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Autore: _vally_    15/02/2007    7 recensioni
Una serata un po' diversa, una serie di coincidenze. Incontri fortuiti in una notte in cui sangue e alcool scorrono sposati nelle vene. Quell'alcool che fa perdere il controllo, quello che soffoca le inibizioni! E dopo che accadrà?
Genere: Generale, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy, Robert Chase
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il secondo capitolo!

Scusate l'attesa, ma tra studio e lavoro, faccio un po' fatica a trovare il tempo per scrivere.

Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito il primo capitolo, soprattutto chi è Cotton Candy e legge lo stesso questa fanfic. Un inchino alla vostra apertura mentale! ; ) Senza togliere niente a Huddy e fan di qualunque altra ship: ogni commento vale per me tantissimo!

Non voglio promettervi niente, ma credo che il terzo capitolo arriverà a breve...

Un abbraccio e...aspetto le vostre recensioni!

Baci

Vally

 

 

CAPITOLO 2

 

House si diresse con passo deciso al bagno dell’Alexander Cafè, e spalancò la porta con forza. Questa rimbalzò però contro qualcosa, e si richiuse di scatto.

Riprovò ad aprirla, questa volta più lentamente.

Si ritrovò di fronte un Chase dolorante che, massaggiandosi con una mano la fronte, tentava invano di stare in piedi senza l’ausilio della parete.

House lo osservò perplesso qualche secondo, analizzando il suo stato. “Pietoso.” dichiarò, non riuscendo a tenere per sé il risultato di quella rapida analisi.

“Ahi.” mormorò Chase “Mi hai tirato la porta in faccia.”

“Mihaitilatolapotainfascia” lo scimmiottò House, incominciando a guardarsi intorno.

“Giurerei di aver visto una donna con te.”

“No.” rispose Chase, scotendo la testa convinto.

“Ti dirò di più.” continuò House, incominciando ad aprire le porte delle toilettes, una ad una. “Giurerei di aver visto Cuddy con te.”

“No, no, assolutamente” Chase si rendeva conto che, per quanta convinzione mettesse nelle sue parole, House aveva la mano sulla maniglia dell’unica porta che non aveva ancora aperto. Quella in cui si era rifugiata la Cuddy pochi secondi prima.

“100 dollari che qui dentro trovo il diavolo del Plaisboro, in abito da sera.”

Chase, di risposta, si mise il viso tra le mani, rassegnato.

“Chi tace acconsente.” disse rapidamente House, e ad aprì la porta.

“Ciao” la Cuddy gli finì quasi addosso, ma il diagnosta si spostò rapidamente, e lei andò a sbattere contro il lavandino. Si mise a ridere, voltandosi verso Chase.

Questo la guardava tutt’altro che divertito da uno spiraglio tra le dita, le mani ancora premute sul viso. Spostò rassegnato lo sguardo su House, pronto a subire le sue sarcastiche battute.

Infatti, il diagnosta, si voltò verso di lui. “Chase” disse, puntandolo col suo bastone. “Ora papà ti insegna una cosa. Il fatto che una donna sia venuta a letto con te quando era fatta, non significa che basta alterare lo stato mentale di una qualunque femmina per farla cadere ai tuoi piedi! Devi stare attento a non esagerare. Così non te la porti a letto. Se ti va bene passi la nottata a reggerle la testa sul water.” Scosse la testa, buttando un intenso sguardo alla Cuddy, che lo osservava minacciosa dal riflesso dello specchio. Appurò che non era in grado di staccare le mani dal lavabo per picchiarlo, e ricominciò con la sua predica. “Se poi ti ubriachi più di lei, sei doppiamente idiota e…”

Fu interrotto dall’improvviso spalancarsi della porta.

“Tutto bene?” chiese Brian, allarmato, a sua sorella.

Poi si accorse degli altri due uomini nella stanza. “Greg!” esclamò, andando incontro al diagnosta. Gli prese la mano libera e la strinse vigorosamente. “Sono anni che non ti vedo! So tutto di te però, Lisa mi tiene aggiornato!”

House sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi di circostanza, e tentò di liberarsi della presa sudaticcia della sua vecchia conoscenza, sviando la sua attenzione. “Stavo appunto chiedendo a Lisa di te. Ma credo non stia troppo bene.”

Brian raggiunse allora la sorella, ma lei lo bloccò con un acido “Sto bene.” prima che potesse chiuderla in un affettuoso abbraccio fraterno. Affettuoso e alticcio abbraccio fraterno: gli effetti dell’alcool stavano incominciando a farsi sentire anche sul suo fratellino.

“Ne sono felice perché…” Brian si avvicinò di più a Lisa, sussurrandole il resto della frase in un orecchio. “Sai Tamara? Mi ha chiesto se l’accompagno a casa e…” guardò la sorella negli occhi, sperando di non dovere dire ad alta voce il resto. Erano adulti ormai, ma c’era ancora un po’ di imbarazzo per questioni di questo genere.

“Vai vai, io prendo un taxi.”

Brian non se lo fece ripetere due volte; fece dietro front e si fermò davanti ad House prima di lasciare la stanza. “Tieni d’occhio tu la mia sorellina, fai in modo che non vada a casa con qualche sconosciuto. Sai, è un po’ ubriaca.”

“Non è l’unica qui dentro.” rispose lui, congedandolo con una pacca sulla spalla.

“Alla prossima!” esclamò il ragazzo, e uscì dal bagno, rivolgendo un solo rapido sguardo schifato a Chase.

“Quello sguardo significa che come cognato sei bocciato.” precisò House al collega.

“Ma io…” tentò di difendersi lui, ma gli girava la testa e la vicinanza dei suoi due capi non facilitava di certo le cose.

La Cuddy, nel frattempo, si guardava spaesata attorno, come se stesse cercando qualcosa. Poi, sotto lo sguardo incuriosito dei due uomini, incominciò a passarsi rapidamente le mani sul vestito.

“Cosa sta facendo?” chiese House all’intensivista.

“Sei tu l’esperto di comportamento umano.” ribatté questi.

“E’ la prima volta che la vedo ubriaca, tu invece ci sei stato chiuso in bagno un’ora. Avrai imparato qualcosa, no?”

“La finite di parlare di me come se non ci fossi?” Cuddy continuava a tormentarsi il vestito. “Le tasche.”

“Cosa?” chiesero gli uomini contemporaneamente.

“Cerco le tasche, il cellulare.”

“Non credo che quel vestito così succinto e aderente abbia le tasche.” disse House, ammirando il modo in cui il tessuto elasticizzato avvolgeva le forme della donna.

“Non ne ha.” confermò Chase, che l’aveva studiato più a lungo. Ricevette uno sguardo poco amichevole da entrambi.

Cuddy andò a terminare la sua ricerca nella toilette dalla quale era uscita poco prima.

“House” Chase era riuscito a separarsi dalla parete che l’aveva sorretto tutto quel tempo e, barcollando, si stava dirigendo verso la porta. “Io vado.”

“Vai dove?” chiese il diagnosta, leggermente allarmato, anche se non si rendeva conto del perché.

“Dal mio amico. Raggiungo il mio amico e ce ne andiamo a casa. Mi gira la testa, sono ubriaco.”

“Davvero?! Credevo che qui ci fosse in corso una gara di slalom tra le piastrelle.”

Chase osservò perplesso il pavimento a scacchiera, poi alzò gli occhi su Cuddy che, uscita vincitrice dalla toilette col cellulare in mano, tornava zigzagando al sicuro sostegno del lavandino.

“Buona continuazione.” senza dare il tempo ad House di ribattere, Chase si chiuse la porta alle spalle.

Il diagnosta guardò per qualche secondo nella direzione in cui era sparito, poi raggiunse la Cuddy, che stava farfugliando imprecazioni verso il sue telefonino.

“Cosa c’è che non va?” le chiese spazientito, strappandoglielo dalle mani senza tante cerimonie.

“Ho finito il credito.” disse lei.

Rimasero qualche secondo immobili, lui che prendeva tempo cercando di studiare il display del cellulare, la Cuddy con le mani appoggiate al lavandino dietro di lei, che lo osservava. Lentamente un sorriso si fece strada sulle sue labbra.

Quando House alzò finalmente gli occhi su di lei, e le vide un sorriso malizioso sul volto, un sorriso che andava oltre la beata espressione di un ubriaco, si sentì stranamente a disagio.

Quando poi la Cuddy sollevò le braccia, passandogliele dietro al collo, e attirandolo un pochino verso lei, il disagio lasciò spazio a una serie di sensazioni confuse e in contrasto tra loro.

Non fece niente. Rimase fermo, una mano appoggiata al suo bastone, l’altra che stringeva forse un po’ troppo forte il cellulare, gli occhi fissi in quelli di lei.

Era perplesso.

C’erano almeno una decina di altre emozioni che gli attraversavano il cervello in quel momento, e non solo quello, ma si sforzò di comunicare col suo sguardo solo quella: la perplessità.

Cuddy non sciolse quell’abbraccio quasi privo di contatto, né continuò, però, a tirarlo verso di sé.

Aveva interpretato quello sguardo come uno “stop”, ma quando beveva la sua razionalità tendeva ad essere sopraffatta dall’istinto. Il suo istinto le diceva di tenere quell’uomo allacciato a sé, perché entrambi lo volevano.

Rimase immobile, in preda a quella grande battaglia interna che può esserci solo tra istinto e ragione.

Non smise però di sorridergli.

Inclinò un pochino la testa, come per studiarlo.

“Non c’è credito, hai ragione.” le parole di House ruppero quella strana atmosfera che si era creata.

“Ti porto a casa io.”

La nuova atmosfera che gli avvolse quando assaporarono quelle parole però, era decisamente più eccitante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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