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Autore: Ginger_J    26/07/2012    0 recensioni
Rebecca e Marco, da sempre un mare di perplessità. In un paese corrotto che fa da cornice, tra incomprensioni, viaggi, amicizie, faide e forse troppo amore, ce la faranno a restare su questa barca che sembra navigare contro corrente?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[…]

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

6. Snow White


Non riuscivo a capire se il fatto che sentissi le voci dei miei amici di Roma fosse un sogno o l'inizio di una grave malattia mentale. Non stavo dormendo, o meglio, ero in quella fase post-sonno in cui i miei occhi tentavano di aprirsi ma le palpebre restavano appiccicate tra di loro, quindi la teoria della malattia mentale stava momentaneamente avendo la meglio. Dopo una dura lotta costrinsi l'occhio destro ad aprirsi e sentii la risata stridula di mia madre espandersi per tutta casa; sbuffai e mi alzai dal letto arrancando fino alla cucina, quando arrivai però dovetti sbattere di nuovo gli occhi e stropicciarmeli un paio di volte con la mano per riuscire a credere che la persona che avessi davanti fosse reale.
«Buongiorno!» trillò Carlotta venendomi ad abbracciare.
«Ma... ma... che cazzo ci fai qui!?» berciai ricambiando goffamente l'abbraccio.
«Buongiorno principessa!» borbottò ironicamente mia madre, «vi lascio a voi, la colazione è sul tavolo» aggiunse dandomi una leggera pacca sul sedere.
«Oddio, perché sei qui? Che è successo? E' morto qualcuno? Ecco, lo sapevo, non vi posso lasciare soli che...»
«Zitta!» rise Carlotta interrompendo la mia raffica di domande, «in genere appena sveglia non ti si può parlare, mentre ora non stai zitta un secondo» mi fece notare, mi sedetti al tavolo e mi versai il caffè nella tazza invitandola a spiegarmi la sua presenza lì, in Calabria. «Mi mancavi, non avevo niente da fare e sono venuta» spiegò telegrafa.
«E il lavoro?» le chiesi addentando un pezzo di torta al cioccolato.
«L'ho lasciato momentaneamente» mi rispose scrollando le spalle come se niente fosse.
«Come l'hai lasciato?» le chiesi rischiando di strozzarmi.
«Sì Rè, non mi sento più bene in quella libreria, ho bisogno di una pausa» sbuffò mangiucchiando un po' di torta anche lei.
«Va bene, se pensi che sia una cosa migliore ok. Lo sai che appoggio ogni tua scelta»
«Grazie dolcezza... quindi ho pensato di prendermi un week-end sabbatico dalla città e venirti a fare visita, spero non ti dispiaccia»
«Per me puoi restare quanto vuoi! I ragazzi che dicono?»
«David ha detto che lo abbiamo abbandonato... ma ha detto che "se Maometto non va alla montagna, la montagna andrà a Maometto" quindi verrà per le vacanze di natale».
«Ma natale è tra due mesi!» le dissi alzando un sopracciglio.
«Veramente natale è tra meno di un mese» ridacchiò Carlotta, «siamo al due Dicembre» mi ricordò, e fu come svegliarmi da un lungo sonno, tanto che mi cadde la sigaretta che avevo appena messo in bocca e assunsi un'espressione da ebete. «E' già un mese che manco da Roma?» le chiesi in preda alla perplessità, lei annuì ed io strabuzzai ancora di più gli occhi, «oddio!» esclamai dandomi uno schiaffo sulla fronte; mentre tentavo di metabolizzare la notizia del tempo che era passato così velocemente sentii il portone di sotto aprirsi e i passi di qualcuno che stava salendo le scale fino alla porta di casa mia. Aspettai che suonassero il campanello, ma evidentemente mia mamma aveva lasciato la porta socchiusa perché l’apparizione delle teste di Matteo e Marco mi fecero sussultare.
«Buongiorno splendore» mi sorrise Matteo posandomi un bacio sui capelli, gli sorrisi e poi grugnii un saluto in direzione di Marco. Erano passati tre giorni dal nostro bacio e lui non ne aveva ancora mai parlato. Non era mai stato il tipo che tirava in ballo il passato o dava spiegazioni, faceva ogni cosa che gli suggeriva la testa, e pur sapendo queste cose avevo comunque pensato che il giorno dopo il nostro bacio lui si sarebbe degnato a darmi qualche delucidazione al riguardo, ma mi sbagliavo anche quella volta.
«Non so se ve la ricordate, lei è Carlotta» dissi indicando la mia amica, il sorriso di Matteo si fece ancora più ampio e andò a salutarla con due baci sulle guance, «certo che me la ricordo» trillò, facendomi tornare in mente la simpatia che provava per lei; anche Marco l’andò a salutare, ma senza tanta cordialità.
«Allora, qual buon vento vi porta qui?» gli chiesi spegnendo la sigaretta.
«La tua macchina» mi rispose Marco tagliandosi un pezzo di torta.
«L’ho momentaneamente aggiustata, anche se penso non durerà a lungo Reby… gli do al massimo due mesi»
«Oddio che ansia!» sbuffai arrotolando sul dito una ciocca di capelli; stavano succedendo troppe cose e il mio cervello non riusciva a stare al passo, non appena sveglia e con quella poca caffeina che avevo assunto.
«Devi capire che quella macchina è come un malato terminale, fin da quando ti conosco io ha fatto la chemiometria, ma ora sta lentamente morendo»
«Dio che tristezza» commentò Carlotta con un sospiro.
«Ok, dov’è adesso?»
«In officina…»
«Siete venuti fino qui solo per darmi la cattiva notizia? Gentilissimi»
«Eravamo andati a fare colazione e poi abbiamo pensato di venirti a rompere le palle, l’idea era quella di svegliarti» mi spiegò Matteo guardando di sottecchi Marco.
«E se ora andassimo tutti in officina così io mi riprendo la mia macchina?» proposi, «così posso ridargli la sua» aggiunsi indicando Marco con un cenno del capo.
«Per me non c’è problema» asserì Matteo.
«Perfetto, mi cambio e tra cinque minuti sono nuovamente qui! Socializzate, parlate... fate qualcosa!» sorrisi e corsi in camera da letto lasciandoli tutti e tre seduti al tavolo della cucina. Arrivata in camera presi un paio di jeans ed una felpa e poi andai verso il bagno, posai i vestiti sul mobile e tornai indietro a prendere i calzini puliti che avevo dimenticato sul letto. Mi tolsi il pigiama e mi misi i jeans, poi il reggiseno e mi apprestai a lavarmi il viso, mentre avevo la faccia spalmata sull’asciugamano sentii un' imprecazione troppo vicina per essere di qualcuno che si trovava in cucina.
«Scusa, c’era la porta aperta» borbottò Marco.
«Ah, l’avrò lasciata aperta per sbaglio» scrollai le spalle io, poi presi il mascara e me lo passai sulle ciglia guardando dallo specchio Marco che aveva chiuso la porta e si era poggiato al muro.
«Ti serve qualcosa?» gli chiesi senza neanche voltarmi.
«No, ti stavo solo osservando»
«Come vuoi» feci di nuovo spallucce e mi sciolsi i capelli, e scuotendoli mi resi conto che la maglietta e la felpa erano poggiate sul pomello della porta, proprio dietro Marco. Feci un respiro profondo e mi avvicinai allungando un po’ la mano e sperando che capisse le mie intenzioni.
«Mi eviti da giorni» borbottò prendendomi per il polso; no, non le aveva decisamente capite le mie intenzioni.
«Il realtà non ti sto evitando, ti sto semplicemente ignorando… da tre giorni, per la precisione» gli risposi saccente osservando la maglia che penzolava.
«Ancora arrabbiata per quel caffè?» mi chiese. Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere della sua ingenuità, anche se avevo sempre pensato che la stupidità di Marco fosse una finzione, che era uno di quelli che fa finta di non capire quando gli fa comodo, come in quel caso.
«Posso essere incazzata per un caffè?» gli domandai retoricamente, «mi sto solo relazionando a te nello stesso modo in cui tu ti relazioni con me» gli spiegai, ma lui non mollò la presa.
«Io ti starei ignorando?»
«No Marco, tu ignori i contorni ed i fatti, di conseguenza io ignoro te» sbuffai seccata, iniziavo a sentire freddo senza maglietta.
«Quali fatti?»
«Gli asini che volano!» replicai ironica, «guarda che se vogliamo fare finta che quel bacio non c’è mai stato per me va bene eh! Basta saperle le cose»
«Ma che diavolo… perché non ci dovrebbe mai essere stato?»
«Ah io non lo so, dimmelo tu»
«Becca ti prego, non la fare così complicata; sai come sono fatto, basta» si limitò a rispondere dopo un attimo di silenzo.
«Non hai più vent’anni, non puoi più ragionare così!»
«Posso, e lo faccio» ribatté prima di tirarmi verso di lui e provare a baciarmi di nuovo.
«Spiegami il senso» gli dissi scansandomi bruscamente.
«Mi mancavi tu, mi mancava il tuo sapore. Volevo farlo, l’ho fatto» mi spiegò accennando un lieve sorriso.
«Ok. Ma... non puoi fare così!» sbuffai riuscendo finalmente a liberarmi dalla sua presa, «non sono più disposta a sopportare questi tuoi sbalzi d'umore» gli dissi sentendo, però, un peso all'altezza dello stomaco ed la mia vocina interiore che mi accusava di essere una sporca bugiarda.
«Non capisco dove sia il problema... non ti è piaciuto?» mi chiese alzando un sopracciglio.
«Il problema è che non voglio che sia così» gli dissi mentre mi infilavo la maglietta.
«Ti ho fatto una domanda: non ti è piaciuto?»
«Non c'entra un cazzo!» berciai sicura che mi avessero sentito anche Matteo e Carlotta dalla cucina, «mi è piaciuto, e mi sei mancato anche tu. Ma il punto è che io non voglio tornare con te in questo modo», sospirai, «e siccome ti conosco bene so che per il momento questo sarebbe l'unico modo...»
«Tu vaneggi!» mi interruppe lui alzando gli occhi al cielo.
«No Marco io non vaneggio, al contrario tuo, io ragiono! Io ho bisogno di stabilità da te, tu non sei il ragazzo con cui io voglio spassarmela, bensì quello con cui pensare al futuro! Io la vedo così e tu no»
«Ne hai la certezza?» mi chiese guardandomi dritto negli occhi.
«So che per il momento non hai la testa per impegnarti seriamente, e lo sai anche tu» sospirai prendendo la felpa in mano, «quindi finché non sarà così anche per te finiamola qui» feci un lungo respiro ed uscii dal bagno. Senza mezzi termini gli avevo detto come la pensavo ed in quel momento avevo preso il suo silenzio come una'utomatica conferma delle mie parole, eppure c'era una piccola parte di me che pensava lui fosse nuovamente pronto ad affrontare una relazione. Dovevo lavorarci su, ma dovevo deciderle io le regole, non potevo permettere che le sue voglie mi destabilizzassero più del dovuto. Gli avrei fatto cambiare idea.
«Tutto bene?» mi chiese Matteo vedendomi entrare in cucina con una smorfia sul viso.
«Sì, tutto ok» gli sorrisi mettendomi la felpa, sentii i passi di Marco e mi scansai da vicino la porta per non ostruirgli il passaggio, «andiamo?» chiesi poi, Carlotta si alzò e mi venne vicino mentre i ragazzi si apprestarono a scendere le scale.
«Sicura che va tutto bene?» mi domandò Carlotta sotto voce.
«Sì tesoro, a meraviglia» tentai di tranquillizzarla con un sorriso ma non fui sicura di esserci riuscita, per fortuna la voce di mia madre la interruppe proprio mentre mi stava per domandare qualcos'altro.
«Dove state andando?» ci chiese uscendo dalla porta dei casa sua.
«A prendere la macchina di Rebecca» le rispose Matteo, mia mamma mi guardò e poi guardò Marco che se ne stava in disparte e in silenzio, forse consocio della poca simpatia che delle volte mia madre aveva verso di lui.
«Oramai è pronto da mangiare... mangiate un boccone e poi andate» disse con un sorriso, tentai di non sbuffare ma divenni paonazza in volto, doveva essere gentile proprio ora? Quello fu l'esempio lampante che il tempismo sbagliato era una caratteristica che avevo ripreso da lei.
«Non vorremmo disturbare...» mormorò Marco.
«Ma finiscila! E poi mi devi ancora una partita a carte!» le urla di mio padre ci fecero ridere, così ci avviammo tutti verso la cucina e lo trovammo ad aspettarci con le mani sui fianchi.
«Sì, ma andate a giocare in salone» li rimproverò mia madre, «qui è quasi pronto!» aggiunse alzando gli occhi al cielo.
«Spiegami questo attacco di gentilezza...» sbuffai a bassa voce.
«Sto solo provando a farmelo andare simpatico»
«Marina, non ci sei riuscita in tre anni, non penso ci riuscirai ora» ridacchiò Carlotta sedendosi.
«Lo so Carlò ma dovrò pur tentare di nuovo... anche se spero sempre che questa torni in se stessa» ribatté dandomi uno schiaffo sulla testa.
«Ah, guarda che per me puoi continuarlo ad odiare. Non stiamo insieme, quindi risparmiati la fatica» le risposi arricciando le labbra.
«Avete litigato?»
«No»
«Sicura?»
«Che palle!» gracchiai sedendomi vicino a Carlotta, «non era pronto il pranzo?» borbottai tentando di cambiare discorso.
«Ecco perché, principalmente, non vi sopporto insieme: lo frequenti e diventi isterica!» mi disse mia madre puntandomi il dito contro, Carlotta mi mise una mano sul ginocchio ed io evitai di rispondere a quella provocazione che in fin dei conti non era nient'altro che la realtà. Bastava stare a contatto con lui più di due giorni che la mia personalità cambiasse. Non ne capivo bene il motivo, sapevo solo che quando stavo con Marco diventavo un'altra persona, una persona che mia madre non sopportava e che io comprendevo a stento, perché quella Rebecca sostanzialmente non ero io. Eppure dicono tutti che quando si ama qualcuno si è disposti a sopportare tutto, e così facevo io da ben tre anni.
L'arrivo di Carlotta coincideva con uno dei nostri venerdì all'Havana. In realtà noi eravamo sempre all'Havana, ma il venerdì e il sabato ci andavamo per puro divertimento, per lo meno io che non lavoravo nel week-end, ma quel fine settimana anche Francesca era libera e non vedeva l'ora di divertirsi con noi, in più mi aveva confidato che quella sera sarebbe successo qualcosa che ci avrebbe sconvolto tutti e la mia curiosità ne stava risentendo.
«Quindi voi state praticamente ogni sera lì?» mi chiese Carlotta, perplessa.
«Sì» le dissi di nuovo mentre mi infilavo gli stivali.
«E non vi rompete le scatole?» mi domandò, forse per la millesima volta.
«Lo so, è difficile da capire per chi vive in una città come Roma» tentai di spiegarle, «ma quando siamo tutti insieme non conta dove andiamo... e poi l'Havana è diventato una seconda casa per tutti»
«Sarà... ma una volta odiavi la routine» fece spallucce lei mentre si metteva il cappotto.
«Odio la routine in città, ma qui mi sta bene così» tagliai corto, poi guardai il display del cellulare accendersi e lessi al volo il messaggio che mi aveva mandato Matteo, «perfetto, come al solito siamo in ritardo!» osservai girandomi la sciarpa attorno al collo, «e tu hai fatto colpo, di nuovo» aggiunsi con un sorriso malefico.
«Cosa?» balbettò Carlotta avviandosi verso la porta.
«No niente» ridacchiai io chiudendo casa.
«Posso sapere che hai detto?» insistette Carlotta mentre stavo ingranando la prima.
«Che hai fatto colpo. Cioè, lo avevi fatto anche anni fa, quindi hai confermato un colpo» blaterai senza distogliere lo sguardo dalla strada.
«Sei scema?» mi chiese retorica, «cioè, più scema del solito...» rifletté poi.
«Tranquilla, va tutto bene» ridacchiai ed accelerai, se non fossimo arrivate in meno di cinque minuti mi sarebbe toccato pagare da bere a tutti, era la regola.
Dopo una serie di inflazioni del codice stradale e un parcheggio fatto alla bel e meglio arrivammo in tempo; Francesco stava già controllando l'orologio e la sua faccia delusa mi fece sorridere vittoriosa.
«Tranquilla, non sei l'ultima» mi sorrise Stefano,
«Chi manca?» gli chiesi andando a salutare, intanto, Francesca che aveva un sorriso da ebete stampato in faccia.
«Il tuo amico» mi rispose suo fratello, seccato.
«Strano, i miei amici sono tutti qui» gli risposi saccente.
«Ah è vero, è più di un amico» ribatté lui e si beccò uno scappellotto da parte mia, «comunque eccolo» aggiunse facendo un cenno del capo. Mi girai e sgranai gli occhi. Il fatto che fossi miope era chiaro a tutti, ma le visioni non le avevo mai avute, per cui strizzai di nuovo gli occhi ma la bionda affianco a Marco non sparì come per magia e, anzi, avanzò verso di noi assieme a lui.
«E' possibile che ne esce fuori sempre una?!» sbuffò Francesca leggendomi nella mente, io sospirai profondamente e tentai di far finta di niente, come sempre. «Troverà gli sconti al super mercato, il tre per due è sempre conveniente» dissi scrollando le spalle.
«Lo so, devo pagare da bere a tutti» alzò subito le mani Marco con un sorriso, «anche se effettivamente il ritardo non è stato opera mia» aggiunse facendo ridacchiare l'essere al suo fianco.
«Ce l'hai mentale il ritardo» borbottò Francesca e dovetti trattenermi dallo scoppiare a ridere.
«Lei, comunque, è Daniela... per chi non la conoscesse» si rivolse a noi donne, soprattutto a me e Carlotta.
«Piacere, Rebecca» sorrisi stringendole la mano e già sapevo che non mi sarebbe andata a genio, odiavo fare strette di mani con chi sembrava avesse un budino a posto dell'arto. Dopo i convenevoli e le frecciatine rivolte a quella che sembrava la coppia della serata decidemmo di entrare e sederci al nostro solito tavolo, ma con nostra grande sorpresa Vincent ci aveva riservato il privè più grande, cosa di cui tutti noi restammo esterrefatti, tranne Francesca e Stefano.
«Ok, io devo bere» esclamai dopo aver quasi vomitato alla vista di Daniela senza cappotto.
«Ma deve fare un strip?» mi domandò Carlotta, guardandola scioccata.
«Non ne ho idea, ma quel cretino dopo mi sente, avevamo detto niente estranei questa sera» borbottò Francesca, «ovviamente tu sei esclusa, gli amici di Rebecca sono dei nostri» si affrettò ad aggiungere guardando l'altra mia amica.
«Grazie» le sorrise Carlotta, poi si alzò e mi tese la mano, «avanti, il bancone ci aspetta» mi disse, mi alzai e diedi un ultimo sguardo alla strana coppia prima di dirigermi verso il bar.
Ci sedemmo sui primi due sgabelli che si liberarono e chiesi ad Antonio, il barista, di farci due Long Island belli forti e il risultato superò, fortunatamente, di gran lunga le aspettative.
«Seriamente, vai li e tiragli un tavolo» mi suggerì Carlotta guardando Marco.
«Gli darei troppa soddisfazione» gli risposi prima di bere l'ultimo goccio che era rimasto nel bicchiere, «e poi non sono io quella che lo farà vergognare come un cane, bensì lei» aggiunsi indicando con un cenno del capo Carmen.
«Che sarebbe?»
«Quella che si tromba in genere. Lei lo ama follemente e pensa di essere la sua unica ragazza-sesso» spiegai alzando gli occhi al cielo, il cocktail stava facendo il suo effetto e ringraziai con un sorriso Antonio.
«A quanto vedo hai già pensato a tutto»
«Tesoro, sarò pure tornata la Rebecca innamorata, ma il gene della stronza non l'ho perso del tutto» le risposi ridacchiando, poi ci alzammo con l'intento di riavviarci di nuovo verso il nostro tavolo, ma sentii una mano fare pressione sul mio polso; mi voltai e sorrisi in direzione del suo possessore.
«Buonasera» mi salutò Alessio.
«Ciao!» dissi forse con troppa foga, «lei è Carlotta, una mia amica» aggiunsi voltandomi, ma mi resi conto che Carlotta era tornata al nostro tavolo senza accorgersi che io mi ero fermata. «Ehm... giuro che è una persona in carne ed ossa e non la mia amica immaginaria» mi giustificai sbuffando.
«Tranquilla, l'avevo vista» ridacchiò Alessio, «avete cambiato tavolo?» mi chiese poi.
«Sì, questa sera dovevamo stare più larghi possibile» gli spiegai con una smorfia di disgusto guardando in direzione di Marco e i miei occhi incrociarono i suoi per una frazione di secondi. «Tu invece, sei da solo?» gli chiesi tornando a posare lo sguardo su di lui. Lo squadrai per bene e accennai un sorriso alla vista del suo corpo perfetto, la camicia bianca gli fasciava l'ampio torace per poi restringersi sulla vita, piccola al punto giusto. In quel momento mi ricordai della visione di Marco all'entrata, dei pensieri che feci vedendolo infilarsi al volo la giacca nera e di quanto fosse bello vestito in quel modo; l'avevo sempre adorato in giacca e camicia, anche se il suo fisico non era asciutto come quello di Alessio, lui era comunque perfetto, per me.
«No, sono con i miei amici» mi rispose Alessio scuotendomi dai miei pensieri; mi maledii mentalmente e mi promisi di bere un altro bicchiere.
«Ok...» risposi a corto di idee, «ci vediamo in giro allora!» lo salutai con due baci sulle gote e mi diressi verso il tavolo buttandomi poi sul divanetto affianco a Francesca. «Datemi un bicchiere di champagne» mormorai guardando la bottiglia che, però, era ancora chiusa.
«Che ti ha detto?»
«Niente Frà, abbiamo parlato del più e del meno... ah, grazie per avermi mollata lì» gracchiai poi in direzione di Carlotta, che però era impegnata a conversare con Matteo, quindi molto probabilmente era come se avessi parlato ad un muro. «Che palle» sbuffai, «siete tutti accoppiati! Rimaniamo io e tuo fratello, gli unici single della serata, forse della storia!»
«Parla per te» borbottò Francesco, «non voglio diventare come te» aggiunse facendomi l'occhiolino, gli feci una pernacchia e poi lanciai un altro sguardo a Marco impegnato a farsi sussurrare qualcosa da Daniele; doveva essere qualcosa di veramente interessante visto il sorrisetto che aveva stampato sul viso.
«Ok... visto che non so per quanto tempo tu sarai lucida abbastanza da capire, credo sia ora di parlarvi, a tutti!» alzò la voce Francesca, e tutto il gruppo si voltò per ascoltarla.
«Ora?» le chiese Stefano e non riuscii a fare a meno di notare il tremolio che gli era preso alla mano.
«Oddio» dissi guardandoli, «oddio!» ribadii con gli occhi sgranati.
«Smettila» rise Matteo guardandomi di sbieco.
«Ok... però ribadisco: oddio!» mormorai con un risolino, e mi scrissi un altro dei miei post-it mentali: non bere mai più un Long Island preparato da Antonio.
«Lei lo sa? Lo sa lei e non lo sa tuo fratello?!» iniziò a dire Francesco in direzione della sorella che non sapeva più come farci zittire, guardò in direzione di Stefano come per cercare aiuto e lui le prese la mano sinistra, stringendogliela, poi estrasse un qualcosa che brillava un po' troppo e che in attimo dopo si trovava sull'anulare di Francesca.
«Ci sposiamo» disse Stefano, pacato.
«Perché, stavate veramente insieme?» chiesero Matteo e Marco, stupiti.
Mi portai la mano sulla bocca dallo stupore e l'unica cosa che riuscii a dire fu: «sei incinta!»
«Cosa? No!» gracchiò in coro la coppia. «Te l'avevo detto che sarebbe stata la prima cosa che avrebbero detto» borbottò poi Francesca scuotendo la testa. «Non sono incinta» mise in chiaro di nuovo. «E' solo... abbiamo aspettato tanto tempo. Ci siamo sempre amati e non abbiamo mai avuto le palle per dircelo» iniziò a spiegarci con gli occhi che le brillavano di gioia, «ci conosciamo da sempre, quindi non vediamo la necessità di fare anni di fidanzamento, inutili tra l'altro» ridacchiò guardando Stefano, «per cui... eccoci qui. Ci sposiamo tra un anno» concluse; partirono applausi e fischi e tutti si alzarono ad abbracciare la coppia felice. Per quanto mi riguarda rimasi seduta in una specie di stato catatonico, con le lacrime agli occhi. Mi feci coraggio e li andai ad abbracciare, scoppiando a piangere.
«Smettila o farai piangere anche me» mi sussurrò Francesca stringendomi.
«E' che... è una cosa bellissima! Tutto quello che hai detto, è fantastico» blaterai asciugandomi le lacrime ma senza riuscire a smettere.
«Sono parole mie» si pompò Stefano abbracciandomi.
«Oddio» dissi singhiozzando, «siete bellissimi. Sei un uomo con le palle, che non ha paura di dimostrare quanto vale alla donna che ama» gli dissi dandogli una pacca sulla spalla, ma guardando con la coda dell'occhio Marco. Sentivo la testa girarmi e l'aria che mi riempiva i polmoni non mi permetteva di respirare al meglio, ma non capivo se era dovuto all'alcool o ad altro. «Ora scusatemi, devo prendere aria o dovrete celebrare prima il mio funerale» gli dissi allontanandomi; sentii la mano di Carlotta stringere la mia e ci dirigemmo verso la porta sul retro.
«Rè...» mi sussurrò poggiandomi una mano sulla spalla, mi accesi una sigaretta e tentai di fermare le lacrime.
«Scusa... non ci riesco» mi arresi e continuai a piangere. Non riuscivo a capire cosa mi stesse prendendo, ma dopo aver sentito le parole di Francesca ebbi come l'impressione che la mia vita sarei sempre stata destinata a viverla da sola, perché Marco non avrebbe mai avuto le palle che aveva avuto Stefano, ed io non mi sarei mai accontentata di vivere con qualcuno che non fosse lui.
«Respira Rè, devi respirare» mi suggerì Carlotta sentendomi sempre più affannata, «respira e tranquillizzati. Andrà tutto bene»
«Non andrà bene un cazzo!» berciai tirando un altro po' dalla sigaretta, «scusa, non volevo urlare con te» mi affrettai a dire continuando a piangere, «non so cosa mi stia prendendo, non so perché sto reagendo così. Non riesco a smettere di piangere» le spiegai incazzandomi con me stessa.
«Hai un attacco d'ansia... la tua borsa è dentro?» mi chiese, ed io annuii. «Hai la pochette d'emergenza?» annuii di nuovo e lei rientrò, probabilmente era andata a prendermi le gocce di biancospino che portavo sempre con me; sospirai e gettai la sigaretta per poi piegarmi sulle ginocchia e stringermele al petto. Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi, riuscii a fermare le lacrime, ma non riuscii a togliermi quel senso di oppressione che sentivo dentro di me e che mi schiacciava. Carlotta tornò con tutta la mio borsa e dopo essermi messa cinque gocce sotto la lingua la situazione sembrò migliorare, così andai in bagno e mi aggiustai il trucco per poi tornare definitivamente al tavolo, con un sorriso tirato.
«Come stai?» mi chiesero tutti, apprensivi; Marco mi guardò, senza parlare.
«Bene, bene» li rassicurai, «ora smettetela di rompere le palle a me e festeggiamo questi due!» dissi andando ad abbracciare di nuovo Francesca.
«Mi hai fatto prendere un colpo. Avrei dovuto rimpiazzare subito una dei testimoni» sbuffò stringendomi.
«Oddio, non ho niente da mettermi» sbuffai facendola ridere; poi presi la bottiglia di champagne e la stappai riempendo i bicchieri di tutti, facemmo un brindisi ed iniziammo a prendere in giro i futuri sposi ricordando aneddoti divertenti e scherzando sul loro futuro più prossimo; perfino Vincent riuscì a staccare un attimo con il lavoro e venire a brindare con noi, lui era l'unico che sapeva tutto fin dall'inizio e ci raccontò che Stefano era andato da lui a chiedergli consiglio e poi lo aveva trascinato in gioielleria.
«Carmen ad ore dieci» mi sussurrò in un orecchio Francesca, io mi accoccolai meglio sul divanetto ed accavallai le gambe, poi drizza la schiena e sorseggiai un po' del mio drink, il tutto con molta teatralità. «Inizia lo spettacolo» canticchiai alzando lo sguardo in direzione di Carmen; arrivò e si piazzò dritta davanti Marco e Daniela, li squadrò per qualche secondo e poi parlò: «Mi devi delle spiegazioni».
«Io non ti devo niente» le rispose lui secco tornando poi a parlare con la bionda.
«Invece sì!» continuò Carmen, gli prese il volto tra le mani e l'obbligò a guardarla, fischiai sapendo quanto quel gesto avesse irritato Marco che, infatti, si alzò di scatto. «Cosa cazzo fischi tu!?» mi chiese la mora voltando appena la testa in mia direzione.
«Lasciala fuori» disse Marco digrignando i denti.
«Oh, ti scopi Daniela, ma nessuno può toccare Rebecca, come funziona la cosa?» gli chiese retoricamente Carmen mentre io mi ero irrigidita sul divanetto, d'un tratto mi sembrò una cattiva idea usare Carmen per fargliela pagare. «E a te tutto questo sta bene, scommetto?» disse rivolgendosi a me.
«Cosa... cosa centro io?» le chiesi con un cipiglio.
«Niente, ti sei sempre accontentata tu, non l'hai mai domato, stava con te eppure veniva al letto con me...»
«Non penso proprio...» le risposi alzandomi di scatto, stavo per avanzare verso di lei, ma sentii la forte presa di Vincent sul mio braccio che mi ritirò a sedere, al suo fianco e mi sussurrò di stare ferma.
«Ho detto: lascia fuori Rebecca» ribadì Marco con un sospiro.
«Tranquillo, non te la tocca nessuno, lo sanno tutti che lei è intoccabile» gli rispose lei, «e mi stupisco che Daniela sia qui a compiacerti mentre tu guardi palesemente un'altra» aggiunse. «Quando tornerai in te fammelo sapere, io ho momentaneamente chiuso con questa merda» concluse Carmen, poi girò i tacchi e tornò verso la pista mentre al nostro tavolo non volava una mosca; sentivo gli occhi di Marco addosso, ma feci di tutto per non cedere alla tentazione di riguardarlo.
«Oh mio Dio. Sono stata così cieca per tutta la sera...» disse Daniela rompendo il silenzio e alzandosi di scatto come se si fosse risvegliata da un lunghissimo sonno, «mi fai schifo» aggiunse prima di versare in faccia a Marco quel poco di champagne che era rimasto nel suo bicchiere.
«Uh la la, le gatte morte non sono poi così morte» dissi a mezza voce con il volto rosso di rabbia. Per la prima volta in tutta la mia vita mi si era rivoltato contro quello che pensavo essere un piano geniale, non avrei mai pensato che Carmen fosse così arrabbiata da mettere in mezzo me, e le sue parole mi colpirono forse peggio di uno schiaffo. Ero sicura che Marco non mi avesse mai tradito, per lo meno quando decidemmo di metterci insieme sul serio, ma nessuno mi dava la certezza di essere la sua unica ragazza anche quando ci frequentavano e basta. Era una cosa che io avevo sempre dato per scontato, ma da quel momento Carmen mi mise la pulce nell'orecchio, ed era molto fastidiosa.
«Dai, siediti e asciugati» Matteo si era alzato e aveva praticamente spinto Marco a sedere, poi gli aveva passato un fazzoletto ed era rimasto accanto a lui, impaurito per la sua possibile reazione.
«Devi ammetterlo, te le cerchi» gli disse Stefano, «anche se Daniela ha esagerato»
«Ha avuto stile, però» commentai io, senza riuscire a trattenermi.
«Sì, ma è inutile che parli, una scenata del genere tu non l'avresti mai fatta» osservò Francesco prendendo subito le difese del suo amato cugino.
«E' vero, non mi sarei mai azzardata di fare questo casino in pubblico semplicemente perché conosco il suo carattere, ma a casa l'avrebbe pagata cara; lo sa bene» scrollai le spalle e lo guardai di sottecchi mentre bevevo un altro sorso di champagne.
«Smettetela di parlare di me, sono qui e vi sento» sbuffò Marco, «continuiamo a festeggiare, per favore» disse e lo prendemmo in parola, nessuno parlò più di quello che successe, anche se ben presto Marco mi avrebbe dovuto dare delle risposte riguardo le insinuazioni di Carmen.


Visto che Carlotta sarebbe rimasta fino al lunedì decidemmo di organizzare due giornate in montagna, giusto per non stare sempre all'Havana; arrivammo alla casa di Marco nel primo pomeriggio e ci sistemammo nelle stanze. Avevo sempre amato quella casa e tornarci dopo tanto tempo mi aveva provocato un piccolo big bang interiore di ricordi.
«Tutto ok?» mi chiese Carlotta poggiando a terra la borsa.
«Sì, tutto ok... giusto qualche ricordo» le sorrisi.
«Non capisco: perché non state insieme? Ieri sera ti ha anche difesa contro quella lì, ti ama ancora. Tu lo ami ancora»
«Perché lui non vuole legarsi»
«Tre anni fa però l'aveva fatto...»
«Sono cambiate tante cose, lui stesso è cambiato. Devo fargli capire che le sue teorie sono sbagliate, perchè ha paura di farmi del male, ne ha sempre avuta» sbuffai legandomi i capelli in una coda alta.
«Capisci anche tu che non ha senso... secondo me servirebbe solo parlarne e arrivare ad una conclusione insieme»
«Ci sono arrivata io per tutti e due, ieri mattina: quando sarà pronto a mettere la testa a posto mi farà un fischio»
«E tu lo aspetterai all'angolo, fino a quel momento?»
«L'ho sempre aspettato, non sono mai stata all'angoletto, ma l'ho sempre aspettato» le risposi con un sorriso.
«Ah, questo si che è amore!» sentii sospirare alle mie spalle, mi voltai e vidi Francesco allo stipite della porta che sogghignava.
«Francesco non so a cosa paragonare la tua simpatia, giuro!» borbottai guardandolo storto.
«Non lo so, ad un fiore che sboccia in primavera?» mi chiese provando a fare gli occhi dolci, «e poi lo sai che io ho sempre fatto il tifo per te» aggiunse venendomi ad abbracciare.
«Sì certo, come no» mormorai aprendo le braccia.
«Sul serio Rè, quando ti ha lasciata in quel modo gli ho scritto una serie di lettere che se le avesse viste il papa mi avrebbe sicuramente scomunicato» me lo raccontò con una tale semplicità che non potei fare a meno di ridere, come se quello che aveva fatto fosse stata la cosa più normale del mondo.
«Ti credo. Però ora la situazione è ben diversa» sospirai guardandolo negli occhi.
«Tu credi?» mi chiese, retorico.
«Bé, sì. Tuo cugino è tornato quello di un tempo e io non so come gestire la situazione... ieri gli ho detto che finché non metterà la testa a posto non ci saranno spazio per effusioni ,di ogni genere...»
«Però?» mi domandò Francesco, sorridendo sotto i baffi.
«Eh, però... però non riesco a fare a meno di pensare a lui, a noi. Oddio, perché non posso mai amare una persona
normale? Che ho fatto di male per meritarmi questo?!» chiesi con teatralità.
«Ah, l'amore!» ripeté lui.
«Ma quale amore?!» gracchiai con una smorfia.
«Ma l'hai appena detto tu...»

«Nano, prova a dire in giro quello che hai sentito e ne pagherai le conseguenze» lo minacciai puntandogli il dito contro il petto.
«Marco!» urlò di tutta risposta correndo verso il salone, lo rincorsi tirandogli le ciabatte e per poco non presi la faccia del povero Matteo che stava armeggiando con il caminetto. «Marco!» urlò di nuovo cercando di richiamare l'attenzione del cugino.
«Che ti succede?» gli chiese il diretto interessato alzando un sopracciglio.
«Lascialo in pace, deve fare il cretino per mettersi in mostra»
«Ho sentito Rebecca che...» iniziò Francesco prima che gli tappai la bocca con la mia mano.
«Che raccontavo a Carlotta di quando siamo rimasti chiusi fuori in pieno novembre» mentii con una risata isterica, Marco mi guardò visibilmente incredulo e poi alzò gli occhi al cielo. «Pessima bugiarda, ricordalo» soffiò a due metri dal mio volto, poi come se niente fosse andò ad aiutare Stefano a portar dentro la legna.
«Io ti ammazzo!» berciai contro Francesco prima di iniziare a fargli il solletico.
«Hai il mio appoggio» asserì Francesca uscendo dalla cucina con un pezzo di pane in mano.
«Carlotta aiutami tu» pregò allora lui mentre rideva.
«Non posso, Rebecca picchia forte» si scusò lei, ridendo; continuai per un altro paio di minuti poi decisi di smetterla e di gettarmi sul divano affianco ai ragazzi che si stavano godendo il tepore del grande caminetto dopo essere riusciti ad accenderlo.
«E' questo il bello del termo-camino» sospirai allungando involontariamente le gambe su quelle di Marco, era una posizione che prendevo sempre e quando me ne accorsi tentai di ritrarmi, ma lui mi bloccò riservandomi un mezzo sorriso.
«Sì, ma vuoi mettere la bellezza della fiamma vera?» mi fece notare Matteo.
«No, per carità. Il camino vero è affascinante, ma io sono talmente scarsa che dopo cinque minuti lo farei spegnere»
«Non sei scarsa, ti pesa il culo a mettere la legna» mi disse Francesca facendo ridere tutti.
«Non è vero!» borbottai, «diglielo, mi divertivo sempre a riempire il camino» frignai tirando la maglietta di Marco.
«Il problema è che era troppa» mi rispose lui, ridendo.
«Ma dicevi che andava bene» mi lamentai incrociando le braccia al petto.
«Eri così felice! Non potevo distruggere i tuoi sogni da bambina piromane» mi prese in giro lui facendo ridere tutti.
«La prossima volta vorrà dire che ci infilerò te» ribattei facendogli una pernacchia.
«Ah, l'amour» sospirò Francesco ridacchiando.
«Taci!» gli urlò contro sua sorella tirandogli una cuscinata in piena faccia.
«Oddio, no» si lamentò Stefano, ci guardammo e spiegammo a Carlotta che adesso sarebbe iniziata la guerra, così si spostarono tutti sul divano dov'eravamo seduti io e Marco costringendomi a stare in braccio a lui e ad osservare quei due che si scannavano.
«Almeno tappategli la bocca» mormorai dopo il terzo gridolino di Francesca, non ce la facevo più a sentire le loro urla, così me ne andai in cucina ed iniziai a tagliare il pane per ammazzare il tempo. Avevo sempre odiato tagliare il pane e sostanzialmente non ne ero mai stata capace, a meno che una persona non si accontentasse di mangiare una fetta alta dieci centimetri, così rinunciai subito e decisi di fumare una sigaretta, mi avvicinai all'ampia finestra e guardai di fuori, pensierosa. Il cielo era bianco e il vento soffiava forte tra gli alberi, le previsioni davano possibili nevicate per quella notte, ma noi le sfidammo imperterrite. Mi era sembrata una bella idea, passare il fine settimana in montagna, ma appena avevo messo piede in quella casa quella sensazione si affievolì. I ricordi erano troppi e mi resi conto che più tempo passavo dentro quelle mura e più si facevano nitidi, e più ricordavo più faceva male.
«La lotta è finita» mi avvisò Marco spuntando al mio fianco, ero talmente sovrappensiero che non lo sentii arrivare, così dovetti asciugarmi velocemente qualche lacrima che proprio non ce l'aveva fatta a starsene buona nell'apparato lacrimale.
«Meno male» sorrisi, lui mi sorrise a sua volta e mi passò il braccio sulle spalle stringendomi un poco a se. Sospirai e iniziai a sperare che quel fine settimana passasse in fretta, cosa che ovviamente non accadde.
***

Note finali:

remetto col dire che postare non era in programma, perché è un lungo periodo che non scrivo e sono in ritardo con la mia tabella di marcia; però lunedì parto, e ci tenevo a mettere questo capitolo soprattutto perché per me è uno dei capitoli più speciali, non tanto per quello che succede, ma per la presenza di Carlotta. La poesia è di Eugenio Montale, ed il titolo è il soprannome che io ho datto alla mia Carlotta. Spero che sarà di vostro gradimento e che attenderete pazienti fino a settembre. Vi ricordo il mio profilo di FACEBOOK dove potete trovare qualche spoiler, le foto dei personaggi ed altre cosucce.
Buone vacanze a tutte, -J

  
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