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Autore: Carlos Olivera    31/07/2012    4 recensioni
"Mi chiamo Eric Flyer.
Sono nato il dodici gennaio 1945 a Tokyo, in Giappone.
Io odio i vampiri.
Perché li odio? Perché sono dei mostri. Si ritengono un gradino al di sopra della catena evolutiva, ma per come la vedo io sono solo un vicolo ceco dell’evoluzione che prima sparirà, e meglio sarà per tutti.
Ma non è solo per questo.
Io odio i vampiri perché… anch’io sono come loro. Sono anch’io una creatura della notte."
Il cacciatore di vampiri Eric Flyer, vamprio egli stesso, arriva in Europa per indagare su alcuni efferati omicidi che convolgerebbero altri suoi simili.
Ma la verità è molto più complessa e spaventosa, e legata ad un'antica leggenda dimenticata: quella del leggendario vampiro Valopingius.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaien Cross, Kaname Kuran, Nuovo Personaggio, Seiren
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III

 

 

Un urlo disumano squarciò la foresta, venendo udito fin quasi nel villaggio, una specie di grido infernale che si sarebbe detto provenire dallo stesso oltretomba.

Eric, ancora all’inseguimento, lo sentì, e senza neanche perdere tempo a domandarsi quale ne fosse la causa corse in quella direzione.

Quando però arrivò in una piccola radura circondata dagli alberi, l’unica cosa che trovò furono i vestiti insanguinati e strappati del dottore; il suo corpo, infatti, era già sparito. Accanto ai vestiti c’era un giovane, bellissimo, capelli castani un po’ lunghi e occhi rosso scuro.

Vedendolo, Eric si immobilizzò; già solo il portamento bastava a indovinarne lo status, e quello sguardo ne era la prova inconfutabile. Solo un nobile poteva avere occhi così.

Una cosa era certa: non aveva assolutamente nulla di amichevole, nonostante quell’espressione distesa e lo sguardo gentile.

«Chi sei?» domandò il ragazzo.

Quello alzò gli occhi; erano glaciali nel loro distaccamento dal mondo.

Poi, come se nulla fosse, girò i tacchi e fece per andarsene.

Era una più che palese dimostrazione di poco rispetto nei suoi confronti, e di tutta risposta Eric lanciò un paletto contro un tronco lì accanto, mancando volutamente il nuovo venuto, che quindi si fermò nuovamente.

«È cortesia rispondere ad una domanda».

Il vampiro dagli occhi di ghiaccio a quel punto, finalmente, si risolse ad obbedire.

«Kuran. Kaname Kuran».

Eric sbiancò nel sentire quel nome.

Del resto, tutti conoscevano Kaname Kuran, il patriarca e, per quanto si sapeva, ultimo superstite della famiglia Kuran. La sua abilità era quasi leggendaria tra gli altri vampiri, e tutti gli portavano rispetto.

Da quando il suo casato era stato distrutto non si era più saputo nulla di lui, e adesso improvvisamente ricompariva in quell’angolo d’Europa fuori dal mondo e dimenticato da Dio.

Ma che cosa ci faceva uno come lui in un posto simile?

«Perché hai ucciso Pavlov?».

Di nuovo, Kaname non rispose, una condotta che faceva salire il sangue alla testa al giovane Flyer più di qualsiasi altra cosa; non c’era niente che odiasse più dei modi di fare dell’aristocrazia, con quel loro atteggiamento superficiale e superbo, e quel loro guardare tutti, compresi i propri parigrado, dall’alto in basso con incredibile sufficienza.

«Quale rimpianto.» disse improvvisamente Kuran

«Cosa!?»

«Un fratello di sangue, un vampiro, che rinnega la sua stessa natura».

Eric tentennò, visibilmente colpito.

«Pur essendo una creatura della notte, disprezzi e combatti ciò che il destino ti ha donato, rifiutandolo al punto da rinunciare a nutrirti.»

«Questo non è un dono.» replicò Eric alzando i machete, mentre il fuoco si accendeva nei suoi occhi «È una maledizione!»

«Perché odi così tanto i vampiri? Non comprenderai mai le potenzialità e la vastità dei tuoi poteri, fino a che non imparerai ad accettarti.»

«Io sto bene così.»

«Ne sei sicuro? Credi davvero di poter affrontare un tuo parigrado come me, pur rinunciando a possibilità che egli invece non ha alcuna paura di sfruttare, anche se significa liberare la sua vera natura?»

«Mettimi alla prova!».

Senza rifletterci oltre, e ignorando il fatto stesso di non essere esattamente al top delle sue energie, tra il combattimento appena sostenuto e l’emorragia alla mano che non smetteva di sanguinare, il ragazzo partì alla carica come un toro infuriato.

Kuran non si mosse, seguitando a mantenere quel sangue freddo e quell’aria distaccata che tanto irritavano il suo avversario, e quando Eric calò su di lui si limitò a schivare tutti i fendenti e gli affondi con sconcertante noncuranza, quasi per gioco per come gli veniva facile.

Dal canto suo Eric era troppo stanco e arrabbiato per impostare un’azione realmente pericolosa, e maneggiava i suoi machete come un autentico principiante.

Kaname continuò a schivare i fendenti per qualche minuto, poi arrivò un doppio colpo orizzontale da destra a sinistra che teoricamente poteva colpirlo; per nulla intimorito, Kuran prima si spostò indietro, poi incredibilmente protese il palmo in quella direzione, mettendolo proprio sulla traiettoria del colpo.

Le armi cozzarono violentemente contro la pelle candida del vampiro come su di una parete d’acciaio, e quasi subito, sotto gli occhi sgomenti e terrorizzati di Eric, andarono entrambe in frantumi; quelle armi così potenti, che aveva ottenuto il giorno del suo ingresso nell’associazione, erano ora ridotte a schegge frantumate, che come pioggia caddero sul terreno tutto attorno, lasciando il giovane Flyer con nulla altro tra le mani che le due impugnature.

«Non... non è possibile…».

Per la forza del contraccolpo il ragazzo rovinò a terra, ritrovandosi come non avrebbe mai voluto in tutto il suo orgoglio; in ginocchio.

Non riusciva a crederci; mai prima d’ora aveva subito un’umiliazione simile, e peggio di tutto l’aveva subita da un Livello A, i vampiri che più odiava tra tutti quanti.

Proprio in quel momento sopraggiunse Kaien, appesantito dal fardello di Nagisa; l’aveva trovata nel mezzo della foresta già svenuta, una cosa piuttosto seria oltretutto, ed era stato costretto a caricarsela in spalla.

«Kuran!» urlò vedendo Kaname sovrastare Eric.

Non che fosse preoccupato o in pensiero per la sorte del giovane Flyer, visto e considerato che se Kaname avesse voluto ucciderlo non lo avrebbe certo trovato lì, ma sapeva quanto il divario tra i due fosse abissale, e voleva fermarli prima che qualcuno si facesse male.

Kaname allora si girò verso di lui.

«Direttore. Hanno assegnato a Lei questa missione?»

«Che ci fai tu qui? Erano anni che non ti si vedeva.»

«Avevo una faccenda da sbrigare».

Poi Kuran guardò Eric, ancora inginocchiato a terra con l’espressione fuori dal mondo e gli occhi piantati su quanto restava delle sue armi.

«Confido che tu ora abbia capito. È questo quello che succede quando si soffocano i propri istinti. Non puoi cambiare il fatto dell’essere un vampiro, e prima accetterai la tua natura prima ne potrai sfruttare i benefici».

Detto questo, Kaname si girò e fece per andarsene; le sue parole, però, avevano acceso nuovamente la rabbia e l’orgoglio di Eric, che digrignando i denti si rimise in piedi dopo aver stretto con forza le impugnatura dei suoi machete fino a sbriciolarle.

«Questo non succederà! Non osare mettermi sul tuo stesso piano, sudicio schifoso vampiro! Ho giurato a me stesso che non avrei mai più bevuto sangue, né ingoiato le vostre maledette compresse! Non me ne frega niente della tua filosofia malata! Se è vero che devo bere sangue per liberare tutti i miei poteri, allora ne faccio volentieri a meno!

Ma questo non toglie il fatto che la prossima volta che c’incontreremo, io ti ucciderò!».

Kaname si fermò e volse leggermente il capo, fissando enigmatico Eric, che serrò i denti e lo guardò con occhi ancor più carichi di sfida.

«Staremo a vedere. Sono curioso di scoprire fin dove può arrivare questa tua filosofia. Dimostrami che hai ragione, e fammi vedere se la tua parte umana è davvero così forte.

Ma la prossima volta, sappi che neppure io mi tratterrò.

Ti saluto».

A quel punto Kuran scomparve mutandosi in nebbia, lasciando i due cacciatori da soli.

Per interminabili secondi dominò un silenzio spaventoso, rotto solo dal soffiare del vento attraverso i rami degli alberi.

«La missione è conclusa.» disse infine Kaien con un filo di voce «Sarà meglio fare ritorno a San Pietroburgo».

Eric stette qualche altro istante ad osservare il punto dove Kaname era sparito, poi, con gli occhi inondati di lacrime, si buttò nuovamente in ginocchio sventrando il terreno con i pugni, diffondendo un urlo agghiacciante in tutta la valle.

 

Nella parte meridionale della Croazia, al confine con la Bosnia, c’era un vecchio maniero di epoca medievale, perso tra le montagne e le foreste che caratterizzavano quello sperduto angolo d’Europa.

Un luogo sconosciuto a chiunque non sapesse dove cercarlo; secondo la leggenda era stato costruito dagli ungheresi per difendersi dalle invasioni mongole, ma a giudicare dal disegno e dalla raffinatezza tutta particolare dei bastioni e degli edifici era più probabile che risalisse al periodo della dominazione veneziana di quelle terre.

Per secoli era rimasto deserto, nascosto dalla foresta agli occhi di chi abitava o transitava nei suoi pressi, ma di recente era diventata la dimora di messer Milos Manovic, un ricco magnante croato che come tanti aveva fatto i soldi con la fine del comunismo e la disgregazione dell’ex Yugoslavia.

Strano uomo questo messer Manovic.

Nessuno conosceva il suo volto, poiché quasi nessuno aveva, nemmeno i suoi soci e i membri del consiglio d’amministrazione del suo sterminato impero, aveva mai avuto il privilegio di incontrarlo, mentre i pochi che invece avevano avuto questo onore non erano mai stati messi al corrente dell’identità di chi avevano di fronte.

Conduceva una vita isolata, quasi eremitica, in quel remoto castello che aveva comprato e rimesso a nuovo in meno di due anni. A nessuno era permesso di accedervi; chi voleva mettersi in contatto con lui poteva farlo solo attraverso la rete, e in ogni caso a rispondere era sempre la sua fedele segretaria, una giovane molto bella dai corti capelli nero vermiglio e dallo sguardo di ghiaccio di nome Shezka, che il più delle volte parlava e deliberava in sua vece.

Altra cosa insolita, era reperibile unicamente la notte; dopo il tramontare del sole, con un po’ di fortuna, era possibile parlare direttamente con lui, per quanto se ne potesse sentire solo la voce, ma per il tutto il resto del giorno ad essere disponibile era solo la signorina Shezka.

Certo, tutti conoscevano e dibattevano circa l’eccentricità di messer Manovic, ma nessuno sarebbe mai arrivato ad immaginare quale fosse il reale segreto all’origine del suo comportamento, gelosamente custodito sia da lui che dai pochi fedelissimi ai quali era concesso di transitare per quelle mura.

Durante la notte, il cavaliere, altro titolo onorifico con il quale era internazionalmente conosciuto, trascorreva gran parte del suo tempo nella ricchissima biblioteca del castello, leggendo un libro dietro l’altro; la sua materia preferita era la magia, e sull’argomento poteva vantare la più ricca collezione al mondo.

Anche quella notte era intento a leggere, seduto comodamente ad una elegante poltrona affacciata al grande finestrone della stanza, immerso in una oscurità quasi totale, e con accanto un tavolino su cui era appoggiato un bicchiere di quello che solo a prima vista poteva sembrare vino rosso.

D’un tratto nella stanza entrò proprio Shezka; oltre all’aspetto leggermente enigmatico, l’abito attillato color lilla che indossava rendeva la sua bellezza ancor più sinistra.

«Mi scusi, padrone. Il signor Kuran è ritornato. La attende nella sala della pietra.»

«Grazie di avermi avvisato».

Qualche minuto dopo il cavaliere, seguito sempre dalla sua fedele attendente, uscì dalla stanza, quindi, una volta nell’androne principale, tramite una stretta scalinata a chiocciola scese nei sotterranei, fino a raggiungere un’immensa sala a volta al centro della quale si trovava il gigantesco diamante grezzo che la sua spedizione aveva ritrovato in Groenlandia anni prima, e che lui aveva fatto portare fin laggiù in tutta fretta.

Tutto attorno vi erano macchinari ed apparecchiature di vario genere, destinati sicuramente a compiere studi sulla pietra, posta su di una specie di pedana circondata da cavi e tubature.

Kaname Kuran era in piedi di fronte al cristallo, quasi a cercare di scorgerne meglio le strane sfumature che si intravedevano al suo interno, e che rassomigliavano vagamente ad un corpo umano.

«È tutto sistemato?» domandò avvicinandosi al ragazzo e volgendo a sua volta lo sguardo alla pietra

«Assolutamente. Il vampiro mutante è stato abbattuto.»

«Questo incidente ci ha prodotto una bella seccatura. D’altra parte però, ci ha anche permesso di approfondire le nostre conoscenze, e mettere alla prova il risultato delle nostre ricerche iniziali.»

«Purtroppo, il dottor Pavlov non è stato l’unico. Altri sono fuggiti dal centro di ricerca.»

«Non c’è problema. Se ne sta occupando Hanabusa. Per quelli che rimangono, è solo una questione di tempo. Le nostre squadre di ricerca sono già al lavoro».

Entrambi poi stettero per un po’ in silenzio ad osservare il diamante; anche Shezka, sempre un passo indietro rispetto al suo padrone, fece altrettanto.

«Certo, speravo che dopo tutti questi anni di lavoro i risultati fossero un po’ più incoraggianti.»

«Forse questa non è la soluzione, dopotutto.» ipotizzò Kaname

«Ti sbagli, ragazzo. Questa è davvero l’ultima speranza che ci rimane».

Poi, Manovic sospirò un momento come pensieroso, quindi tornò a fissare il cristallo.

«Dobbiamo accettare la verità. La nostra specie sta morendo. Negli ultimi diecimila anni il nostro numero non ha fatto che diminuire, mentre al contrario gli umani sono diventati sempre più numerosi. Ad oggi, il rapporto tra noi e loro è di uno a mille. Se andiamo avanti di questo passo, nel giro di poche migliaia di anni saremo completamente estinti.

Questa ricerca è l’unica cosa che può dare un futuro all’intera stirpe della notte».

Il cavaliere fece una nuova pausa, e di nuovo sospirò.

«Ma ora dimmi, che ti è parso di mio nipote?»

«Ha del talento.» rispose Kaname dopo un momento di esitazione «Del resto, è pur sempre l’erede dei Lorenzi.»

«Già.» replicò Manovic con espressione contrariata «Nonostante il sangue bastardo che ha nelle vene, dispone di un potere inimmaginabile. Ed è questo che mi fa maggiormente arrabbiare. Chissà cosa sarebbe stato, se avesse avuto un vampiro anche come padre.»

«Ma quel potere lui lo reprime. Così come reprime la sua sete di sangue, e la sua stessa natura.»

«Non fa alcuna differenza. Può lottare quanto gli pare, ma prima o poi si dovrà arrendere all’evidenza. Non potrà combattere per sempre la sua vera natura.»

«Se volete sapere come la penso» disse con voce gioviale ma saccente il giovane biondo che aveva ritrovato la pietra in Groenlandia comparendo dalla porta d’ingresso della sala «State tutti decisamente sopravvalutando quell’incompetente.»

«Kilyan.» intervenne Shezka «Non dimenticare che stai parlando di un tuo superiore.»

«Un vampiro che non beve sangue e non và a caccia, ma ci pensate? Se la maggior parte dei nobili sono così, non c’è da meravigliarsi se i vampiri stanno morendo.»

«Hanabusa, non avevi un incarico da svolgere?» domandò invece Kaname col suo solito tono pacato ma fermo

«Già tutto risolto. Ogni singola cavia da laboratorio fuggita dal centro e rifugiatasi in America è stata eliminata.

Dovevate vedere le facce di quelli dell’associazione! Quando arrivavano loro, io avevo già finito da un pezzo».

Il cavaliere sorrise di approvazione.

«Ben fatto. A questo punto, mancano solo quelli fuggiti in estremo oriente. Ma li abbiamo già rintracciati quasi tutti, e comunque non dovrebbero essere molti. Possiamo tranquillamente lasciare che se ne occupi l’associazione.

Vista la situazione, non è il caso di esporsi ulteriormente.» poi il cavaliere si volse verso Shezka «Comunque, per sicurezza, vorrei che tu andassi laggiù. Non serve che tu agisca. Limitati ad osservare.»

«Come desiderate».

Manovic a quel punto tornò a guardare la pietra.

«Questa ricerca è la nostra salvezza. Non permetterò che venga vanificata».

 

«Come sarebbe a dire non fare niente?» sbraitò Eric battendo i pugni sulla scrivania del direttore Ivanov, capo della sede di San Pietroburgo

«Gli ordini sono chiari.» rispose schietto l’austero superiore

«Ma avete capito o no quanto la situazione sia seria? Questi vampiri sono diversi da quelli che conosciamo. Si muovono senza problemi alla luce del sole, e possono vampirizzare chiunque nonostante il loro basso livello. Ma peggio di tutto, chiunque mordono diventa istantaneamente un livello E.

Uno solo di questi vampiri potrebbe crearsi un intero esercito in poche ore. Se ci è riuscito Pavlov in uno sperduto eremo dei Carpazi, cosa potrebbe fare uno come lui in una città come questa!?»

«Siamo già a conoscenza dell’esistenza di questi vampiri mutanti.»

«Che cosa!?» esclamò il ragazzo

«E non solo noi. Anche il senato e l’alta aristocrazia dei vampiri sanno di questo problema. Attualmente ci troviamo nel bel mezzo dell’indagine, e stiamo cercando di capire chi o che cosa sia all’origine della loro comparsa.

In ogni caso, questo è un problema che non la riguarda più.»

«Che intende dire?».

Il direttore prese allora un foglio da un cassetto e lo porse ad Eric, che come lo lesse divenne rosso di rabbia.

«Sospensione dal servizio!?»

«Cos’altro si aspettava dopo quello che è successo? Non solo hai mancato di rispetto ad un vampiro d’alto rango come Kaname Kuran, ma hai persino combattuto con lui. Onestamente non so come tu faccia ad essere ancora vivo.»

«Quel bastardo ha ucciso Pavlov! Potevamo ottenere informazioni importanti da lui, e invece…»

«Ciò non toglie che il nobile Kuran si trovasse laggiù su mandato e ordine del senato dei vampiri. Attaccandolo, è un po’ come se tu avessi ostacolato la sua missione.

E dando un’occhiata alla tua scheda, questa non è la prima volta che la tua mancanza di autocontrollo causa dei problemi.

Di solito più richiami portano all’espulsione immediata, ma tenendo conto dei tuoi risultati si è deciso, almeno per questa volta, di passare sopra i tuoi metodi altamente discutibili, in cambio di una piccola ammenda».

Senza rendersene conto Eric fece scomparire il foglio per la rabbia e serrò i denti.

«Mi mettete in castigo?»

«Consideralo un periodo di riposo. E anche un’occasione per riflettere sulla tua condotta. Sei sospeso per tre mesi. Rientra in Giappone, e resta in attesa di nuova comunicazione».

Eric ringhiò come un drago infuriato, ma poi dovette ingoiare il boccone amaro e se ne andò.

«Al diavolo!» sbraitò mentre usciva sbattendo la porta.

Fuori dalla stanza trovò ad attenderlo Kaien, appoggiato al muro braccia conserte ed occhi chiusi; sembrava stranamente felice, o quantomeno ironico.

«Che dicevi a proposito dei doveri dell’associazione?» disse Eric facendogli il verso

«Farti rompere le ossa da Kuran non rientrava nelle direttive di missione, o sbaglio?

Comunque, puoi ritenerti parecchio fortunato. Ho visto molti vampiri più forti di te finire inceneriti per molto meno da quel ragazzo».

A quel punto Kaien alzò gli occhi, fattisi terribilmente severi e preoccupati.

«Kaname Kuran ha rinunciato alla sua anima molto tempo fa. Se ritiene di stare facendo la cosa giusta, non esita a passare sopra tutto e tutti pur di arrivare al suo scopo».

Il solo pensare a Kuran fece inalberare ulteriormente Eric, che si sfogò sventrando la parete lì accanto con un pugno. In particolare, non riusciva a togliersi dalla testa le sue parole.

«Se essere un vero vampiro significa essere come lui.» disse ripensando al suo sguardo senza emozioni «Allora sono felice di non esserlo».

Poi, una volta calmatosi, pensò alla sua partner; Nagisa non si era più ripresa dopo quanto successo in quel bosco, e una volta tornata a San Pietroburgo era stato necessario sottoporla a cure mediche appropriate. Lo choc derivato dalla liberazione senza freni dei suoi poteri di vampiro in modo così improvviso aveva indebolito il suo fisico, già gravemente provato da tutte le prove che quella ragazza aveva dovuto sopportate nel suo recente passato; la somministrazione di sangue fresco, che anche lei come il suo padrone si rifiutava di consumare, le aveva evitato conseguenze più gravi, ma perché potesse riprendersi del tutto sarebbe servito ancora del tempo.

«Come sta Nagisa

«Abbastanza bene.» rispose Kaien, che era appena andato a trovarla «Le ci vorrà un po’ per smaltire quell’esperienza, ma in un paio di settimane sarà di nuovo in piedi».

Eric, però, non poteva aspettare due settimane.

L’ordine era di fare immediatamente rientro a Tokyo, e disobbedire poteva voler dire la radiazione.

«Tu cosa farai?» chiese allora al direttore

«Credo che me ne ritornerò alla mia accademia. Questa breve parentesi è stata anche troppo per i miei gusti. Ormai non ho più l’età per cose simili.

E tu invece? Ti concederai un po’ di riposo?».

Eric guardò i foderi alla sua cintura, ormai privati del loro contenuto.

«Una cosa è certa, mi serve una nuova arma. Per prima cosa credo che contatterò un mio vecchio amico. Poi, si vedrà. Di certo non intendo starmene con le mani in mano.»

«Sta attento, ragazzo.» disse Kaien mentre Eric si allontanava «Mi dispiacerebbe se un domani mi fosse dato l’ordine di usare le maniere forti per rimediare alle tue intemperanze.

Se posso darti un consiglio, approfitta di questo tempo per riflettere su quanto accaduto».

Il ragazzo non rispose, ma non visto digrignò i denti per la rabbia ed il senso di impotenza; a volte quel lavoro faceva proprio schifo.

 

Erano almeno due anni che Eric non metteva piede a Tokyo.

La città era sempre la stessa; caotica e frenetica. Una combinazione che non gli era mai piaciuta.

E sì che ci aveva vissuto nei suoi primi anni di vita.

Aveva visto quella città risorgere dalle macerie alla fine della guerra, espandendosi sempre di più, fino a diventare la megalopoli che era ora; persino la casa dove era vissuto, alla nascita persa nella semi-periferia, ora si trovava quasi in centro, al limitare del quartiere di Ikebukuro, stretta tra i palazzi che negli anni le erano cresciuti intorno distruggendone il panorama.

Eric giunse in vista di casa sua a sera inoltrata, quando ormai la capitale del Giappone era illuminata solo dalle sue miliardi di luci, trovandola, come si aspettava, deserta.

Negli ultimi tempi sua madre e il suo patrigno facevano continuamente avanti e indietro tra l’Italia e il Giappone, per cercare di rimettere insieme i cocci dell’impero dei Lorenzi che sua madre aveva deciso, nonostante tutto, di fare rinascere.

Mise una mano in tasca, prendendone fuori le chiavi; nonostante tutto non se ne era mai separato, e fu quasi sorpreso nel vedere che fossero ancora buone.

Non che tornare lì gli facesse piacere; al contrario, la cosa non lo entusiasmava minimamente. Ma gli ordini erano chiari; per i successivi tre mesi avrebbe alloggiato in quella casa e frequentato un qualsivoglia liceo come un normale studente.

Forse i capi speravano che in questo modo i suoi bollenti spiriti si sarebbero raffreddati, invece questo comportamento riusciva solo a farlo inalberare ulteriormente.

Entrò.

Non era cambiato niente, dopo tre anni. Gli stessi mobili, lo stesso arredamento; la stessa atmosfera. Eric era sicuro che persino la sua camera fosse rimasta uguale, ma non aveva certo voglia di scoprirlo.

Non c’erano molte luci, ma non che la cosa dovesse sorprendere; in fin dei conti, era pur sempre la casa di una coppia di vampiri.

Entrato in cucina, trovò un biglietto affisso allo stipite della porta, risalente come minimo a due o tre mesi prima; era di sua madre, che gli augurava il bentornato e gli diceva che in casa c’era tutto quello che gli poteva servire, dal cibo ai medicinali.

Chissà quanti altri simili ne aveva scritti in quei tre anni, sempre nella speranza di non ritrovarli al proprio rientro in Giappone, a testimonianza del fatto che il suo unico figlio si ricordava ancora dove fosse quella casa.

Guardò l’orologio, lì dove era sicuro che ci fosse ancora; era ancora piuttosto presto, e poteva già recarsi dal suo fornitore abituale. D’altronde, meno tempo trascorreva lì dentro meglio si sarebbe sentito.

In verità, era ancora molto contrariato per tutto quello che gli era capitato in quegli ultimi giorni.

Prima l’umiliazione con Kaname, poi la sospensione, e infine la lavata di capo sul suo comportamento.

Ma tutte queste cose non lo toccavano minimamente, almeno per quanto riguardava la filosofia malata di Kuran: aveva fatto una scelta di vita, e l’avrebbe portata avanti a qualsiasi costo.

Anzi, ora più che mai era determinato a seguitare nel sentiero che si era scelto, per dimostrare a quel nobile arrogante che poteva essere alla sua altezza senza bisogno di diventare come lui.

Ma non poteva certo affrontarlo a mani nude; gli serviva un’arma, se non altro per compensare a quei poteri di cui non poteva usufruire per il suo rifiuto a bere il sangue.

Per la prima volta in tanti anni si sentiva inadatto, inferiore. Incontrare un Sangue Puro come Kaname aveva drasticamente ridisegnato la sua percezione del mondo nel quale si muoveva, e contribuito in un certo senso ad accrescere il suo desiderio di essere il quanto più diverso possibile da quei Livello A così arroganti e superficiali.

Preso il treno, arrivò a Shinjuku, dove il suo contatto aveva il proprio rifugio-bottega, ma mentre attraversava il parco lungo una strada deserta e poco illuminata, di colpo, sentì un odore molto strano.

Era odore di sangue, senza dubbio, ma particolare; era stranamente dolce, sicuramente attraente, e a giudicare dalla forza chi lo stava producendo non doveva essere molto lontano.

Lì per lì non ci fece troppo caso, preso com’era dai suoi pensieri, ma dopo neanche un minuto quell’odore, affievolitosi leggermente, venne coperto da un altro, uno molto più minaccioso, che lo fece trasalire, spingendolo a guardarsi attorno preoccupato.

«Livello E!» esclamo.

D’improvviso, un urlo di ragazza, accompagnato da una disperata richiesta di aiuto, squarciò il silenzio tutto intorno, e senza rifletterci ulteriormente il giovane cominciò a correre in quella direzione.

 

I Livello E potevano pure essere delle bestie assetate di sangue, ma era anche vero che non erano stupidi al punto da attaccare una potenziale vittima lì dove potevano essere facilmente scoperti.

Quella situazione, poi, era doppiamente insolita; non solo quei Livello E avevano deciso di punto in bianco di attaccare una giovane ragazza delle superiori che rientrava a casa dai corsi serali, ma per farlo si erano addirittura radunati tutti insieme, una cosa che nella loro coscienza bestiale non facevano quasi mai.

Il suo sangue doveva averli fatti letteralmente impazzire, perché oltre ad attaccare lei avevano ucciso e fatto a pezzi chiunque potesse frapporsi fra loro e la loro preda, tra cui un poliziotto di una stazioncina del parco dove la ragazza si era recata per chiedere aiuto.

Ora quella poveretta era lì, da sola, seduta in terra, con la schiena appoggiata alla parete del casotto e una decina di Livello E a circondarla con le bocche schiumanti e gli artigli snudati.

Era davvero molto carina, capelli neri molto lunghi raccolti con un nastro poco sopra le punte e occhi di un blu intensissimo pieni di terrore per quella creature mostruose e sconosciute; annodato attorno ad un ginocchio aveva un fazzoletto leggermente insanguinato. Probabilmente si era ferita camminando, e doveva essere stato quello a far impazzire i Livello E.

Uno di questi, quello che aveva ucciso il poliziotto, era salito sul tetto del casotto, la bocca e le mani ancora insanguinate e gli occhi fuori dalle orbite per l’ansia e l’attesa di riempirsi ancora lo stomaco. Pazzo di fame saltò giù tentando di ghermire la sua preda dall’alto, ma proprio in quel momento Eric giunse sul posto piombando dall’alto e portandogli via la testa con una poderosa artigliata che lo incenerì all’istante.

Come il ragazzo si frappose tra i vampiri e la ragazza, i Livello E arretrarono spaventati, comprendendo immediatamente il potenziale e la pericolosità del nuovo venuto.

«Mi dispiace per voi.» disse rialzandosi dalla posizione inginocchiata «Ma oggi mi avete trovato con le palle girate».

Contro avversari simili non c’era neanche bisogno per Eric di fare ricorso al suo potere, ma come detto da lui stesso quella sera aveva tanta di quella rabbia in corpo che sentiva il bisogno di sfogarsi.

La ragazza, sempre più attonita, lo vide dapprima scomparire per un istante, e subito dopo tutti quegli strani essere vaporizzarsi davanti ai suoi occhi, lasciando dietro di sé solo i vestiti.

Passata la minaccia, Eric volse lo sguardo verso di lei, la quale dal canto suo non parve per niente intimorita da quel ragazzo dagli occhi così tristi e profondi, così cupo ma dall’aria apparentemente tanto nobile e gentile.

Eric le si avvicinò, porgendole la mano.

«È tutto apposto? Ti hanno morsa?».

Poi, però, accadde qualcosa.

Quando il fetore emesso dai livello E si dissolse, quell’odore che Eric dapprima aveva avvertito solo di sfuggita gli arrivò invece dritto al cervello come una freccia, provocandogli una sete come non ricordava di aver mai provato in vita sua.

Era un aroma così dolce, così irresistibile. Nessun vampiro avrebbe potuto restargli indifferente.

Esistevano diverse gradazioni di purezza e dolcezza con cui i vampiri classificavano il sangue umano; più il sangue era dolce e puro, più potere e appagamento si ricavava dal berlo, e un sangue dolce come quello di quella ragazza non era facile da trovare.

Il giovane Flyer sentì di stare perdendo il controllo; anche i suoi occhi si stavano tingendo di rosso.

«Ti senti bene?» domandò la ragazza vedendolo girarsi nascondendo il volto dietro ad una mano

«Non ti avvicinare.» mormorò lui trattenendosi a fatica.

Doveva andarsene subito, o rischiava di fare qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi. Come fece per scappare, però, la ragazza lo fermò.

«Aspetta!» ed esitò un momento, poi fece un inchino «Grazie di avermi aiutata. Io mi chiamo Izumi. Izumi Asakura.»

«Io… sono Eric.» rispose lui «Eric Flyer.» e detto questo spiccò un salto altissimo scomparendo nella notte.

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti.^_^

Non vi aspettavate un aggiornamento così rapido,eh?

Beh, siamo in estate dopotutto, e visto che non posso andare in vacanza cerco comunque di valorizzare il mio tempo libero (anche perché da settembre e fino a natale ne avrò ben poco, temo).

Allora, che ve ne pare fin qui?

Eric ha ricevuto una bella lezione, ma state certi che la cosa non finisce qui. Tra lui e Kaname non è affatto finita, anzi.

Per il prossimo capitolo datemi qualche giorno. Questo lo avevo già tutto in testa, il prossimo invece (un po’ di anime scolastico, per chi piace) sarà un po’ più complesso, ma spero di farcela per la settimana.

Ho detto tutto.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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