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Autore: Filakes    02/08/2012    2 recensioni
Mariko ha tredici anni, figlia di samurai nell'epoca Tokugawa, quando un conflitto fra due importanti daimyo fa scoppiare una guerra, sanguinosa, da cui il padre non tornerà.
Mariko, delusa dal suo daimyo, abbandonerà il feudo per diventare ronin, un samurai senza terra, in cerca di vendetta.
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Giappone feudale
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Capitolo VII:
“Ai e Sumi”

  Mariko e Ai raggiunsero il villaggio dopo un’ora di camminata. La ragazza non aveva mai parlato e Mariko non le aveva più fatto domande. Il silenzio fu subito rimpiazzato dal vociare dei bambini che correvano tra le strade linde e pulite. Mariko si guardò in torno: era un villaggio molto povero. Ogni donna che vedeva passare, indossava kimono logori ma portati con dignità. La maggior parte degli uomini, invece, indossavano perizomi poco coprenti, pochi altri portavano kimono scuri. Mariko sentì nell’aria il profumo di pesce alla griglia, mentre da lontano, giovani e anziane massaie si occupavano delle risaie. Ai indicò a Mariko una strada che portava verso il centro del villaggio e, insieme, vi si diressero poco alla volta. Dopo un centinaio di metri, la ragazza indicò una casetta in legno, senza porte d’ingresso. Sulla soglia, Ai si pulì i piedi nudi ed entrò nella casa, mentre Mariko tolse i geta di scorta, si inchinò e la seguì all’interno.

  Mariko si fermò di colpo vedendo, nell’unica stanza della casa, una bambina ammalata, sdraiata nel futon. Ai vi si avvicinò e le appoggiò sulla fronte una pezza umida.
-         Ero uscita a prendere erbe medicinali e bacche da mangiare, purtroppo non ho i soldi per comprare del cibo, quando quei banditi mi hanno assalito.
Spiegò finalmente Ai, con voce tremante.
-         Ora purtroppo non ho nulla con cui nutrire mia sorella.
-         Che cos’ha?
Domandò Mariko.
-         Ha la stessa malattia che ha ucciso i nostri genitori.
Raccontò con le lacrime agli occhi.
Mariko era davvero turbata, non credeva che esistesse tanta povertà.
-         Ti ringrazio davvero molto per quello che hai fatto per me, ma non ho nulla con cui ricompensarti… mi dispiace.
Si scusò inchinandosi verso Mariko.
-         Oh, io… tranquilla, non voglio ricompense. Stavo solo viaggiando e per fortuna ti ho vista, tutto qui.
La tranquillizzò Mariko, poi si inchinò e se ne andò dall’abitazione, mentre pensava a quanto fosse ingiusto che la gente vivesse così in povertà. Se l’avesse saputo prima avrebbe convinto i genitori ad aiutare quelle persone. Continuò a camminare finché non vide un mercato pieno di cibo. Con lei si era portata una buona quantità di soldi, così comprò del cibo e dei vestiti nuovi per la ragazza.

  Un’ora dopo Mariko, Ai e Sumi, la bambina, stavano pranzando con del riso, del pesce e del the verde.
Sumi aveva ripreso colorito e Ai non smetteva un attimo di ringraziare Mariko.
-         Davvero, non devi ringraziarmi. Chiunque l’avrebbe fatto.
-         Ti sbagli Mariko-sama. Nessuno nel villaggio ci ha mai aiutate. Quando i nostri genitori sono morti, io e Sumi abbiamo dovuto lottare per un pugno di riso. Nemmeno i parenti ci hanno accolto, anzi, dopo che Sumi si è ammalata, hanno smesso di rivolgerci la parola.
Raccontò Ai.
-         Per questo, Mariko-sama, sono poche le persone come te.
-         Ti prego, chiamami solo Mariko. Se avrai la cortesia di ospitarmi questa notte, vi porterò da un medico. Pagherò io le cure.
Propose Mariko.
-         Sul serio? Sareste così gentile Mariko-sama?
-         Sì, ma solo se mi chiami Mariko!
Rise la ragazza.
-         Oh, grazie, grazie mille Mariko!
Ai scoppiò in lacrime e si inchinò di fronte a Mariko, che ricambiò l’inchino.
-         Grazie a te.
Sorrise lei.
Quella sera, quando le due ragazze che la ospitavano si furono addormentate, Mariko pulì la katana e uscì ad osservare le stelle.
Erano poche le persone che camminavano ancora per il villaggio, per la maggior parte prostitute, uomini d’affari e geisha, tutte accompagnate dalle maiko.  Il vento era fresco e piacevole, era quasi impossibile per lei pensare che, solo pochi mesi prima, a quell’ora avrebbe chiacchierato col padre sui doveri dei samurai. “Ora invece non sono altro che una ronin…” Pensò con tristezza. Quella strada l’aveva scelta lei, era stata lei a voler abbandonare il nome da samurai. Si voltò e vide Ai e Sumi che dormivano: se lei non avesse deciso di percorrere questa strada, Sumi si sarebbe ritrovata sola e destinata a morire. Sorrise: ogni cosa portava sia ad un po’ di bene che ad un po’ di male, bastava saper scegliere con il cuore.

  Mariko si alzò e si ridiresse in casa, aveva bisogno dormire, ma qualcuno le afferrò il braccio. Mentre si girava, Mariko estrasse la spada e con un suono metallico fu bloccata dal pugnale di Kazuo.
-         Cosa ci fai qui?!
Si sorprese Mariko.
-         Ti cerco, che domande!
Rise lui.
Mariko rimase a fissarlo, come aveva fatto a trovarla? Era così facile capire dove fosse?
-         Ti va di fare due passi?
Propose Kazuo, rinfoderando il pugnale.
-         Va bene, ma non allontaniamoci troppo.
Acconsentì Mariko, sospirando.
-         Come ha preso la notizia mia madre?
-         Bene. E’ una donna molto forte, crede che tu sia viva.
-         Ah sì? E perché Goemon allora dovrebbe essere morto?
Sbuffò Mariko.
-         Perché tu sei più forte di lui, hai i riflessi più pronti e hai una grande forza d’animo. Kazuo è molto più… sensibile e fragile.
-         Stai dicendo che ho un cuore di ghiaccio?!
Si inalberò Mariko.
-         No, no, figurati. Però è vero che sei più distaccata. Ho visto come hai conciato quei banditi.
Commentò Kazuo scuotendo la testa.
-         Cioè, eri lì? E perché non hai aiutato Ai?
-         Perché l’hai fatto tu. Poi io ho altro da fare.
Rispose Kazuo, come se la cosa fosse ovvia.

  Si stavano avvicinando alle risaie, camminarono per un po’ in silenzio. I grilli cantavano senza sosta, le stelle e la luna erano come delle piccole lanterne nell’immenso cielo.
Mariko stava per parlare, quando sentì le urla di un uomo provenire da un capannone. Lei e Kazuo si guardarono negli occhi e senza dire altro corsero a vedere cosa stava succedendo.
Mancavano pochi metri quando il capannone prese fuoco.
-         Bisogna spegnere le fiamme! Sveglia il villaggio, io vado a vedere se c’è qualcuno dentro!
Urlò Kazuo a Mariko e corse verso le fiamme. Con il cuore in gola, Mariko corse per il villaggio urlando: in poco tempo tutti si erano alzati e avevano aiutato i due ragazzi a spegnere le fiamme. Tutto era confuso, e tutto si muoveva troppo velocemente, nessuno capiva cosa, o chi, avesse scatenato l’incendio. Kazuo riuscì a salvare dalle fiamme l’uomo dentro al capannone, ma nessuno lo salvò dalla ferita inflitta nella schiena, provocata da un pugnale.
Tra lo sgomento di tutti, il cadavere fu riconosciuto: il capo villaggio giaceva immobile tra le braccia di Kazuo.

   
 
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