubante incontro al mio destino.

 ***
 
Scesi giù dalla macchina nera con agilità e mi fermai ad osservare l’imponente edificio beige che si stagliava, maestoso davanti ai miei occhi. All’entrata dell’edificio centrale, dove mi trovavo io, c’era un enorme portone in mogano sormontato da preziosissime decorazioni.
L’autista del collegio “Giovanna d’Arco” di Torino, mi aveva lasciata nell’enorme giardino, proprio di fronte alla direzione con la promessa che sarebbe tornato subito con i miei bagagli. Mi osservai intorno: L’intero complesso scolastico aveva la forma di un triangolo equilatero a cui mancava la base che era stata sostituita da un elegante recintato sul quale erano cresciuti cespugli di edere. Il giardino era magnifico, ma mancavano i campetti … Chissà dove li avrei trovati. Alla mia destra vi era un campanile in mattoni a vista, antico che preannunciava l’esistenza di una chiesa: era una scuola cattolica. Non c’erano studenti in giro. Guardai l’ora: mezzogiorno e un quarto. Il treno ci aveva messo davvero poco, se contavo di essere partita per le otto precise!
Nell’istante in cui mi riabbassai la manica sull’orologio, sentii il grandissimo ed antico portone sbattere violentemente e mi girai.
Fu quella la prima volta che lo vidi.
Era fermo davanti all’entrata, un sopracciglio alzato con arroganza, le mani chiuse e tese a pugno e nei suoi occhi chiari uno sguardo freddo.
Ci fissammo negli occhi.
Il mio cuore batteva forte. Stravolto.
Quando mi resi conto di quello che stava succedendo, abbassai lo sguardo, imbarazzata. E presi a fissarmi, volutamente disinvolta, la manica del maglione, che ormai aveva catturato il mio interesse, con insistenza.
Il ragazzo sorrise strafottente e compiaciuto e con passo svelto si dileguò.
Dietro di lui, uscì anche una donna di mezza età alta con i capelli biondi e gli occhi scuri, altezzosa e infastidita. Sembrava davvero infuriata. Si girò verso di me e vedendomi mi rivolse un caldo sorriso, che mi dava l’impressione di essere un po’ finto.
“Tu devi essere Amelia Sartori.” Mi disse con tono tranquillo e pacato.
“Sì, sono io …” Risposi sentendo il cognome che veramente non mi apparteneva, ma mi era stato dato.
La donna mi squadrò con curiosità e mi fece cenno di seguirla in quella che immaginavo fosse la struttura che ospitava uffici e professori. All’interno era altrettanto maestosa, nell’atrio si trovava un piccolo salottino con qualche poltrona e un tavolino. Il piano terra si snodava in diverse camerate, dove vi erano la mensa privata dei professori, la sala professori e i loro piccoli uffici. Nei piani superiori, probabilmente si trovavano le stanze dei professori che avevano preferito abitare lì …
Entrammo nell’ufficio più grande subito in fondo al corridoio principale, quello che supponevo fosse la presidenza. Sulla sua scrivania c’era una targhetta con scritto “Alessia De Santis - Rettrice”. Era un bell’ufficio, ben arredato e molto elegante, niente a che vedere con quello della Ruffini. Tutto era curato al dettaglio. Evidentemente apprezzava molto l’arte perché il suo ufficio era completamente tappezzato di quadri, di grandi e piccole dimensioni, tutti abbastanza famosi e francesi.
“Bene, allora …”Mi chiese catturando la mia attenzione.”Signorina, com’è stato il viaggio?”
“E’… è stato gradevole.” Risposi incerta.
“Capisco. Siccome non hai ancora visitato la scuola, tra poco ti poterò io a fare un tour completo, e spero che tu rimarrai soddisfatta da ciò che vedrai.” Mi disse guardandomi diritta negli occhi.
“Si-sicuramente.” Risposi confusa. Cosa intendeva? Voleva già farmi sentire fuori posto? Eh certo, non sono mica come tutti i suoi studenti, una riccona egocentrica, io, e mai sarei voluta diventarlo!
Mi sorrise: “Tra poco arriveranno i tuoi bagagli e verrai sistemata nel dormitorio femminile, al secondo piano. La tua stanza è la 39.” Mi disse porgendomi un mazzo di chiavi: bene ce n’erano anche due di scorta, se per caso mi sarebbe capitato di perderle, come ero sicura sarebbe successo.
“Uhm… Molte grazie.” Le risposi prendendo le chiavi.
“Bene direi che è tutto a posto. I tuoi documenti mi sono stati spediti dalla rettrice a Trento. Piuttosto, quale piano di studi hai scelto?”
“Il piano C, quello con due lingue, la letteratura italiana e straniera, scienze naturali e biologia.” Dissi con una punta d’orgoglio. Avevo sempre amato le lingue e la letteratura e la scienza mi aveva sempre stranamente incuriosita.
“Quella con la storia e la matematica obbligatorie, giusto?” Mi chiese un po’ accigliata.
“Sì.” Risposi un po’ giù di morale: io e la matematica non andavamo molto d’accordo, anzi, per niente!
“Avrai anche due ore di Educazione fisica obbligatorie, lo sai? Devi scegliere che sport praticare …” mi disse guardandomi di sottecchi.
“Avrei scelto l’atletica, anche se non amo molto gli sport.” Dissi sorridendo debolmente e lei annuì scrivendo qualcosa al pc.
Quando tornò a rivolgersi verso di me mi chiese: “ Tu sai che sei qui.“ Fece una piccola pausa per cercare le parole.” Per studiare e perfezionare le tue abilità al pianoforte, vero?”
“Certo.” Risposi risoluta. Lo sapevo eccome, me lo facevano pesare ogni giorno all’orfanotrofio, ordinandomi di comportarmi in modo adeguato perché era un premio. Certo, un premio. Io gli ero grata per quello che mi avevano dato, ma ero incerta su come avrei dovuto comportarmi.
“Se ti abbiamo offerto questa borsa di studio ci sarà un motivo, cara Amelia.” Mi disse fredda.” Ci aspettiamo che tu t’impegni al massimo e per questo, abbiamo pensato di inserirti nel corso di musica avanzato.” Sorrise compiaciuta.
Corso di musica avanzato? Non ne sapevo nulla!
Come se avesse potuto leggermi nel pensiero, la rettrice mi rispose :” E’ per gli allievi del quarto e quinto anno …”
La guardai stupita. No! Non volevo essere presa di mira dai miei compagni fin dal primo giorno!
“Ma io sono al terzo … “ Tentai invano di controbattere.
“Non si discute. Abbiamo pochi talenti come te a livello italiano, da te ci aspettiamo l’eccellenza.” Disse calma e sapevo bene di non poter replicare.
“Va bene.” Risposi rassegnata. “A che ora iniziano normalmente le lezioni?”
“Alle 7:55. Se si arriva in ritardo, la punizione viene scelta dal docente di turno. Può variare da pulizie a compiti extra.” Mi disse come a volermi ammonire. “ E terminano alle 13:15. Con una pausa alle 10:45 di mezz’ora.”
Annuii pensierosa. Avrei dovuto svegliarmi molto presto.
“Per quanto riguarda le lezioni di musica, si svolgeranno nel pomeriggio, dalle 15:00 alle 16:30. E dalle 17:00 siete liberi di studiare per il giorno dopo oppure allenarvi, comunque sono ore di libertà, per tutti.” Mi informò fissando lo schermo del suo pc. Si era per caso segnata tutto sul suo computer?
“Ora se ti va di seguirmi, ti mostro il complesso scolastico.” Mi disse alzandosi per andare ad aprire la porta. “Dopo di te.” Mi disse e ci avviammo verso l’esterno della struttura.
Trovammo i miei bagagli adagiati sul cemento di fronte i dormitori deserti. Mentre mi guidava per i corridoi della struttura, mi raccontava “Una volta questo palazzo era esclusivamente un dormitorio femminile, e per adattarlo alle esigenze anche maschili, abbiamo suddiviso le camerate in due.” Si fermò davanti ad un bivio ed indicò l’ampio corridoio ad arcate di pietra alla mia destra. “Quello è il dormitorio maschile.” Poi indicò il corridoio a sinistra preziosamente decorato con quadri su delle pareti color avorio. “ E quello è il dormitorio femminile, alla fine del tour, ti accompagnerò alla tua stanza.” Mi disse facendomi l’occhiolino.
Perseguimmo il tour e scoprii che al secondo piano vi era una biblioteca esecutivamente per collegiali, delle aree relax e una stanza di studio comune. Davvero impressionante. Al terzo piano, vi erano i bagni comuni, oltre a quelli privati che si trovavano nelle nostre stanze, e la lavanderia, una stanza enorme.
Al piano terra, mi spiegò la rettrice, che era la stanza comune dove ci si ritrovava nelle ore serali o pomeridiane per chiacchierare sui divanetti o sui sofà riccamente decorati. I soffitti erano affrescati, avevano un’aria antica e soprattutto mi chiesi se per caso non fossero affreschi risalenti al rinascimento, visto lo stile. Lo chiesi alla rettrice e mi rispose con un cenno del capo, sorridendomi un po’ freddamente. Ai lati della stanza c’erano anche dei televisori al plasma, con dei lettori dvd e un proiettore, mi spiegò la mia accompagnatrice, per le serate di cinema, che talvolta d’estate si svolgevano anche fuori.
Fui guidata attraverso le aule della scuola nell’edificio ovest. Le aule non erano molte ma erano molto ampie, le pareti erano state dipinte di colori chiari e brillanti, e l’aula di lingue e di scienze erano molto ben attrezzate. L’ultima aula che mi mostrò, ovvero la più ampia, fu quella di musica. Si trovava vicino al teatro, era una specie di aula prove e in un angolo si trovava un bellissimo pianoforte a corde intarsiato sui bordi con disegni floreali, in legno scuro. L’aula era stata costruita in modo che tutte le scalinate dove si trovavano i posti a sedere, potessero vedere il professore senza alcuna difficoltà, proprio come nelle università.
“Il professore Modignani è ansioso di conoscerti.” Mi disse osservandomi mentre mi avvicinavo al pianoforte, il mio nuovo compagno di vita. “ Siamo tutti molto ansiosi di sentirti suonare.” Disse sorridendomi un po’ falsamente. “Spero che in una di queste serate tu ci possa deliziare con qualche sinfonia.”
La guardai scioccata. Cos’ero, il nuovo giocattolino? O mi prendeva in giro?
“C-certo. Come volete.” Risposi cauta, sorridendo debolmente.
“Ora andiamo, ti accompagno in stanza.” Mi disse con tono severo, facendomi arrivare alla conclusione che il tour, per quel giorno, era finito lì.
Mi accompagnò nel mio dormitorio, alla stanza 39. Si trovava verso la metà dell’intero vasto corridoio  ad ovest. La porta era bianca e la preside mi informò che avrei dovuto comunicarle il colore che preferivo di più per poterla dipingere, come avevano fatto le mie compagne di dormitorio. Io le risposi di verde chiaro e che mi sarebbe piaciuto poterlo decorare poi, io, in seguito, con dei motivi floreali. Lei mi guardò pensierosa ed annuì.
“ Tra mezz’ora verrà servito il pranzo.” Mi comunicò.
“ Io.. Preferirei non mangiare per ora. Non ho molta fame …” Dissi in tono leggermente dispiaciuto.
“Va bene.” Mi disse, mi porse l’orario delle lezioni per l’indomani e si congedò.
Aprii la porta senza badare troppo ai convenevoli, e senza guardarmi troppo intorno, buttai i miei pochi bagagli in un angolo e mi tuffai sul letto spoglio. L’ultima cosa che notai prima di addormentarmi fu il soffitto bianco e spoglio e l’odore di chiuso che aleggiava nell’aria.

 ***
Angolo autrice:

Eco a voi il primo capitolo! E' un po' lungo, lo so, ma a me piacciano corposi i capitoli, e d'ora in poi, mi dispiace per voi, saranno tutti così ;)
Che dire... In questo capitolo presentiamo il nuovo collegio e si introdce il mistero della vita di Amelia, la sua personalità e ... IL PEROSNAGGIO MISTERIOSO! Chi sarà mai?!
Vi lascio indovinare. Vi do l'iniziale del suo nome: C.
Vediamo chi indovinerà, intanto godetevi questo capitolo.
Un bacio a chi recensirà o anche solo leggerà questa pazzia.
Ciao!
   
 
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