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Autore: LadySherry    29/07/2012    3 recensioni
Era disarmante il modo in cui i suoi occhi sapevano imbarazzarla al punto da non riuscire più a pensare a niente, tranne a quanto fosse meraviglioso stare con lui.
Tom era capace di rendere un “vai a farti fottere” detto col sorriso una vera e propria dichiarazione d'amore. Non importava il contenuto dei suoi discorsi, il tono di voce era così suadente da far cadere chiunque in trappola.
Gli mise una mano sul fianco e si alzò in punta di piedi per lasciargli un piccolo bacio a fior di labbra.
«Buongiorno » disse poi, sorridendo.
«Ciao, piccola» sussurrò Tom.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One.

 

Mise le mani nelle tasche dei jeans guardandosi attorno per il cortile della scuola, provando il nauseante senso di fastidio che lo avvolgeva ogni volta che gli passava accanto un professore. Non che odiasse la scuola, ma c'era qualcosa nel suo sistema che gli impediva di vederne il lato pratico.

Leila rappresentava quella categoria di persone che non avevano mai avuto problemi nella vita, a parte qualche media leggermente al di sotto del massimo o un due di troppo.

La verità era che, man mano che i giorni passavano, continuava a chiedersi come diavolo facesse una come lei a stare insieme a un ragazzo che di gentile e romantico aveva poco, molto poco.

Leila riusciva ad accontentarsi, o almeno era questo che gli diceva ogni volta che le porgeva la fatidica domanda “come mai stai con me e non con il capitano della squadra di football?”.

«Il professor Krause è un stronzo, Tom. Come fai a trovare sopportabile l'unico individuo che potrebbe annientarmi con una semplice parola, anzi, numero?».

Bill scaraventò la sua borsa sul muretto, per poi sedersi sulla panchina accanto al fratello. A differenza di quanto potessero credere i sostenitori della complementarietà gemellare, Bill e Tom erano diversi sotto parecchi aspetti. Odiavano le stesse cose, ma quando si trattava di trovare simpatica una persona erano davvero agli antipodi.

«Che ha fatto, scusa?» domandò Tom, cercando di mantenere un tono interessato.

«Carl, l'imbecille. Il ragazzo grasso e cattivo. Stava per gettare la mia cartella fuori dalla finestra e l'unica cosa che quella specie di professore ha saputo dire è stata “Carl, rimetti la cartella di Kaulitz dove l'hai trovata e torna a sederti”. Ma ti sembra normale?» sbraitò il gemello, agitando le braccia in aria, come faceva ogni volta che provava rabbia feroce verso qualcuno. «Se lo becco, giuro che...».

«Giuri niente, Bill. Lascialo stare, prima o poi si stancherà di fare l'idiota».

E poi la vide, bella come sempre, mentre usciva dalla porta principale con la sua mela in mano. Una delle tante cose che amava di lei era la sua ossessione per il cibo sano. Non che lui fosse un fanatico della frutta e della verdura – non ne mangiava quasi mai – ma gli piaceva il fatto che la sua ragazza si mantenesse in linea per lui. Anche se negli ultimi mesi non faceva che ripeterle che effettivamente era troppo magra, non c'era verso di convincerla a mangiare un bel panino al prosciutto durante la pausa a scuola.

Bill incrociò le braccia al petto, indignato. «Non mi stai ascoltando, scommetto. Si può sapere che... Ah, già!» sospirò, scuotendo la testa. «Devi smettere di cadere in trans ogni volta che la vedi. Prima o poi penserà che sei un maniaco o qualcosa del genere».

Tom gli mollò un affettuoso pugno sulla spalla, ridendo. «Mi ama anche per questo!».

«Anche?». Bill alzò il sopracciglio, perplesso.

«Vuoi davvero che ti renda partecipe di quelle cose, come le chiami tu?».

«No, grazie».

«Quando imparerai che è bene non fare domande sapendo le risposte non ti piaceranno?».

Scoppiarono a ridere insieme.

Leila li osservò da lontano per qualche secondo, trovandoli davvero carini. In effetti non si spiegava come tutta la scuola potesse discriminarli e insultarli ogni volta che ne capitava l'occasione. Faceva parte di quella categoria di persone che sperava ancora nel piccolo miracolo in quel di Magdeburg. Sapevano tutti della band che avevano messo in piedi assieme ad altri due ragazzi e sapevano tutti che i giorni in quella scuola, per loro, erano davvero contati. Peccato che l'unica a soffrirne sarebbe stata lei, ma non avrebbe avuto il coraggio di ammetterlo, nemmeno di fronte a Tom.

Il suo problema era che la felicità del suo ragazzo stava letteralmente mettendo al tappeto il buon proposito di pensare e sentire con e per sé stessi. Proprio non riusciva a provare dispiacere ogni volta che Tom le raccontava i progressi e i miglioramenti della band.

Scosse la testa, sorridendo. Era bello averli attorno e questo le bastava. Per ora.

Si avvicinò a loro quasi saltellando, come sempre. «Come mai tutta questa allegria?» chiese, andando a sedersi accanto a Tom, che prontamente la accolse tra le sue braccia.

Appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo e sorrise, beata.

«Mio fratello è in vena di battute, tutto qui. Te tutto bene?».

Leila annuì, decisa. «Tutto bene, sì. Oggi pomeriggio avete le prove?».

«No, oggi niente. Pranzi da noi?».

«Certo, dopo ricordami di avvisare mamma. Sai come diventa quando non mi vede arrivare se non l'avverto...».

«Okay».

 

 

La campanella dell'ultima ora risuonò come l'urlo della vittoria dopo ore passate a combattere una delle battaglie più estenuanti.

Tom trascinò i suoi piedi fuori dall'aula con la solita non-calanche che mandava fuori di tasta qualunque professore gli passasse accanto. Se ai professori non andava a genio il suo modo di fare e quello di suo fratello, di certo non c'era da stupirsi se perfino i compagni di classe mantenevano le distanze. Non che a lui importasse granchè, avrebbe avuto meno rogne quando anche al Polo Nord avrebbero ascoltato la sua musica.

Vide Carolina appoggiata al muro all'uscita della sua classe, con lo zaino di Leila in mano, e si decise ad accelerare il passo.

«Ehi! Leila?» chiese, aggrottando le sopracciglia.

«E' uscita prima, non stava molto bene. Mi ha detto di dirti che passerà sua madre a ritirare lo zaino a casa tua verso l'ora di cena» rispose la ragazza, porgendogli la cartella con un sorriso tirato.

Tom annuì, sbrigativo, mentre la ragazza era già arrivata al piano di sotto prendendo i gradini due alla volta. Sorrise. Carolina aveva una cotta per lui sin dai tempi dell'asilo, quando giocava insieme a lui e suo fratello alla mamma e ai bambini.

Si chiese come mai Leila avesse deciso di affidarle la sua cartella, sapendo perfettamente che negli ultimi dodici anni aveva provato a conquistare Tom in ogni modo possibile.

Ma sapeva che la sua ragazza, quando di media il corpo arrivava a trentanove gradi, non ragionava molto con il cervello.

Si preparò a uscire da scuola con una leggera punta di sconforto nell'animo. Ogni volta che un loro appuntamento saltava provava sempre quel vuoto nello stomaco così fastidioso da renderlo quasi irritato.

Trovò Bill appoggiato alla cancellata con aria annoiata.

«Leila non viene a pranzo, è uscita prima perchè stava poco bene» disse, mentre veniva seguito a ruota dal fratello.

«Lo so, l'ho vista uscire dal cortile insieme a sua madre» borbottò Bill, con aria assente.

Tom si voltò a guardarlo, perplesso. Sentiva che qualcosa non andava. A prescindere dai suoi occhi che ormai erano diventato un libro aperto per chiunque, c'era quella sensazione nel petto che avvertiva ogni volta che il suo gemello stava male.

«Bill, tutto bene?» chiese, appoggiando una mano sulla sua spalla.

Il ragazzo scosse la testa, indifferente. «Non mi sento molto bene nemmeno io, a dire la verità».

In effetti, ora che lo guardava meglio, il volto di Bill era più pallido del solito, segno che probabilmente da lì a qualche ora gli sarebbe salita la febbre alle stelle. Era sempre così. Si ammalava una o due volte all'anno, ma quando succedeva l'influenza lo metteva letteralmente al tappeto.

«Quando arriviamo a casa ti misuri la febbre, sei pallido».

Bill annuì. «Uhm... Sì, penso di sì. Deve essere stata Leila a intaccarmi questa specie di virus».

Tom scoppiò a ridere, divertito. «E' incredibile. Io le sto praticamente appiccicato e sto bene. Tu le hai dato un semplice bacio sulla guancia, e mantieni le dovute distanze, e stai per ammalarti!».

«Non è divertente, Tomi! Questo sabato abbiamo l'esibizione al Magic House*!».

«Vorrà dire niente esibizione. Per una sera non succede niente!».

«Questo lo dici tu!» sbuffò, incrociando le braccia al petto.

Si fermarono poco più avanti, dove già un gruppo di ragazzi stava aspettando l'autobus.

Il tragitto in autobus non fu dei migliore, o se non altro, non peggiore degli altri giorni. I soliti bulli provarono a far cadere Bill all'uscita, ma Tom prontamente lo ferrò ancor prima che si spiattellasse sull'asfalto.

Deficienti, pensò Tom, urlando dentro di sé.

«Ehm... Bill?» lo chiamò, fermandosi dopo nemmeno dieci passi.

Il fratello si voltò, sorridendo. «Vai da Leila?» domandò subito, certo della risposta affermativa che avrebbe ricevuto.

Sorrise comprensivo. Gli piaceva vedere suo fratello preoccuparsi così tanto per un ragazza. Non che credesse possibile la svolta amorosa di Tom, ma sapeva che quella ragazza, comunque sarebbero andate le cose, gli sarebbe rimasta nel cuore per sempre – anche se il “per sempre” era una concezione che doveva ancora approfondire per bene.

Tom si allontanò a passo spedito verso casa di Leila, mentre lui gli voltò le spalle correndo quasi verso il cancello di casa sua.

Casa dolce casa, pensò, una volta varcata la soglia.

 

 

Tom suonò il campanello con la mano leggermente tremante. E se fosse grave? Se le avessero trovato una malattia mortale? Non era psicologicamente pronto per un addio, per lasciarla andare così, senza poter fare nulla, senza combattere.

Avanti, Tom, non essere così drastico, si disse. Dopotutto è solo uscita da scuola un'ora in anticipo, cosa sarà mai... borbottò nuovamente, mentre l'ansia iniziava a impedire al suo autocontrollo di fare il proprio dovere.

Ma lei non salterebbe mai biologia, nemmeno con la febbre a quarantadue e un cancro, pensò, iniziando a muoversi sul posto.

Poi la porta sì aprì, e si ritrovò davanti la madre, piuttosto raggiante. Appena lo vide, lo abbracciò affettuosa.

Era un gesto che faceva sempre ogni volta che lo vedeva, come se provasse una certa ammirazione per la galanteria spicciola che gli aveva insegnato Gordon una sera, pure per sbaglio.

«Oh, Tom! Non serviva venissi subito dopo scuola. Sarei passata io al ritorno dal lavoro!» esclamò la donna, per poi spostarsi dall'ingresso per permettergli di entrare.

Tom scrollò le spalle, indifferente. «Non si preoccupi, non è un disturbo per me. In realtà sono passato anche per sapere come sta Leila... A ricreazione mi sembrava stesse bene» disse, puntando lo sguardo alle scale che portavano al piano superiore, e quindi alla stanza di Leila.

«Ha la febbre alta. Il medico dovrebbe arrivare tra un'oretta per ordinarle l'antibiotico» rispose la donna, sorridendo. «Vuoi qualcosa da bere?».

«No, la ringrazio. Posso andare da lei?».

«Certo, vai pure. Prima ha anche chiesto di te».

La donna lo guardò orgogliosa mentre saliva le scale, pensando che sua figlia fosse stata proprio fortunata a trovare un ragazzo come Tom. Anche se all'inizio, a causa delle voci di paese, le sembrava fosse un ragazzo con dei seri problemi comportamentali, dopo nemmeno un mese aveva dovuto ricredersi.

Tom bussò piano alla porta, per poi entrare cauto, mandando inanzi la testa per prima.

«Ehi» sussurrò, notando gli occhi rossi di Leila aprirsi e scrutarlo come se fosse un miraggio.

Un bellissimo miraggio.

«T...om» biascicò, passandosi una mano sulla fronte per spostare un ciuffo di capelli che si era appiccicato a causa del sudore.

«Certo che sei ridotta proprio male» scherzò, sedendosi accanto alla ragazza, che si era spostata appena per fargli posto.

Leila grugnì in segno di dissenso, affondando il viso nel cuscino. Tom le accarezzò i capelli, come se lo stesse facendo per alleviare in parte il dolore.

«Anche Bill stava poco bene, penso tu gli abbia contagiato l'influenza, sai?» disse, sospirando.

«Mhm» riuscì a dire Leila, in un sussurro.

«E dire che quello che ti mette la lingua in bocca sono io!» sghignazzò, divertito.

Leila, raccattando un briciolo di forza nel braccio, gli sferrò un pugno – anche se debole – sulla spalla, facendolo ridere ancora di più. «Eddai, stavo scherzando! Se vuoi possiamo fare un esperimento. Se non mi ammalo nemmeno stavolta allora potremmo farlo di nuovo, ancora, e ancora. Significherebbe che sono immune a qualsiasi cosa! Dimmi che staremo insieme per sempre, dai!» sussurrò, facendole gli occhi dolci.

«Cretino».

Tom rise, sfiorando poi la guancia della ragazza con la punta del naso. «Sei bellissima anche così, tranquilla» disse, stavolta serio.

Leila sorrise, allungando il braccio e circondandogli il collo per avvicinarlo a sé.

Nonostante la febbre alta e il mal di testa che non accennava a diminuire, riuscì ad avere la forza necessaria per allungarsi un po' e sfiorare quelle labbra che le erano mancate, terribilmente. Erano i momenti come quelli a farle capire che Tom non l'avrebbe mai abbandonata, febbre o non febbre. Contratto discografico o non contratto discografico. Sarebbe stato sempre il suo dolce, goffo e impacciato Tom.

Il suo Tom.

 

 

 

 

 

Note: ecco il primo capitolo, finalmente! L'ho postato a un'ora indecente, lo so, ma sono sveglia e non riesco a dormire... Poi, onestamente, avrei fatto fatica a resistere! Buona lettura, spero vi piaccia :)

  
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