III
Un
urlo disumano squarciò la foresta, venendo udito fin quasi nel villaggio, una
specie di grido infernale che si sarebbe detto provenire dallo stesso
oltretomba.
Eric, ancora all’inseguimento, lo sentì, e
senza neanche perdere tempo a domandarsi quale ne fosse la causa corse in
quella direzione.
Quando però arrivò in una piccola radura
circondata dagli alberi, l’unica cosa che trovò furono i vestiti insanguinati e
strappati del dottore; il suo corpo, infatti, era già sparito. Accanto ai
vestiti c’era un giovane, bellissimo, capelli castani un po’ lunghi e occhi
rosso scuro.
Vedendolo, Eric si immobilizzò; già solo il
portamento bastava a indovinarne lo status, e quello sguardo ne era la prova
inconfutabile. Solo un nobile poteva avere occhi così.
Una cosa era certa: non aveva assolutamente
nulla di amichevole, nonostante quell’espressione distesa e lo sguardo gentile.
«Chi sei?» domandò il ragazzo.
Quello alzò gli occhi; erano glaciali nel loro
distaccamento dal mondo.
Poi, come se nulla fosse, girò i tacchi e fece
per andarsene.
Era una più che palese dimostrazione di poco
rispetto nei suoi confronti, e di tutta risposta Eric lanciò un paletto contro
un tronco lì accanto, mancando volutamente il nuovo venuto, che quindi si fermò
nuovamente.
«È cortesia rispondere ad una domanda».
Il vampiro dagli occhi di ghiaccio a quel
punto, finalmente, si risolse ad obbedire.
«Kuran. Kaname Kuran».
Eric sbiancò nel sentire quel nome.
Del resto, tutti conoscevano Kaname Kuran, il patriarca e, per
quanto si sapeva, ultimo superstite della famiglia Kuran.
La sua abilità era quasi leggendaria tra gli altri vampiri, e tutti gli
portavano rispetto.
Da quando il suo casato era stato distrutto
non si era più saputo nulla di lui, e adesso improvvisamente ricompariva in
quell’angolo d’Europa fuori dal mondo e dimenticato da Dio.
Ma che cosa ci faceva uno come lui in un posto
simile?
«Perché hai ucciso Pavlov?».
Di nuovo, Kaname non
rispose, una condotta che faceva salire il sangue alla testa al giovane Flyer
più di qualsiasi altra cosa; non c’era niente che odiasse più dei modi di fare
dell’aristocrazia, con quel loro atteggiamento superficiale e superbo, e quel
loro guardare tutti, compresi i propri parigrado, dall’alto in basso con
incredibile sufficienza.
«Quale rimpianto.» disse improvvisamente Kuran
«Cosa!?»
«Un fratello di sangue, un vampiro, che
rinnega la sua stessa natura».
Eric tentennò, visibilmente colpito.
«Pur essendo una creatura della notte,
disprezzi e combatti ciò che il destino ti ha donato, rifiutandolo al punto da
rinunciare a nutrirti.»
«Questo non è un dono.» replicò Eric alzando i
machete, mentre il fuoco si accendeva nei suoi occhi «È una maledizione!»
«Perché odi così tanto i vampiri? Non
comprenderai mai le potenzialità e la vastità dei tuoi poteri, fino a che non
imparerai ad accettarti.»
«Io sto bene così.»
«Ne sei sicuro? Credi davvero di poter
affrontare un tuo parigrado come me, pur rinunciando a possibilità che egli
invece non ha alcuna paura di sfruttare, anche se significa liberare la sua
vera natura?»
«Mettimi alla prova!».
Senza rifletterci oltre, e ignorando il fatto
stesso di non essere esattamente al top delle sue energie, tra il combattimento
appena sostenuto e l’emorragia alla mano che non smetteva di sanguinare, il
ragazzo partì alla carica come un toro infuriato.
Kuran non si
mosse, seguitando a mantenere quel sangue freddo e quell’aria distaccata che
tanto irritavano il suo avversario, e quando Eric calò su di lui si limitò a
schivare tutti i fendenti e gli affondi con sconcertante noncuranza, quasi per
gioco per come gli veniva facile.
Dal canto suo Eric era troppo stanco e
arrabbiato per impostare un’azione realmente pericolosa, e maneggiava i suoi
machete come un autentico principiante.
Kaname continuò
a schivare i fendenti per qualche minuto, poi arrivò un doppio colpo
orizzontale da destra a sinistra che teoricamente poteva colpirlo; per nulla
intimorito, Kuran prima si spostò indietro, poi
incredibilmente protese il palmo in quella direzione, mettendolo proprio sulla
traiettoria del colpo.
Le armi cozzarono violentemente contro la
pelle candida del vampiro come su di una parete d’acciaio, e quasi subito,
sotto gli occhi sgomenti e terrorizzati di Eric, andarono entrambe in frantumi;
quelle armi così potenti, che aveva ottenuto il giorno del suo ingresso nell’associazione,
erano ora ridotte a schegge frantumate, che come pioggia caddero sul terreno
tutto attorno, lasciando il giovane Flyer con nulla altro tra le mani che le
due impugnature.
«Non... non è possibile…».
Per la forza del contraccolpo il ragazzo
rovinò a terra, ritrovandosi come non avrebbe mai voluto in tutto il suo
orgoglio; in ginocchio.
Non riusciva a crederci; mai prima d’ora aveva
subito un’umiliazione simile, e peggio di tutto l’aveva subita da un Livello A,
i vampiri che più odiava tra tutti quanti.
Proprio in quel momento sopraggiunse Kaien, appesantito dal fardello di Nagisa;
l’aveva trovata nel mezzo della foresta già svenuta, una cosa piuttosto seria
oltretutto, ed era stato costretto a caricarsela in spalla.
«Kuran!» urlò
vedendo Kaname sovrastare Eric.
Non che fosse preoccupato o in pensiero per la
sorte del giovane Flyer, visto e considerato che se Kaname
avesse voluto ucciderlo non lo avrebbe certo trovato lì, ma sapeva quanto il
divario tra i due fosse abissale, e voleva fermarli prima che qualcuno si
facesse male.
Kaname allora si
girò verso di lui.
«Direttore. Hanno assegnato a Lei questa
missione?»
«Che ci fai tu qui? Erano anni che non ti si
vedeva.»
«Avevo una faccenda da sbrigare».
Poi Kuran guardò
Eric, ancora inginocchiato a terra con l’espressione fuori dal mondo e gli
occhi piantati su quanto restava delle sue armi.
«Confido che tu ora abbia capito. È questo
quello che succede quando si soffocano i propri istinti. Non puoi cambiare il
fatto dell’essere un vampiro, e prima accetterai la tua natura prima ne potrai
sfruttare i benefici».
Detto questo, Kaname
si girò e fece per andarsene; le sue parole, però, avevano acceso nuovamente la
rabbia e l’orgoglio di Eric, che digrignando i denti si rimise in piedi dopo
aver stretto con forza le impugnatura dei suoi machete fino a sbriciolarle.
«Questo non succederà! Non osare mettermi sul
tuo stesso piano, sudicio schifoso vampiro! Ho giurato a me stesso che non
avrei mai più bevuto sangue, né ingoiato le vostre maledette compresse! Non me
ne frega niente della tua filosofia malata! Se è vero che devo bere sangue per
liberare tutti i miei poteri, allora ne faccio volentieri a meno!
Ma questo non toglie il fatto che la prossima
volta che c’incontreremo, io ti ucciderò!».
Kaname si fermò
e volse leggermente il capo, fissando enigmatico Eric, che serrò i denti e lo
guardò con occhi ancor più carichi di sfida.
«Staremo a vedere. Sono curioso di scoprire
fin dove può arrivare questa tua filosofia. Dimostrami che hai ragione, e fammi
vedere se la tua parte umana è davvero così forte.
Ma la prossima volta, sappi che neppure io mi
tratterrò.
Ti saluto».
A quel punto Kuran
scomparve mutandosi in nebbia, lasciando i due cacciatori da soli.
Per interminabili secondi dominò un silenzio
spaventoso, rotto solo dal soffiare del vento attraverso i rami degli alberi.
«La missione è conclusa.» disse infine Kaien con un filo di voce «Sarà meglio fare ritorno a San
Pietroburgo».
Eric stette qualche altro istante ad osservare
il punto dove Kaname era sparito, poi, con gli occhi
inondati di lacrime, si buttò nuovamente in ginocchio sventrando il terreno con
i pugni, diffondendo un urlo agghiacciante in tutta la valle.
Nella
parte meridionale della Croazia, al confine con la Bosnia, c’era un vecchio
maniero di epoca medievale, perso tra le montagne e le foreste che
caratterizzavano quello sperduto angolo d’Europa.
Un luogo sconosciuto a chiunque non sapesse
dove cercarlo; secondo la leggenda era stato costruito dagli ungheresi per
difendersi dalle invasioni mongole, ma a giudicare dal disegno e dalla
raffinatezza tutta particolare dei bastioni e degli edifici era più probabile
che risalisse al periodo della dominazione veneziana di quelle terre.
Per secoli era rimasto deserto, nascosto dalla
foresta agli occhi di chi abitava o transitava nei suoi pressi, ma di recente
era diventata la dimora di messer Milos Manovic, un ricco magnante croato
che come tanti aveva fatto i soldi con la fine del comunismo e la disgregazione
dell’ex Yugoslavia.
Strano uomo questo messer Manovic.
Nessuno conosceva il suo volto, poiché quasi
nessuno aveva, nemmeno i suoi soci e i membri del consiglio d’amministrazione
del suo sterminato impero, aveva mai avuto il privilegio di incontrarlo, mentre
i pochi che invece avevano avuto questo onore non erano mai stati messi al
corrente dell’identità di chi avevano di fronte.
Conduceva una vita isolata, quasi eremitica,
in quel remoto castello che aveva comprato e rimesso a nuovo in meno di due
anni. A nessuno era permesso di accedervi; chi voleva mettersi in contatto con
lui poteva farlo solo attraverso la rete, e in ogni caso a rispondere era
sempre la sua fedele segretaria, una giovane molto bella dai corti capelli nero
vermiglio e dallo sguardo di ghiaccio di nome Shezka,
che il più delle volte parlava e deliberava in sua vece.
Altra cosa insolita, era reperibile unicamente
la notte; dopo il tramontare del sole, con un po’ di fortuna, era possibile
parlare direttamente con lui, per quanto se ne potesse sentire solo la voce, ma
per il tutto il resto del giorno ad essere disponibile era solo la signorina Shezka.
Certo, tutti conoscevano e dibattevano circa
l’eccentricità di messer Manovic, ma nessuno sarebbe
mai arrivato ad immaginare quale fosse il reale segreto all’origine del suo
comportamento, gelosamente custodito sia da lui che dai pochi fedelissimi ai
quali era concesso di transitare per quelle mura.
Durante la notte, il cavaliere, altro titolo
onorifico con il quale era internazionalmente conosciuto, trascorreva gran
parte del suo tempo nella ricchissima biblioteca del castello, leggendo un
libro dietro l’altro; la sua materia preferita era la magia, e sull’argomento
poteva vantare la più ricca collezione al mondo.
Anche quella notte era intento a leggere,
seduto comodamente ad una elegante poltrona affacciata al grande finestrone
della stanza, immerso in una oscurità quasi totale, e con accanto un tavolino
su cui era appoggiato un bicchiere di quello che solo a prima vista poteva
sembrare vino rosso.
D’un tratto nella stanza entrò proprio Shezka; oltre all’aspetto leggermente enigmatico, l’abito
attillato color lilla che indossava rendeva la sua bellezza ancor più sinistra.
«Mi scusi, padrone. Il signor Kuran è ritornato. La attende nella sala della pietra.»
«Grazie di avermi avvisato».
Qualche minuto dopo il cavaliere, seguito
sempre dalla sua fedele attendente, uscì dalla stanza, quindi, una volta
nell’androne principale, tramite una stretta scalinata a chiocciola scese nei
sotterranei, fino a raggiungere un’immensa sala a volta al centro della quale
si trovava il gigantesco diamante grezzo che la sua spedizione aveva ritrovato
in Groenlandia anni prima, e che lui aveva fatto portare fin laggiù in tutta
fretta.
Tutto attorno vi erano macchinari ed
apparecchiature di vario genere, destinati sicuramente a compiere studi sulla
pietra, posta su di una specie di pedana circondata da cavi e tubature.
Kaname Kuran era in piedi di fronte al cristallo, quasi a cercare
di scorgerne meglio le strane sfumature che si intravedevano al suo interno, e
che rassomigliavano vagamente ad un corpo umano.
«È tutto sistemato?» domandò avvicinandosi al
ragazzo e volgendo a sua volta lo sguardo alla pietra
«Assolutamente. Il vampiro mutante è stato
abbattuto.»
«Questo incidente ci ha prodotto una bella
seccatura. D’altra parte però, ci ha anche permesso di approfondire le nostre
conoscenze, e mettere alla prova il risultato delle nostre ricerche iniziali.»
«Purtroppo, il dottor Pavlov
non è stato l’unico. Altri sono fuggiti dal centro di ricerca.»
«Non c’è problema. Se ne sta occupando Hanabusa. Per quelli che rimangono, è solo una questione di
tempo. Le nostre squadre di ricerca sono già al lavoro».
Entrambi poi stettero per un po’ in silenzio
ad osservare il diamante; anche Shezka, sempre un
passo indietro rispetto al suo padrone, fece altrettanto.
«Certo, speravo che dopo tutti questi anni di
lavoro i risultati fossero un po’ più incoraggianti.»
«Forse questa non è la soluzione, dopotutto.»
ipotizzò Kaname
«Ti sbagli, ragazzo. Questa è davvero l’ultima
speranza che ci rimane».
Poi, Manovic sospirò
un momento come pensieroso, quindi tornò a fissare il cristallo.
«Dobbiamo accettare la verità. La nostra
specie sta morendo. Negli ultimi diecimila anni il nostro numero non ha fatto
che diminuire, mentre al contrario gli umani sono diventati sempre più
numerosi. Ad oggi, il rapporto tra noi e loro è di uno a mille. Se andiamo
avanti di questo passo, nel giro di poche migliaia di anni saremo completamente
estinti.
Questa ricerca è l’unica cosa che può dare un
futuro all’intera stirpe della notte».
Il cavaliere fece una nuova pausa, e di nuovo
sospirò.
«Ma ora dimmi, che ti è parso di mio nipote?»
«Ha del talento.» rispose Kaname
dopo un momento di esitazione «Del resto, è pur sempre l’erede dei Lorenzi.»
«Già.» replicò Manovic
con espressione contrariata «Nonostante il sangue bastardo che ha nelle vene,
dispone di un potere inimmaginabile. Ed è questo che mi fa maggiormente
arrabbiare. Chissà cosa sarebbe stato, se avesse avuto un vampiro anche come
padre.»
«Ma quel potere lui lo reprime. Così come
reprime la sua sete di sangue, e la sua stessa natura.»
«Non fa alcuna differenza. Può lottare quanto
gli pare, ma prima o poi si dovrà arrendere all’evidenza. Non potrà combattere
per sempre la sua vera natura.»
«Se volete sapere come la penso» disse con
voce gioviale ma saccente il giovane biondo che aveva ritrovato la pietra in
Groenlandia comparendo dalla porta d’ingresso della sala «State tutti
decisamente sopravvalutando quell’incompetente.»
«Kilyan.» intervenne
Shezka «Non dimenticare che stai parlando di un tuo
superiore.»
«Un vampiro che non beve sangue e non và a
caccia, ma ci pensate? Se la maggior parte dei nobili sono così, non c’è da
meravigliarsi se i vampiri stanno morendo.»
«Hanabusa, non avevi
un incarico da svolgere?» domandò invece Kaname col
suo solito tono pacato ma fermo
«Già tutto risolto. Ogni singola cavia da
laboratorio fuggita dal centro e rifugiatasi in America è stata eliminata.
Dovevate vedere le facce di quelli
dell’associazione! Quando arrivavano loro, io avevo già finito da un pezzo».
Il cavaliere sorrise di approvazione.
«Ben fatto. A questo punto, mancano solo
quelli fuggiti in estremo oriente. Ma li abbiamo già rintracciati quasi tutti,
e comunque non dovrebbero essere molti. Possiamo tranquillamente lasciare che
se ne occupi l’associazione.
Vista la situazione, non è il caso di esporsi
ulteriormente.» poi il cavaliere si volse verso Shezka
«Comunque, per sicurezza, vorrei che tu andassi laggiù. Non serve che tu
agisca. Limitati ad osservare.»
«Come desiderate».
Manovic a quel
punto tornò a guardare la pietra.
«Questa ricerca è la nostra salvezza. Non
permetterò che venga vanificata».
«Come
sarebbe a dire non fare niente?» sbraitò Eric battendo i pugni sulla scrivania
del direttore Ivanov, capo della sede di San
Pietroburgo
«Gli ordini sono chiari.» rispose schietto
l’austero superiore
«Ma avete capito o no quanto la situazione sia
seria? Questi vampiri sono diversi da quelli che conosciamo. Si muovono senza
problemi alla luce del sole, e possono vampirizzare chiunque nonostante il loro
basso livello. Ma peggio di tutto, chiunque mordono diventa istantaneamente un
livello E.
Uno solo di questi vampiri potrebbe crearsi un
intero esercito in poche ore. Se ci è riuscito Pavlov
in uno sperduto eremo dei Carpazi, cosa potrebbe fare uno come lui in una città
come questa!?»
«Siamo già a conoscenza dell’esistenza di
questi vampiri mutanti.»
«Che cosa!?» esclamò il ragazzo
«E non solo noi. Anche il senato e l’alta aristocrazia
dei vampiri sanno di questo problema. Attualmente ci troviamo nel bel mezzo
dell’indagine, e stiamo cercando di capire chi o che cosa sia all’origine della
loro comparsa.
In ogni caso, questo è un problema che non la
riguarda più.»
«Che intende dire?».
Il direttore prese allora un foglio da un
cassetto e lo porse ad Eric, che come lo lesse divenne rosso di rabbia.
«Sospensione dal servizio!?»
«Cos’altro si aspettava dopo quello che è
successo? Non solo hai mancato di rispetto ad un vampiro d’alto rango come Kaname Kuran, ma hai persino
combattuto con lui. Onestamente non so come tu faccia ad essere ancora vivo.»
«Quel bastardo ha ucciso Pavlov!
Potevamo ottenere informazioni importanti da lui, e invece…»
«Ciò non toglie che il nobile Kuran si trovasse laggiù su mandato e ordine del senato dei
vampiri. Attaccandolo, è un po’ come se tu avessi ostacolato la sua missione.
E dando un’occhiata alla tua scheda, questa
non è la prima volta che la tua mancanza di autocontrollo causa dei problemi.
Di solito più richiami portano all’espulsione
immediata, ma tenendo conto dei tuoi risultati si è deciso, almeno per questa
volta, di passare sopra i tuoi metodi altamente discutibili, in cambio di una
piccola ammenda».
Senza rendersene conto Eric fece scomparire il
foglio per la rabbia e serrò i denti.
«Mi mettete in castigo?»
«Consideralo un periodo di riposo. E anche un’occasione
per riflettere sulla tua condotta. Sei sospeso per tre mesi. Rientra in
Giappone, e resta in attesa di nuova comunicazione».
Eric ringhiò come un drago infuriato, ma poi
dovette ingoiare il boccone amaro e se ne andò.
«Al diavolo!» sbraitò mentre usciva sbattendo
la porta.
Fuori dalla stanza trovò ad attenderlo Kaien, appoggiato al muro braccia conserte ed occhi chiusi;
sembrava stranamente felice, o quantomeno ironico.
«Che dicevi a proposito dei doveri dell’associazione?»
disse Eric facendogli il verso
«Farti rompere le ossa da Kuran
non rientrava nelle direttive di missione, o sbaglio?
Comunque, puoi ritenerti parecchio fortunato. Ho
visto molti vampiri più forti di te finire inceneriti per molto meno da quel
ragazzo».
A quel punto Kaien
alzò gli occhi, fattisi terribilmente severi e preoccupati.
«Kaname Kuran ha rinunciato alla sua anima molto tempo fa. Se
ritiene di stare facendo la cosa giusta, non esita a passare sopra tutto e tutti
pur di arrivare al suo scopo».
Il solo pensare a Kuran
fece inalberare ulteriormente Eric, che si sfogò sventrando la parete lì
accanto con un pugno. In particolare, non riusciva a togliersi dalla testa le
sue parole.
«Se essere un vero vampiro significa essere
come lui.» disse ripensando al suo sguardo senza emozioni «Allora sono felice
di non esserlo».
Poi, una volta calmatosi, pensò alla sua
partner; Nagisa non si era più ripresa dopo quanto
successo in quel bosco, e una volta tornata a San Pietroburgo era stato
necessario sottoporla a cure mediche appropriate. Lo choc derivato dalla
liberazione senza freni dei suoi poteri di vampiro in modo così improvviso
aveva indebolito il suo fisico, già gravemente provato da tutte le prove che
quella ragazza aveva dovuto sopportate nel suo recente passato; la
somministrazione di sangue fresco, che anche lei come il suo padrone si
rifiutava di consumare, le aveva evitato conseguenze più gravi, ma perché potesse
riprendersi del tutto sarebbe servito ancora del tempo.
«Come sta Nagisa?»
«Abbastanza bene.» rispose Kaien,
che era appena andato a trovarla «Le ci vorrà un po’ per smaltire quell’esperienza,
ma in un paio di settimane sarà di nuovo in piedi».
Eric, però, non poteva aspettare due
settimane.
L’ordine era di fare immediatamente rientro a
Tokyo, e disobbedire poteva voler dire la radiazione.
«Tu cosa farai?» chiese allora al direttore
«Credo che me ne ritornerò alla mia accademia.
Questa breve parentesi è stata anche troppo per i miei gusti. Ormai non ho più
l’età per cose simili.
E tu invece? Ti concederai un po’ di riposo?».
Eric guardò i foderi alla sua cintura, ormai
privati del loro contenuto.
«Una cosa è certa, mi serve una nuova arma. Per
prima cosa credo che contatterò un mio vecchio amico. Poi, si vedrà. Di certo
non intendo starmene con le mani in mano.»
«Sta attento, ragazzo.» disse Kaien mentre Eric si allontanava «Mi dispiacerebbe se un
domani mi fosse dato l’ordine di usare le maniere forti per rimediare alle tue
intemperanze.
Se posso darti un consiglio, approfitta di
questo tempo per riflettere su quanto accaduto».
Il ragazzo non rispose, ma non visto digrignò
i denti per la rabbia ed il senso di impotenza; a volte quel lavoro faceva
proprio schifo.
Erano
almeno due anni che Eric non metteva piede a Tokyo.
La città era sempre la stessa; caotica e
frenetica. Una combinazione che non gli era mai piaciuta.
E sì che ci aveva vissuto nei suoi primi anni
di vita.
Aveva visto quella città risorgere dalle
macerie alla fine della guerra, espandendosi sempre di più, fino a diventare la
megalopoli che era ora; persino la casa dove era vissuto, alla nascita persa
nella semi-periferia, ora si trovava quasi in centro, al limitare del quartiere
di Ikebukuro, stretta tra i palazzi che negli anni le
erano cresciuti intorno distruggendone il panorama.
Eric giunse in vista di casa sua a sera
inoltrata, quando ormai la capitale del Giappone era illuminata solo dalle sue
miliardi di luci, trovandola, come si aspettava, deserta.
Negli ultimi tempi sua madre e il suo patrigno
facevano continuamente avanti e indietro tra l’Italia e il Giappone, per
cercare di rimettere insieme i cocci dell’impero dei Lorenzi che sua madre
aveva deciso, nonostante tutto, di fare rinascere.
Mise una mano in tasca, prendendone fuori le
chiavi; nonostante tutto non se ne era mai separato, e fu quasi sorpreso nel
vedere che fossero ancora buone.
Non che tornare lì gli facesse piacere; al
contrario, la cosa non lo entusiasmava minimamente. Ma gli ordini erano chiari;
per i successivi tre mesi avrebbe alloggiato in quella casa e frequentato un
qualsivoglia liceo come un normale studente.
Forse i capi speravano che in questo modo i
suoi bollenti spiriti si sarebbero raffreddati, invece questo comportamento
riusciva solo a farlo inalberare ulteriormente.
Entrò.
Non era cambiato niente, dopo tre anni. Gli stessi
mobili, lo stesso arredamento; la stessa atmosfera. Eric era sicuro che persino
la sua camera fosse rimasta uguale, ma non aveva certo voglia di scoprirlo.
Non c’erano molte luci, ma non che la cosa
dovesse sorprendere; in fin dei conti, era pur sempre la casa di una coppia di
vampiri.
Entrato in cucina, trovò un biglietto affisso
allo stipite della porta, risalente come minimo a due o tre mesi prima; era di
sua madre, che gli augurava il bentornato e gli diceva che in casa c’era tutto
quello che gli poteva servire, dal cibo ai medicinali.
Chissà quanti altri simili ne aveva scritti in
quei tre anni, sempre nella speranza di non ritrovarli al proprio rientro in
Giappone, a testimonianza del fatto che il suo unico figlio si ricordava ancora
dove fosse quella casa.
Guardò l’orologio, lì dove era sicuro che ci
fosse ancora; era ancora piuttosto presto, e poteva già recarsi dal suo
fornitore abituale. D’altronde, meno tempo trascorreva lì dentro meglio si
sarebbe sentito.
In verità, era ancora molto contrariato per
tutto quello che gli era capitato in quegli ultimi giorni.
Prima l’umiliazione con Kaname,
poi la sospensione, e infine la lavata di capo sul suo comportamento.
Ma tutte queste cose non lo toccavano
minimamente, almeno per quanto riguardava la filosofia malata di Kuran: aveva fatto una scelta di vita, e l’avrebbe portata
avanti a qualsiasi costo.
Anzi, ora più che mai era determinato a
seguitare nel sentiero che si era scelto, per dimostrare a quel nobile
arrogante che poteva essere alla sua altezza senza bisogno di diventare come
lui.
Ma non poteva certo affrontarlo a mani nude;
gli serviva un’arma, se non altro per compensare a quei poteri di cui non
poteva usufruire per il suo rifiuto a bere il sangue.
Per la prima volta in tanti anni si sentiva
inadatto, inferiore. Incontrare un Sangue Puro come Kaname
aveva drasticamente ridisegnato la sua percezione del mondo nel quale si
muoveva, e contribuito in un certo senso ad accrescere il suo desiderio di essere
il quanto più diverso possibile da quei Livello A così arroganti e
superficiali.
Preso il treno, arrivò a Shinjuku, dove il suo
contatto aveva il proprio rifugio-bottega, ma mentre attraversava il parco
lungo una strada deserta e poco illuminata, di colpo, sentì un odore molto
strano.
Era odore di sangue, senza dubbio, ma
particolare; era stranamente dolce, sicuramente attraente, e a giudicare dalla
forza chi lo stava producendo non doveva essere molto lontano.
Lì per lì non ci fece troppo caso, preso com’era
dai suoi pensieri, ma dopo neanche un minuto quell’odore, affievolitosi
leggermente, venne coperto da un altro, uno molto più minaccioso, che lo fece
trasalire, spingendolo a guardarsi attorno preoccupato.
«Livello E!» esclamo.
D’improvviso, un urlo di ragazza, accompagnato
da una disperata richiesta di aiuto, squarciò il silenzio tutto intorno, e
senza rifletterci ulteriormente il giovane cominciò a correre in quella
direzione.
I
Livello E potevano pure essere delle bestie assetate di sangue, ma era anche
vero che non erano stupidi al punto da attaccare una potenziale vittima lì dove
potevano essere facilmente scoperti.
Quella situazione, poi, era doppiamente
insolita; non solo quei Livello E avevano deciso di punto in bianco di attaccare
una giovane ragazza delle superiori che rientrava a casa dai corsi serali, ma
per farlo si erano addirittura radunati tutti insieme, una cosa che nella loro
coscienza bestiale non facevano quasi mai.
Il suo sangue doveva averli fatti
letteralmente impazzire, perché oltre ad attaccare lei avevano ucciso e fatto a
pezzi chiunque potesse frapporsi fra loro e la loro preda, tra cui un
poliziotto di una stazioncina del parco dove la
ragazza si era recata per chiedere aiuto.
Ora quella poveretta era lì, da sola, seduta
in terra, con la schiena appoggiata alla parete del casotto e una decina di
Livello E a circondarla con le bocche schiumanti e gli artigli snudati.
Era davvero molto carina, capelli neri molto
lunghi raccolti con un nastro poco sopra le punte e occhi di un blu
intensissimo pieni di terrore per quella creature mostruose e sconosciute;
annodato attorno ad un ginocchio aveva un fazzoletto leggermente insanguinato. Probabilmente
si era ferita camminando, e doveva essere stato quello a far impazzire i
Livello E.
Uno di questi, quello che aveva ucciso il
poliziotto, era salito sul tetto del casotto, la bocca e le mani ancora
insanguinate e gli occhi fuori dalle orbite per l’ansia e l’attesa di riempirsi
ancora lo stomaco. Pazzo di fame saltò giù tentando di ghermire la sua preda
dall’alto, ma proprio in quel momento Eric giunse sul posto piombando dall’alto
e portandogli via la testa con una poderosa artigliata che lo incenerì all’istante.
Come il ragazzo si frappose tra i vampiri e la
ragazza, i Livello E arretrarono spaventati, comprendendo immediatamente il
potenziale e la pericolosità del nuovo venuto.
«Mi dispiace per voi.» disse rialzandosi dalla
posizione inginocchiata «Ma oggi mi avete trovato con le palle girate».
Contro avversari simili non c’era neanche
bisogno per Eric di fare ricorso al suo potere, ma come detto da lui stesso
quella sera aveva tanta di quella rabbia in corpo che sentiva il bisogno di
sfogarsi.
La ragazza, sempre più attonita, lo vide
dapprima scomparire per un istante, e subito dopo tutti quegli strani essere
vaporizzarsi davanti ai suoi occhi, lasciando dietro di sé solo i vestiti.
Passata la minaccia, Eric volse lo sguardo
verso di lei, la quale dal canto suo non parve per niente intimorita da quel
ragazzo dagli occhi così tristi e profondi, così cupo ma dall’aria
apparentemente tanto nobile e gentile.
Eric le si avvicinò, porgendole la mano.
«È tutto apposto? Ti hanno morsa?».
Poi, però, accadde qualcosa.
Quando il fetore emesso dai livello E si
dissolse, quell’odore che Eric dapprima aveva avvertito solo di sfuggita gli
arrivò invece dritto al cervello come una freccia, provocandogli una sete come
non ricordava di aver mai provato in vita sua.
Era un aroma così dolce, così irresistibile. Nessun
vampiro avrebbe potuto restargli indifferente.
Esistevano diverse gradazioni di purezza e
dolcezza con cui i vampiri classificavano il sangue umano; più il sangue era
dolce e puro, più potere e appagamento si ricavava dal berlo, e un sangue dolce
come quello di quella ragazza non era facile da trovare.
Il giovane Flyer sentì di stare perdendo il
controllo; anche i suoi occhi si stavano tingendo di rosso.
«Ti senti bene?» domandò la ragazza vedendolo
girarsi nascondendo il volto dietro ad una mano
«Non ti avvicinare.» mormorò lui trattenendosi
a fatica.
Doveva andarsene subito, o rischiava di fare
qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi. Come fece per scappare, però, la ragazza
lo fermò.
«Aspetta!» ed esitò un momento, poi fece un
inchino «Grazie di avermi aiutata. Io mi chiamo Izumi.
Izumi Asakura.»
«Io… sono Eric.»
rispose lui «Eric Flyer.» e detto questo spiccò un salto altissimo scomparendo
nella notte.
Nota dell’Autore
Salve a tutti.^_^
Non vi aspettavate un
aggiornamento così rapido,eh?
Beh, siamo in estate
dopotutto, e visto che non posso andare in vacanza cerco comunque di
valorizzare il mio tempo libero (anche perché da settembre e fino a natale ne
avrò ben poco, temo).
Allora, che ve ne pare
fin qui?
Eric ha ricevuto una
bella lezione, ma state certi che la cosa non finisce qui. Tra lui e Kaname non è affatto finita, anzi.
Per il prossimo
capitolo datemi qualche giorno. Questo lo avevo già tutto in testa, il prossimo
invece (un po’ di anime scolastico, per chi piace) sarà un po’ più complesso,
ma spero di farcela per la settimana.
Ho detto tutto.
A presto!^_^
Carlos Olivera