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Autore: kaminari    02/08/2012    1 recensioni
{MinKey} , {JongKey}
Ma tra le tante persone che non andavano a genio a Kibum, ce n’era una che non riusciva a non detestare. Era un ragazzo della sua classe: Choi Minho.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel primo pomeriggio, Kibum si ricordò delle attività del club. Doveva andarci per forza, era come vincolato. Non avevano fatto una promessa verbalmente, ma gli sembrò che Jonghyun l’avesse presa come tale.
Come un idiota, si era dimenticato di chiedere in che aula si svolgessero le attività. A ciò si sommava il fatto che Kibum non conoscesse ancora bene l’ambiente, e nel giro di qualche minuto si perse.

La palazzina in cui si trovava in quel momento sembrava deserta. Quando si fermò, ci fu il silenzio più assoluto. Una volta che l’eco dei suoi passi si fu completamente disperso, tese l’orecchio e gli sembrò di sentire un pianoforte suonare; forse ce l’aveva fatta.
Corse nella direzione della melodia, sbagliò un paio di volte aula, ma alla fine entrò in quella con il pianoforte. Non si stupì più di tanto nel vedere che colui che lo stava suonando era Jonghyun, ma la cosa che lo lasciò più perplesso era che non c’era nessun’altra anima viva nell’aula. Solo lui, Jonghyun e il pianoforte. E un paio di sedie capovolte su dei banchi rovinati.

«Ehi, Kibum!» disse sorridendo, anche se i suoi occhi non erano affatto tesi. Quel sorriso aveva un che di malinconico.
«Hyung… Dove sono gli altri?» domandò Kibum, leggermente preoccupato.
Jonghyun sospirò, tenne un accordo per molto tempo con il pedale del forte, poi lasciò la presa e si voltò verso Kibum, senza alzarsi dallo sgabello. Aveva la schiena incurvata e ciò gli conferiva un’aria da poveraccio.
«Non ci sono. Non esistono. Siamo gli unici membri del club della musica… a quanto pare.»
Sospirò un’altra volta.
Kibum rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire. Jonghyun era palesemente demoralizzato e lui non aveva idea di cosa si facesse in situazioni simili, quando un semi-sconosciuto è giù di corda. Confortarlo come si fa con gli amici intimi sarebbe stato troppo confidenziale. Ignorarlo completamente sarebbe stato da insensibili. Alla fine si lasciò guidare dall’istinto. Tossì un paio di volte, poi prese una sedia e si mise accanto al più grande.
«Beh, tanto meglio per me, no?» disse alla fine, sfoderano un sorriso furbastro.
Jonghyun ridacchiò come suo solito e Kibum fu sollevato nel vedere che era riuscito a tirarlo un po’ su.
«Bene, allora da dove vogliamo cominciare?»
«Suona qualcosa.» fece Kibum senza esitazioni, né ‘per favore’.
Jonghyun rimase per qualche secondo sconcertato dalla sfrontatezza del più giovane, ma anziché rimproverarlo, si mise nuovamente a ridere alla sua maniera.
«S-scusa, hyung! Non volevo risultare scortese…»

Jonghyun non rispose, almeno non a parole. Iniziò  a suonare una melodia leggera e dolce, che aveva un tono prepotente di nostalgia. Alle orecchie di Kibum, suonava come qualcosa di meraviglioso. Non riusciva a smettere di fissare le mani di Jonghyun che si muovevano veloci sui tasti bianchi e neri. A momenti sembrava come se li stesse accarezzando, altre volte, aggredendo. Sussultò appena, quando con uno scatto velocissimo, Jonghyun era passato alle ottave più basse, vicino a dove era seduto lui.
La melodia cominciò a farsi più intensa, il ritmo sempre più incalzante, sempre di più… Il ragazzo riprese a suonare il riff iniziale, con molto più vigore, quasi volesse ferire a morte il pianoforte, innocente complice. L’ultima parte della melodia era un miscuglio di mistero e inquietudine, puntinato qua e là di passione. Le dita erano quasi invisibili agli occhi di Kibum, per quanto erano veloci.

Quando Jonghyun smise di suonare, alzò lo sguardo che era ancora assorto nella melodia, ma sgranò gli occhi, quando incontrò quelli di Kibum.
«Ehi! Va tutto bene?» chiese preoccupato, avvicinandosi a lui.
Kibum non capiva del perché di quella reazione improvvisa, così si limitò a rispondere tranquillamente.
«Uh? Sì, sto bene…»
Jonghyun nel frattempo aveva pescato un fazzoletto di carta dalla tasca dei pantaloni della divisa. Non lo porse a Kibum, ma si avvicinò al suo viso e cominciò a sfregarlo.
«Che… stai facendo?» chiese Kibum, che stava per implodere dall’imbarazzo. Non poteva saperlo con certezza, ma aveva il presentimento che il suo viso fosse diventato rosso.
«Ti asciugo le lacrime, no? Sta’ fermo.» rispose l’altro, con un tono sempre più preoccupato.
“Lacrime?” si disse Kibum. Si portò una mano sul viso e poté constatare che Jonghyun non stava farneticando: il suo viso era rigato da lacrime, calde lacrime. In uno scatto, prese il fazzoletto dalle mani del ragazzo e indietreggiò asciugandosi gli occhi.

«Che figuraccia…» si disse ad alta voce. Rise per sdrammatizzare e Jonghyun seguì il suo esempio.
«Va tutto bene, hyung. Credo di essermi… commosso… un po’…» continuò, evitando lo sguardo dell’altro per la vergogna.
«Ahh, che carino!» esclamò il più grande, pizzicandogli una guancia. Kibum sprofondò nell’imbarazzo.
«Vuol dire che ti è piaciuta la canzone, vero? Ne sono felice.» Sorrise a trentadue denti.

I due passarono un bel po’ di ore a suonare, cantare e a scambiarsi opinioni varie. Kibum si sentiva a suo agio con Jonghyun, nonostante l’imbarazzo iniziale. Era felice di aver trovato una persona con cui parlare serenamente di qualsiasi cosa e gli faceva piacere che anche per l’altro ragazzo fosse così. Fuori dalla finestra era già quasi buio e fu lì che Kibum si ricordò. Estrasse il tovagliolo sgualcito dalla giacca della divisa. Non lo aprì. Non avrebbe voluto andarsene, ma non presentarsi a casa di Minho sarebbe stata la sconfitta delle sconfitte. Prese coraggio, e si rivolse al suo hyung.

«Mi dispiace, ora dovrei andare, ho una faccenda che devo sbrigare…»
«Non ti preoccupare, Kibum, va’ pure. Avremmo dovuto staccare già un bel po’ fa.»
Jonghyun rise, poi continuò: «Ci vediamo qui anche domani pomeriggio, se ti va.»
Kibum annuì sorridendo, poi salutò il più grande e si chiuse la porta dell’aula alle spalle, lasciando Jonghyun da solo.
“E così siamo rimasti soli…” pensò Jonghyun, probabilmente riferendosi al pianoforte. Cominciò a suonare una melodia molto più delicata della prima, ma non del tutto allegra. Sapeva di tenerezza e malinconia. Non finì nemmeno di suonarla che poggiò gli avambracci sui tasti, provocando un gran frastuono. Posò la testa sulle sue braccia e chiuse gli occhi; aveva un sorriso quasi impercettibile sulle labbra. Impercettibile ma per niente trascurabile.

×××××


Quando Kibum arrivò a destinazione, aveva controllato l’orario, erano le otto e ventisei. Il suo ritardo alimentò l’ansia che provava già prima, al pensiero di dover dare delle ripetizioni a quella spina nel fianco di Minho. Davanti a lui vi era un piccolo cancello di ferro. Era aperto, così decise di entrare senza suonare il citofono. Chiamò un paio di volte il nome del proprietario, ma niente, non rispose nessuno. Arrivato alla porta di casa dopo aver percorso un vialetto di ghiaia, suonò al campanello una, due, tre volte, ma ancora niente. Indietreggiò senza sapere che cosa fare, poi si guardò intorno circospetto. Spiò sul retro della casa dove c’erano delle luci accese.

Fece qualche passo e giunse su una veranda dall’atmosfera calda, decorata con piante e fiori. Al centro, addossate alla parete della casa, c’erano alcune sedie, un tavolino basso e un dondolo da giardino. Su quest’ultimo vi era Minho, che probabilmente era in piena fase REM. Aveva il libro di chimica aperto poggiato sullo stomaco e sembrava che ne avesse ancora per molto, in quanto a sonno. Kibum si lasciò scappare una risata. Si avvicinò a Minho e cominciò a chiamarlo.

«Minho-sshi~… Ooohi.» Niente di niente. Non si mosse nemmeno.
«Minho-sshi? Minho… Minho! YAH! Svegliati!» Nonostante avesse alzato il tono della voce, l’altro non accennava ad aprire gli occhi. Kibum prese una delle corde del dondolo e cominciò a scuoterla, sperando che questa volta Minho si svegliasse. Realizzando che era ancora addormentato, prese a chiamarlo e scosse la corda ancora più energicamente, facendo dondolare pericolosamente il ragazzo che finalmente si svegliò con tutta la calma possibile, non molto cosciente su quanto stava accadendo.
«Ciao, Kibum. Scusa, mi sono addormentato aspettandoti.» disse.

Il ragazzo rimase interdetto per qualche istante. Nonostante il suo colossale ritardo, Minho si era scusato con lui e non l’aveva rimproverato affatto. Poi però si ricordò che aveva di fronte l’infallibile e perfetto super-uomo Choi Minho, che non avrebbe mai osato scomporsi a discapito della sua immagine, perciò non c’era nulla per cui valesse la pena essere sorpresi.

«N-non fa niente… Cominciamo a studiare?» propose Kibum.
«Va bene.»

I due studiarono per più di due ore, fermi, immobili, quasi abbarbicati a quell’odioso capitolo di chimica che a Minho proprio non voleva entrare in testa. Kibum mantenne il suo atteggiamento distaccato per tutto il tempo, anzi, più passava del tempo con quel ragazzo, più era convinto di odiarlo. Sottovalutò un’altra volta le capacità intuitive del compagno di classe, che era ormai consapevole del rancore che provava Kibum nei suoi confronti. Aveva tollerato quell’atteggiamento per parecchio tempo, ma sentiva che non ce l’avrebbe fatta ancora. Così glielo chiese. Gli chiese quella cosa che avrebbe voluto chiedergli praticamente dal primo giorno di scuola.

«…Kibum-sshi, tu mi odi, vero?»

La matita scivolò dalla mano di Kibum, cadendo a terra con un tintinnio che, in quel momento di assoluto silenzio, pareva assordante. Rimase per un paio di secondi con gli occhi leggermente sgranati, fissi sul libro di chimica, poi, a scoppio ritardato, scosse un po’ la testa, come per svegliarsi dalla catalessi, e raccolse la matita. Si schiarì la voce nervosamente.

«Ehm… Perché me lo chiedi?»
Minho si voltò verso Kibum e lo fissò insistentemente per farlo sentire a disagio e per costringerlo a ricambiare lo sguardo. Quando Kibum si voltò, notò che l’espressione di Minho non era classificabile. Non riuscì a definirla perché non rientrava sicuramente nelle espressioni di rabbia e nemmeno in quelle di tristezza, tantomeno in quelle di felicità. Non era neanche neutrale. Forse era un miscuglio di tutte quante, ma sicuramente non era una brutta espressione, anzi.
Ecco, lo aveva fatto di nuovo. Prima nel bar vicino alla scuola, ora qui, nel giardino dei Choi. Aveva ammesso che Minho era bello, per ben due volte, e la cosa non gli piaceva affatto. Anche perché non era esattamente il momento più appropriato per arrossire come una ragazzina.

Si voltò di scatto dall’altra parte con il pretesto di scrivere chissà cosa sul quaderno degli appunti.
FANCULOFANCULOFANCULO…

«Nel senso… Cosa ti fa pensare che io ti odi?» Proseguì Kibum dopo un lungo, lunghissimo silenzio, cercando di risultare sicuro di sé.

«Con me ti comporti diversamente che con gli altri.»
«Sarà stata una tua impressione…» ribatté l’altro, con un tono di sufficienza che darebbe ai nervi a chiunque.
Minho lo guardò con un’aria quasi schifata, perché era chiaro, anzi, cristallino, che Kibum stava mentendo spudoratamente. Chi non avrebbe notato il suo odio verso quel ragazzo? Anche il più stolto se ne sarebbe reso conto e Minho non era uno stolto, quindi a maggior ragione, aveva capito tutto perfettamente.

Kibum si sentì colpevole con gli occhi di Minho puntati addosso. Sembrava che stesse ispezionando il suo cuore ai raggi X. Non poté che distogliere lo sguardo un’altra volta, questa volta ammettendo una piccola sconfitta morale.

«E va bene, siccome mi odi, non vedo perché debba costringerti a darmi ripetizioni. Puoi anche andare, buonanotte.»

Minho fece per alzarsi, ma chissà per quale ragione, Kibum afferrò prontamente un lembo della maglia del ragazzo, bloccandolo.
«Aspetta!» esclamò con un tono eccessivamente alto che fece sussultare Minho. Questo si voltò con un’espressione confusa dipinta sul volto. Kibum arrossì violentemente, non sapeva quello che faceva; oppure lo sapeva molto bene, ma non era d’accordo. La sua mente era un gigantesco groviglio di pensieri.
Mollò la presa all’istante.

«V-vabbè, a domani.» e sgattaiolò via raccogliendo in fretta e furia le sue cose.




Note dell'autrice
Innanzi tutto, scusatemi per il ritardo ;__;. Contavo di pubblicare questo capitolo prima che partissi, ma ad un certo punto mi sono accorta che una metà abbondante mi faceva un po' schifo, quindi quando sono tornata, l'ho riscritta. Anche ora non mi convince per niente, ma spero di fare meglio nel prossimo capitolo >_<'. Comunque iniziamo subito con le info bonus (?): la prima canzone che suona Jonghyun è questa. E' una canzone che adoro dal profondo del mio cuore e se qualcuno la suona mentre sono nel raggio di 20 metri, puntualmente mi commuovo ç__ç (come Kibum, lol). Ovviamente l'ho ascoltata mentre scrivevo quella parte, perciò spero di aver reso l'idea... Invece, la canzone che suona mentre è da solo è questa. Ehm, no comment xD. Chi vivrà vedrà (????).
Ora passiamo ai ringraziamenti *_*. Grazie a Rana483 e a BitterBeauty per le recensioni, in qualche modo mi avete spinta ad andare avanti xD. Poooi ringrazio LunaAnderson per aver inserito la storia nelle preferite, MomoVVip per averla inserita nelle ricordate e per finire, Lee Fei Taemin e Lessvoice per averla aggiunta alle seguite. Mi fa molto piacere che questa fanfiction sia apprezzata! Al prossimo capitolo!~
KAMINARI 

  
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