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Autore: Willy Wonka    31/07/2012    0 recensioni
Brandelli di storia sulla coppia Paul/John.
Una storia ssssssssmielatissima lo so .A.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo brandello di storia (o profumo di un folle sulla collina)

 

John in un primo momento non spiaccicò parola, né si mosse. Lo fissava con la bocca semi aperta e quello sguardo tagliente e dolce insieme di chi non capisce e ha paura.
E come lui, Paul aveva paura. Nelle sue labbra serrate e nelle sue palpebre appena abbassate, lui aveva paura. Si mise le mani in tasca, continuò a fissare John negli occhi all’apparenza inespressivi, poi gli chiese di poter entrare.
“Tu scherzi vero?” si sentì rispondere con una mezza risatina.
Continuò a guardarlo, sempre con quell'espressione in volto difficile da analizzare persino quasi per lo stesso, profondo Lennon.
“John” esclamò dunque nel tono più calmo possibile “vorrei entrare un momento. Solo un momento. E questa volta non è per litigare. Sul serio”.
Un momento, solo un momento. John si rigirò quelle parole nella mente, come se dietro quell’insieme di suoni ci fosse un enigma da risolvere.

“Ok Paul” rispose appoggiandosi allo stipite della porta come per sbarrargli il percorso “mettiamo subito in chiaro le cose: se vuoi farmi le tue scuse, puoi farmele. Le accetterò. Ma non puoi entrare in casa mia. I vecchi tempi sono finiti, e credo di averlo ribadito già troppe volte. Quindi, se vuoi dirmi qualcosa, fallo adesso, e poi sei pregato di andartene via e di vivere la tua vita come meglio credi”.
Paul si rigirò quelle parole nella mente, ma dietro quell’insieme di suoni, nessun enigma.
“E' quello che intendo fare John” proseguì sempre controllando le sue emozioni. Sapeva fin troppo bene che quel testone avrebbe reagito così. “Ma per farlo, devo prima parlarti. Ti prego John, fammi entrare. Su tutto ciò che ho, ti prometto che non alzerò la voce, e se lo farai tu ti ascolterò. Non dirò nulla su Yoko, o su di te, o su qualsiasi altra scelta tu abbia intenzione di fare. Davvero John, per quanto tu mi possa odiare, mi conosci bene e sai che non ti sto prendendo per il culo. Ti prego”.
Lennon e una domanda assillante: accontentarlo oppure no?
“Sei tu che non mi conosci bene Paul, io non ti odio. E' che con la tua seppur carina faccia tosta mi hai ferito. Mi sono sentito offeso, mi sono sentito come un povero idiota che si è fatto fregare per tutto questo tempo. Ma questo tu non lo capisci. E qualsiasi disco schifoso che tu possa comporre non ha il diritto di giudicarmi. Non ce l’ha affatto”.

“Mi dispiace” fu l'unica cosa che riuscì a dire Paul guardandosi la punta delle scarpe come un adolescente in imbarazzo. “Mi dispiace John. Ma abbiamo sbagliato entrambi”.
In un attimo, silenzio. Poi un sospiro profondo. Ecco, lo aveva fatto, si era lasciato trasportare dalla rabbia e dal dolore che provava.
Il bassista strinse gli occhi, li strinse in attesa di sentirsi la porta sbattergli in faccia o la puntura di altre parole pulsanti di veleno.
“Che siano solo un paio di minuti”.
John si tolse di mezzo ed entrò in casa sua, davanti all'espressione stupita di Paul che non credeva di avercela davvero fatta. Questo, mezzo intimidito come non lo era mai stato, si rimise le mani nelle tasche dei pantaloni ed entrò nell'appartamento di Lennon e Ono, un luogo caldo ed accogliente, semplice e sopra le righe allo stesso tempo. I suoi passi risuonarono sul parquet rigato in qualche punto, e si guardò intorno quasi spaesato, come se quel posto non lo avesse mai visto.
Lennon, dopo aver chiuso la porta di casa, si appoggiò ad un tavolo lì vicino e lo fissò a braccia incrociate, in attesa che facesse la prima mossa. Sotto agli occhiali, uno sguardo nocciola e brillante.
L'altro smise di guardarsi attorno e un po' a disagio cominciò a parlare.
“John, ecco io... io sono qui per farti le mie dovute scuse. Ma queste te lo già fatte pochi secondi fa e-e quindi siamo a posto”
“Caspita Paul, hai la stessa profondità che avevi nel tuo bel disco. Per davvero, riconosco la firma!”
“No ehm, John, aspetta un momento. Io sono venuto qui perché vorrei, ehm..., io vorrei solo per un po' smetterla di punzecchiarci ed insultarci a vicenda”
“Hai cominciato tu caro”
“Non mi interessa chi diavolo ha cominciato, mi interessa solo che tu mi stia a sentire e che io possa parlare con la persona brillante e matura che ho sempre conosciuto!”

Non si accorse nemmeno che aveva cominciato ad alzare la voce. Chiese nuovamente perdono.
John si ammutolì di tutta fretta, anche se Paul poté giurare che nei suoi pensieri lo stava prendendo per un povero ruffiano e niente di più.
“Sono venuto qui John, per chiederti un favore, un ultimo favore”
Gli si avvicinò impaurito, come se quella stanza vuota fosse piena di mille persone e volesse fargli una confidenza in privato.

“Cosa ti fa pensare che io voglia accontentarti?”
Paul deglutì, serrò gli occhi e cercò di raccogliere tutto il coraggio che poteva avere in quella situazione.
“un ballo John” riuscì a dire con fatica. Ma gli uscì dalla gola quasi come un bisbiglio, un miscuglio di parole dette troppo velocemente per essere capite. Tremava, tremava così tanto, come se avesse dimenticato il cappotto in una serata di temporale.
“Come hai detto?!”
“Un b-ballo John” balbettò appena, ma questa volta fu più chiaro.

“Tu devi essere proprio suonato!!!”
“Ti prego John, solo questo favore. Non ti costa niente, Yoko non c'è, non dovrai dare spiegazioni a nessuno.”

L’altro non poté fare niente se non scoppiare in una risata che sapeva di disperazione, si passò le dita fra i capelli lunghi non credendo a quello che stava sentendo. Yoko non c’è. Incredibilmente patetico!
Paul si avvicinò ancora.
“Se fai questo per me, ti giuro, io ti giuro che sarà l'ultima volta che mi vedrai. Se fai questo per me, sparirò per sempre dalla tua vita, e se lo vorrai, dai tuoi ricordi. Se fai questo per me, io dopo uscirò di qui, e non ti disturberò più, non ti offenderò più, non ti attaccherò mai più. Potrai vivere la tua vita in pace con la tua Yoko, un'esistenza come meglio sogni. Ma fa questo per me John, solo questo. Fallo per tutto ciò che ricordi di bello con me” esplose implorante Paul afferrandolo per le spalle. “John... per favore”. I suoi occhi luccicavano, in un modo che non aveva mai visto, e quel lieve nodo alla gola che aveva bastò per convincere quel cocciuto di Lennon che stava dicendo la verità.
“Paul… sei davvero serio?”
“Sì” disse con il cuore che gli impazzava dentro.

John indugiò ancora, guardò qualsiasi cosa che non fosse quell’essere tremante davanti a lui, ma era difficile. Troppo difficile.
“D'accordo” rispose infine.
A Paul venne spontaneo di sorridere, sorridere come un bambino al parco giochi, e lo ringraziò con lo sguardo. Corse al giradischi di fianco al quale stavano una miriade di dischi, e chissà quanti altri erano nascosti in quella casa. Prese il primo 33 giri che gli capitò sotto mano. E come c'era da aspettarselo, era un lp di Elvis Presley. Ciò lo riportava indietro, a quando era poco più che un ragazzo, a quando entrambi erano poco più che dei ragazzi.
Lo mise sul piatto con cura, fece attenzione a posizionare la puntina, poi si rallegrò sentendo la prima canzone partire.
La musica risuonava in tutta la stanza, era una melodia dolce, non troppo esuberante né romantica, era semplicemente perfetta.
John si spostò dal tavolo e si vergognò sentendosi così impacciato. Paul gli stava di fronte, guardava per terra giocherellando con le dita e tentava di dire qualcosa che combattesse l’imbarazzo. Lo fece Lennon.
“Dio tutto ciò è ridicolo...” borbottò. “Allora... c-chi guida?” chiese rendendosi conto che non sapeva da che parte cominciare.
“Guidami tu”.
Il bassista rabbrividì quando percepì John prendergli la mano e condurlo a pochi centimetri dal suo corpo magro. Sentì l’altro suo braccio cingergli la vita, ma guardava per terra, ancora per terra.
Come gli era vicino Paul, si ritrovò a pensare il cantante. In meno di un secondo, si riempì del suo profumo, un'essenza leggera, così piacevole. Sapeva di gocce di pioggia, di pane, di un timido sorriso, di una chitarra accordata, di miele, di neve, di biscotti la mattina presto. Quell’odore gli faceva sparire la rabbia, lo purificava.
I due cominciarono a ballare piano.
“Non sono bravo in queste cose” aggiunse Lennon maledicendosi della sua goffaggine.
“Ma come, vuoi dirmi che con Yoko non hai mai ballato?” gli rispose l’altro con un sorrisetto e il cuore che gli faceva male.
“Ma certo, certo”

“E comunque vai molto bene”
“Ti ringrazio”

Trascorse ancora qualche istante, e nessuno dei due capiva davvero che stava capitando.
“Perché hai voluto ballare con me? Avresti potuto chiedermi qualsiasi altra cosa”
“Ma lo sai John, che io in fondo sono un po' matto”.

Ancora quel semplice profumo, ancora quel formicolio che non sapeva descrivere.
John e il profumo di un folle sulla collina.
   
 
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