Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Lily White Matricide    01/08/2012    8 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

37.
All I Need

There it is before you - smiling, frowning, inviting, grand, mean, insipid, or savage, and always mute with an air of whispering. Come and find out”. 

Joseph Conrad

 

Faceva freddo.

C’era acqua che colava dappertutto; e tanta umidità al punto tale che sembrava superare i mantelli neri, le spesse vesti scure, andava oltre lo strato sottile della pelle, per arrivare fino alle ossa.

Bellatrix detestava quell’umidità - preferendo il freddo secco come uno schiaffo o lo schioccare della sua bacchetta quando attaccava gli avversari - e il rumore delle gocce, che prima attraversavano le mura di quel sotterraneo, una sorta di prigione improvvisata all’interno di una grossa villa di Dunkeld.

La Mangiamorte non poteva soffrire neppure l’individuo che aveva davanti a sé. Non lo sopportava, perché era sfuggente proprio come quelle gocce che correvano sulla pietra, ora precipitavano verso terra, ora strisciavano lente, infiltrandosi laddove le mura fossero più porose e rovinate. Sparivano alla vista, per continuare la loro corsa indisturbata verso terra e per proseguire il loro lento ticchettio contro il pavimento.

Cercava di dargli un volto, ma esso era nascosto sotto il cappuccio e ne vedeva a malapena il mento, la forma delle labbra sottili, coperti da quello che poteva sembrare una sciarpa scura, come il mantello. Non riusciva ad inquadrare il suono della sua voce, perché era un sussurro rivolto solo a Lord Voldemort. Con gli altri non parlava, e quando qualcuno - tra cui Rodolphus e Lucius - aveva cercato di rivolgergli la parola, quell’individuo si chiudeva in un ermetico silenzio. 

Bellatrix sapeva bene che quello fosse il momento meno adatto per avvicinarsi al Signore Oscuro, che stava guardando gli ostaggi catturati in quell’attacco a sorpresa, rimanendo a debita distanza, giacché non aveva molto da spartire con dei maghi Nati Babbani, figurarsi con dei Babbani, che si guardavano attorno con il terrore negli occhi. Il mago oscuro non li contemplava nemmeno tra gli esseri viventi, figurarsi considerarli umani.

“Mio Signore” mormorò Bellatrix, rigirando la bacchetta tra le dita. Lord Voldemort si voltò verso di lei, assorto nei propri pensieri. Probabilmente, stava studiando la prossima mossa, cosa fare dei prigionieri, dove portarli, se trattenerli in Inghilterra o mandarli in Germania presso la Fortezza Oscura. L’uomo la esortò a parlare, con un breve cenno del capo.

La strega si fece più vicina, scoccando un’occhiata sospettosa al misterioso individuo che percorreva il sotterraneo a passi lunghi e lenti, rigirandosi tra le mani gli estremi di una catenella, che gli servivano per tenere una misteriosa borraccia ferma alla cintola. La Mangiamorte non era sicura che si trattasse proprio di una borraccia, poteva solo indovinarlo - che cosa poteva dire di sapere per certo, d’altronde, di quell’uomo? Ad una delle estremità, c’era un ciondolo di metallo, illuminato dallo sfarfallio tenue delle torce che bruciavano lentamente, con qualche occasionale schiocco e crepitio. 

Sembrava un cerchio e nella parte superiore vi era saldata una mezzaluna rivolta verso l’alto, mentre in quella inferiore una croce greca. Era certa di averlo visto in uno dei libri della Sezione Proibita di Hogwarts qualche anno prima, ma soprattutto nell’immensa biblioteca della famiglia Black, che vantava grandissimi ed oscuri alchimisti nei secoli. Era il simbolo del mercurio.

Esitò per qualche istante, rimanendo perplessa e confusa dalla visione.

“Chi è quel mago?” chiese poi, avvicinando le labbra all’orecchio teso del Signore Oscuro.

“Un misterioso portento della magia oscura” fu la sua replica. Il tono di voce sembrava divertito di fronte a quella situazione assurda. Avevano appena semi-distrutto un villaggio di maghi mescolati a Babbani, avevano catturato dei maghi SangueSporco, sospettati di avere troppi legami con le forze che volevano fermare Lord Voldemort ed i suoi fedeli... E lui sembrava essere divertito da quell’individuo che non aveva nome, non si faceva vedere in faccia, non si sapeva da dove venisse. Un piccolo dettaglio trascurabile, in fondo, per uno che poteva diventare totalmente intrattabile per la superficialità di colui che aveva osato lasciare indietro una minima inezia. 

Tuttavia, Bellatrix aveva il lusso di poter essere schietta e sincera di fronte al suo diretto superiore e Lord Voldemort apprezzava molto quella caratteristica. Non c’erano inutili perifrasi, ipocrisie o facciate di sorta, quando la Mangiamorte voleva esprimere un parere.

“Questo portento - ed ebbe cura di sottolineare quell’epiteto - non mi piace. Non mi fido di lui. E’ sfuggente”.

“Come il mercurio” aggiunse Lord Voldemort, lasciando che le nocche della mano destra toccassero quelle della mano della strega, quella che non reggeva la bacchetta ed era distesa lungo il fianco. La donna arricciò le labbra perplessa, e la sua memoria tornò ad un ricordo sciocco, di quando era ancora una studentessa: Andromeda Black non era molto brava in Pozioni e le si era infranta una boccia di mercurio. Si ricordò delle gocce luccicanti che rotolavano a terra, sfuggendo ai tentativi goffi della sorella minore di raccogliere a mano il metallo liquido, quando sarebbe bastato un semplice Incantesimo Evanescente a risolvere il tutto. Perché sporcarsi le mani quando la magia poteva risolvere tutto più facilmente? Lei allora non aveva capito la strada che la sorella minore avrebbe intrapreso da lì a poco tempo, così come Andromeda non aveva minimamente presagito l’avvenire della sorella maggiore. In quel momento Andromeda, dovunque fosse, magari aveva i suoi pensieri rivolti a Bella e forse sperava che lei potesse ricredersi, potesse pentirsi del fatto di esser diventata una Mangiamorte. A Bellatrix, invece, non importava nulla del destino di un membro della sua famiglia, dato che aveva cessato di essere tale nel momento in cui aveva deciso di andare apertamente contro i ferrei principi della famiglia Black. 

Non aveva tempo per il rimpianto e per di più tale sentimento non era degno di una Black. Dromeda era chiusa ermeticamente in uno scrigno della sua memoria, e sperava che potesse affondare ancora di più nelle profondità dell’immenso mare dell’oblio, fino a dimenticarla del tutto.

“Apprezzo la tua schiettezza, mia cara Bellatrix, ma devi sapere che ho fiducia totale in Igor Karkaroff. E se decide di scegliersi un qualsiasi assistente, può contare sulla mia approvazione”. Karkaroff, come il proprio superiore, cercava l’eccellenza nelle persone che collaboravano con lui. E quell’uomo enigmatico era quanto di meglio avesse trovato. Ne aveva parlato con toni entusiastici al Signore Oscuro, che era desideroso di vederlo all’opera.

Mercurius - le supposizioni di Bellatrix non l’avevano portata così lontano dall’indovinare almeno il nome di quel mago - li ascoltava, pur evitando un qualsiasi contatto con loro. Stava raccogliendo le energie necessarie per interrogare gli ostaggi, ma doveva prima di tutto controllare gli scatti d’ira e d’aggressività che scaturivano dal suo uso smodato ed ossessivo del mercurio in tutte le sue forme nei suoi esperimenti. Era talmente divenuto dipendente da quell’elemento tanto da farsi chiamare come lui, da disegnarne ovunque il simbolo alchemico... Tanto da voler cambiare fattezze con la facilità con cui il mercurio era in grado di evaporare o tornare allo stato liquido. Per lui il cambiare forma era un’esigenza dettata da una cronica e feroce insicurezza che si portava dietro da anni. A nulla erano valsi i tentativi dei genitori e dei suoi professori di fargli superare quell’ostacolo nella maniera più naturale possibile, il misterioso mago aveva trovato conforto in quei vapori altamente tossici che gli causavano veri e propri attacchi di violenza. Ma era proprio in quei momenti instabili che aveva visto quanto lo temessero e quanto i più malvagi fossero disposti ad una corte spietata, pur di averlo tra le loro schiere. Si sentiva forte quando i suoi sensi erano offuscati da quella nube nociva. Sentiva di poter servire sia le forze del bene, che le forze del male, perché non si accontentava di stare da una sola parte. Fintanto che la sua cura gliel’avrebbe permesso, avrebbe continuato ad oscillare da una parte all’altra, mutando sempre forma e fattezze, continuando a comprarsi la fiducia dei suoi superiori, pur tenendo le proprie carte ancora coperte. Doveva illuderli che la sua mano di carte valesse più di tutti, che era in grado di schiacciarli, se solo avessero osato rifiutare i suoi servigi. Mercurius era subdolo e poteva rivelarsi un grandissimo infame, ma era un grandissimo infame dalla meticolosa etica, nel suo lavoro: non si torturavano gratuitamente le proprie vittime, era da preferirsi la sottile pressione psicologica, fino a farle cedere del tutto. E poi, una persona temibile sapeva essere magnanima. Doveva esserlo, di tanto in tanto, perché voleva dimostrare di essere sempre e comunque una spanna al di sopra di coloro che erano cattivi e basta.

Guardò Lord Voldemort, guardò i due Babbani a terra e riguardò il proprio signore e gli si avvicinò con cautela.

“Liberiamo i Babbani”. 

Gli occhi gelidi di del mago lo guardarono stupito. Non lo vedeva negli occhi, ma sapeva che guardavano verso terra, perché temevano lo sguardo del Signore Oscuro.

“Mio Signore, non ci servono dei prigionieri inutili” spiegò con estrema semplicità.

Bellatrix, che era poco distante, trattenne il respiro, inorridita all’idea di perdere due facili vittime da torturare. In fondo, era una specialista della Maledizione Cruciatus ed ogni occasione era propizia per affinare la propria arte. Fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma Mercurius con un gesto le intimò di fare silenzio, di non impicciarsi in quella questione tra lui ed il Signore Oscuro. Lei gli avrebbe puntato volentieri la bacchetta addosso e avrebbe scaricato su di lui tutta la sua ira.

“Non ha senso trattenere dei prigionieri che sono già come dei cadaveri, che non hanno nulla da dirci, né da darci. I maghi SangueSporco sono quelli che ci interessano”.

Lord Voldemort fece qualche passo in avanti, proprio verso i Babbani e si chinò, con il volto in parte coperto dal cappuccio, per esaminarli, con la freddezza con cui uno scienziato osserva le proprie cavie in gabbia.

Poi, con un gesto della mano, fece svanire le catene dei signori Hill. La coppia si guardò stupita e guardò il mago oscuro, che si era già voltato verso Mercurius.

“Sei contento, piccolo prodigio? Ho seguito le tue massime sulla magnanimità con la massima solerzia”. Le sue parole erano sarcastiche, ma era divertito da quel siparietto grottesco, dove lui doveva recitare la parte del condottiero generoso ed esemplare. “Rodolphus, portali via di qui. Lasciali dove ti pare, basta che ci liberiamo di loro. Ne ho abbastanza di questa messinscena. Ed elimina le loro ultime memorie. Puoi farlo”. 

Rodolphus Lestrange andò verso i due ostaggi appena liberati, non degnandosi nemmeno di toccarli, come se fossero un mucchio di stracci.

“Ma Signore, l’Ordine di Merlino sancisce che...” obiettò lui, confuso.

In quel momento Lord Voldemort perse tutta la poca pazienza che aveva.

“Dell’Ordine di Merlino non me ne importa nulla!” tuonò “Quello che dico io vale più di qualsiasi altra stupida ed insulsa legge fatta da maghi mollaccioni! Io sono la vostra legge!”.

Se i Mangiamorte avessero potuto essere inghiottiti da quelle mura, si sarebbero fatti murare vivi volentieri. L’unica che non temeva quelle sfuriate era proprio Bellatrix, che era ben contenta di quel suo modo di affermare di essere l’autorità assoluta. Era per quello che si era unita ai Mangiamorte. Perché lui era tutto il suo mondo. Per lei era il giorno e la notte, il bello ed il cattivo tempo, la calma e la furia, la legge e l’infrazione. Il mondo nelle sue mani sarebbe potuto morire e rinascere più malvagio di prima, se solo avesse pronunciato le fatidiche parole di distruzione.

“E ora, sbrigati, Mercurius, prima che ci pensi io” ordinò Lord Voldemort, guardando con sguardo sinistro i maghi SangueSporco.

 

Lily lanciò il più lontano possibile la sua copia de La Gazzetta del Profeta, non senza averla prima appallottolata con stizza. Dato che era ora di colazione, e la Sala Comune brulicava di giovani sonnolenti - l’unico che sembrava essere sempre scattante appena sveglio era Severus - il volo del quotidiano appallottolato, con conseguente attraversamento del fantasma di un indignato Sir Nicholas de Mimsy-Porpington, suscitò qualche spavento e un paio di rovesciamenti di ciotole piene di latte e cereali. 

Emmeline finì di mangiare il suo toast con burro e marmellata, con la sua consueta calma olimpica e guardò alquanto sorpresa l’amica.

“Beh? Che ti prende?” chiese.

La ragazza stava ingollando il proprio succo d’arancia - quello di zucca le faceva venire la nausea dopo un sorso - e appoggiò il bicchiere, quasi sbattendolo sul tavolo.

“C’è che alla Gazzetta del Profeta sono rincitrulliti tutti” borbottò Lily, afferrando dei biscotti secchi da un cestino appena riempitosi “Hanno scritto un articolo a dir poco delirante su quanto accaduto al paese di Mary”. Si guardò attorno per vedere se l’amica fosse arrivata a fare colazione, ma non la vide al tavolo dei Grifondoro. Quello non era di certo il primo pasto saltato dalla compagna di casa, ma in fondo, dopo quello che le era capitato, era comprensibile che il nutrirsi fosse l’ultimo dei suoi pensieri. Mary MacDonald aveva passato più ore negli uffici del Preside Silente e della Professoressa McGranitt in quei giorni, che in tutta la sua carriera scolastica. Non aveva ancora visto i suoi genitori in quei giorni travagliati, ed era proprio ciò che aveva ripetutamente chiesto di ottenere. Quel suo desiderio non era stato esaudito, anche perché era stato reputato più saggio spostare i suoi genitori in una città grossa, ed in misura precauzionale erano stati  portati a Bristol, da dei cugini della madre, abbastanza lontano da Hogwarts. In più, si prospettava l’idea di far rimanere Mary nel castello scozzese durante le vacanze natalizie, onde evitare che venissero monitorati e tracciati i suoi movimenti da aiutanti di Lord Voldemort - poiché tra i membri dell’Ordine della Fenice vi erano pochi dubbi circa la paternità dell’attacco. Di fronte alla prospettiva di rimanere ad Hogwarts per Natale, l’amica di Lily era scoppiata in un pianto nervoso. Le avevano distrutto casa, non aveva più un posto dove vivere, un paese dove essere accettata come maga Nata Babbana. I ricordi di quella casa erano vivi solo nella sua testa e mai più sarebbero tornati ad essere tangibili, se non in una nuova abitazione. 

“Fammi leggere l’articolo” disse Marlene, incuriosita. Si guardò attorno per recuperare il giornale accartocciato e vide che Sirius Black - quello che doveva essere il suo ragazzo, benché lei non avesse ufficializzato il legame tra le sue amiche - lo teneva in mano.

“Sirius!” esclamò Marlene, arrossendo violentemente “I-Il... Giornale”. I suoi occhi non incontrarono quelli grigi del Grifondoro, ma puntarono dritti verso terra.

Il ragazzo, con uno splendido sorriso da Malandrino, ebbe cura di riaprire il giornale, lisciare le pagine con cura, e lo porse alla ragazza. Ne approfittò e le allungò un bacio sulla guancia e se ne andò, raggiungendo i restanti Malandrini, che erano intenti a fare il consueto baccano poco più avanti.

“Ha imparato ad essere gentile e non a comportarsi con te come un troll in una cristalleria?” commentò ironica Lily, lanciando un’occhiata verso i Malandrini, evitando di essere intercettata da James Potter, che non rinunciava mai a corteggiarla.

“Sirius è un po’ particolare, ma con me è carino” rispose imbarazzata Marlene, tenendo lo sguardo ben fisso sull’articolo.

 

E SE I MAGHI SCOMPARSI DA DUNKELD NON ESISTESSERO?

A cura di Rita Skeeter, inviata speciale a Dunkeld.

 

Se a Dunkeld le macerie sono ancora fumanti e si è alle prese con la conta dei danni - a dire il vero meno ingenti del previsto - qualche dubbio circa la natura di questo singolare attacco comincia a serpeggiare in seno alla comunità magica che costituisce la maggioranza del villaggio. A Dunkeld, come ben i lettori sapranno, da qualche decennio i Babbani sono i benvenuti, e molto spesso, tali Babbani hanno generato figli maghi Nati Babbani, che si sono perfettamente integrati nella comunità magica, preferendola a quella Babbana d’origine. 

Ora, sembra proprio che proprio i maghi Nati Babbani siano l’obiettivo di questi attacchi compiuti da ignoti. Le vittime di questo pacifico villaggio scozzese si dice che siano membri della famiglia Hill, formata da due genitori Babbani e da tre presunti figli maghi, spariti nel nulla la notte dell’attacco.

 

L’abilità di un giornalista sta nel cercare la verità ad ogni costo, rovistando a volte nel marcio e nel putrido e spesso, di fronte a tale scomoda verità si cerca piuttosto di insabbiarla. Ma io, Rita Skeeter, non ho paura di scuotere gli animi dei lettori, ed è con grande piacere che vi sottopongo un’intervista esclusiva a Jane e Richard Hill, fatta pochi giorni dopo l’attacco che dicono di aver subito. Ovviamente, godevano di ottima salute e hanno mostrato una certa perplessità di fronte alle mie domande circa i loro figli, come se non esistessero.

 

Da quello che si può notare, prima di tutto, è che in casa loro non c’è affatto traccia di altri abitanti. Quello che hanno saputo dire al riguardo, imbarazzati è stato solo “Noi siamo due vecchi pensionati soli... Ci dovete aver confuso con un’altra famiglia”.

 

E quel che è peggio, incalzati dalle mie puntuali e precise domande circa la magia, il loro rapporto con il mondo magico, sono state le loro risposte: “Non sappiamo di cosa stia parlando... Che cos’è la magia, ci scusi?”. Sapete bene che io sono una professionista che non scrive nulla se non è sostenuto da prove concrete, ma queste mi sono sembrate schiaccianti: questi arzilli signori si sono inventati tutto, devastando un’altra abitazione della famiglia MacDonald, con Babbani e una figlia maga Nata Babbana - sapete, le liti tra vicini sono molto comuni tra Babbani, mi sono informata, usando come scusa una misteriosa aggressione - e hanno utilizzato la scusa di un attacco magico per nascondere la loro aggressione.

 

Il Ministero della Magia avrà molto da riflettere ed indagare circa quest’evento misterioso e il comportamento bizzarro di questi Babbani che abitano nelle comunità magiche da qualche anno. La famiglia Hill, comunque, è stata trasferita ad Edimburgo, presso un ospedale Babbano per ulteriori accertamenti circa il loro stato di salute, dato che è ovvio ed evidente che non siano pienamente in possesso delle loro facoltà mentali. E intanto, si cerca di capire se questi Malcom, Lucretia e Neil, i supposti figli dei signori Hill, esistano per davvero. Il mistero continua.

 

Rita Skeeter

 

“Ma...” osservò perplessa Marlene, guardando Emmeline, altrettanto confusa “Dov’è l’intervista? Riporta giusto due frasi dei signori Hill!”.

Lily sbuffò e scosse la testa, senza aggiungere altro. 

“E’ una ciarlatana, questa Rita Skeeter, ma possibile che abbiano permesso di farle pubblicare una simile sciocchezza? E’ piena di bugie! Ma cos’ha bevuto mentre lo scriveva?” disse angosciata Emmeline “Non oso immaginare come possa reagire Mary di fronte a queste sciocchezze!”.

“Sarà bene che Mary che non legga niente di tutto questo” stabilì Lily, alzandosi e prendendo la copia del quotidiano spiegazzata “Sono giorni delicati ed è di pessimo umore. Non vorrei peggiorarglielo ulteriormente”.

Si allontanò con la borsa dei libri e andò a cercare Severus, al quale voleva far leggere quel mucchio di insulsaggini. Sicuramente avrebbe avuto informazioni molto più affidabili rispetto all’articolo. Necessitava di vederlo, anche perché il sogno ricorrente era tornato alla carica e si era svelato in tutti i suoi misteri prima di allora irrisolti. Misteri che riguardavano loro due soltanto.

 

Si erano ripetute le solite scene, quasi più velocemente e vorticosamente del solito. La Principessa Biancogiglio, i suoi giullari fedeli, i ragazzini che litigavano - o meglio, Lily e Severus che litigavano - l’incontro tra la Principessa Nerogiglio e il Principe Mezzosangue, che fuggiva o quando la ragazza tentava di togliergli la maschera argentata, o quando i giullari in avvicinamento lo facevano spaventare e fuggire. In quest’ultimo caso, poi, la Principessa Nerogiglio si trovava intrappolata nei loro scherzi e motteggi, per poi subire un umiliante incantesimo che la faceva fluttuare per aria e...

In quel punto si svegliava sempre di soprassalto, confusa, abbattuta ed in crisi, perché non riusciva a liberarsi di quel sogno, che le causava sempre più ansia. Quell’incantesimo che la faceva fluttuare per aria, poi, l’agitava non poco.

Ma la notte precedente, Lily era riuscita a fermare il suo Principe e a farlo rimanere lì con lei, in modo tale che non si presentassero i quattro giullari. Aveva agito in maniera molto semplice, forse un po’ ingenua ed un po’ astuta. Non aveva più allungato le mani verso il suo viso coperto dalla maschera, ma lo aveva preso per un polso, guardandolo con occhi supplichevoli - benché non fosse da lei comportarsi così - affinché potesse rimanere con lei.

Era certa che quel verde carico di disperazione avesse fatto tentennare il Principe nella sua fuga verso l’ignoto. Il verde non era solo il mare in tempesta, il mare che uccideva senza pietà. Il verde dei suoi occhi era in grado di intenerirsi, di diventare più cupo e sofferente. Quella sfumatura nei suoi occhi era la più rara, ma la più viva di tutte. E sia al Severus reale, che a quello onirico - e i sogni di quel genere non erano nient’altro che frammenti di futuro - gli occhi tristi di Lily turbavano moltissimo.

“Ti prego, fermati. Non mi abbandonare”. 

Lily non stava fingendo. Non voleva un futuro solitario, non voleva ritrovarsi con il cuore devastato ed un Principe in fuga per colpa sua. Lo stava trattenendo per un polso, appoggiando l’altra mano sulla spalla. Il Principe Mezzosangue si fermò, guardandola direttamente negli occhi. La Principessa Nerogiglio poté indovinare la sua espressione, celata da quello strato d’argento e seppe che lui stava capendo la sua paura.

“Ho paura, Sev!” esclamò lei, chiamandolo con il nomignolo che usava da anni. Forse solo così lo avrebbe fermato, con quel calore che aveva sempre avuto per lui. 

Le spalle del ragazzo si rilassarono, si chinò sempre di più verso la Principessa che sedeva sul trono ligneo, sempre con la schiena premuta contro lo schienale intarsiato. Arrivò ad avere il proprio viso all’altezza di quello della ragazza. 

Le mani della ragazza vennero accompagnate sulla maschera del Principe e lentamente la sfilarono. 

Era proprio Severus. Più grande, forse con il viso più stanco, leggermente scavato dalle occhiaie. Ma era lui, con i suoi occhi neri più vivi e ardenti che mai.

“Sono io che ti faccio scappare?” chiese la Principessa, passandogli le dita sullo zigomo.

“Scappo da me stesso, perché in questo futuro ti ho fatto del male” disse addolorato “Scappo perché ho ferito la Principessa Biancogiglio e non ne vuole più sapere di me, ora che è protetta dai suoi giullari”.

“Tu non mi hai mai fatto del male, non intenzionalmente! Lo sai che mi fido di te!”

Per qualche attimo la Principessa Nerogiglio pensò che forse, in quel futuro, non era tanto lui ad averle fatto del male, quanto lei ad avergli fatto qualcosa di meschino, spingendolo a reagire in maniera crudele. E forse, tutto stava nella Principessa Biancogiglio che non si era più separata dai quattro giullari; quattro come i Malandrini. 

L’eco di quel litigio - dove Lily non dava possibilità di replica a Severus - le rimbombò in testa, costringendola a scegliere con cura le parole, affinché il Principe non scappasse un’altra volta. Era lei che lo avrebbe costretto alla rovina e alla fuga. Era tutta colpa sua. 

“Sev! Ascoltami, è colpa mia se ti ridurrai così!” gli spiegò concitatamente e con tutta la determinazione che aveva, Lily desiderò poter cambiare il futuro. 

Il ragazzo la guardò meravigliato.

“E’ colpa dell’altra mia parte di me, la Principessa Biancogiglio. Non è buona come pensi. E’ crudele. Ma io non voglio darle retta e voglio cambiare il nostro futuro!”. Tacque per qualche secondo. “Ti chiedo scusa per tutto il dolore che ti darò, perché non potremo mai evitarlo... Ma sappi che non ti volterò mai le spalle”.

Sev si era inginocchiato davanti a lei, con le mani distese sulle gambe di lei e appoggiate al suo grembo, e la guardava con una strana gioia negli occhi, con quella brillantezza di chi sa di avere una nuova, seconda possibilità. 

“Ma io ti ho detto qualcosa di brutto ed irripetibile...” aggiunse.

“Sono solo parole. Le parole non hanno importanza. Contiamo solo noi due”. Lily, la Principessa Nerogiglio, gli sorrise.

Era tutto buio in quel salone, ma qualche candela si riaccese, forse animata da quanto detto dalla ragazza. Qualche timido raggio di sole illuminò le vetrate colorate, facendo in modo che il pavimento, sempre pieno di gigli in fiore, si riempisse di macchie colorate. Gli strilli ed i deliri dei giullari erano sempre più distanti, come se si stessero allontanando da quelle stanze. 

“Allora posso essere parte del tuo futuro?” chiese un po’ titubante il Principe Mezzosangue, intanto che la Principessa gli passava una mano tra i capelli, com’era solita fare quando Severus appoggiava la testa sul suo grembo.

La Principessa Nerogiglio annuì, e fece alzare il Principe per attirarlo a sé.

Nelle fiabe era sempre il cavaliere a baciare la principessa addormentata. Lily aveva sempre pensato che fosse brutto baciare una persona che era addormentata e che non poteva sentire nulla di quella magia che era il primo bacio. E trovava noioso che fosse sempre l’uomo a doversi muovere e la donna a cadere sempre vittima di qualche sortilegio, che ci cascava per colpa della sua ingenuità - perché non era normale andarsi ad infilare in una trappola che tutti le avevano detto di evitare! Lily era stata maestra nel cacciarsi nei guai a suo tempo, ma stava decisamente migliorando, se così si potesse dire.

Allora, aveva preso tra le braccia il suo Principe e lo aveva baciato con tutto l’amore e il calore che aveva nel cuore in quel momento, per quanto fosse un sogno destinato a svanire. 

Non era più angosciata, perché avvolta dalle braccia di Sev e dal suo mantello nero, si sentiva al sicuro. Quelle mura non le erano più estranee, perché si stavano riempiendo di luce e di vita, spazzando via la Principessa Biancogiglio vestita di pellicce ed attorniata da giullari perdigiorno. Le finestre esplodevano in mille pezzi, svelando fuori un panorama mozzafiato, fatto di colline verdi e meravigliosa pioggia irlandese in mezzo ai raggi di sole che filtravano dalle ultime nubi rimaste.

Quelle labbra sottili che la baciavano l’avrebbero fatta sempre sentire intera. Avrebbe vissuto pienamente, infischiandosene di essere solo un giglio nero agli occhi di tutti, imparando a discernere gli errori imperdonabili dalle sciocchezze, ed avrebbe sempre curato le ferite di entrambi, quelle che sarebbero arrivate con l’esperienza, gli sbagli, la vita e le avrebbe fasciate di quel meraviglioso nero, nobile ed elegante. Perché nessuno, tranne lei, aveva avuto il coraggio di andare oltre quel mantello scuro e quella maschera argentata, per poter vedere l’infinità di colori che il Principe Mezzosangue le avrebbe regalato in futuro. Lui era tutto ciò di cui avesse bisogno.

 

Lily non aveva trovato Severus per il loro solito saluto dopo la colazione. La serenità che le aveva regalato il sogno si era affievolita e l’angoscia si era fatta largo nel buonumore della ragazza. Il venerdì era il giorno in cui non avevano molte ore in comune, e la Grifondoro era stata costretta ad una breve e frenetica ricerca tra i corridoi stretti e pieni di studenti di ogni età, prima di correre verso le serre di Erbologia, situate sotto le due torri principali di Hogwarts. Doveva fare attenzione a scendere gli scalini in quei giorni, perché l’inverno iniziava a farsi parecchio rigido e i gradini che davano verso le serre erano il più delle volte ghiacciati e non di rado si vedevano spettacolari voli da parte degli studenti meno accorti. La sua testa continuò a cercare Severus disperatamente, benché la lezione della professoressa Sprite fosse assieme ai Tassorosso, nonostante fosse in ritardo di qualche minuto... E non si accorse dell’ultimo gradino ghiacciato. 

Lily vide il mondo capovolgersi, non fece in tempo a sentire la suola della scarpa destra scivolare sull’infida superficie ghiacciata. Volò a terra, assieme alla borsa, che cadde parecchio più avanti e udì un sinistro infrangersi di quello che poteva essere vetro. 

“No! La boccetta d’inchiostro!” esclamò Lily terrorizzata più per gli appunti pieni d’inchiostro nero, che per la caduta di per sé e il dolore lancinante che le aveva preso la mano sinistra, non appena l’aveva usata per appoggiarsi e rialzarsi. 

Si trascinò verso la borsa, sistemandosi alla bene e meglio gli abiti sotto il mantello nero, e riversò il contenuto sul sentiero mezzo ghiacciato. Con la bacchetta magica ed un semplice Reparo, Lily ricompose la boccetta d’inchiostro, riuscendo a recuperare il liquido nero che si stava spargendo ovunque. Controllò che le sue pergamene, i libri, ed i quaderni rilegati in pelle non fossero macchiati e li ributtò all’interno della borsa, passando poi ad un rapido controllo della mano sinistra.

A prima vista non sembrava essere rotta e a tenerla ferma non le faceva molto male, ma le causava molto dolore muovere le dita e stringere qualsiasi cosa. Provava un certo fastidio al dito medio e si accorse che rischiava di gonfiarsi e di indolenzirsi ancora di più con il gioiello ancora infilato al dito. Con terrore, si ricordò di quel racconto di sua madre e di quell’anello tagliato, perché il dito era troppo gonfio per poterlo sfilare agevolmente.

Intanto che correva dentro la serra, si sfilò l’anello e se lo appese alla catenella del ciondolo con l’Albero della Vita. Poi, una volta a lezione, non finì più di scusarsi con la professoressa Sprite, pregando tra sé e sé che non togliesse punti a Grinfondoro, e si mise al lavoro alacremente, non dando troppo a vedere la fatica con cui muoveva la mano sinistra. Frattanto, fuori aveva iniziato a nevicare lentamente ed ogni fiocco si posava a terra senza fretta, appoggiandosi appena. Nel silenzio più totale, lontano da qualsiasi folla rumoreggiante, si sarebbe potuto avvertire il leggero tocco della neve sull’erba. Lily pregò che non ci fossero altre lastre di ghiaccio ad attentare alla sua salute, tuttavia constatò che la neve le sarebbe tornata utile per alleviarle il dolore mano. Incredibile, pensò Lily, come di fronte a quell’inconveniente fosse tornato alla ribalta il suo spirito pratico puramente Babbano. Poteva bastare un composto di erbe curative, sgraffignate a qualche pianta nella serra, o una pozione preparata durante le lezioni di Lumacorno a guarire la mano infortunata. Invece Lily era chinata a terra, e aveva lasciato che il gruppo di compagni di casa proseguisse verso la lezione di Trasfigurazione, per prendere una manciata di neve fresca ed applicarla sulla mano. 

Marlene si voltò in quel momento e se ne accorse, tornando indietro, proprio verso l’amica.

“Lily! Che cosa stai facendo con la neve?” le chiese, osservando i gesti frettolosi della ragazza.

“Niente!” ribatté l’altra, nascondendo la mano sotto il mantello.

“Fammi vedere la mano” ribadì Marlene, avvicinandosi bruscamente a lei.

La Grifondoro riluttante fece vedere la mano, dalla quale la neve stava scivolando via, scaldata dal contatto con la pelle della ragazza. Guardò l’amica, i cui occhi chiari s’indurirono e si morse il labbro inferiore. Marlene poteva sembrare più fredda e distaccata, e qualche estraneo l’aveva ingiustamente definita snob e altera, ma Lily e le altre erano sue amiche, ed erano le più preziose che avesse, perché quel legame era nato in maniera spontanea, lontano da casa e dai legami tenuti d’occhio dai genitori. Non erano solamente tre ragazze con cui condivideva il dormitorio da qualche anno, erano le sue confidenti, con le quali si era aperta molto e aveva rivelato lati di sé che altrimenti avrebbe tenuto solamente per lei, nella camera di casa sua.

“Ti porto immediatamente da Madama Chips!” esclamò Lene preoccupata, tenendo tra le sue mani quella dolorante dell’amica. Era leggermente gonfia, ma non sembrava avere lividi preoccupanti.

“Non è rotto!” obiettò l’altra, ritirandola immediatamente. 

“Non mi interessa! Non bisogna scherzare con queste cose!”.

Marlene sapeva essere autoritaria e persuasiva al momento opportuno e Lily, in quei frangenti, non poteva fare altro che chinare la testa ed assecondare l’amica. Strada facendo, sperava di incrociare Sev, che sembrava essere sparito nel nulla.

 

Nel pomeriggio, la nevicata si era fatta decisamente più intensa e i dintorni di Hogwarts erano quasi del tutto bianchi. Nessuno, né studenti, né insegnanti, si erano azzardati a sfidare il gelo, preferendo il calore di una poltrona e di una tazza di tè, in compagnia o dei compiti o delle chiacchiere dei propri compagni di casa. Nemmeno i Malandrini erano fuori a lanciare palle di neve a chiunque fosse nel loro raggio d’azione, per ripiegare in qualche aula abbandonata a progettare chissà quale nuovo ed irritante scherzo.

Nessuno tranne Severus, che si era avventurato fuori, camminando senza seguire un sentiero in particolare, e se ci fosse stato, era sepolto sotto un sempre più consistente strato di neve. Si era avvolto nel suo mantello nero, con lo stemma di Serpeverde ricamato all’altezza del cuore. Aveva preso la sciarpa verde ed argento e se l’era avvolta fino a coprirsi il collo, le orecchie ed il volto fino all’altezza del naso. Non era solito portare cappellini o berretti, ma date le condizioni climatiche non aveva potuto fare a meno di calcarsi in testa un berretto neri. Nella mano destra, protetta da un guanto di lana, stringeva la propria bacchetta magica.

Aveva il bisogno di sciogliere la tensione che aveva accumulato in quei giorni. E nei momenti di debolezza, in cui si chiudeva totalmente in se stesso, non voleva essere visto da nessuno, non voleva avere a che fare con le altre persone. La sua mente era affollata da timori, pensieri cupi, tutt’altro che lieti. Era stato in mezzo ad una bufera di informazioni preoccupanti circa quanto accaduto a Dunkeld. Con il passare dei giorni, ciò che era una pura indiscrezione, era diventata un’amara verità: Lord Voldemort stava iniziando a fare sul serio, e quell’attacco non era che solamente l’inizio, un avvertimento.

“Andrà a prendere tutti i maghi Nati Babbani” aveva mormorato Mulciber, protetto dal buio totale del dormitorio.

“Dovesse stanarli casa per casa” aveva aggiunto Avery, con un sinistro sogghigno “Lucius Malfoy ha detto che hanno armi potenti per poter ripulire l’intera Inghilterra nel giro di qualche notte”.

“Però queste armi vorrei tanto vederle e provarle” si era lamentato Mulciber, come se si stesse lamentando del tempo avverso. 

Sev aveva trattenuto il fiato dopo quella frase disgraziata. Se la sarebbe incisa sulla pelle, a costo di non dimenticarsela e l’avrebbe riferita a Silente.

Armi potenti, dunque. Lord Voldemort non aveva intenzione di risparmiare nessuno. Cercava e voleva la guerra totale che lo avrebbe portato a dominare di loro, in caso di vittoria.

Severus aveva parlato molto, forse fin troppo per lui, con Albus Silente. Il Preside aveva ascoltato tutto, senza dire nulla, ma il suo sguardo grave era molto eloquente. Si era sentito pure lui una goccia d’acqua pura in un oceano di malvagità. Tuttavia, non poteva tentennare, non poteva abbandonare l’Ordine, non poteva fermarsi di fronte al gigante d’oscurità che avanzava a passo sicuro e spedito, schiacciando tutto ciò che gli arrecava fastidio con sicurezza.

Ma non era detto che il gigante dovesse vincere a tutti i costi; Lord Voldemort aveva la supremazia magica e fisica. Albus Silente aveva l’astuzia, la paziente pianificazione di ogni singola mossa, pochi ma fedeli e validi alleati ed aiutanti. C’era qualche speranza ed andava tenuta in vita fino al primo scontro diretto. 

Il ragazzo chiuse gli occhi e si lasciò andare nella neve che scendeva sempre più copiosa, e di tanto in tanto rabbrividiva per qualche sferzata di vento freddo. 

Non l’avrebbe mai ammesso, ma necessitava di qualche pensiero felice, perché i suoi si erano dissolti in quella nuvola nera di pessime notizie. A stare con Lily ci aveva fatto l’abitudine ad essere sereno e ad avere una certa pace nel cuore; nei momenti in cui questo stato d’animo veniva meno, si sentiva perso e rivoleva indietro quella mite sensazione di benessere. 

Necessitava di felicità perché si sentiva disperatamente incerto sull’avvenire e preoccupato per Lily, che a sua volta era turbata circa la sicurezza della sua famiglia e temeva che potesse succederle qualcosa di simile alla famiglia Hill.

Sollevò la bacchetta e la puntò dritto davanti a sé, senza l’intenzione di colpire nessuno in particolare. Tenne gli occhi chiusi, evocando i migliori ricordi felici che avesse accumulato da quando stava con Lily. 

Era nell’indole di ogni persona soffrire quando l’altra si trovava in difficoltà; ed era nei momenti più cupi che ci si rendeva conto del legame con gli altri, di quanto fosse importante stare bene, raccogliere il meglio da qualsiasi esperienza. Era nella sua indole legarsi ad una persona - non a tante - e fare qualsiasi cosa per lei. Era così naturale per lui tendere una mano alla ragazza che amava, correre da lei nel momento del bisogno. Gli veniva così spontaneo esserci per lei, niente di più.

Ma in quei giorni si era un po’ perso. Era più distaccato, chiuso in un mutismo pieno di amarezza. Le ore di lezione scorrevano via come se non avessero più così tanta importanza, come se fossero solo rumore di sottofondo. Sedeva con i suoi compagni di casa giusto il necessario per mangiare qualcosa e non svenire dalla fame. Rimaneva ermeticamente chiuso nelle sue angosce, nel suo vedere Lily triste e turbata per Mary, la vedeva correre ed affannarsi per evitare che l’amica crollasse di fronte a quella situazione comunque insostenibile per un’adolescente.

Si concentrò sui ricordi felici, i piccoli gesti quotidiani che lo facevano stare bene. Voleva tornare a stare bene, desiderava che Lily tornasse ad avere un’espressione più serena sul volto. Rivoleva indietro il verde felice e splendente, non quel verde da mare in tempesta, rabbioso e sofferente. 

“Expecto Patronum”.

Dalla punta della bacchetta uscì un filo argenteo che presto si tramutò nella cerva argentea che conosceva bene. I fiocchi di neve sembravano non toccare minimamente la creatura evocata dal ragazzo. Non eseguiva l’Incanto Patronus da quando lo aveva insegnato a Lily lo scorso inverno. Non ne aveva avuto - fortunatamente - necessità di doverlo utilizzare contro i Dissennatori.

Ma in mezzo a quella distesa innevata, evocare il suo Patronus aveva una funzione curativa, quella luce argentea era stata in grado di richiamare quanto di meglio avesse vissuto nell’ultimo anno. 

Ripensò alle battaglie di palle di neve, alle passeggiate lente verso Hogsmeade - sembrava passata un’eternità dall’ultima gita verso il villaggio magico - a Mielandia ed al sacchetto di dolci che si prendeva la ragazza, pieno fino a scoppiare.

Tutto quello pareva lontano anni luce, appartenente ad un’altra era, distante e remota, ma la cerva aveva riavvicinato Sev a quella sensazione di piacevole tepore che solo un ricordo felice era in grado di generare.

Il suo Patronus continuava a zampettare cauto attorno a lui. Alzava la testa verso il cielo coperto, come se fosse curioso di sapere da dove provenisse la neve.

Si sentiva meglio, meno turbato e un po’ più fiducioso verso il futuro. Si avvicinavano le vacanze invernali, e al ritorno a Cokeworth, stabilì che avrebbe protetto sia Lily, che la sua famiglia. Questo era quello che poteva fare. Proteggerli, nient’altro. E avrebbe mantenuto i contatti con il Preside, rimanendo a sua completa disposizione. 

Un’altra cerva gli passò accanto e zampettò verso la sua. Si voltò di scatto, perché solo un’altra persona aveva il Patronus identico al suo.

Lily era dietro di lui, avvolta nel suo mantello, con quel buffo berretto con i pon-pon in testa, e la sciarpa Grifondoro. Sembrava così piccola e buffa, con le gambe che affondavano nella neve. Avanzò verso di lui a fatica, proteggendosi la mano sinistra, tenendola sul petto. Sorrideva serena. Evidentemente anche per lei l’Incanto Patronus aveva una funzione curativa.

“E’ permesso? Posso entrare anche io nel tuo guscio?” gli chiese gentilmente la ragazza, appena fu abbastanza vicina a lui.

“Hai ragione, Lily...” disse lui, cercando le parole giuste per scusarsi del suo essere scostante. Aprì il mantello e l’avvolse, com’era solito fare. Lily spariva, quando era avvolta dal tessuto nero di Sev, che non sembrava smettere di crescere in altezza, almeno secondo lei. La ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla, strofinando il naso contro il tessuto della sciarpa verde ed argento.

“Scusami” disse lui.

“Siamo entrambi preoccupati per quello che sta succedendo” osservò lei con semplicità “Non fartene una colpa! Sei fatto così. Io preferisco assillare le persone in difficoltà, tu ti chiudi in te stesso. Più vado avanti, più capisco che non esiste un modo giusto per reagire verso certi avvenimenti”.

Lily alzò la testa verso Sev e allungò la mano sana per togliere la sciarpa dalle labbra del ragazzo, che la strinse forte. Si lasciò baciare da quelle labbra che così calde non erano, dato che erano rimasti fuori al freddo per un po’, ma a lui sembrarono morbide e calde come sempre. Sentì la mano guantata della ragazza sfiorargli il viso e scivolare verso la testa, mentre l’altra mano rimaneva leggermente schiacciata tra i due. Non la muoveva e Severus si accorse del dolore di Lily non appena si strinsero un po’ più forte.

“Ahi!” esclamò lei, toccandosi la mano infortunata.

“Che ti sei fatta alla mano?” scattò lui, preoccupato.

“Ma niente, una botta...”. Severus si tolse il guanto e poté constatare che, sotto lo strato di lana, la mano sinistra di Lily fosse veramente gonfia.

“Devi andare da Madama Chips! Subito!” esclamò.

“Ci sono già stata! Mi ha messo una pomata fatta di erbe disgustosa e mi ha fasciato la mano!”.

“Non mi stai raccontando una bugia?”. Severus si era fatto molto serio. 

Lily scoppiò a ridere. “Ma non dire sciocchezze! Perché dovrei?”.

“Perché hai una certa tendenza a minimizzare i tuoi infortuni. Ti devo ricordare quando sei caduta dall’altalena a undici anni e ti sei aperta un polpaccio?” le ricordò il ragazzo, prendendola in giro. 

“Ma ancora ti ricordi di quel mio piccolo taglio...”.

“Non era un piccolo taglio. Era uno squarcio”.

“Quanto sei esagerato” ribatté lei, ridendo.

“Non sono esagerato, se non ci fossi stato io saresti morta dissanguata”.

I due rimasero in silenzio dopo quello scambio allegro di battute e guardarono le due cerve rincorrersi vivacemente e poi scomparvero verso il bosco, pieno di sempreverdi dalle chiome candide.

Severus aveva davvero bisogno della sincerità di Lily; con quella, avrebbe difficilmente sbagliato nel proteggerla, non l’avrebbe soffocata con i suoi timori e le sue insicurezze.

“Ti ricordi il mio sogno ricorrente?” disse ad un tratto Lily “Sono riuscita a non farti a scappare”.

“Tu? Far scappare me? Non sarebbe il contrario in un sogno normale?” chiese Severus con un sorrisetto ironico.

“Stupido. Lo sai che non è un sogno normale! La Principessa Biancogiglio era una gran smorfiosa. Ti ha fatto soffrire e ti ha fatto scappare da me”.

“Ma la Principessa Nerogiglio ha vinto sulla principessa cattiva e ha promesso di far stare bene il Principe Mezzosangue, giusto?”.

“Giusto. E vissero felici e contenti” concluse soddisfatta Lily. Peccato che troppe storie vere e reali non finissero in quel modo, pensò la ragazza.

Sev abbracciò forte Lily e la baciò di nuovo, con molto trasporto, per dirle che le avrebbe dato quel “Vissero felici e contenti” a qualsiasi costo. Se lo meritavano entrambi.

* * *

 

Miei cari lettori, eccomi qua! La vostra Blankette non si è dimenticata di voi! Questo è un aggiornamento bello succoso prima delle vacanze - le mie saranno brevi in Slovenia, ma spero che le vostre siano lunghe e belle riposanti! Il capitolo 38 è già in mente e direi pronto per essere scritto, spero di non far passare troppo, troppo tempo prima di pubblicarlo! Abituatevi a Mercurius, perché purtroppo - o fortunatamente per me - ci sarà. Ricordatevelo e temetelo! *risata malefica*.

 

Detto questo, vi abbraccio tutti come sempre e vi mando amore sparso, fresco ed estivo <3 Vi ricordo la mia pagina Facebook e le canzoni del capitolo:

 

All I Need - Within Temptation

You - Inspirational 

 

Buone vacanze! E a presto con il capitolo 38!

 

Un abbraccio,

 

Blankette_Girl

Ale

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Lily White Matricide