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Autore: Rosita13    01/08/2012    3 recensioni
Eloise ha perso la sua anima gemella.
Da ragazza dolce e tenere qual era è diventata una sociopatica, scorbutica e scostante e con un linguaggio da scaricatore di porto.
Ma un giorno un fisico muscoloso e degli occhi verdi le cambieranno la vita.
Riuscirà ad andare avanti e lasciare andare l'unico ragazzo che abbia mai amato?
SCEGLIERA' IL PRINCIPE O IL PIRATA?
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Voglio ringraziare con il cuore tutte le persone che mi hanno recensito i capitoli precedenti e che mi stanno danno un grande aiuto per proseguire e andare avanti :) Mi date sostegno e miaiutate a migliorare. Ed è molto gentile da parte vostra essendo questa la prima volta che pubblico una storia :) E ora un pò di pubblicità :) passate qui e se volete cliccate anche qui Vi auguro buona lettura :D

CAPITOLO DUE

-PARTE UNO-

 

 

 

 

 

 

 

Bene, quando iniziamo?”, disse il bellimbusto posando il suo zaino sul mio banco.

Alzai lo sguardo dal pallino che avevo disegnato su un foglio e lo fissai con il viso inespressivo. D'altronde quella era diventata la mia faccia.

Come dici?”, chiesi annoiata.

Notai distrattamente la sua maglietta nera e la giacca pesante e di cuoio dello stesso colore.

Spostati lo sguardo sulle sue gambe: pantaloni total black come le scarpe.

Ti piacciono tanto i colori”.

Abbassò gli occhi, esaminandosi, e poi li riportò su di me con un sorriso impudente.

Mise le mani in tasca facendo aderire al suo grosso busto la giacca.

Come a te piace essere femminile”.

Gli scoccai un'occhiataccia e lui alzò un sopracciglio, malizioso.

Mi dava sui nervi.

Distolsi lo sguardo e diedi una sbirciata alla parete dove c'era l'orologio e notai che era l'ora di pranzo. Bene, altro tempo inutile da perdere in qualche modo.

Ehi!”, mi richiamò lui posizionando il suo viso davanti al mio. “C'è qualcuno?”. Sorrise.

No, vattene”.

Con getti scattanti raccolsi la mia roba, mi alzai e me ne andai.

Dove?

Fuori, in giardino, era fuori discussione.

La palestra.

Il corridoio era quasi vuoto, la maggior parte della gente doveva già essere a mensa.

Avevo la testa vuota, senza alcun progetto in mente.

Mi girai a sinistra e proseguii dritta verso il mio armadietto.

Tu! Ferma! Coleman ti ha incaricato di farmi vedere la scuola”.

Una mano afferrò il mio braccio, strattonandomi all'indietro. Barcollai ma lui fu pronto ad afferrarmi.

Mi ritrovai attaccata al suo busto con un odore di menta che invase le mie narici.

Alzai la testa e lo guardai desiderando di poterlo uccidere.

Toglimi subito le mani di dosso”, lo minacciai.

Lui, subito, fece come ordinato, alzando le braccia sopra la testa.

Mi guardava scioccato e divertito.

Un ciuffo di capelli gli era caduto davanti agli occhi così insopportabilmente ammalianti. Verde smeraldo.

Oscurità e luce.

Sorrise divertito e io mi riscossi da quei pensieri cretini.

Scusa, un po' suscettibile, eh?”, mi domandò sempre con quel sopracciglio inarcato.

I cazzi tuoi no, eh?”.

Gli diedi una spinta e gli passai accanto, senza degnarlo di uno sguardo.

Che caratterino”, lo sentii mormorare.

Non me ne fregai. Con la testa dritta continuai a camminare, sentendomi sempre addosso i suoi occhi fastidiosi, come quelli delle persone in corridoio che avevano assistito alla scena.

 

 

 

 

 

 

Mi sedetti sulle scalinate della palestra e presi il panino, che mia madre mi aveva fatto, da dentro lo zaino. Sperava sempre che mangiassi qualcosa di più che un paio di biscotti. Lo guardai per qualche minuto, senza sapere cosa farne. Non lo volevo. Ma se tornavo a casa con il pranzo intatto i miei mi avrebbero fatto di nuovo la paternale. Sbuffai e lo infilai con forza di nuovo dentro lo zaino.

Pazienza.

Sospirai e mi appoggiai sul gradino di pietra.

La palestra aveva tante panchine ai lati del campo da basket che era davvero bello, ampio, pulito, lucido, luminoso.

Avevamo anche un piscina olimpionica, in un'altra struttura adiacente a questa, e un enorme campo da football.

Era una scuola davvero buona.

E ora che cazzo di pensieri facevo?

Perché mi ricordavano come Nicholas si fosse battuto per far sì che tutti gli studenti fossero soddisfatti.

Sospirai nuovamente ma più pesantemente.

Buttai uno sguardo qua e là.

La palestra era vuota. Naturalmente. All'ora di pranzo chi poteva mai venire qui?

Solo io.

Chiusi di nuovo gli occhi. Che giornata stressante. Che cosa era passato per la testa al professore da fargli venire quella idea così idiota? Accompagnare quel cretino a fare il giro della scuola? Io?

Ah! Come no.

Angelo mio, non dovresti almeno dargli una possibilità?”.

Spalancai gli occhi. Nicholas. No, non poteva essere! Ma era così reale!

Guardai dappertutto, aspettandomi quasi di vederlo arrivare. Il cuore mi faceva quasi male per quanto batteva forte.

Non c'era nessuno. Il tabellone era spento, non fiatava un'anima lì dentro. Eppure...Mi vennero le lacrime agli occhi. Maledizione alla mia mente malata. Mi rannicchiai su me stessa, potando al petto le ginocchia e circondandole con le braccia. Il cappuccio della felpa mi cadde in testa quando la piegai in avanti. Perché doveva essere così? Perché se ne era andato? Perché ero così sola?

Senza rendermene conto iniziai a piangere silenziosamente, le lacrime che scendevano bollenti sulle mie guance. Da quanto tempo non mi sfogavo? Dieci mesi? La sua voce....così calda, dolce. Nicholas! Urlavo dentro la mia testa. Il dolore sempre più prepotente. Mi stavo liberando senza fare rumore.

Il corpo era sconquassato da feroci singhiozzi ma non emettevo alcun suono.

Mi sarebbe sembrato un crimine in quel silenzio tombale.

A casa non potevo dimostrarmi fragile. Già i miei sopportavano a malapena il mio dolore sordo e la mia apatia, figuriamoci se mi fossi messa a piangere tutto il giorno.

I primi due mesi dopo la...dopo che Nicholas era andato via non avevo fatto altro.

Ma ora basta.

Non potevo più.

All'improvviso sentii delle voci farsi più vicine.

Mi bloccai, terrorizzata.

Non sapevo che fare in quel momento così fragile.

Mi sentivo come se mi le mie ossa fossero cristalli delicati che potevano rompersi al minimo urto.

Guardai spaventata a morte la porta enorme della palestra, sentendo i passi avvicinarsi.

Mi riscossi violentemente.

Mi alzai in fretta, presi lo zaino e mi nascosi dietro a un muro. Lentamente mi sedetti per terra, quasi sperando che l'ombra mi potesse inglobare. Le voci diventavano distinguibili.

Non la riconosco più”, disse un'acuta voce femminile.

Non avevo alcun dubbio su chi si riferissero.

A quale scena avevano assistito?

Quella del corridoio o quella in classe?

Ormai non mi ricordavo neanche più le persone con cui condividevo le lezioni.

A chi lo dici, rispondere così al professore. No, non era da lei”, rispose l'altra ragazza.

Okkey, risolto il quesito.

È diventata strana”, rispose un'altra ragazza con voce più limpida ma non meno irritante.

È un'eremita”.

Ci fu un momento di pausa mentre io ascoltavo attentamente. Non so perché lo facessi, ma non riuscivo a distogliere la concentrazione. Quelle ragazze neanche me le ricordavo eppure sapevano tutto di me. Odiavo la mia vita.

È diventata stronza”, dissero insieme. Poi scoppiarono a ridere. “Ci leggiamo nel pensiero, noi due!”. Sentii dei rumori, come se si stessero scambiando un cinque.

Patetiche. Feci una smorfia.

Altra pausa.

Cosa diavolo venivano a fare in palestra a quest'ora?!

Non era così quando c'era Nicholas”.

Ebbi un tuffo al cuore. Sentire nominare il suo nome...

Lui era così gentile, calmo, dolce...era perfetto”, disse la prima ragazza con voce sognante.

Era vero. Anche se infastidita da tutta quella confidenza non potevo non essere d'accordo con lei.

Lui era un angelo, non aveva nulla che non andava. Il principe che tutte le donne avrebbero voluto.

Basta piangere, mi imposi, quando sentii di nuovo una lacrima scendere velocemente.

Ci fu un momento di silenzio intriso di tristezza, poi la voce dell'altra ragazza lo riempì.

L'hai visto che bel fusto è il nuovo arrivato?”, domandò cambiando in modo repentino l'argomento. Ora era come se stesse parlando di un dio sceso in terra, con voce e sicuramente anche viso sognante.

Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. La conversazione stava per diventare noiosa, meglio scappare.

Oh,sì! Ho sentito Dave dire che lo vuole inserire nella squadra di football. Poi, ora che il professore gliel'ha messo anche vicino, riuscirà con molta più facilità a convincerlo”.

Oh, povera me...

Sì! Sarà sicuramente un ottimo lanciatore! Hai visto che spalle e che braccia che ha? Oddio, mi piacerebbe da morire venire afferrata da quei bicipiti così muscolosi e virili”.

Oh, Madonna santissima!

Mi immaginavo una marea di cuoricini volare intorno a loro che chiocciavano come galline.

Dovevo uscire di lì. Ma la seconda porta si trovava proprio di fronte a quella principale. E loro mi avrebbero visto comunque, in modo o nell'altro.

Una figura di merda assicurata, la loro.

Mi dispiaceva un poco, ma non c'era che quella soluzione.

Presi la mia roba e mi alzai. Feci un bel sospiro e uscii dal mio nascondiglio.

Le due biondine ( ma guarda un po'? Erano delle cheerleaders! Indossavano la solita divisa che non toglievano mai, probabilmente ci dormivano anche) mi videro e rimasero agghiacciate.

I loro bei visi da Barbie rossi come peperoni.

Dentro di me sorrisi.

Bè, mi piaceva in effetti mettere in difficoltà la gente.

Ciao, fate come se non ci fossi, me ne stavo andando”, dissi con la mia solita voce e, a passo fermo, me ne andai. Passai loro accanto e mi sentii seguire dagli sguardi fiammeggianti per la vergogna delle ragazze. Sapevo che si stavano chiedendo se io avessi ascoltato la loro conversazione. Non aprii bocca. Non potevo mentire, non era tra i miei principi, quindi continuai per la mia strada senza indugi.

Appena misi piedi in corridoio, feci un profondo sospiro, un mix di tristezza e stanchezza. Mi appoggiai al muro, desiderando con tutto il cuore che quella giornata disastrosa finisse al più presto. 

  
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