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Autore: nefert70    02/08/2012    2 recensioni
Il 27 ottobre 1597 muore, senza eredi legittimo, Alfonso II d'Este.
E' la fine della dinastia estense a Ferrara...
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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PREMESSA
 
 
 
 
Alfonso II d’Este, era duca di Ferrara, Modena e Reggio dal 1559 e cioè dalla morte del padre Ercole II d’Este.
Per volere paterno si era sposato nel 1558 con Lucrezia de Medici che morirà nel 1561 senza dargli eredi.
Nel  1565 si risposò con Barbara d’Asburgo.
Nel 1567 il duca Alfonso ricevette dal papa Pio V una bolla dove veniva caldamente invitato ad avere figli legittimi se non voleva che gli Estensi perdessero il ducato di Ferrara.
La duchessa Barbara morirà nel 1572 lasciandolo nuovamente vedovo e senza figli.
Il duca Alfonso si risposò per la terza e ultima volta nel 1579 con Margherita Gonzaga, anche con il terzo matrimonio però Alfonso rimase senza eredi legittimi.
In mancanza di eredi diretti, il duca designò,  quale proprio successore, il  cugino Cesare d'Este.
Don Cesare era figlio di Alfonso, figlio illegittimo del duca Alfonso I, legittimato nel 1532 dal cardinale Innocenzo Cybo e l'anno successivo dallo stesso padre, che gli aveva assegnato come appannaggio il feudo marchionale di  Montecchio.
Se per i feudi imperiali di Modena, Reggio e Carpi il diritto alla successione doveva essere  riconosciuto dall'imperatore Rodolfo II, per ottenere l'investitura di Ferrara invece l'unica possibilità era il consenso papale, con deroga alla bolla del 1567.
Il duca Alfonso nel 1594 ottenne l’investitura imperiale, per il cugino Cesare, dietro il pagamento dell'ingente somma di 400.000 scudi.
Nel 1592 salì al soglio pontificio Clemente VIII, al secolo Ippolito Aldobrandini, che rimase irremovibile, come i suoi predecessori, nel non voler riconoscere come erede del ducato Cesare d’Este.
Fin dal 1595 Alfonso nominò suo successore nel proprio testamento Cesare d’Este, sperando che, con l’aiuto imperiale, potesse mantenere anche Ferrara.
Alfonso nei suoi  anni di governo pacifico, vide mantenuto, anzi accresciuto, lo splendore della sua corte; ma questo fasto e, peggio, le grandi spese per la rivalità con i Medici furono causa di un’oppressione che indebolì l’antico affetto di Ferrara per i suoi signori.
L’anno 1597, il trentottesimo di governo del duca, era cominciato come tutti gli altri, e solo dall’autunno il duca aveva cominciato ad essere infastidito da una leggera febbre a cui non aveva voluto dare molta importanza, infatti a settembre la corte si era trasferita alla Mesola, poi a Belriguardo e da lì a Copparo. Il duca e la corte erano rientrati a Ferrara solo il 9 di ottobre.
 

Ferrara, Palazzo ducale
18 ottobre 1597
Il duca Alfonso era seduto alla scrivania del suo studio e stava leggendo la relazione dell’ambasciatore ferrarese presso la corte imperiale di Vienna. I ricci capelli, un tempo castani, erano diventati grigi e l’agilità della gioventù era stata sostituita da un fisico pesante che ricordava molto quello del nonno, il duca Alfonso I. La leggera febbre, che lo aveva colpito a cominciare dall’autunno, quella mattina era molto più forte ma il duca si era ostinato ad alzarsi dal letto e a svolgere le sue funzioni.
Stranamente aveva saltato il pranzo e si sentiva piuttosto irrequieto. Le carte sulla scrivania erano molte e Alfonso sapeva bene di avere molto lavoro da svolgere ma da circa un’ora il dolore al rene destro era diventato insopportabile, cercò di alzarsi per alleviare almeno un po’ il dolore ma appena spostò la sedia le gambe gli cedettero facendolo cadere lungo e disteso sul pavimento.
Il suo segretario, Laderchi, che era intento a svolgere i suoi compiti alla piccola scrivania posta poco lontano da quella più grande del duca, accorse immediatamente e aiutato il duca a risedersi chiamò i camerieri.
_______
 
I camerieri avevano spogliato il duca e l’avevano messo a letto.
Alfonso bruciava per la febbre e non riusciva a tenere gli occhi aperti, persino la leggera fiamma della candela posta accanto al letto lo disturbava.
La sua giovane moglie era accorsa immediatamente appena avvisata ed ora era seduta sull’alto letto tenendogli la mano e cambiandogli le fasce inumidite sulla fronte.
“Alfonso non preoccupatevi, Il medico è già stato avvertito. Arriverà tra poco. “ continuava a ripetere la duchessa Margherita, ma non era sicura che suo marito riuscisse a comprenderla.
Il medico giunse presto e cominciò a visitare il duca, dopo quasi dieci minuti di auscultazioni varie si rivolse alla duchessa “Altezza, i calcoli ai reni che da anni tormentano il duca si stanno muovendo causandogli grave tormento. L’unica cosa che possiamo somministrargli è dell’infuso di finocchio e molta acqua nella speranza che riesca ad espellerne qualcuno, così da ridargli un po’ di sollievo” si inchinò ed uscì.
 
20 ottobre 1597
La duchessa Margherita era nelle sue stanze quando sentì bussare alla porta, “Avanti” disse distogliendosi dai suoi pensieri.
Il medico entrò e inchinandosi “Altezza, mi dispiaccio di portarvi cattive notizie ma la febbre del duca non diminuisce e purtroppo la cura che gli abbiamo somministrato non ha ottenuto effetto. Dubito che possiamo fare altro per lui. Ho consultato altri miei insigni colleghi e anche loro sono dello stesso parere.” Poi rimase in attesa.
“Vi ringrazio per le vostre cure, fate tutto il possibile per alleviare le sue sofferenze. Solo questo vi chiedo” lo congedò Margherita.
Le lacrime cominciarono a scorrere sulle gote della giovane duchessa.
Quando era giunta a Ferrara  nel febbraio 1579, giovinetta di quindici anni, non era stata felice di queste nozze con un uomo molto più anziano, ma le attenzioni del duca l’avevano conquistata ed ora si poteva dichiarare molto felice per questa unione anche se non era riuscita a dare al marito il tanto sospirato erede.
La duchessa si sedette allo scrittoio, posto di fronte alla finestra, aprì un cassetto e prese un foglio, intinse la punta della penna nel calamaio e cominciò a scrivere
 
         Alla Eccellentissima Lucrezia d’Este duchessa d’Urbino
Mi duole informarvi che vostro fratello è già da due giorni a letto con una febbre che non vuole lasciarlo.
I medici non danno molte speranze.
                                                                           Margherita  Gonzaga d’Este
           duchessa di Ferrara Modena e Reggio
 
Reggio , Via della Ghiara
21 ottobre 1597
La costruzione della basilica dedicata alla madonna  era stata inaugurata nel giugno del 1597, alla presenza del duca Alfonso e di sua moglie Margherita e dell’intera corte ferrarese, e i lavori erano stati affidati a Francesco Pacchioni, architetto e scultore.
“Messer Francesco” disse una bionda donna la cui età era difficile da decifrare, per il suo fisico esile  ed aggraziato la si poteva definire fanciulla ma le rughe attorno ai begli occhi azzurri e la lentezza nel camminare la collocavano tra le persone più mature.
Lucrezia d’Este della Rovere, duchessa di Urbino avrebbe compiuto sessantadue anni tra meno di due mesi.
“Madonna ditemi” rispose prontamente il giovane architetto.
“Perdonatemi  ma anche oggi vorrei pregare di fronte all’immagine della santa vergine, potreste far interrompere i lavori in quell’area?” chiese la duchessa
“Certamente, se permettete vi accompagnerò io stesso” disse porgendogli il braccio e cominciando a incamminarsi fra i molti artigiani che lavoravano.
“Sarà maestosa” esclamò la duchessa contemplando gli operai al lavoro
“Sono molto fiero del progetto, il tempio sarà a croce greca con larghezza di 45 metri e lunghezza di circa 60” poi fece fermare la duchessa e mostrandole il cielo terso continuò “proprio qui, al centro della croce sorgerà una cupola con lanterna. Poi ai quattro angoli rientranti della croce ci saranno altrettanti spiazzi quadrati sormontati da altrettante cupole” indicandole gli angoli.
“Avevo visto i progetti ma vedendolo costruire mi sembra ancora più maestoso” si complimentò la duchessa.
Nel frattempo erano giunti all’immagine della madonna e l’architetto si inchinò e lasciò la duchessa alle sue preghiere.
La duchessa non era arrivata neppure alla metà del suo rosario quando una delle sue dame che era rimasta nel monastero la raggiunse con una lettera fra le mani.
La dama era imbarazzata non voleva disturbare la preghiera della sua duchessa ma il messo che aveva recapitato la lettera le aveva detto che era urgente. Si avvicinò cautamente e facendosi il segno della croce si inginocchio accanto alla duchessa. “Mia signora, perdonatemi l’interruzione ma questa è arrivata poco fa’ da Ferrara. Hanno detto che è urgente” disse porgendo la lettera alla duchessa.
Lucrezia interruppe il rosario e prese la lettera, il sigillo della cognata produsse un sorriso amaro sul bel volto.
Lucrezia ruppe il sigillo e lesse le poche righe, il sorriso scomparve lasciando il posto ad una preoccupazione mista a sollievo, voleva bene a suo fratello ma negli ultimi anni molte cose erano accadute che avevano trasformato l’amore fraterno in disprezzo e in alcuni casi anche in odio.
Comunque appena letta la lettera si fece il segno della croce, si alzò e rivolgendosi alle sue dame “Andate a preparare i bagagli ed ordinate alla scorta di disporre la carrozza. Dobbiamo tornare subito a Ferrara”.
 
Ferrara, Palazzo ducale
22 ottobre 1597
Era notte inoltrata quando la carrozza della duchessa Lucrezia attraversò il portone di ingresso del palazzo ducale di Ferrara.
La duchessa scese, visibilmente stanca per il viaggio, e faticosamente salì l’ampio scalone che conduceva alle camere ducali, al primo domestico che incontrò chiese “Dov’è la duchessa Margherita?”. Il cameriere inchinandosi “Nelle sue stanze mia signora”.
Appena giunta nell’ala riservata alla duchessa si fece annunciare e subito fu introdotta nella camera da letto dove trovò sua cognata già con la veste da camera.
“Pensavo di trovarvi al capezzale di mio fratello?” inveì  immediatamente contro la cognata senza neppure salutarla.
“Buona sera, cognata” esordì Margherita poi continuò sconfortata “Vostro fratello mi ha mandato via. Desidera accanto a se solo i medici e Don Cesare”
“E’ assurdo, venite, voglio vedere mio fratello” fu la risposta di Lucrezia che già si stava dirigendo verso la porta.
“Non credo sia una buona idea. I medici consigliano di non farlo agitare. Aspettate domani mattina” cercò di fermarla la duchessa Margherita.
“Ora” fu la risposta di Lucrezia e Margherita fu costretta a seguirla.
________
 
Proprio mentre le due duchessa stavano giungendo alle stanze del duca Alfonso la porta della camera da letto ducale si aprì e ne uscì un uomo sulla trentina, capelli, baffi e pizzo scuri, fisico asciutto, era Cesare d’Este, marchese di Montecchio.
Il Marchese appena vide le due donne si fermò e inchinandosi “Madonna Lucrezia, Madonna Margherita cosa ci fate qui a quest’ora tarda?”
Margherita tentò di rispondere ma Lucrezia fu più rapida “Voglio vedere mio fratello” fu la sua risposta secca.
“Il duca sta’ riposando e poi, come ho già detto prima alla duchessa Margherita, il duca Alfonso non desidera essere disturbato” continuò Don Cesare.
Lucrezia cominciava ad innervosirsi “Cosa avete detto a mia cognata non mi interessa, Voglio vedere mio fratello e lo vedrò. Ora” e senza neppure salutare aprì la pesante porta ed entrò.
Margherita guardò sconsolata Don Cesare “Mi spiace, conoscete bene il carattere di madonna Lucrezia. Speriamo solo che Alfonso non si inquieti”.
“Speriamo” stava dicendo Don Cesare quando dalla stanza si sentì la voce di Lucrezia “Margherita venite”.
_____
 
La stanza era avvolta nella penombra, solo poche candele illuminavano la zona del letto.
La robusta figura del duca quasi scompariva nell’enorme letto, era visibile solo il volto, smagrito e pallido.
Appena le due dame entrarono il dottore gli andò incontro “Madonne” disse inchinandosi.
“Come sta’ il duca? domandò Lucrezia.
“Ha sempre la febbre molto alta e purtroppo non riusciamo ad abbassarla. Abbiamo provato tutto. Non ci resta che attendere” rispose il dottore.
“La morte” disse Lucrezia incamminandosi verso il letto del fratello.
“Alfonso, non potete morire ora. Non potete lasciare Ferrara a Don Cesare. Rispondetemi, lo so’ che siete sveglio e mi sentite. Per l’amore che mi avete portato e che vi ho portato, non fatemi questo. Non lasciate il vostro ducato, il ducato che è stato di nostro padre e prima di lui di suo padre a Don Cesare, è solo il figlio di un bastardo di nostro nonno. Se non porrete rimedio lo farò io. Ve lo prometto.” Lucrezia gli parlava ma il duca sembrava non udirla.
“Lucrezia vi prego lasciate stare Alfonso. Vedete, sta’ riposando, non può udirvi.” Margherita si era avvicinata e con la maggior cautela possibile cercò di allontanare Lucrezia dal marito.
“No, è sveglio. Faceva così anche quando eravamo piccoli e non voleva ascoltare. Vero Alfonso che mi senti?” Lucrezia cominciò a prendergli la mano e a scuoterla, ma il duca non reagiva.
Intervenne il medico “Madonna, vi devo chiedere di lasciare la stanza. Non potete disturbare così il duca”
“Me ne vado. Ma tornerò” disse irritata Lucrezia lasciando la stanza.
La duchessa Margherita baciò la fronte del marito, salutò il dottore e seguì la cognata.
Mentre le due donne uscivano Don Cesare rientrava.
Appena la porta si fu chiusa alle spalle delle due donne il duca Alfonso aprì a fatica gli occhi e disse “Non le fate entrare mai più” poi facendo avvicinare Don Cesare gli sussurrò all’orecchio “Guardatevi da mia sorella, vi causerà gravissimi danni.” poi richiuse gli occhi.
 
23 ottobre 1597
Appena sveglia la duchessa Margherita fece una frugale colazione e dopo essersi vestita si diresse verso gli alloggi del duca suo marito.
Come al solito le stanze erano semivuote, la successione di Alfonso aveva causato molti attriti e questa era la conseguenza, il duca Alfonso nei suoi ultimi giorni era stato lasciato solo.
Margherita aprì la porta della stanza da letto, le candele erano state spente ma le finestre erano rimaste chiuse, all’interno della stanza c’era un odore nauseabondo.
Appena entrata Margherita dovette coprirsi il naso con il fazzoletto impregnato di profumo “Vi prego aprite le finestre” ordinò poi si avvicinò al marito e prendendogli la mano domandò “Come vi sentite?”.
Il duca aprì a fatica gli occhi e uno spasmo di dolore gli attraversò il volto già segnato dalla malattia, “Cosa ci fate voi qui? Avevo dato ordine di non farvi più entrare”.
Margherita rimase scioccata dalle parole del marito “Ma Alfonso perché dite queste cose? Sono vostra moglie e mi preoccupo per voi”.
“No,  andate e non tornate più. Non avete più nulla da fare qui” fu la secca risposta del duca a cui non era possibile replicare.
Margherita , trattenendo a stento le lacrime, obbedì. Appena uscita dalla stanza si coprì il volto con il velo e correndo si diresse nelle sue stanze dove, buttandosi sul letto, scoppiò a piangere.
 
27 ottobre 1597
Già da molti giorni gli unici che potevano entrare all’interno della camera da letto ducale erano i medici, il segretario Laderchi, don Cesare d’Este e il conte Ercole Mosti.
Mentre i medici si affaccendavano per dare un po’ di sollievo agli ultimi giorni del duca, il conte Mosti si avvicinò a don Cesare “Don Cesare, venite, vi devo parlare in privato, allontaniamoci.”
E appartatisi in un angolo il conte cominciò “Ormai sappiamo che il duca sta’ morendo, i medici sospettano che gli restino solo poche ore di vita. Conosciamo tutti bene l’opinione che il duca ha della sorella e in molte occasioni aveva ipotizzato l’intenzione di sopprimerla. Ora che il governo passerà nelle vostre mani, quella donna sarà ancora più pericolosa. Conoscete bene l’avversione verso la vostra famiglia. Se la vostra intenzione e di seguire l’intento del duca Alfonso, contate su di me”.
Don Cesare ascoltò attentamente e proprio mentre stava per dare la sua risposta si avvicinò il segretario Laderchi che aveva udito il discorso del conte “Marchese, non potete macchiarvi di un si atroce delitto proprio all’inizio del vostro governo. E’ vero il duca in più di un occasione aveva ipotizzato la soluzione proposta dal conte ma come vedete non l’ha mai attuata.”.
Don Cesare rimase pensieroso e mentre rifletteva si sentì chiamare dal duca Alfonso “Don Cesare, dove siete? Vi devo parlare”.
Alla voce del duca don Cesare lasciò i due uomini e raggiunse il letto del moribondo “Eccomi mio signore, ditemi”.
Con la poca forza rimastagli il duca cominciò “Dio mi chiama all’altra vita e come cristiano mi rassegno alla sua volontà.  Vi ho fatto e vi faccio erede di tutto quanto possiedo. Vi prego, fate tutto il possibile per conservare questo stato, che i miei predecessori mi trasmisero e io con tanta fatica mantenni. Mostratevi, in tutto, un successore degno di me”.
Il campanile della chiesa stava suonando i quattro rintocchi del pomeriggio quando Alfonso II ‘Este, duca di Ferrara, Modena e Reggio spirò l’ultimo respiro.
 
  
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