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Autore: Muse    16/02/2007    6 recensioni
Si può credere di amare qualcuno e scoprire che non è vero. Ma si può credere di non amare qualcuno e scoprire che nemmeno questo è vero? Questo è il seguito di “Grigio Scuro”. L’ho suddivisa in due parti, perché si è rivelata più lunga del previsto.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si può credere di amare qualcuno e scoprire che non è vero.
Ma si può credere di non amare qualcuno e scoprire che nemmeno questo è vero?


Remus John Lupin non lo sapeva, ma quello che provava in quel momento era qualcosa che credeva sepolto da tempo.
Ma fino a poco tempo prima non sapeva nemmeno che anche la più forte delle convinzioni poteva crollare come un castello di carte di fronte alla morte.

Si trovava fuori da una stanza del reparto Lesioni da Incantesimo, al quarto piano dell’Ospedale San Mungo, con in mano un mazzo di asfodeli e amarilli e una scatola di cioccolatini, i migliori sul mercato, a sentire la commessa della pasticceria dove li aveva comprati.
Gli avevano detto che si era svegliata quella mattina, dopo due settimane di coma, dopo due settimane che lui pregava incessantemente, dopo due settimane che non dormiva la notte, dopo due settimane che aveva capito di amarla.
Era nervoso, nervoso come non lo era mai stato.
Con Sirius … già Sirius … con lui era stato tutto diverso, molto più semplice se vogliamo, era successo e basta, non c’erano stati fiori, ne dichiarazioni, ne parole, ne prima ne dopo, sapevano entrambi di amarsi e non c’era bisogno di dirlo.
Sbirciò dal vetro della porta della camera e scorse una ragazza in carrozzina, i capelli neri come le ali di un corvo le ricadevano ben pettinati sulle spalle. Era intenta ad osservare qualcosa dalla finestra e non si accorse che lui la guardava.
Che buffo, aveva creduto di non poter mai amare nessun altro come lui fino a due settimane prima …

Era attorno al fuoco con altri uomini, molti dei quali più giovani di lui. Si trovava nel nord della Scozia, in missione per conto dell’Ordine. Si era infiltrato in quella comunità di lupi mannari, diventati seguaci di Voldemort in seguito ad una visita di Fenrir, e fino a quel momento la copertura aveva retto.
Quasi tutti dormivano, la notte stava invecchiando lentamente, ma Lupin non riusciva a chiudere occhio. Aveva notato numerosi sguardi lanciatigli dagli altri licantropi e qualcosa gli diceva che non erano sguardi amichevoli. Si era offerto quindi di fare il turno di guardia, assieme ad un altro paio di uomini.
Un rumore attirò l’attenzione dei tre attorno al fuoco, Remus riuscì solo a scorgere nel folto della foresta uno sprazzo di rosa. Il cuore gli balzò in gola.
“Joe, vai a controllare!” disse l’uomo che comandava all’altro.
“Ma perché sempre io …” rispose sbuffando. Stirandosi si preparò ad alzarsi.
“Lascia, vado io!” disse d’impulso Lupin, sperava solo di aver visto male, in ogni caso era meglio se fosse andato lui a dare un’occhiata.
Gli altri due erano troppo stanchi per obiettare e gli fecero un cenno affermativo.
Cercando di non apparire agitato, si alzò con calma, inscenando un finto stiracchiamento condito da uno sbadiglio.
Si inoltrò fra gli alberi e mormorò “Lumos”. Una piccola luce si accese sulla punta della bacchetta. La puntò qua e là in cerca di quel rosa che aveva attirato la sua attenzione.
Stava cominciando a credere che forse la sua immaginazione lo aveva giocato, quando di nuovo qualcosa di rosa passo ai margini del suo campo visivo.
“Tonks?” sussurrò piano. Niente, nessuna risposta.
“Tonks?!” questa volta alzò un po’ il tono della voce. Uno scricchiolio alle sue spalle lo fece voltare di colpo con la bacchetta alzata e i sensi all’erta.
Ma un dolce profumo di fiori di pesco l’aveva annunciata ancora prima che uscisse dal sottobosco.
Non aspettò nemmeno che finisse di districarsi dal roveto dov’era finita, che le fu addosso, ringhiandole “Che diavolo ci fai qui?!”
Lei gli sorrise. “Stare con quei trogloditi ti ha fatto dimenticare le buone maniere, Remus. Non è così che si accoglie una signora!”
 “Shh!” Remus la prese per un braccio e la condusse ancor più lontano dall’accampamento. Solo ora che l’aveva rivista si rese conto di quanto gli era mancata in quei tre mesi che era stato lontano da Londra.
“Ma sei impazzita? Vuoi farmi scoprire?!” Ma non era poi così dispiaciuto che fosse lì, era fin troppo che non vedeva un volto familiare.
“No, non sono impazzita e no, non voglio farti scoprire!” la ragazza si spazzolò i vestiti stizzita. “Per tua informazione, sono qui su ordine di Silente!”
“Silente? E manda te in mezzo a una masnada di licantropi?! Allora è impazzito lui!” borbottò Remus, alterato, cercando di non alzare troppo la voce.
“No, nemmeno lui è impazzito. A Londra sta succedendo un putiferio. Sono tutti impegnati tra Hogwarts, il Ministero e a sorvegliare i mangiamorte conosciuti, per tua sfortuna ero rimasta solo io libera questa notte!”
Remus sorvolò sulla frecciatina. “Cosa sta succedendo a Londra? Qua le notizie non arrivano sovente. I mangiamorte arrivano di rado e solo per portar via qualcuno di noi per rimpinzare le schiere di Voldemort, ma a notizie sono più ermetici di una boccetta di Felix Felicis! Mi sto chiedendo cosa diavolo ci faccio ancora qui, sono praticamente inutile!”
“E’ per questo che sono qui, Silente mi ha chiesto di venirti ad avvertire. E’ trapelata voce che tra le schiere di Voldemort ci siano delle spie … la sorveglianza sarà ancora più stretta e presto tutti i licantropi dovranno raggiungere Voldemort. Non puoi più rimanere qui, Grayback arriverà qui domani e ti scoprirà se ti vedrà!”
Gli occhi di Tonks scintillavano di preoccupazione al chiarore della Luna.
Il periodo trascorso lì gli aveva affinato di molto i sensi da lupo mannaro, assopiti e soffocati da lungo tempo. Poteva sentire il fresco profumo della ragazza, ogni singola sfumatura, anche da un metro di distanza, gli stava inebriando i sensi e qualcosa si agitò in lui.
Senza quasi rendersene conto si trovò a pochi centimetri dalla bocca rosea di Tonks.
Ma qualcosa lo turbava, gli occhi di lei avrebbero dovuto si emanare paura, ma anche gioia, non tristezza.
La ragazza si scostò e distolse lo sguardo dal suo.
"Remus io non posso…"
"Non ti preoccupare, scusami" la interruppe, allontanandosi di poco. Sapeva benissimo cosa stava pensando. Non voleva essere illusa per la seconda volta. E lui, non aveva il diritto di farlo.
Eppure.
Eppure gli mancavano da morire quelle labbra morbide che così poco aveva assaggiato. Non resistette e le appoggiò una ruvida mano sulla guancia, facendole voltare dolcemente il viso di nuovo verso di sé. Col pollice le accarezzò la gota ora arrossata dall’imbarazzo, forse.
Con l’altra mano le scostò una ciocca di capelli rosa che le era caduta davanti agli occhi celandoli ai suoi.
Il cuore gli prese a pulsare forte nel petto, quasi volesse farsi spazio tra le coste come per liberarsi dalla loro tenace gabbia, per sciogliersi dalla prigione dove l’aveva rinchiuso per troppo tempo.
Non illuderla. Quel pensiero gli balenò nella mente, troppo leggero per fermarsi, spazzato via dalla bufera di sentimenti che imperversava dentro di lui.
Tonks era immobile nella stretta del licantropo, perfetta come una statua greca tra le mani dello scultore, quasi timorosa che un suo gesto potesse infrangere tutto.
Lentamente appoggiò le sue labbra a quelle vellutate della ragazza. Non l’avrebbe illusa, l’avrebbe amata.
Poi qualcosa stonò col profumo dolce della ragazza. Un’odore acre, di sudore, di lupo.
Senza riflettere, affidato al puro istinto animale, si gettò su Tonks appena in tempo per spostarla dalla traiettoria di una saetta rossa, ma non abbastanza da impedirle di intercettarne un’altra. Ancor prima di andare a sbattere contro una ruvida parete di roccia grigia, si ritrovò con Tonks accasciata tra le braccia.
Vide i due licantropi uscire dall’ombra con un ghigno sul volto, ma non sentì mai cosa si dissero, perché si smaterializzò in quell’istante.

Ora era lì, davanti a quella stanza, dove poteva sentire chiaramente tra i vapori delle pozioni e le esalazioni degli unguenti, il suo profumo di fiori di pesco.
Questa volta non l'avrebbe illusa. No. Era pronto e sapeva che lei era quella giusta.
Poteva imputare il suo tumulto di emozioni di quella notte a diversi fattori, prima di tutto la lontananza da persone civili per molto tempo.
Ma la paura che aveva provato vedendola sdraiata in un letto d’ospedale, con la pelle pallida, imperlata di sudore, consumata dalla febbre, con le bende sulle ferite, in tinta col bianco mortale delle lenzuola, la paura di non vederla più sorridere, di perderla per sempre, quella paura non poteva imputarla a nulla, se non ai suoi sentimenti per la ragazza.

Quella mattina era passato al cimitero di Hogwarts, dove una lapide di nera ossidiana si ergeva in onore di Sirius Black. Le lettere d’argento dell’epigrafe rilucevano dorate alle prime luci dell’alba.
Poche parole a riassumere la sua triste vita.

Sirius Black, che visse nelle prigioni della vita, vola oggi libero nei cieli.

Le aveva scritte lui, nella speranza che fosse realmente così.
Sospirò, passando una mano sulla fredda pietra per togliere qualche foglia che vi si era posata sopra, poi posandola sul piccolo ritratto mormorò “Ora sono libero anche io.”
Il suo cuore aveva finalmente ripreso a battere e i suoi polmoni a respirare dopo tanta sofferenza.
  
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