Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Daigo    02/08/2012    1 recensioni
Gli esseri umani sono individui difficili da capire.
Un'entità sovrumana decide di scendere fra gli uomini e di prendere possesso del corpo di un ragazzo per osservare da vicino l'umanità.
Il suo nome è Peter Avignone.
"È brandy." - disse l'uomo, ne bevve un lungo sorso, se ne versò dell'altro e poi lo rimise dentro il mobile, nascosto tra il libro su Moby Dick e Cuore - "Questa è la prima volta." [Capitolo 3]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lucertole_003
Terzo capitolo, forse riuscirete a capire qualcosa.



Medusa



Quando i gemelli tornarono nella loro stanza, la trovarono vuota e, proprio perché erano abituati all'abbandono, non si preoccuparono di dove fosse andato il loro compagno di nome Peter. Sapevano che non avrebbero mai dovuto affezionarsi a una persona, qualunque essa fosse, per non continuare a soffrire in eterno.
"Peter è stato chiamato dal Direttore."
udirono queste parole provenire dal loro letto a castello e videro che, seduto sopra la loro coperta, c'era Hassel, il loro fido amico:
"Dal Direttore?"
"E che ci è andato a fare?"
domandarono in coro, il ragazzo più grande sospirò prima di scendere e rispondere alle loro domande.
"Non saprei ma credo voglia ancora parlargli del suo trasferimento. Non essendo dotato di una particolare abilità, non può rimanere qui."
questa notizia fece sussultare entrambi i ragazzi all'unisono, contando anche che fossero uniti di natura.
"Probabilmente gli dirà che dovrà andarsene via, peccato, stava iniziando a piacermi."
concluse Hassel, in quell'istante i gemelli furono colti da un terribile presagio e in qualche modo si resero conto che pure loro avevano iniziato a legarsi al nuovo ragazzo, molto più rispetto che agli altri individui presenti in tutta la loro vita.


Non ero certo di cosa volesse fare quell'uomo che ora si trovava sopra di me.
Il mio corpo era stato scaraventato sulla scrivania del Direttore dopo che avevo risposto positivamente alla sua domanda, non era mia intenzione celare la mia identità se l'individuo di fronte a me ne fosse stato a conoscenza e infatti avevo annuito al quesito. Come premio ricevetti un forte scossone che mi fece cadere sul mobile, immobilizzato anche ai polsi dalle mani dell'uomo.
Sospirai cercando di calmare il cuore nel petto di questo corpo, l'evento lo aveva agitato e io non ero avvezzo nel sedare tale reazione, inoltre avrei potuto rischiare diverse cose in quello stato per cui lo guardai dritto negli occhi chiedendo:
"Posso sapere che intenzioni ha?"
mi lasciò andare e si allontanò da me.
Rimasi immobile nell'osservare il soffitto di quella stanza, ero, almeno un minimo, sicuro che sarebbe tornato recandomi danno o almeno qualcosa di simile. Non potevo rischiare di perdere il mio nuovo corpo e per tale motivo non mi mossi.
Il respiro del corpo era tornato regolare, almeno questo poteva rendermi tranquillo. Il dolore della testa sbattuta sul mobile, invece, era rimasto, anche se ora possedeva meno intensità di prima.
Non pensai si fosse rotta ma almeno che ci fosse stato un contatto tra cranio e cervello, quello sì.
"Sento il vostro odore a miglia di distanza. Mi fate ribrezzo da quanto simili ai parassiti siate."
Ascoltai le sue parole con attenzione e mi limitai a rispondere:
"Noi non possediamo odore. Non siamo come voi esseri umani."
udii un rumore sordo al lato della mia testa. La sua mano destra si era precipitata con tutta la sua forza contro il mobile di legno e il suo sguardo era tornato a posarsi su di me.
"Vattene. Non voglio un Medusa nel mio Istituto."
...ancora non capivo cosa intendesse per Medusa. Potevo capire solo da qualche abbozzo di pensieri che intendesse la mia specie ma perché chiamarci così?
Quindi glielo chiesi:
"Cosa intende, lei, per Medusa? La medusa è un tipo di animale planctonico mentre, nella mitologia greca, si rifà al mito di Medusa, il mostro lamia che rende, chi la guarda, una pietra. A quale dei due si riferisce?"
"Non prendermi in giro!"
Sbatté di nuovo la mano sul lato sinistro del mio viso.
"I Medusa sono gli alieni! Siete voi che entrate nei nostri cervelli, vi insinuate dentro e poi ci fate fare quello che volete!"
Alzai gli occhi in cerca di qualche chiarimento presente nella sua stanza e così notai la libreria del suo studio, lì vi erano parecchi libri sull'argomento.
L'invasione degli Ultracorpi.
L'ultimo uomo della terra.
Odissea nello spazio.
Compresi solo da quei tre libri di cosa si trattava.
Quell'uomo, il Direttore, si era autoconvinto della presenza di alieni in mezzo agli esseri umani, non che la cosa potesse essere del tutto fallata, vista la mia presenza, ma sicuramente non avrebbe dovuto...
"...catalogare tutti in una stessa maniera. La porterà all'estinzione."
dissi.
"Estinzione?! Volete ucciderci tutti?!"
il suo cuore era agitato, ne sentivo i battiti accelerati, gli occhi erano spalancati e il sudore aveva iniziato a fuoriuscire dai pori come acqua da uno scolapasta.
"Io non sono un Medusa."
"Prima hai annuito! Ora vuoi ritirare tutto?!"
gridò afferrandomi il collo con una mano, lo strinse a tal punto che pensai di non poter nemmeno rispondere alla sua domanda ma, con mia sorpresa, ce la feci.
"Ho annuito perché avevo compreso cosa intendesse. Sì, sono un estraneo dell'universo in cerca di qualche informazione utile. No, non mi chiamo Medusa. Sì, sono un alieno, come osate voi definirci. No, non sono qui per distruggervi. Sì, mi sono appropriato di un corpo umano. No, non dal cervello. Sì, sono dentro di lui ma all'altezza dello stomaco. No..."
mi guardò mentre le sue pupille saettavano in tutte le direzioni per la perdita dell'autocontrollo e per al tensione nelle sue vene:
"...non puoi uccidermi."
Le mie parole lo convinsero a lasciarmi, le dita della sua mano si staccarono dalla mia pelle e io decisi di sedermi sulla scrivania per osservarlo meglio.
Lui barcollò un po', si tenne il viso con le mani e si sedette alla sua scrivania, dietro di me.
Sentivo il suo respiro farsi pesante finché lui stesso lo interruppe per fare un'ultima domanda:
"Cosa volete da noi?"
mi voltai e lo guardai dall'alto della mia posizione:
"Studiarvi."
"Che?"
"Voglio studiarvi per comprendervi."
sembrò rilassarsi dopo aver sentito la mia risposta e lo vidi alzarsi, sporgersi verso una credenza accanto a una libreria, prendere una bottiglia di vetro spesso e versare un liquido dal colore che partiva dal giallo fino al marrone.
"È brandy." - disse l'uomo, ne bevve un lungo sorso, se ne versò dell'altro e poi lo rimise dentro il mobile, nascosto tra il libro su Moby Dick e Cuore - "Questa è la prima volta."
"Di cosa?"
domandai continuando a osservare come quel liquido entrasse in gola e lasciasse gocce lungo le dita del Direttore, forse era questa la sensazione del dissetarsi.
"Non mi è mai capitato di aver a che fare con un alieno prima d'ora. Ero convinto della loro esistenza ma mai... mai avrei pensato di trovarne uno. Nella mia scuola per giunta."
"C'è sempre una prima volta per tutto. Non dite così voi umani?"
si voltò di scatto e mi puntò il suo indice verso la testa, come un'arma da fuoco, e non mi sarei stupito di una reazione simile se fosse stato provvisto di un fucile.
"Perché noi? Non vi sono altri mondi da invadere?!"
"Non ho intenzione invasive. Ho precisato prima che il mio scopo è solo quello di studiare il comportamento umano."
"Ma che diavolo dovresti studiare?! Eh?"
Rammentai di come anche i miei simili fossero contrari alla mia partenza e per un attimo sentii un grande vuoto dentro di me, quello stesso che mi aveva accompagnato fino a quando ero riuscito a entrare dentro questo corpo.
"Voi umani avete qualcosa che a noi manca e che io voglio capire."
"Cosa? Pietà? Siamo deboli? Siamo carne da macello?! Parla!"
negai alle sue domande feroci, ero quasi convinto del fatto che qualsiasi cosa avessi detto, non sarei stato accettato.
"Sentimenti." - dissi infine - "Voi umani progredite sempre in peggio ma ciò è dovuto a quello che provate ogni giorno. Sentimenti di odio, di pietà, disprezzo, amore... c'è qualcosa al vostro interno che vi alimenta in questo modo."
Lo guardai e lui non disse alcuna parola, mi dava semplicemente le spalle, in attesa di qualche mia spiegazione più plausibile di quella che gli avevo dato finora.
"All'inizio avevo pensato che fosse il vostro corpo, per questo sono entrato in codesto ragazzo e gli ho rubato la vita. Ma la mia situazione non era cambiata per cui ero pronto a vivere come un umano e a capire cosa dovesse essere attivato per farmi provare ciò che provate voi."
"Perché i sentimenti?"
la sua sola domanda fu questa, mi deluse ma effettivamente doveva sapere:
"I Medusa, come li chiama lei, non provano nulla."
"Siete senza cuore in pratica."
"Tecnicamente siamo composti di organi e di fibre molto più complessi dei vostri, al nostro interno teniamo un cuore pulsante come il vostro però non proviamo nulla. Per questo il mio popolo non ha alcuna intenzione invasiva come nessun desiderio evolutivo. Esternamente siamo come delle larve nei vostri confronti ma al contempo viviamo in pace, senza eccessi di alcun genere." - sapendo questo, io stesso stavo per fermarmi nel mio viaggio - "So che imparare i sentimenti potrebbe portarci all'autodistruzione come voi ma... una vita senza nulla che possa soddisfarti, non è vita."
ed ero sincero.
Non era passato alcun giorno senza che io pensassi a questo.
Vivere in pace e armonia senza nemmeno capire cosa fossero, abitare un pianeta che nessuno conosceva e continuare tranquilli tutto, senza guerre ma senza nemmeno famiglie. Senza odio ma nemmeno amore.
Vite vuote, senza alcun valore.
"Vuoi davvero provare a essere come noi?"
"Sì."
"Allora ascoltami bene."


Quando Peter tornò nella sua camera, ad attenderlo ci furono i gemelli assieme a Houga e Hassel.
Lì analizzò uno a uno, come il Direttore poteva sapere che lui era un alieno, persino loro potevano fingere di non saperlo e invece esserne a conoscenza. Ebbe un fremito.
Era la paura di essere scoperto e di finire in qualche centro di ricerca. Oppure in qualche tavolo da laboratorio di quello stesso istituto.
Strano che riuscisse a provare qualcosa.
Che fosse per ciò che gli aveva detto il Direttore?
"Sono tornato."
proferì quelle parole sedendosi sul suo letto e chiudendo gli occhi, sospirò piano nel silenzio di respiri dei compagni, fino alla domanda fatidica di Raul:
"Te ne devi andare?"
Tyler diede immediatamente una gomitata al fratello ma ovviamente si fece male pure lui.
"No." - negò Peter - "Mi hanno detto che posso rimanere."
I ragazzi furono felici di sentire quelle parole e festeggiarono ridendo, Hassel invece tentò di calmarli chinandosi sul novizio:
"Sicuro di stare bene?" - lui annuì - "Molto bene. Allora bentornato."
Hassel mostrò un largo sorriso sul suo viso gentile, carezzò i capelli di Peter e si diresse verso la porta:
"Ci vediamo a cena, ragazzi."
"Ciao Acca!!"
"A dopo!!"
i gemelli lo salutarono con la loro solita allegria, Houga invece storse il naso sedendosi accanto a Peter e cingendogli i fianchi abbracciandolo. Un contatto inaspettato per il ragazzo che rimase immobile per tutto il tempo mentre i gemelli osservarono la scena sbigottiti.
Houga si allontanò da Peter e si alzò per uscire anche lui dalla camera:
"A stasera."
non aggiunse altro, fiero di aver stretto a sé il ragazzino.


Ora di cena.
I gemelli entrarono nella loro stanza assieme al compagno Hassel, le luci erano spente ma Peter non si trovava lì nel buio, allora dove poteva essere?
Accesero le luci e controllarono persino il letto a castello dove gli stessi gemelli sussultarono vedendo qualcosa. Fu allora che scattarono verso Hassel gridando la scomparsa del loro coinquilino.
Si misero in moto tutti appena si avvertì Houga di quello che era accaduto, lui stesso ordinò di illuminare l'intero edificio.
Le luci accese dell’istituto avevano allertato tutti i ragazzi presenti.
I gemelli non si erano ancora fermati nella loro corsa quasi impazzita. Era come se fossero condotti in tutte le stanze da un filo invisibile e, dopo alcuni controlli andati a vuoto, si fermarono finalmente a riflettere:
"Dove può essere?!"
"Pensa... dove si nasconderebbe uno come lui?!"
rimuginarono seriamente su qualche assurdo ragionamento del compagno e dal corridoio principale si diressero verso il cortile dove, all'interno del vecchio e sporco capanno degli attrezzi, lo trovarono accovacciato con la testa bassa, a terra solo una chiazza di sangue che nel buio aveva assunto un tetro colore nero.
Sollevò la nuca per guardare con occhi vitrei i due gemelli pietrificati... questi a stento riuscirono a prenderlo tra le braccia e portarlo dentro l’edificio dove lo accompagnarono in infermeria.
Quando Peter fu sottoposto alle cure dell'infermiera, questa gli tolse le vesti e scoprì, all’altezza della pancia, una ferita lunga che sgorgava sangue.
Dopo averlo curato e coperto, il medico disse ai ragazzi di dirigersi in camera ma loro non riuscirono a chiudere gli occhi pensando che nel letto di Peter c’era ancora quel taglierino acuminato macchiato di sangue... ecco ciò che avevano visto e che li aveva condotti a cercarlo.







Commento dell'Autore:
Visto che io e Atzlith siamo tornati dalle vacanze, siamo pure tornati a scrivere qualcosa. Spero che il capitolo non vi deluda. A breve avrete anche il capitolo 4 perché è quasi pronto.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Daigo