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Autore: nefert70    26/09/2012    0 recensioni
Il 27 ottobre 1597 muore, senza eredi legittimo, Alfonso II d'Este.
E' la fine della dinastia estense a Ferrara...
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Ferrara
28 ottobre 1597
Chiesa del Corpus Domini
 
Il corpo del duca era stato immediatamente preparato, vestito sontuosamente ed esposto nella chiesa del Corpus Domini, ed era rimasto esposto all’omaggio del popolo ferrarese solo per un giorno.
La sera successiva dal palazzo ducale un piccolo corteo comprendente la giovane duchessa vedova e la sorella del duca raggiunse la chiesa dove il vescovo pronunciò una veloce e poco accorata orazione funebre. La salma del duca portata da quattro facchini con quattro torce fu tumulata all’interno della chiesa.
Mai un duca di Ferrara aveva avuto un funerale cosi sotto tono, la duchessa Margherita era l’unica sinceramente addolorata, il velo nero calato sul viso veniva velocemente sollevato solo per asciugare le lacrime.
La duchessa Lucrezia al contrario non versò un lacrima, per tutta la durata della cerimonia funebre non aveva tolto gli occhi furenti di odio dal volto del nuovo duca.
Il duca Cesare, da parte sua, non sembrava ne addolorato ne sollevato, solo preoccupato.
________________
 
Palazzo ducale
La sala delle udienze era gremita dei nobili ferraresi, il nuovo duca, dopo la celebrazione del funerale del defunto duca aveva ordinato a tutti i nobili di prestagli giuramento.
Ad uno ad uno i nobili eseguirono l’ordine, si inchinarono e giurarono fedeltà al nuovo duca.
Solo il vescovo cittadino, Giacomo Fontana, non presenziava alla cerimonia, fedele ai suoi principi e al volere papale.
Perfino la duchessa Lucrezia era presente e offrì il suo giuramento, subito dopo ritornò al suo posto accanto al conte Cesare Trotti, il più acerrimo contestatore del potere di Don Cesare d’Este.
“Ha voluto il giuramento e lo ha ottenuto ma questo non significa nulla. Giusto conte?” Lucrezia aveva parlato con un filo di voce all’orecchio del conte.
“Avete perfettamente ragione, madonna. Ho già inviato un messaggero a sua santità. Aspettiamo che ci indichi il comportamento da tenere” fu la risposta del conte.
 
 
Ferrara – Palazzo Ducale
29 ottobre 1597
Don Cesare si era appena affacciato al balcone della loggia ducale da dove  il popolo ferrarese lo aveva acclamato, seppur molto tiepidamente, nuovo duca.
Rientrato si era diretto allo studio dove lo attendeva il segretario Laderchi.
“Vostra altezza, avete avuto il riconoscimento da parte del giudice dei Savi, quello del popolo e dei nobili, mi duole dirvi di non illudervi. Roma non resterà a guardare. Mi sono già giunte notizie sull’intenzione di Sua Santità e non sono decisamente a Vostro favore”.
Il duca Cesare si accasciò sconsolato sulla sedia del suo predecessore, “Cosa mi consigliate di fare? Pensate sia possibile una negoziazione?”
“Possiamo tentare” rispose Laderchi “esaminerò i possibili candidati all’operazione e poi vi farò sapere”
Il duca continuò a parlare, forse più a se stesso che al segretario “Don Alfonso mi ha nominato erede ma non ha posto le basi perché io possa esserlo. Per quanto abbia tentato di ottenere l’approvazione papale non ha fatto in modo che i nobili mi fossero fedeli. Se dovessimo arrivare ad uno scontro armato, quanto dei nobili presenti al giuramenti sarebbero tra le mie file e quanti in quelle papale?”
 
Roma – Santa Sede
 
Il Cavalier Gualengo entrò timoroso nella grande sala delle udienze, questa volta temeva ciò che Sua Santità doveva dirgli.
 
Appena giunto di fronte al trono pontificio si inchinò e baciò la pantofola di Sua Santità Clemente VIII.
 
“Sua Santità mi ha fatto chiamare?”
 
“Ci è appena giunta la notizia della dipartita del duca Alfonso. Vi invito a persuadere Don Cesare a non voler contrastare la volontà Apostolica.  Comunicate a Ferrara che la Santa Sede è disposta ad offrire a Don Cesare larghe concessioni, a creare Cardinale il fratello purchè non si faccia nominare duca e ci costringa a procedere con rigore.”
 
Sua Santità fu breve e deciso, detto ciò porse la mano all’ambasciatore e lo congedò.
 
 
4 novembre 1597
Sua Santità Clemente VIII guardava dalla finestra il cielo plumbeo e non si accorse dell’arrivo del suo segretario.
“Vostra santità” lo chiamò per la prima volta nelle vicinanze della porta, poi avvicinandosi ripetette “Vostra santità” e solo allora il papa si girò.
“Eminenza non vi avevo sentito bussare. Ero immerso nei miei pensieri. Il problema di Ferrara non mi dà tregua.”
“Vi capisco Santità. Sono qui proprio per questo”.
Poggiando una grande pergamena sulla scrivania continuò “Questo è l’edito che dichiara formalmente devoluto il ducato di Ferrara alla Chiesa”. Poi poggiandone un secondo continuò “Questa invece è l’intimazione al duca Cesare a lasciare immediatamente la città. Verrà affissa in tutte le strade di Roma e spedita in tutte le città dello Stato. Tre nunzi apostolici sono già pronti per consegnare copia dell’editto a  tutte le corti cattoliche.”
Il Papa prese in mano i due fogli “Credete basterà?”
“Purtroppo dubito che Cesare D’Este andrà via da Ferrara” rispose il cardinale.
“Bene, allora dobbiamo anche cominciare a reclutare nuove milizie dentro e fuori lo stato pontifico, dobbiamo essere pronti a prenderci ciò che ci appartiene. Se necessario con la forza.” Concluse il Papa riconsegnando i documenti al cardinale.
Ferrara – Palazzo Ducale
20 novembre 1597
Il duca Cesare non era mai stato un uomo molto risoluto e il peso del governo di un ducato era per lui troppo gravoso.
La sera era sempre sfinito, la duchessa Virginia lo vedeva rientrare negli appartamenti ducali ad un’ora sempre più tarda e sempre più pensieroso. Era seriamente preoccupata.
Quella sera non resistette e mentre il marito si riposava davanti al camino gli si andò a sedere di fronte.
“Cesare mi preoccupate, non Vi avevo mai visto così. Capisco che il governo di una città e tutto quello che ha comportato sia molto pesante per Voi. Ma cosa posso fare per alleviare il vostro peso?”
Cesare la guardò, sorridendole debolmente “Mia cara, come vorrei poteste fare qualcosa. Purtroppo ormai tutto è perduto. Proprio oggi ho ricevuto la notizia che il messi che avevo inviato al Papa non sono stati neppure ascoltati. Qualsiasi negoziazione è preclusa. Non resta che la resistenza armata. Ma non avrei mai voluto arrivare a tanto. Le casse dello stato sono esauste. Uno dei miei primi atti dovrà essere l’aumento delle gabelle. Come potrà il popolo ferrarese amare un tale duca?”
Cesare si alzò e si inginocchiò di fronte alla moglie “Per contrastare l’esercito papale dovremo fortificare borgo San Luca, irrobustire i presidi militari delle zone di confine e poi dovrò difendere la Romagna. Ho già dato l’ordine di inviarvi ottomila soldati. Come pensate risponderà Sua Santità a tutto questo?”
Poi alzandosi baciò la moglie sulla fronte e si diresse verso la sua camera da letto “Ora andate a dormire”.
Virginia rimase a lungo davanti al camino, le lacrime cominciarono a scorrere prima piano, poi sempre  più copiose dai begli occhi scuri della duchessa, poi si alzò e raggiunse anche lei la propria camera.
 
Roma – Piazza San Pietro
22 dicembre 1597
 
Piazza San Pietro era gremita, i popolano si mischiavano ai signori  e tutti erano in attesa dell’apparizione del Pontefice alla finestra dalla quale solitamente impartiva le benedizioni, solo che questa volta non si trattava di una benedizione, il popolo romano sapeva bene che ci sarebbe stato un annuncio di guerra, ormai erano diversi giorni che per le strade di Roma circolava la voce che il duca Cesare d’Este non aveva dato seguito all’intimazione papale a lasciare il ducato e i romani sapevano che sua Santità Clemente VIII non era persona da lasciar correre così, aveva minacciato la presa delle armi e ora avrebbe mantenuto la promessa.
Piazza San Pietro, nonostante la moltitudine di persone, era silenziosa, tutti erano in tacita attesa.
Le alte porte della basilica si aprirono e ne uscì un drappello di soldati nella tipica divisa a strisce e si posizionarono proprio sotto la finestra del Papa, era giunto il momento.
La finestra venne aperta da due sacerdoti e Sua Santità Clemente VIII apparve circondato dai cardinali. Dopo aver benedetto la folla un ecclesiastico cominciò a leggere la bolla di scomunica di Cesare d’Este..

Clemente Vescovo, servo dei servi di Dio, a futura memoria sulla questione.
Egli che regna nell'alto dei Cieli, a cui è dato ogni potere in cielo ed in terra, ha affidato la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, al di fuori della quale non c'è salvezza, ad uno solo in terra, cioè al principe degli apostoli Pietro, e al successore di Pietro, il pontefice di Roma per essere da costui governata con pienezza di potere. Costui e solo costui è stato costituito principe di tutte le genti e di tutti i regni, per erigere, demolire, disgregare, disperdere, impiantare e costruire, perché possa preservare il suo fedele popolo, cinto dal legame reciproco della carità, nell’unità dello Spirito e presentarlo salvo ed incolume al suo Salvatore.
Obbedendo a tale dovere, noi chiamati per bontà di Dio al governo della suddetta Chiesa, non tralasciamo alcuna fatica, adoperandoci con ogni sforzo, affinché la stessa unità sia conservata integra.
Ma il numero degli empi è cresciuto, fra questi è subentrato Cesare D’Este che si è dimostrato nemico della chiesa, occupando il trono, sta usurpando con atti mostruosi a suo favore il luogo del supremo comando della Chiesa nonché la sua più alta autorità e giurisdizione, riconducendo lo stesso regno, ad una misera condizione
Essendo tutti questi fatti ben palesi e noti a tutte le nazioni, cosicché non vi è più spazio rimasto per giustificazioni, difese o temporeggiamenti, d’innanzi all’empietà di detto Cesare D’Este, siamo costretti dalla necessità a levare contro di lui le armi della giustizia, non potendo placare l’indignazione. Sorretti dunque da quella Autorità che volle collocarci su questo supremo trono di giustizia permettendo tale dismisurato onere, in pienezza della potestà apostolica, dichiariamo tale Cesare scomunicato. In aggiunta, dichiariamo il medesimo Cesare, con il predetto diritto, privato del regno, così come di ogni dominio, dignità e privilegio; nonché solleviamo i nobili, i sudditi ed i popoli di questo regno, e tutti gli altri uomini, e coloro che hanno in qualche modo prestato giuramento, e noi stessi con la presente autorità, dal rispettare ogni altro suo potere, fedeltà e debito, ora e per sempre. Raccomandiamo ed ordiniamo a tutti e ai singoli nobili, ai sudditi, ai popoli e agli altri già detti, di non obbedire ai suoi ordini né alle sue leggi. Coloro che agissero diversamente, li includiamo nella sentenza della stessa scomunica.Poiché sarebbe in realtà troppo difficile che tali atti venissero portati ovunque sarebbe necessario, vogliamo che le copie di questi, effettuate per mano di un pubblico notaio e sigillate con il sigillo di un prelato ecclesiastico di questa curia, abbiano validità in ogni procedura giuridica, e in qualunque località presso qualunque popolo, nel caso siano esibite o esposte
 
Dato a Roma presso il santuario di Pietro, nell’anno dell’incarnazione del Signore 1597, il 22 dicembre, nel quinto anno del nostro pontificato
 
 
 
 


Appena terminata la lettura il Papa prese dalle mani del suo segretario un grande cero acceso e lo lanciò dalla finestra nello stesso momento cominciarono a risuonare suoni di trombe, tamburi e salve di cannoni.
La folla spaventata lanciò un urlo poi tacque nuovamente in attesa delle parole del santo padre.
“Si può procedere con la campagna militare” poi benedisse nuovamente la folla, si girò e rientrò nei suoi appartamenti.
 
Ferrara – Cattedrale
25 dicembre 1597
Nella notte la neve era caduta copiosa sulla città rivestendola di un manto candido.
Il duca, accompagnato dalla moglie e dai figli era giunto in chiesa molto presto, attraversando il breve percorso che divideva la cattedrale dal palazzo ducale a piedi.
Monsignor Fontana stava benedicendo l’ostia quando le porte si aprirono e un gelido vento entrò a far rabbrividire tutti i presenti.
Un Messo scortato da quattro guardie papali varcò l’entrata e si diresse verso l’officiante.
“Come osate?...” il duca tentò di fermare gli indesiderati ospiti ma fu subito fermato e costretto a rientrare al suo posto.
Il messo consegnando una pergamena al vescovo pronunciò solo “Leggete”.
Monsignor Fontana srotolò il foglio e alzando li occhi verso il duca scosse il capo poi cominciò la lettura della scomunica.
La duchessa cominciò a tremare e strinse forte la mano del marito.
“Non intendo continuare ad ascoltare” si alzò e porgendo la mano alla moglie attraversò  la navata e uscì.
 
Ferrara – Palazzo Ducale
26 dicembre 1597
Il duca Cesare era seduto nella sala delle udienze in attesa dell’arrivo dei membri delle più autorevoli famiglie di Ferrara, li aveva convocati per decidere come affrontare la nuova situazione che si era venuta a creare.
L’ora dell’incontro però era già trascorsa da oltre quindici minuti e nessuno si era presentato, i suoi timori si stavano materializzati. La scomunica non era più così grave come al tempo degli Svevi ma comportava la diminuzione della fedeltà dei sudditi e così era accaduto anche a lui.
Il suo animo era già vacillante e timoroso di natura, Cesare non si era mai fato illusione di essere un duca forte come i suoi predecessori ma questa scomunica lo sprofondava ancora di più nel suo smarrimento.
La porta si aprì e per un attimo il duca si illuse che le nobili famiglie fossero al suo fianco, invece entrò solo Laderchi.
“Quali nuove?” domandò con la voce spezzata.
“Purtroppo nulla di buono, Sua maestà cattolica non ha ancora rivelato i suoi intendimenti mentre abbiamo ricevuto notizia che Comacchio e Cento si sono ribellate. Gli ambasciatori di Francia, Parma e Mantova ci hanno tolto il loro appoggio e si dichiarano favorevoli al Papa. Venezia si dichiara neutrale. L’esercito papale sta attraversando il ducato d’Urbino e entro domani sarà ai confini dello Stato”
Il duca si alzò e si diresse verso la finestra “Cosa mi resta da fare? Le casse dello Stato sono vuote. L’esercito è mal provvisto e disorganizzato, sempre se mi è ancora fedele. Anche i nobili congiurano alle mie spalle. Che soluzioni mi restano?” Il duca tornò verso la poltrona e sedendosi mise le mani alle tempie, poi continuò “ Fatemi solo un altro favore, convocate padre Palma ho bisogno di confessarmi.”
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Stanze del Duca
Il duca era inginocchiato di fronte al crocifisso in tacita preghiera, gli occhi chiusi, la testa bassa e le mani congiunte, quando sentì bussare alla porta, si alzò ed andò ad aprire.
“Padre Palma entrate, vi aspettavo con ansia” baciando la mano del gesuita.
“Figliolo, conosco il vostro cuore e i problemi che lo assillano, sediamoci e ditemi tutto”
Si accomodarono uno di fronte all’altro, vicino al grande camino acceso, per un po’ Cesare rimase in silenzio poi cominciò a parlare.
“Padre, ormai tutto è perso. Anche voi la pensate come me? Tutti lo pensano. Volevo mantener fede alle promesse fatte al duca Alfonso ma purtroppo non so più come contrastare sua Santità.” Sospirando continuò “Cosa mi consigliate?”
“Il buon duca Alfonso non vi potrà certo accusare di non aver tentato il tutto per tutto. Ma ormai la situazione è diventata insostenibile. Dovete fare tutto per evitare una guerra che avete già perduto in partenza. Sapete, Voi stesso, benissimo di non poter contare sulla fedeltà dei sudditi, dopo la vostra scomunica. Non vi resta che una sola soluzione. Venire a patti con Papa”
“Venire a patti. Cedere su tutti i fronti, vorrete dire?”
“Perché cedere su tutto. Il Papa non ha potere su Modena e Reggio. Trovate un paciere degno di fiducia e dategli ampi poteri. Qualcuno che sia vicino alla Santa Sede e non sia incorso nelle censure ecclesiastiche”
“Chi padre, chi? A Roma il cavalier Gualengo aveva già tentato di mediare ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti. A chi posso affidare i pieni poteri?”
“Conosco il malanimo che intercorre tra madonna Lucrezia e voi. Forse è giunto il momento di porvi rimedio e chiedere il suo aiuto. La duchessa, sorella del nostro defunto duca, è principessa religiosa e ben informata negli affari politici. Quale intermediario migliore di lei?”
“Conoscete bene il risentimento di Madonna Lucrezia nei confronti di mio padre e quindi miei. Ritenete che sia capace di accantonarli per il bene del ducato. Io temo possa approfittarne per vendicarsi”
“Cosa avete da perdere, ormai è già tutto perduto. Il ducato integro non potrete mai mantenerlo e sono sicuro che madonna Lucrezia tenterà di ottenervi le condizioni migliori. Vi fidate di me?”
“Certo padre. Mi fido di Voi e mi fiderò di mia cugina.”
 
Ferrara – Palazzo Ducale
27 dicembre 1597
Il duca Cesare era appena rientrato dalla solita messa mattutina quando il segretario Laderchi lo trovò seduto alla poltrona nello studio ducale.
“Avete chiesto udienza alla duchessa per mio conto?”
“Si Vostra altezza. La duchessa vi attende. Potete raggiungerla nel suo studiolo anche ora”
“Bene, vado immediatamente”.
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La duchessa Lucrezia attendeva il cugino nel suo studiolo, continuava a torturarsi le mani e non riusciva a rimanere ne seduta ne alzata.
Quando udì bussare alla porta per un momento il cuore le si fermò, il momento era giunto.
“Cugino caro, entrate. Vi stavo attendendo con ansia. Cosa vi porta così di buona mattina nelle mie stanze?”
Cesare si inchinò e baciando la mano che Lucrezia gli porgeva “Cugina ho da parlarvi di cose molto urgenti”
“Accomodatevi”.
Lucrezia si sedette sulla poltrona, lisciando la seta della gonna e poggiando le mani in grembo attese che si sedesse anche Cesare e cominciasse a parlare.
“Mi cara cugina, conoscete molo bene la situazione che si è venuta a creare tra il nostro ducato e Sua  Santità. Vostro fratello ha ritenuto di eleggermi suo successore  e ritengo, non sbagliando. E’ vero mio padre è nato illegittimo ma vostro nonno, nostro nonno, prima di morire sposò mia nonna e legittimò mio padre. Ritengo quindi di essere nel mio pieno diritto quando rivendico il trono ducale. Conosco molto bene le animosità che intercorrevano tra voi e mio padre, ma voglio sperare che, per il bene del ducato vogliate seppellirle. Sono qui ha chiedervi di intercedere per nostro conto presso la santa sede in merito alla contesa che ne è sorta.”
Cesare parlò tuto d’un fiato e poi tacque. Per un lungo momento anche la duchessa tacque poi si alzò e raggiunse la finestra, guardando la città ancora parzialmente addormentata “Il mio desiderio più grande e i trascorrere qui i miei ultimi giorni, nella città dove sono nata e vissuta. Farò tutto quanto in mio potere perché non mi si costringano a lasciarla. Partirò immediatamente per incontrare il cardinale legato purché voi mi conferiate pieni poteri.” Poi si rigirò e guardò Cesare fisso negli occhi.
Cesare si alzò e la raggiunse, prendendole la mano “Vi ringrazio cugina. Ogni cosa voi concorderete sarà ben fatta. Posso solo chiedervi di farvi accompagnare, in questo difficile viaggio, dal Cavalier Gualengo, conosce molto bene molti cardinali e vi potrà essere di aiuto.”
“Sarà per me un onore garantirmi il suo aiuto”.
 
  
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