[…]
Con
te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere
pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
♥
6. Snow White
Non
riuscivo a capire se il fatto che sentissi le voci dei miei amici di
Roma fosse un sogno o l'inizio di una grave malattia mentale. Non
stavo dormendo, o meglio, ero in quella fase post-sonno in cui i miei
occhi tentavano di aprirsi ma le palpebre restavano appiccicate tra
di loro, quindi la teoria della malattia mentale stava
momentaneamente avendo la meglio. Dopo una dura lotta costrinsi
l'occhio destro ad aprirsi e sentii la risata stridula di mia madre
espandersi per tutta casa; sbuffai e mi alzai dal letto arrancando
fino alla cucina, quando arrivai però dovetti sbattere di
nuovo gli
occhi e stropicciarmeli un paio di volte con la mano per riuscire a
credere che la persona che avessi davanti fosse reale. Visto
che Carlotta sarebbe rimasta fino al lunedì decidemmo di
organizzare
due giornate in montagna, giusto per non stare sempre all'Havana;
arrivammo alla casa di Marco nel primo pomeriggio e ci sistemammo
nelle stanze. Avevo sempre amato quella casa e tornarci dopo tanto
tempo mi aveva provocato un piccolo big bang interiore di
ricordi. Note
finali:
remetto col dire che postare non era in programma, perché è un lungo periodo che non scrivo e sono in ritardo con la mia tabella di marcia; però lunedì parto, e ci tenevo a mettere questo capitolo soprattutto perché per me è uno dei capitoli più speciali, non tanto per quello che succede, ma per la presenza di Carlotta. La poesia è di Eugenio Montale, ed il titolo è il soprannome che io ho datto alla mia Carlotta. Spero che sarà di vostro gradimento e che attenderete pazienti fino a settembre.
Vi ricordo il mio
profilo di FACEBOOK dove potete trovare qualche spoiler, le foto dei
personaggi ed altre cosucce.
«Buongiorno!»
trillò Carlotta venendomi ad abbracciare.
«Ma... ma... che cazzo
ci fai qui!?» berciai ricambiando goffamente
l'abbraccio.
«Buongiorno principessa!» borbottò
ironicamente
mia madre, «vi lascio a voi, la colazione è sul
tavolo» aggiunse
dandomi una leggera pacca sul sedere.
«Oddio, perché sei qui?
Che è successo? E' morto qualcuno? Ecco, lo sapevo, non vi
posso
lasciare soli che...»
«Zitta!» rise Carlotta interrompendo la
mia raffica di domande, «in genere appena sveglia non ti si
può
parlare, mentre ora non stai zitta un secondo» mi fece
notare, mi
sedetti al tavolo e mi versai il caffè nella tazza
invitandola a
spiegarmi la sua presenza lì, in Calabria. «Mi
mancavi, non avevo
niente da fare e sono venuta» spiegò telegrafa.
«E il lavoro?»
le chiesi addentando un pezzo di torta al cioccolato.
«L'ho
lasciato momentaneamente» mi rispose scrollando le spalle
come se
niente fosse.
«Come l'hai lasciato?» le chiesi rischiando di
strozzarmi.
«Sì Rè, non mi sento più
bene in quella libreria,
ho bisogno di una pausa» sbuffò mangiucchiando un
po' di torta
anche lei.
«Va bene, se pensi che sia una cosa migliore ok. Lo
sai che appoggio ogni tua scelta»
«Grazie dolcezza... quindi ho
pensato di prendermi un week-end sabbatico dalla città e
venirti a
fare visita, spero non ti dispiaccia»
«Per me puoi restare
quanto vuoi! I ragazzi che dicono?»
«David ha detto che lo
abbiamo abbandonato... ma ha detto che "se Maometto non va alla
montagna, la montagna andrà a Maometto" quindi
verrà per le
vacanze di natale».
«Ma natale è tra due mesi!» le dissi
alzando un sopracciglio.
«Veramente natale è tra meno di un
mese» ridacchiò Carlotta, «siamo al due
Dicembre» mi ricordò, e
fu come svegliarmi da un lungo sonno, tanto che mi cadde la sigaretta
che avevo appena messo in bocca e assunsi un'espressione da ebete.
«E' già un mese che manco da Roma?» le
chiesi in preda alla
perplessità, lei annuì ed io strabuzzai ancora di
più gli occhi,
«oddio!» esclamai dandomi uno schiaffo sulla
fronte; mentre tentavo
di metabolizzare la notizia del tempo che era passato così
velocemente sentii il portone di sotto aprirsi e i passi di qualcuno
che stava salendo le scale fino alla porta di casa mia. Aspettai che
suonassero il campanello, ma evidentemente mia mamma aveva lasciato
la porta socchiusa perché l’apparizione delle
teste di Matteo e
Marco mi fecero sussultare.
«Buongiorno splendore» mi sorrise
Matteo posandomi un bacio sui capelli, gli sorrisi e poi grugnii un
saluto in direzione di Marco. Erano passati tre giorni dal nostro
bacio e lui non ne aveva ancora mai parlato. Non era mai stato il
tipo che tirava in ballo il passato o dava spiegazioni, faceva ogni
cosa che gli suggeriva la testa, e pur sapendo queste cose avevo
comunque pensato che il giorno dopo il nostro bacio lui si sarebbe
degnato a darmi qualche delucidazione al riguardo, ma mi sbagliavo
anche quella volta.
«Non so se ve la ricordate, lei è
Carlotta»
dissi indicando la mia amica, il sorriso di Matteo si fece ancora
più
ampio e andò a salutarla con due baci sulle guance,
«certo che me
la ricordo» trillò, facendomi tornare in mente la simpatia
che
provava per lei; anche Marco l’andò a salutare, ma
senza tanta
cordialità.
«Allora, qual buon vento vi porta qui?» gli chiesi
spegnendo la sigaretta.
«La tua macchina» mi rispose Marco
tagliandosi un pezzo di torta.
«L’ho momentaneamente
aggiustata, anche se penso non durerà a lungo
Reby… gli do al
massimo due mesi»
«Oddio che ansia!» sbuffai arrotolando sul
dito una ciocca di capelli; stavano succedendo troppe cose e il mio
cervello non riusciva a stare al passo, non appena sveglia e con
quella poca caffeina che avevo assunto.
«Devi capire che quella
macchina è come un malato terminale, fin da quando ti
conosco io ha
fatto la chemiometria, ma ora sta lentamente morendo»
«Dio che
tristezza» commentò Carlotta con un sospiro.
«Ok, dov’è
adesso?»
«In officina…»
«Siete venuti fino qui solo per
darmi la cattiva notizia? Gentilissimi»
«Eravamo andati a fare
colazione e poi abbiamo pensato di venirti a rompere le palle,
l’idea
era quella di svegliarti» mi spiegò Matteo
guardando di sottecchi
Marco.
«E se ora andassimo tutti in officina così io mi
riprendo
la mia macchina?» proposi, «così posso
ridargli la sua» aggiunsi
indicando Marco con un cenno del capo.
«Per me non c’è
problema» asserì Matteo.
«Perfetto, mi cambio e tra cinque
minuti sono nuovamente qui! Socializzate, parlate... fate
qualcosa!»
sorrisi e corsi in camera da letto lasciandoli tutti e tre seduti al
tavolo della cucina. Arrivata in camera presi un paio di jeans ed una
felpa e poi andai verso il bagno, posai i vestiti sul mobile e tornai
indietro a prendere i calzini puliti che avevo dimenticato sul letto.
Mi tolsi il pigiama e mi misi i jeans, poi il reggiseno e mi
apprestai a lavarmi il viso, mentre avevo la faccia spalmata
sull’asciugamano sentii un' imprecazione troppo vicina per
essere
di qualcuno che si trovava in cucina.
«Scusa, c’era la porta
aperta» borbottò Marco.
«Ah, l’avrò lasciata aperta per
sbaglio» scrollai le spalle io, poi presi il mascara e me lo
passai
sulle ciglia guardando dallo specchio Marco che aveva chiuso la porta
e si era poggiato al muro.
«Ti serve qualcosa?» gli chiesi senza
neanche voltarmi.
«No, ti stavo solo osservando»
«Come vuoi» feci di nuovo spallucce e mi sciolsi i
capelli, e scuotendoli mi
resi conto che la maglietta e la felpa erano poggiate sul pomello
della porta, proprio dietro Marco. Feci un respiro profondo e mi
avvicinai allungando un po’ la mano e sperando che capisse le
mie
intenzioni.
«Mi eviti da giorni» borbottò
prendendomi per il
polso; no, non le aveva decisamente capite le mie intenzioni.
«Il
realtà non ti sto evitando, ti sto semplicemente
ignorando… da tre
giorni, per la precisione» gli risposi saccente osservando la
maglia
che penzolava.
«Ancora arrabbiata per quel caffè?» mi
chiese.
Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere della sua
ingenuità,
anche se avevo sempre pensato che la stupidità di Marco
fosse una
finzione, che era uno di quelli che fa finta di non capire quando gli
fa comodo, come in quel caso.
«Posso essere incazzata per un
caffè?» gli domandai retoricamente, «mi
sto solo relazionando a te
nello stesso modo in cui tu ti relazioni con me» gli spiegai,
ma lui
non mollò la presa.
«Io ti starei ignorando?»
«No Marco, tu
ignori i contorni ed i fatti, di conseguenza io ignoro te»
sbuffai
seccata, iniziavo a sentire freddo senza maglietta.
«Quali
fatti?»
«Gli asini che volano!» replicai ironica,
«guarda che
se vogliamo fare finta che quel bacio non c’è mai
stato per me va
bene eh! Basta saperle le cose»
«Ma che diavolo… perché non
ci dovrebbe mai essere stato?»
«Ah io non lo so, dimmelo
tu»
«Becca ti prego, non la fare così complicata; sai
come sono
fatto, basta» si limitò a rispondere dopo un
attimo di
silenzo.
«Non hai più vent’anni, non puoi
più ragionare
così!»
«Posso, e lo faccio» ribatté prima di
tirarmi verso di
lui e provare a baciarmi di nuovo.
«Spiegami il senso» gli dissi
scansandomi bruscamente.
«Mi mancavi tu, mi mancava il tuo
sapore. Volevo farlo, l’ho fatto» mi
spiegò accennando un lieve
sorriso.
«Ok. Ma... non puoi fare così!» sbuffai
riuscendo
finalmente a liberarmi dalla sua presa, «non sono
più disposta a
sopportare questi tuoi sbalzi d'umore» gli dissi sentendo,
però, un
peso all'altezza dello stomaco ed la mia vocina interiore che mi
accusava di essere una sporca bugiarda.
«Non capisco dove sia il
problema... non ti è piaciuto?» mi chiese alzando
un
sopracciglio.
«Il problema è che non voglio che sia così»
gli dissi mentre mi infilavo la maglietta.
«Ti ho fatto una
domanda: non ti è piaciuto?»
«Non c'entra un cazzo!» berciai
sicura che mi avessero sentito anche Matteo e Carlotta dalla cucina,
«mi è piaciuto, e mi sei mancato anche tu. Ma il
punto è che io
non voglio tornare con te in questo modo», sospirai,
«e siccome ti
conosco bene so che per il momento questo sarebbe l'unico
modo...»
«Tu vaneggi!» mi interruppe lui alzando gli occhi
al
cielo.
«No Marco io non vaneggio, al contrario tuo, io ragiono!
Io ho bisogno di stabilità da te, tu non sei il ragazzo con
cui io
voglio spassarmela, bensì quello con cui pensare al futuro!
Io la
vedo così e tu no»
«Ne hai la certezza?» mi chiese guardandomi dritto negli occhi.
«So
che per il momento non hai la testa per impegnarti seriamente, e lo
sai anche tu» sospirai prendendo la felpa in mano,
«quindi finché
non sarà così anche per te finiamola
qui» feci un lungo respiro ed
uscii dal bagno. Senza mezzi termini gli avevo detto come la pensavo
ed in quel momento avevo preso il suo silenzio come una'utomatica
conferma delle mie parole, eppure c'era una piccola parte di me che
pensava lui fosse nuovamente pronto ad affrontare una relazione.
Dovevo lavorarci su, ma dovevo deciderle io le regole, non potevo
permettere che le sue voglie mi destabilizzassero più del
dovuto.
Gli avrei fatto cambiare idea.
«Tutto bene?» mi chiese Matteo
vedendomi entrare in cucina con una smorfia sul viso.
«Sì, tutto
ok» gli sorrisi mettendomi la felpa, sentii i passi di Marco
e mi
scansai da vicino la porta per non ostruirgli il passaggio,
«andiamo?» chiesi poi, Carlotta si alzò
e mi venne vicino mentre i
ragazzi si apprestarono a scendere le scale.
«Sicura che va tutto
bene?» mi domandò Carlotta sotto voce.
«Sì tesoro, a
meraviglia» tentai di tranquillizzarla con un sorriso ma non
fui
sicura di esserci riuscita, per fortuna la voce di mia madre la
interruppe proprio mentre mi stava per domandare qualcos'altro.
«Dove
state andando?» ci chiese uscendo dalla porta dei casa sua.
«A
prendere la macchina di Rebecca» le rispose Matteo, mia mamma
mi
guardò e poi guardò Marco che se ne stava in
disparte e in
silenzio, forse consocio della poca simpatia che delle volte mia
madre aveva verso di lui.
«Oramai è pronto da mangiare...
mangiate un boccone e poi andate» disse con un sorriso,
tentai di
non sbuffare ma divenni paonazza in volto, doveva essere gentile
proprio ora? Quello fu l'esempio lampante che il tempismo sbagliato
era una caratteristica che avevo ripreso da lei.
«Non vorremmo
disturbare...» mormorò Marco.
«Ma finiscila! E poi mi devi
ancora una partita a carte!» le urla di mio padre ci fecero
ridere,
così ci avviammo tutti verso la cucina e lo trovammo ad
aspettarci
con le mani sui fianchi.
«Sì, ma andate a giocare in salone» li
rimproverò mia madre, «qui è quasi
pronto!» aggiunse alzando gli
occhi al cielo.
«Spiegami questo attacco di gentilezza...»
sbuffai a bassa voce.
«Sto solo provando a farmelo andare
simpatico»
«Marina, non ci sei riuscita in tre anni, non penso
ci riuscirai ora» ridacchiò Carlotta sedendosi.
«Lo so Carlò
ma dovrò pur tentare di nuovo... anche se spero sempre che
questa
torni in se stessa» ribatté dandomi uno schiaffo
sulla testa.
«Ah,
guarda che per me puoi continuarlo ad odiare. Non stiamo insieme,
quindi risparmiati la fatica» le risposi arricciando le
labbra.
«Avete litigato?»
«No»
«Sicura?»
«Che
palle!» gracchiai sedendomi vicino a Carlotta, «non
era pronto il
pranzo?» borbottai tentando di cambiare discorso.
«Ecco perché,
principalmente, non vi sopporto insieme: lo frequenti e diventi
isterica!» mi disse mia madre puntandomi il dito contro,
Carlotta mi
mise una mano sul ginocchio ed io evitai di rispondere a quella
provocazione che in fin dei conti non era nient'altro che la
realtà.
Bastava stare a contatto con lui più di due giorni che la
mia
personalità cambiasse. Non ne capivo bene il motivo, sapevo
solo che
quando stavo con Marco diventavo un'altra persona, una persona che
mia madre non sopportava e che io comprendevo a stento,
perché
quella Rebecca sostanzialmente non ero io. Eppure dicono tutti che
quando si ama qualcuno si è disposti a sopportare tutto, e
così
facevo io da ben tre anni.
L'arrivo di Carlotta coincideva con
uno dei nostri venerdì all'Havana. In realtà noi
eravamo sempre
all'Havana, ma il venerdì e il sabato ci andavamo per puro
divertimento, per lo meno io che non lavoravo nel week-end, ma quel
fine settimana anche Francesca era libera e non vedeva l'ora di
divertirsi con noi, in più mi aveva confidato che quella
sera
sarebbe successo qualcosa che ci avrebbe sconvolto tutti e la mia
curiosità ne stava risentendo.
«Quindi voi state praticamente
ogni sera lì?» mi chiese Carlotta, perplessa.
«Sì» le dissi
di nuovo mentre mi infilavo gli stivali.
«E non vi rompete le
scatole?» mi domandò, forse per la millesima volta.
«Lo so, è
difficile da capire per chi vive in una città come
Roma» tentai di
spiegarle, «ma quando siamo tutti insieme non conta dove
andiamo...
e poi l'Havana è diventato una seconda casa per
tutti»
«Sarà...
ma una volta odiavi la routine» fece spallucce lei mentre si
metteva
il cappotto.
«Odio la routine in città, ma qui mi sta bene
così»
tagliai corto, poi guardai il display del cellulare accendersi e
lessi al volo il messaggio che mi aveva mandato Matteo,
«perfetto,
come al solito siamo in ritardo!» osservai girandomi la
sciarpa
attorno al collo, «e tu hai fatto colpo, di nuovo»
aggiunsi con un
sorriso malefico.
«Cosa?» balbettò Carlotta avviandosi
verso la
porta.
«No niente» ridacchiai io chiudendo casa.
«Posso
sapere che hai detto?» insistette Carlotta mentre stavo
ingranando
la prima.
«Che hai fatto colpo. Cioè, lo avevi fatto anche
anni
fa, quindi hai confermato un colpo» blaterai senza
distogliere lo
sguardo dalla strada.
«Sei scema?» mi chiese retorica,
«cioè,
più scema del solito...» rifletté poi.
«Tranquilla, va tutto
bene» ridacchiai ed accelerai, se non fossimo arrivate in
meno di
cinque minuti mi sarebbe toccato pagare da bere a tutti, era la
regola.
Dopo una serie di inflazioni del codice stradale e un
parcheggio fatto alla bel e meglio arrivammo in tempo; Francesco
stava già controllando l'orologio e la sua faccia delusa mi
fece
sorridere vittoriosa.
«Tranquilla, non sei l'ultima» mi sorrise
Stefano,
«Chi manca?» gli chiesi andando a salutare,
intanto,
Francesca che aveva un sorriso da ebete stampato in faccia.
«Il
tuo amico» mi rispose suo fratello, seccato.
«Strano, i miei
amici sono tutti qui» gli risposi saccente.
«Ah è vero, è più
di un amico» ribatté lui e si beccò uno
scappellotto da parte mia,
«comunque eccolo» aggiunse facendo un cenno del
capo. Mi girai e
sgranai gli occhi. Il fatto che fossi miope era chiaro a tutti, ma le
visioni non le avevo mai avute, per cui strizzai di nuovo gli occhi
ma la bionda affianco a Marco non sparì come per magia e,
anzi,
avanzò verso di noi assieme a lui.
«E' possibile che ne esce
fuori sempre una?!» sbuffò Francesca leggendomi
nella mente, io
sospirai profondamente e tentai di far finta di niente, come sempre.
«Troverà gli sconti al super mercato, il tre per
due è sempre
conveniente» dissi scrollando le spalle.
«Lo so, devo pagare da
bere a tutti» alzò subito le mani Marco con un
sorriso, «anche se
effettivamente il ritardo non è stato opera mia»
aggiunse facendo
ridacchiare l'essere al suo fianco.
«Ce l'hai mentale il
ritardo» borbottò Francesca e dovetti trattenermi
dallo scoppiare a
ridere.
«Lei, comunque, è Daniela... per chi non la
conoscesse»
si rivolse a noi donne, soprattutto a me e Carlotta.
«Piacere,
Rebecca» sorrisi stringendole la mano e già sapevo
che non mi
sarebbe andata a genio, odiavo fare strette di mani con chi sembrava
avesse un budino a posto dell'arto. Dopo i convenevoli e le
frecciatine rivolte a quella che sembrava la coppia della serata
decidemmo di entrare e sederci al nostro solito tavolo, ma con nostra
grande sorpresa Vincent ci aveva riservato il privè
più grande,
cosa di cui tutti noi restammo esterrefatti, tranne Francesca e
Stefano.
«Ok, io devo bere» esclamai dopo aver quasi
vomitato
alla vista di Daniela senza cappotto.
«Ma deve fare un strip?»
mi domandò Carlotta, guardandola scioccata.
«Non ne ho idea, ma
quel cretino dopo mi sente, avevamo detto niente estranei questa
sera» borbottò Francesca, «ovviamente tu
sei esclusa, gli amici di
Rebecca sono dei nostri» si affrettò ad aggiungere
guardando
l'altra mia amica.
«Grazie» le sorrise Carlotta, poi si
alzò e
mi tese la mano, «avanti, il bancone ci aspetta» mi
disse, mi alzai
e diedi un ultimo sguardo alla strana coppia prima di dirigermi verso
il bar.
Ci sedemmo sui primi due sgabelli che si liberarono e
chiesi ad Antonio, il barista, di farci due Long Island belli forti e
il risultato superò, fortunatamente, di gran lunga le
aspettative.
«Seriamente, vai li e tiragli un tavolo» mi
suggerì
Carlotta guardando Marco.
«Gli darei troppa soddisfazione» gli
risposi prima di bere l'ultimo goccio che era rimasto nel bicchiere,
«e poi non sono io quella che lo farà vergognare
come un cane,
bensì lei» aggiunsi indicando con un cenno del
capo Carmen.
«Che
sarebbe?»
«Quella che si tromba in genere. Lei lo ama follemente
e pensa di essere la sua unica ragazza-sesso» spiegai alzando
gli
occhi al cielo, il cocktail stava facendo il suo effetto e ringraziai
con un sorriso Antonio.
«A quanto vedo hai già pensato a
tutto»
«Tesoro, sarò pure tornata la Rebecca innamorata,
ma il
gene della stronza non l'ho perso del tutto» le risposi
ridacchiando, poi ci alzammo con l'intento di riavviarci di nuovo
verso il nostro tavolo, ma sentii una mano fare pressione sul mio
polso; mi voltai e sorrisi in direzione del suo
possessore.
«Buonasera» mi salutò Alessio.
«Ciao!» dissi
forse con troppa foga, «lei è Carlotta, una mia
amica» aggiunsi
voltandomi, ma mi resi conto che Carlotta era tornata al nostro
tavolo senza accorgersi che io mi ero fermata. «Ehm... giuro
che è
una persona in carne ed ossa e non la mia amica immaginaria»
mi
giustificai sbuffando.
«Tranquilla, l'avevo vista» ridacchiò
Alessio, «avete cambiato tavolo?» mi chiese poi.
«Sì, questa
sera dovevamo stare più larghi possibile» gli
spiegai con una
smorfia di disgusto guardando in direzione di Marco e i miei occhi
incrociarono i suoi per una frazione di secondi. «Tu invece,
sei da
solo?» gli chiesi tornando a posare lo sguardo su di lui. Lo
squadrai per bene e accennai un sorriso alla vista del suo corpo
perfetto, la camicia bianca gli fasciava l'ampio torace per poi
restringersi sulla vita, piccola al punto giusto. In quel momento mi
ricordai della visione di Marco all'entrata, dei pensieri che feci
vedendolo infilarsi al volo la giacca nera e di quanto fosse bello
vestito in quel modo; l'avevo sempre adorato in giacca e camicia,
anche se il suo fisico non era asciutto come quello di Alessio, lui
era comunque perfetto, per me.
«No, sono con i miei amici» mi
rispose Alessio scuotendomi dai miei pensieri; mi maledii mentalmente
e mi promisi di bere un altro bicchiere.
«Ok...» risposi a corto
di idee, «ci vediamo in giro allora!» lo salutai
con due baci sulle
gote e mi diressi verso il tavolo buttandomi poi sul divanetto
affianco a Francesca. «Datemi un bicchiere di
champagne» mormorai
guardando la bottiglia che, però, era ancora chiusa.
«Che ti ha
detto?»
«Niente Frà, abbiamo parlato del più e
del meno... ah,
grazie per avermi mollata lì» gracchiai poi in
direzione di
Carlotta, che però era impegnata a conversare con Matteo,
quindi
molto probabilmente era come se avessi parlato ad un muro.
«Che
palle» sbuffai, «siete tutti accoppiati! Rimaniamo
io e tuo
fratello, gli unici single della serata, forse della storia!»
«Parla
per te» borbottò Francesco, «non voglio
diventare come te»
aggiunse facendomi l'occhiolino, gli feci una pernacchia e poi
lanciai un altro sguardo a Marco impegnato a farsi sussurrare
qualcosa da Daniele; doveva essere qualcosa di veramente
interessante visto il sorrisetto che aveva stampato sul viso.
«Ok...
visto che non so per quanto tempo tu sarai lucida abbastanza da
capire, credo sia ora di parlarvi, a tutti!» alzò
la voce
Francesca, e tutto il gruppo si voltò per ascoltarla.
«Ora?» le
chiese Stefano e non riuscii a fare a meno di notare il tremolio che
gli era preso alla mano.
«Oddio» dissi guardandoli,
«oddio!»
ribadii con gli occhi sgranati.
«Smettila» rise Matteo
guardandomi di sbieco.
«Ok... però ribadisco: oddio!» mormorai
con un risolino, e mi scrissi un altro dei miei post-it mentali: non
bere mai più un Long Island preparato da Antonio.
«Lei lo sa? Lo
sa lei e non lo sa tuo fratello?!» iniziò a dire
Francesco in
direzione della sorella che non sapeva più come farci
zittire,
guardò in direzione di Stefano come per cercare aiuto e lui
le prese
la mano sinistra, stringendogliela, poi estrasse un qualcosa che
brillava un po' troppo e che in attimo dopo si trovava sull'anulare
di Francesca.
«Ci sposiamo» disse Stefano, pacato.
«Perché,
stavate veramente insieme?» chiesero Matteo e Marco, stupiti.
Mi
portai la mano sulla bocca dallo stupore e l'unica cosa che riuscii a
dire fu: «sei incinta!»
«Cosa? No!» gracchiò in coro la
coppia. «Te l'avevo detto che sarebbe stata la prima cosa che
avrebbero detto» borbottò poi Francesca scuotendo
la testa. «Non
sono incinta» mise in chiaro di nuovo. «E' solo...
abbiamo
aspettato tanto tempo. Ci siamo sempre amati e non abbiamo mai avuto
le palle per dircelo» iniziò a spiegarci con gli
occhi che le
brillavano di gioia, «ci conosciamo da sempre, quindi non
vediamo la
necessità di fare anni di fidanzamento, inutili tra
l'altro»
ridacchiò guardando Stefano, «per cui... eccoci
qui. Ci sposiamo
tra un anno» concluse; partirono applausi e fischi e tutti si
alzarono ad abbracciare la coppia felice. Per quanto mi riguarda
rimasi seduta in una specie di stato catatonico, con le lacrime agli
occhi. Mi feci coraggio e li andai ad abbracciare, scoppiando a
piangere.
«Smettila o farai piangere anche me» mi
sussurrò
Francesca stringendomi.
«E' che... è una cosa bellissima! Tutto
quello che hai detto, è fantastico» blaterai
asciugandomi le
lacrime ma senza riuscire a smettere.
«Sono parole mie» si pompò
Stefano abbracciandomi.
«Oddio» dissi singhiozzando, «siete
bellissimi. Sei un uomo con le palle, che non ha paura di dimostrare
quanto vale alla donna che ama» gli dissi dandogli una pacca
sulla
spalla, ma guardando con la coda dell'occhio Marco. Sentivo la testa
girarmi e l'aria che mi riempiva i polmoni non mi permetteva di
respirare al meglio, ma non capivo se era dovuto all'alcool o ad
altro. «Ora scusatemi, devo prendere aria o dovrete celebrare
prima
il mio funerale» gli dissi allontanandomi; sentii la mano di
Carlotta stringere la mia e ci dirigemmo verso la porta sul
retro.
«Rè...» mi sussurrò
poggiandomi una mano sulla spalla,
mi accesi una sigaretta e tentai di fermare le lacrime.
«Scusa...
non ci riesco» mi arresi e continuai a piangere. Non riuscivo
a
capire cosa mi stesse prendendo, ma dopo aver sentito le parole di
Francesca ebbi come l'impressione che la mia vita sarei sempre stata
destinata a viverla da sola, perché Marco non avrebbe mai
avuto le
palle che aveva avuto Stefano, ed io non mi sarei mai accontentata di
vivere con qualcuno che non fosse lui.
«Respira Rè, devi
respirare» mi suggerì Carlotta sentendomi sempre
più affannata,
«respira e tranquillizzati. Andrà tutto
bene»
«Non andrà bene
un cazzo!» berciai tirando un altro po' dalla sigaretta,
«scusa,
non volevo urlare con te» mi affrettai a dire continuando a
piangere, «non so cosa mi stia prendendo, non so
perché sto
reagendo così. Non riesco a smettere di piangere»
le spiegai
incazzandomi con me stessa.
«Hai un attacco d'ansia... la tua
borsa è dentro?» mi chiese, ed io annuii.
«Hai la pochette
d'emergenza?» annuii di nuovo e lei rientrò,
probabilmente era
andata a prendermi le gocce di biancospino che portavo sempre con me;
sospirai e gettai la sigaretta per poi piegarmi sulle ginocchia e
stringermele al petto. Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi,
riuscii a fermare le lacrime, ma non riuscii a togliermi quel senso
di oppressione che sentivo dentro di me e che mi schiacciava.
Carlotta tornò con tutta la mio borsa e dopo essermi messa
cinque
gocce sotto la lingua la situazione sembrò migliorare,
così andai
in bagno e mi aggiustai il trucco per poi tornare definitivamente al
tavolo, con un sorriso tirato.
«Come stai?» mi chiesero tutti,
apprensivi; Marco mi guardò, senza parlare.
«Bene, bene» li
rassicurai, «ora smettetela di rompere le palle a me e
festeggiamo
questi due!» dissi andando ad abbracciare di nuovo Francesca.
«Mi
hai fatto prendere un colpo. Avrei dovuto rimpiazzare subito una dei
testimoni» sbuffò stringendomi.
«Oddio, non ho niente da
mettermi» sbuffai facendola ridere; poi presi la bottiglia di
champagne e la stappai riempendo i bicchieri di tutti, facemmo un
brindisi ed iniziammo a prendere in giro i futuri sposi ricordando
aneddoti divertenti e scherzando sul loro futuro più
prossimo;
perfino Vincent riuscì a staccare un attimo con il lavoro e
venire a
brindare con noi, lui era l'unico che sapeva tutto fin dall'inizio e
ci raccontò che Stefano era andato da lui a chiedergli
consiglio e
poi lo aveva trascinato in gioielleria.
«Carmen ad ore dieci» mi
sussurrò in un orecchio Francesca, io mi accoccolai meglio
sul
divanetto ed accavallai le gambe, poi drizza la schiena e sorseggiai
un po' del mio drink, il tutto con molta teatralità.
«Inizia lo
spettacolo» canticchiai alzando lo sguardo in direzione di
Carmen;
arrivò e si piazzò dritta davanti Marco e
Daniela, li squadrò per
qualche secondo e poi parlò: «Mi devi delle
spiegazioni».
«Io
non ti devo niente» le rispose lui secco tornando poi a
parlare con
la bionda.
«Invece sì!» continuò Carmen,
gli prese il volto
tra le mani e l'obbligò a guardarla, fischiai sapendo quanto
quel
gesto avesse irritato Marco che, infatti, si alzò di scatto.
«Cosa
cazzo fischi tu!?» mi chiese la mora voltando appena la testa
in mia
direzione.
«Lasciala fuori» disse Marco digrignando i
denti.
«Oh, ti scopi Daniela, ma nessuno può toccare
Rebecca,
come funziona la cosa?» gli chiese retoricamente Carmen
mentre io mi
ero irrigidita sul divanetto, d'un tratto mi sembrò una
cattiva idea
usare Carmen per fargliela pagare. «E a te tutto questo sta
bene,
scommetto?» disse rivolgendosi a me.
«Cosa... cosa centro io?»
le chiesi con un cipiglio.
«Niente, ti sei sempre accontentata
tu, non l'hai mai domato, stava con te eppure veniva al letto con
me...»
«Non penso proprio...» le risposi alzandomi di
scatto,
stavo per avanzare verso di lei, ma sentii la forte presa di Vincent
sul mio braccio che mi ritirò a sedere, al suo fianco e mi
sussurrò
di stare ferma.
«Ho detto: lascia fuori Rebecca» ribadì
Marco
con un sospiro.
«Tranquillo, non te la tocca nessuno, lo sanno
tutti che lei è intoccabile» gli rispose lei,
«e mi stupisco che
Daniela sia qui a compiacerti mentre tu guardi palesemente
un'altra»
aggiunse. «Quando tornerai in te fammelo sapere, io ho
momentaneamente chiuso con questa merda» concluse Carmen, poi
girò
i tacchi e tornò verso la pista mentre al nostro tavolo non
volava
una mosca; sentivo gli occhi di Marco addosso, ma feci di tutto per
non cedere alla tentazione di riguardarlo.
«Oh mio Dio. Sono
stata così cieca per tutta la sera...» disse
Daniela rompendo il
silenzio e alzandosi di scatto come se si fosse risvegliata da un
lunghissimo sonno, «mi fai schifo» aggiunse prima
di versare in
faccia a Marco quel poco di champagne che era rimasto nel suo
bicchiere.
«Uh la la, le gatte morte non sono poi così
morte»
dissi a mezza voce con il volto rosso di rabbia. Per la prima volta
in tutta la mia vita mi si era rivoltato contro quello che pensavo
essere un piano geniale, non avrei mai pensato che Carmen fosse
così
arrabbiata da mettere in mezzo me, e le sue parole mi colpirono forse
peggio di uno schiaffo. Ero sicura che Marco non mi avesse mai
tradito, per lo meno quando decidemmo di metterci insieme sul serio,
ma nessuno mi dava la certezza di essere la sua unica ragazza anche
quando ci frequentavano e basta. Era una cosa che io avevo sempre
dato per scontato, ma da quel momento Carmen mi mise la pulce
nell'orecchio, ed era molto fastidiosa.
«Dai, siediti e
asciugati» Matteo si era alzato e aveva praticamente spinto
Marco a
sedere, poi gli aveva passato un fazzoletto ed era rimasto accanto a
lui, impaurito per la sua possibile reazione.
«Devi ammetterlo,
te le cerchi» gli disse Stefano, «anche se Daniela
ha
esagerato»
«Ha avuto stile, però» commentai io,
senza riuscire
a trattenermi.
«Sì, ma è inutile che parli, una
scenata del
genere tu non l'avresti mai fatta» osservò
Francesco prendendo
subito le difese del suo amato cugino.
«E' vero, non mi sarei mai
azzardata di fare questo casino in pubblico semplicemente
perché
conosco il suo carattere, ma a casa l'avrebbe pagata cara; lo sa
bene» scrollai le spalle e lo guardai di sottecchi mentre
bevevo un
altro sorso di champagne.
«Smettetela di parlare di me, sono qui
e vi sento» sbuffò Marco, «continuiamo a
festeggiare, per favore»
disse e lo prendemmo in parola, nessuno parlò più
di quello che
successe, anche se ben presto Marco mi avrebbe dovuto dare delle
risposte riguardo le insinuazioni di Carmen.
«Tutto ok?» mi chiese Carlotta poggiando a terra la
borsa.
«Sì, tutto ok... giusto qualche ricordo»
le
sorrisi.
«Non capisco: perché non state insieme? Ieri sera
ti ha
anche difesa contro quella lì, ti ama ancora. Tu lo ami
ancora»
«Perché lui non vuole legarsi»
«Tre anni fa però
l'aveva fatto...»
«Sono cambiate tante cose, lui stesso è
cambiato. Devo fargli capire che le sue teorie sono sbagliate,
perchè
ha paura di farmi del male, ne ha sempre avuta» sbuffai
legandomi i
capelli in una coda alta.
«Capisci anche tu che non ha senso...
secondo me servirebbe solo parlarne e arrivare ad una conclusione
insieme»
«Ci sono arrivata io per tutti e due, ieri mattina:
quando sarà pronto a mettere la testa a posto mi
farà un
fischio»
«E tu lo aspetterai all'angolo, fino a quel
momento?»
«L'ho sempre aspettato, non sono mai stata
all'angoletto, ma l'ho sempre aspettato» le risposi con un
sorriso.
«Ah, questo si che è amore!» sentii
sospirare alle mie
spalle, mi voltai e vidi Francesco allo stipite della porta che
sogghignava.
«Francesco non
so a
cosa paragonare la tua simpatia, giuro!» borbottai
guardandolo
storto.
«Non lo so, ad un fiore che sboccia in primavera?»
mi
chiese provando a fare gli occhi dolci, «e poi lo sai che io
ho
sempre fatto il tifo per te» aggiunse venendomi ad
abbracciare.
«Sì
certo, come no» mormorai aprendo le braccia.
«Sul serio Rè,
quando ti ha lasciata in quel modo gli ho scritto una serie di
lettere che se le avesse viste il papa mi avrebbe sicuramente
scomunicato» me lo raccontò con una tale
semplicità che non potei
fare a meno di ridere, come se quello che aveva fatto fosse stata la
cosa più normale del mondo.
«Ti credo. Però ora la situazione è
ben diversa» sospirai guardandolo negli occhi.
«Tu credi?» mi
chiese, retorico.
«Bé, sì. Tuo cugino è
tornato quello di un
tempo e io non so come gestire la situazione... ieri gli ho detto che
finché non metterà la testa a posto non ci
saranno spazio per
effusioni ,di ogni genere...»
«Però?» mi domandò Francesco,
sorridendo sotto i baffi.
«Eh, però... però non riesco a fare a
meno di pensare a lui, a noi. Oddio, perché non posso mai
amare una
persona normale?
Che ho fatto di male per meritarmi questo?!»
chiesi con teatralità.
«Ah, l'amore!» ripeté lui.
«Ma
quale amore?!» gracchiai con una smorfia.
«Ma l'hai appena detto
tu...»
«Nano, prova a dire in giro quello che hai
sentito e ne pagherai le conseguenze» lo minacciai
puntandogli il
dito contro il petto.
«Marco!» urlò di tutta risposta correndo
verso il salone, lo rincorsi tirandogli le ciabatte e per poco non
presi la faccia del povero Matteo che stava armeggiando con il
caminetto. «Marco!» urlò di nuovo
cercando di richiamare
l'attenzione del cugino.
«Che ti succede?» gli chiese il diretto
interessato alzando un sopracciglio.
«Lascialo in pace, deve fare
il cretino per mettersi in mostra»
«Ho sentito Rebecca che...»
iniziò Francesco prima che gli tappai la bocca con la mia
mano.
«Che
raccontavo a Carlotta di quando siamo rimasti chiusi fuori in pieno
novembre» mentii con una risata isterica, Marco mi
guardò
visibilmente incredulo e poi alzò gli occhi al cielo.
«Pessima
bugiarda, ricordalo» soffiò a due metri dal mio
volto, poi come se
niente fosse andò ad aiutare Stefano a portar dentro la
legna.
«Io
ti ammazzo!» berciai contro Francesco prima di iniziare a
fargli il
solletico.
«Hai il mio appoggio» asserì Francesca
uscendo dalla
cucina con un pezzo di pane in mano.
«Carlotta aiutami tu» pregò
allora lui mentre rideva.
«Non posso, Rebecca picchia forte» si
scusò lei, ridendo; continuai per un altro paio di minuti
poi decisi
di smetterla e di gettarmi sul divano affianco ai ragazzi che si
stavano godendo il tepore del grande caminetto dopo essere riusciti
ad accenderlo.
«E' questo il bello del termo-camino» sospirai
allungando involontariamente le gambe su quelle di Marco, era una
posizione che prendevo sempre e quando me ne accorsi tentai di
ritrarmi, ma lui mi bloccò riservandomi un mezzo sorriso.
«Sì,
ma vuoi mettere la bellezza della fiamma vera?» mi fece
notare
Matteo.
«No, per carità. Il camino vero è
affascinante, ma io
sono talmente scarsa che dopo cinque minuti lo farei spegnere»
«Non
sei scarsa, ti pesa il culo a mettere la legna» mi disse
Francesca
facendo ridere tutti.
«Non è vero!» borbottai,
«diglielo, mi
divertivo sempre a riempire il camino» frignai tirando la
maglietta
di Marco.
«Il problema è che era troppa» mi
rispose lui,
ridendo.
«Ma dicevi che andava bene» mi lamentai incrociando
le
braccia al petto.
«Eri così felice! Non potevo distruggere i
tuoi sogni da bambina piromane» mi prese in giro lui facendo
ridere
tutti.
«La prossima volta vorrà dire che ci
infilerò te»
ribattei facendogli una pernacchia.
«Ah, l'amour» sospirò
Francesco ridacchiando.
«Taci!» gli urlò contro sua sorella
tirandogli una cuscinata in piena faccia.
«Oddio, no» si lamentò
Stefano, ci guardammo e spiegammo a Carlotta che adesso sarebbe
iniziata la guerra, così si spostarono tutti sul divano
dov'eravamo
seduti io e Marco costringendomi a stare in braccio a lui e ad
osservare quei due che si scannavano.
«Almeno tappategli la
bocca» mormorai dopo il terzo gridolino di Francesca, non ce
la
facevo più a sentire le loro urla, così me ne
andai in cucina ed
iniziai a tagliare il pane per ammazzare il tempo. Avevo sempre
odiato tagliare il pane e sostanzialmente non ne ero mai stata
capace, a meno che una persona non si accontentasse di mangiare una
fetta alta dieci centimetri, così rinunciai subito e decisi
di
fumare una sigaretta, mi avvicinai all'ampia finestra e guardai di
fuori, pensierosa. Il cielo era bianco e il vento soffiava forte tra
gli alberi, le previsioni davano possibili nevicate per quella notte,
ma noi le sfidammo imperterrite. Mi era sembrata una bella idea,
passare il fine settimana in montagna, ma appena avevo messo piede in
quella casa quella sensazione si affievolì. I ricordi erano
troppi e
mi resi conto che più tempo passavo dentro quelle mura e
più si
facevano nitidi, e più ricordavo più faceva male.
«La lotta è
finita» mi avvisò Marco spuntando al mio fianco,
ero talmente
sovrappensiero che non lo sentii arrivare, così dovetti
asciugarmi
velocemente qualche lacrima che proprio non ce l'aveva fatta a
starsene buona nell'apparato lacrimale.
«Meno male» sorrisi, lui
mi sorrise a sua volta e mi passò il braccio sulle spalle
stringendomi un poco a se. Sospirai e iniziai a sperare che quel fine
settimana passasse in fretta, cosa che ovviamente non accadde.
***
Buone vacanze a tutte, -J