PICCOLO DIZIONARIO
Nato dall’unione e dalla
rivisitazione del materiale raccolto come documentazione per la fanfic, questo piccolo dizionario, lungi dall’essere
esaustivo e completo, vorrebbe offrire un piccolo aiuto interpretativo in relazione all’impiego di termini in giapponese. Senza
volontà di offendere chi già possiede una solida base di conoscenze di tali
termini, ha invece lo scopo di dissipare eventuali dubbi a chi per la prima
volta s’imbattesse in parole
dal significato oscuro.
AVVERTENZA
Per i nomi di persona o
di luogo in lingua giapponese, trascritti secondo il sistema Hepburn, le vocali si pronunciano come in italiano e le
consonanti come in inglese. In proposito si noti che:
ch è un’affricata come la c
dell’italiano "cesto" (p.e. "Chica-chan"
va letto "Cicacian")
g è velare come nell’italiano "gatto" (p.e. "Akagi" va letto "Acaghi")
h è sempre aspirata, come nell’inglese “hotel”
j è un’affricata come la g
di "gioco"
s è sorda come nell’italiano
“sasso”
sh è una fricativa come sc
nell’italiano "scelta" (p.e. "sashimi"
va letto "sascimi")
w va pronunciata come una u
molto rapida
y è consonantico e va letto come la i italiana di
“ieri”
z è dolce come nell’italiano
“rosa” o “smetto”, o come in “zona” se iniziale o dopo n
La lingua giapponese non
conosce i generi maschile e femminile
e quindi si è liberi di assegnare il genere in base alle regole italiane: si
dirà pertanto "la katana", "il tanto". La trascrizione in
caratteri europei rende abbastanza fedelmente il suono delle parole giapponesi.
In giapponese non esiste quasi l’accento tonico e perciò ogni sillaba ha lo
stesso valore; non si deve, quindi, pronunziare katàna
o katanà, ma kà-tà-nà, senza troppo accentuare l’ultima sillaba poiché,
in tal caso, l’orecchio, per sua impostazione, sentirebbe il tutto come se
fosse stato detto katana!
A
Aki: autunno,
comprendeva i mesi di Agosto, Settembre e Ottobre.
Ami-e: nome del kimono che forma la tradizionale veste del
monaco buddista errante, formata anche da gojo-gesa e
habaki.
Andon: lampada costituita
da un telaio di bambù, legno o metallo su cui viene teso un foglio di carta di riso per proteggere
la fiamma dal vento. Il combustibile, conservato in un recipiente di pietra o
ceramica con uno stoppino di cotone, è solitamente costituito da olio di colza o dal più economico olio di sarde. In certi
casi sono usate anche candele ma il loro prezzo
elevato ne ha ridotto la diffusione. Particolarmente
diffuso durante il Periodo Edo, ne
esistevano varie versioni, spesso differenziate l'una
dall'altra esclusivamente per l'utilizzo che se ne faceva. L'
okiandon era la comune versione da
interni e solitamente presentava un piccolo piedistallo per la luce e in alcuni
casi un cassettino alla base, per facilitare il rabbocco di olio combustibile e
l'accensione della fiamma. Inoltre, sul lato superiore presentava una maniglia
che consentiva di trasportarlo comodamente. Un'altra versione era l'Enshū andon, sembra risalente al tardo Periodo Azuchi-Momoyama, aveva forma di tubo con
un'apertura al posto del cassettino. Ariake
andon era invece chiamata la versione "da comodino",
mentre il kakeandon era la versione da esterno usata sotto le tettoie dei negozi e recante su
disegnata il nome del proprietario e quindi molto comune nelle città. Infine,
il bonbori,è
una versione di andon piccola a sezione esagonale.
Aniue: fratello
maggiore; termine usato per designare i fratelli più grandi nelle famiglie
nobili e soprattutto reali
Arigato gosai: grazie
infinite
Ashura: presso la religione e la mitologia induista, sono un gruppo di deità alla ricerca
di potere, a cui spesso ci si
riferisce come demoni. Generalmente rappresentano la
materializzazione dei vizi e dei difetti dell'animo umano; infatti, gli Ashura non vanno visti come parte del macrocosmo attorno a noi più di quanto siano
parte del microcosmo della nostra
anima. Ashura significa letteralmente "senza
Sole". Essendo il Sole da sempre il simbolo divino assoluto, la parola Ashura identifica tutto ciò che si
oppone a Dio, tutte le forze e le entità che fanno
parte del male. Vengono
invocati con mantra malefici da coloro che richiamano
energie negative per pratiche e rituali di magia nera. Gli antichi conoscevano
molto bene queste entità, tanto che in alcuni testi (quasi tutti tolti dal
commercio) venivano elencate
le varie categorie di demoni con le descrizioni delle caratteristiche e le
pratiche (mantra) per evocarli. Gli Ashura influenzano la percezione ed
il comportamento di tutti gli uomini, alimentando le tendenze negative
allontanano l'uomo dalla fonte divina della realizzazione spirituale.
Awase: indica
un tessuto foderato molto pesante, impiegato per tutto il periodo invernale e
autunnale, variando la destinazione dell’indumento foderato con il procedere
verso la stagione calda. (vd.
Kimono)
B
Baba: suffisso affettivo usato per una persona anziana
Bai Gu
Jing: yaoguai presente nel libro Viaggio
in Occidente. Letteralmente spirito
dalle ossa bianche, è uno spirito che è solito
manifestarsi ai viaggiatori sotto le spoglie di una bella e fragile ragazza
bisognosa di aiuto. Avutane la fiducia, li uccide per divorarli e assorbirne
quindi la forza vitale necessaria a sopravvivere.
Baka: sciocco, stupido
Bashe: creatura
immaginaria della mitologia cinese, si tratta di un serpente gigantesco in
grado di ingoiare interi elefanti. Il nome bashe deriva dall'unione di ba
(può significare "punta", "coda", "crosta",
"aggrappare", "essere vicino") e she (significa
"serpente"). Il carattere cinese che sta per ba è reso
graficamente con un pittogramma che rappresenta un serpente con una lunga coda.
Nell'antichità - per la precisione nell'epoca della dinastia Zhou (1122 a.C.-256 a.C.) - questo carattere
faceva spesso riferimento allo Stato di Ba, posizionato
a est dell'attuale provincia di Sichuan.
Bashe non è solo il nome del mitico rettile gigante, ma è anche
il nome che i cinesi danno a ran (o mang) - il pitone tipico del
sud asiatico - al boa sudamericano e al mamba africano. Nelle
letteratura, bashe è spesso indicato con un pittogramma di quattro
caratteri che suona come bashetuxiang, traducibile come "ba-il
serpente che mangia un elefante".
Bei: nord in cinese
Bijin-sama: manifestazione degli spiriti di montagna, appare con
l’aspetto di un globo striato di blu e rosso, avvolto in una
strana nube nera e caratterizzato dall’emettere un sibilo ininterrotto.
Non è particolarmente grande e può essere racchiuso in una mano per le
dimensioni.
Butsudan: piccolo altare buddista
presente nelle case dei fedeli; si presenta come un armadietto con ante
contenente principalmente la statua di Buddha e le tavolette funerarie dei
defunti.
Byobu: strutture pieghevoli e mobili composte da più ante o pannelli di carta o seta dipinta, tese
e sorrette da un’intelaiatura leggera in legno. I byobu nascono, già dal VII secolo, con la funzione di
dividere gli spazi interni delle abitazioni giapponesi; non erano disposti a
soffietto come nell’uso moderno, né venivano
completamente aperti su uno stesso piano: a seconda delle esigenze venivano
piegati semplicemente in due per delimitare uno spazio più intimo all’interno
della stanza o del giardino o collocati in coppia, uno di fronte all’altro.
Nonostante la loro bellezza decorativa, si teneva conto più della loro funzione
pratica che della lettura completa dei soggetti dipinti, spesso continui e
trasversali ai pannelli. I paraventi più antichi erano pesanti e poco
maneggevoli. Ciascun pannello era incorniciato da una fascia di broccato di
seta ed era legato agli altri da corde di pelle o seta che passavano in fori
rinforzati da rondelle in
legno di forma analoga alle monete giapponesi, e per questo dette costruzioni zenigata (a forma di moneta). Le dimensioni dei byobu variavano da uno a due metri in altezza e da uno a
cinque metri in larghezza e potevano essere costituiti da un minimo di 2 fino ad un massimo di 8 ante, anche se i più diffusi
furono i paraventi a 6 ante. L’utilizzo del byobu si
modifica nel corso dei secoli. Da attraente arredo di varie dimensioni nato per
creare privacy all’interno degli ambienti e per appendere i vestiti, diventa
strumento e supporto di virtuosismo artistico – forse uno dei pochi dell’arredo
giapponese – e un oggetto destinato alla pura contemplazione visiva per lo
spettatore.
C
Chan: suffisso,
che si aggiunge al nome di una persona per indicare un linguaggio familiare,
usato soprattutto per le ragazze o per gli animali piccoli.
Chawan: tazza da
thè giapponese
Chawan mushi: crema a base di uova e brodo dashi
(brodo leggero di pesce), guarnita con verdure, foglie di spinaci o funghi,
pollo, gamberi o altro. Si prepara
nelle apposite tazzine con coperchio e si cuoce a
bagnomaria come la nostra creme caramel. Si serve caldissimo e si mangia con un
cucchiaino. È piacevole come intermezzo o antipasto.
Chihaya:
costume tradizionale, o veste, di una miko consiste di
un hakama rosso, colore della verginità, che può
essere sia in foggia di pantaloni che di gonna, della tunica bianca del kimono con grandi maniche, spesso orlate di rosso ed è
associato ai tipici calzari giapponesi, i tabi.
Chikuso: maledizione
Chugu: titolo
riservato in età storica ad una moglie dell’imperatore
del Giappone. La realtà poligamica della corte imperiale rendeva necessaria una
precisa terminologia che distinguesse in modo inequivocabile la posizione
sociale di ogni membro nell’universo della corte. La chugu è una delle mogli
dell’imperatore, e ne indica la favorita, pur non trattandosi di necessità
della sposa ufficiale o altrimenti riconosciuta come imperatrice, che prendeva
nome di kogo.
D
Daimyo: carica più importante in Giappone
fra il XII e il XiX secolo. Signori feudali del Giappone premoderno. Durante l'epoca Kamakura
i capi militari locali ottennero dallo shogun
i diritti di proprietà (daimyo) su grandi
estensioni di terra. Nei secoli successivi i daimyo
accrebbero ulteriormente il proprio potere politico nei confronti dei vassalli
e quello economico a danno dei contadini attraverso l'imposizione fiscale. Successivamente, le guerre feudali che caratterizzarono
l'epoca Ashikaga ne selezionarono i più potenti e nel
corso del XVI secolo tre di essi, prima Oda Nobunaga, quindi Toyotomi Hideyoshi e infine Tokugawa Ieyasu, si imposero su tutti costruendo uno stato feudale
accentrato. I daimyo (circa 270 famiglie con
feudi di varie dimensioni) accettarono un governo centrale ed ebbero riconosciuta la propria autorità a livello locale, ma
nell'ambito di norme quadro e di rigide regole di comportamento. Con lo
sviluppo di una dinamica economia mercantile urbana
molti daimyo si trovarono in gravi difficoltà
finanziarie sin dalla fine del XVII secolo e seguirono il declino economico e
politico del bakufu. In seguito alla restaurazione Meiji del 1868, vennero
dapprima trasformati in governatori dei loro ex feudi, per poi essere
sostituiti, a partire dal 1871, da una nuova burocrazia centralizzata.
Daruma: monte (982 m) nella prefettura di
Darumayama nella penisola di Izo, nella regione di Shizuoka. La sua vetta è raggiungibile a piedi in circa un’ora e in
mezz’ora con l’autobus dalla stazione di Shizenji e offra uno splendido
panorama del monte Fuji a Nord e della baia di Suruga a Ovest.
Date-eri: accessorio impiegato per simulare
che ci sia un secondo kimono portato sotto, cosa che un tempo era molto usata, specie in inverno, quando sovrapporre più strati di
seta aiutava a tenere lontano in freddo. Si tratta di una striscia di tessuto
raddoppiato, che viene cucito
all'interno dello scollo del kimono in modo che sporga un poco con un colore
contrastante, spesso coordinato a quello dell'obiage.
Dojo: palestra con pavimento in legno, considerata luogo sacro e
adibita solitamente alla pratica delle arti marziali.
Dong: est in cinese
E
Engawa: veranda esterna di legno, coperta da un tetto spiovente
che solitamente da sul
giardino e corre attorno alla casa. Può essere chiusa da pesanti porte di legno
o lasciata aperta, e costituisce l’ingresso principale per i visitatori, che
sono tenuti a togliersi le scarpe sul gradino di pietra prospicente.
Enma: nome giapponese
di Yen-lo-wang, dio cinese d'origine buddista, associato al bodhitsattva
Dizangwang, guardiano e giudice dell'inferno.
F
Fuda: talismani
distribuiti dai templi shintoisti; sono realizzati scrivendo il nome di un kami,
di un tempio o di un rappresentante del kami su un pezzo di carta, legno,
stoffa o metallo. Si crede che un o-fuda abbia il potere di infondere la
protezione del dio, e viene
generalmente apposto su una porta, una colonna o sul soffitto per proteggere la
casa e i suoi abitanti. Può anche essere apposto in posti specifici, ad esempio
in una cucina per prevenire dagli incendi. Inoltre può essere posto all'interno
dell'altare privato (kamidana), nelle dimore che ne hanno uno. Nelle
opere contemporanee, soprattutto manga
e anime,
gli o-fuda compaiono come delle pergamene magiche, destinate non tanto
alla protezione, quanto alla lotta contro spiriti malvagi (tipicamente yōkai); è generalmente un attributo di miko
e maghi, per quanto occasionalmente compaiono nelle mani di monaci buddhisti, e in tal caso ad
esservi scritto sopra è il testo di un sutra
o di un mantra. Possono essere utilizzati per respingere
demoni o per sigillarli in luoghi chiusi, ma l'esatta interpretazione varia a seconda dell'autore.
Fuji:
monte simbolo del Giappone situato nella regione centrale di Honshu, con i suoi 3776 metri è la vetta più alta del paese
e il suo perfetto cono vulcanico, grigio-viola in estate e bianco di neve in
inverno, si staglia fra nuvole e colline. Inattivo dal 1707, fino all’’800 il
monte fuji (o Fuji-san) era considerato sacro e
poteva essere scalato solo da religiosi e pellegrini, mentre le donne furono
ammesse solo dopo il 1872. oggi
è accessibile a tutti, con le vie al monte aperte però solo in Luglio e Agosto.
La cima, una corona percorribile in un’ora, è raggiungibile mediante cinque
sentieri (Kawaguchi-ko, Yoshida,
Subashiri, Gotenba, Fujimomiya), variabili per tempo di percorrenza e
lunghezza, divisi in dieci tappe. Solitamente, gli escursionisti partono dalla
tappa cinque, alle endici del monte, mettendosi in marcia nel tardo pomeriggio
per godere del tramonto e sfuggire alla canicola e pernottando nei rifugi delle
tappe sette od otto, per poi raggiungere la vetta verso le sedici del giorno
successivo. Sulla cima si trova, inoltre, un santuario Sengan,
dedicato alla divinità della montagna. In tutta la zona sorgono santuari del
medesimo tipo, attorniati da vecchie locante e cascate o sorgenti termali per
purificarsi prima di ascendere al monte, come per esempio quelle a Fuji-Yoshida, base per escursioni e pellegrinaggi.
La zona ai piedi del vulcano, caratterizzata a Nord-Ovest dalla presenza
della Aokigahara Jukai (“Il
mare di alberi), una foresta primordiale in cui è facile perdersi, e da un
intricato sistema di caverne e grotte, come quella del vento Fugaki e del ghiaccio Narasawa,
prende il nome di regione dei Cinque laghi per la presenza di altrettanti
specchi d’acqua: Lago Motosu. Lago Shojin, Lago Sai, Lago Kawaguchi
e Lago Yamanaka.
L’escursione cui prende parte Alessandra, articolata di
necessità in più giorni, si svolge fra la fine Ottobre e i primi di Novembre,
quando già parte dei laghi può essere ghiacciata, e non prevede l’effettiva
scalata fino alla corona del vulcano, dal momento che
i sentieri sono chiusi e inagibili per la neve. Per raggiungere il Lago Shojin, dove avrebbero pattinato, Alessandra e i suoi
compagni scendono dal treno (l’autobus percorre il medesimo tragitto solo
d’estate) a Fuji-Yoshida, per poi costeggiare la Aokigahara
Jukai, in cui Alessandra si smarrisce dopo esser
scivolata in un piccolo crepaccio. Il progetto iniziale prevedeva il
pernottamento in uno dei rifugi, locande o ryokan,
che sono numerosi in tutte le zone di montagna, spesso
vicino a sorgenti termali. La presenza del costume da bagno, che può sembrare
strana, è dovuta al fatto che per un occidentale può
esser imbarazzante un bagno, magari anche all’aperto (non così strano neanche
in inverno, anche con la neve) con persone sconosciute e anche di sesso misto
(benché solitamente le piscine termali siano distinte per uomini e donne, ma ad
esempio la notte il bagno misto è più accettato).
Fukurodana: armadio a muro
Fundoshi: biancheria intima maschile costituita da una lunga striscia di stoffa
avvolta attorno ai fianchi e all’inguine
Furin: formato da fu che significa vento e rin che indica la campanella,
è una campanella di vetro o ceramica con piccolissimo batacchio con una
laminetta sottilissima. Il suono prodotto varia in base alla struttura e al
materiale del furin stesso, con una sensazione di freschezza. I furi vengono attaccati alle grondaie o alle finestre delle case
principalmente d’estate e, giocando con il vento, riescono quasi a fargli
assumere una forma nel suono. Originario della tradizione cinese, il furin è
impiegato in Giappone da secoli, tanto da assolvere funzione apotropaica. Si
pensava, infatti, che il suo suono tenesse lontano dalle case gli spiriti
maligni ed era ritenuto tanto importante che il monaco buddista Honen
(1133-1212) di Kamakura lo definì un tesoro
nazionale.
Fusuma: porta scorrevole
da interni formata da un’intelaiatura in
legno su cui sono montati pannelli in carta di riso decorati nelle parti “a
vista”, scivola sul pavimento mediante delle cabalette disposte in alto e in
basso.
Futakuchi-onna: creatura
soprannaturale della mitologia giapponese. Come suggerisce il nome (donna
dalle due bocche) è caratterizzata dalla presenza, oltre a quella
"normale", di una seconda bocca nascosta tra i capelli della nuca,
dove il cranio della donna si apre, presentando labbra, denti e una lingua.
Come se questo non bastasse, la bocca posteriore borbotta e sputacchia,
continuando a chiedere cibo e, se non viene
adeguatamente sfamata, inizia a strillare in modo osceno e a provocare alla
donna un tremendo dolore. Addirittura, in una particolare versione del mito,
anche i capelli della donna si animano e, muovendosi come serpenti, iniziano a
portare cibo alla vorace bocca. Nella mitologia e nel folklore giapponesi, le
futakuchi-onna appartengono allo stesso tipo di miti delle rokurokubi, delle
kuchisake-onna e delle yamanba: donne trasformate in yōkai da maledizioni
o malattie soprannaturali. In questi racconti, la natura soprannaturale delle
donne rimane solitamente nascosta fino all'ultimo minuto, quando la verità viene rivelata. Nella tradizione mitica la futakuchi-onna era una matrigna che, non amando il figlio di primo letto
del marito, sfamò solo i propri figli, lasciando invece morire di fame il
figliastro. Qualche tempo dopo, mentre un taglialegna spaccava la legna in
giardino, accidentalmente ruppe la propria ascia che andò a ferire la cattiva
matrigna alla nuca. Lo spirito del figliastro trascurato, allora, entrò nel
corpo della donna impedendo per vendetta alla ferita di rimarginarsi. Col tempo
la ferita sanguinante si trasformò in una bocca che cominciò a chiedere
continuamente cibo alla donna e a ripeterle instancabilmente di chiedere
perdono per ciò che aveva fatto. Secondo un altro racconto popolare molto
famoso invece, la futakuchi-onna era una donna che non mangiava mai e che per
questo fu presa in moglie da un uomo molto avaro. Poco tempo dopo però l'uomo
si accorse che, nonostante la donna non toccasse cibo, le scorte continuavano a
diminuire. Spiandola, infatti, scoprì che quando era
sola i suoi capelli si animavano e portavano in continuazione decine di
polpette di riso ad una seconda bocca posta sulla nuca della sua testa. Sembra
che quella seconda bocca fosse "nata" dal desiderio di cibo che la
donna reprimeva costantemente in pubblico.
Futon: materasso tradizionale giapponese (il suo nome significa
"materasso che si arrotola") è costituito da falde di cotone disposte
a strati e ricoperte da una fodera di cotone trapuntata a mano. Si stende solo
di notte e, di giorno, viene
riposto in appositi armadi a muro. La storia del futon è molto antica: si
ritiene che il futon derivi dal goza, la stuoia usata
in periodo Heian per dormire e che sia nato per il fatto che in Giappone esiste da sempre l’usanza di
togliersi le scarpe all’interno della stanza.
G
Geisha:
tradizionali artiste e intrattenitrici giapponesi. Fin da piccole e durante
quasi tutta la loro vita, le geisha prendono lezioni
di numerose arti. Le case dove le geisha apprendono
hanno talvolta accettato ragazze di famiglie povere e hanno iniziato a
crescerle e ad educarle. Durante la loro infanzia, le apprendiste (maiko) devono
lavorare dapprima come serve (o domestiche) e solo in seguito diventano
assistenti delle geisha più anziane. È questo il
percorso col quale una geisha diventa una professionista. La maggior parte delle geisha studia danza
sin dall'infanzia. Molte geisha non entrano fino ad
un'età adulta nelle scuole per geisha e alcune fortunate vi entrano dopo avere
finito l'istituto superiore. Le arti che studiano sono molte e varie, come: lo shamisen, il flauto,
le percussioni, il canto,
la danza giapponese classica, la cerimonia del tè, la letteratura e la poesia.
Guardando le geisha più anziane, le studentesse
diventano esperte anche nelle tradizioni complesse, nell'utilizzo del kimono
e nell'intrattenimento dei clienti. La parola geisha è
stata spesso confusa con il significato di prostituta
e in Cina
è tradotta con una parola che in cinese
significa proprio prostituta. Tale confusione deriverebbe dal periodo
dell'occupazione americana del Giappone, durante il quale le
geisha si sono vendute per denaro ai soldati americani in cerca di sesso.
Questi motivi ed il concetto di mizuage hanno causato confusione al di sopra
della vera intenzione della professione della geisha.
Gojo-gesa: tipica veste sacerdotale buddista
in uso nel periodo Heian composta da un kimono e da una protezione che si avvolgeva al
corpo e si fermava su una spalla con un nodo e passando i capi in un anello di
legno o metallo.
Guinomi: tazza grande
per bere il sake.
H
Habaki: pantaloni molto stretti e
aderenti, lunghi fino alla caviglia se non meno, indossati solitamente dai
monaci buddisti del periodo Heian sopra la tradizionale veste
sacerdotale.
Haiku: componimento poetico di tre versi
caratterizzati da cinque, sette e ancora cinque sillabe. È una poesia dai toni semplici che
elimina i fronzoli lessicali e le congiunzioni e trae la sua forza dalle
suggestioni della natura e le sue stagioni. Lo haiku fu creato in Giappone
nel secolo XVII e deriva dal tanka, componimento poetico di 31 sillabe che risale già al
IV secolo. Il tanka formato da 5
versi con una quantità precisa di sillabe per ogni verso: 5-7-5-7-7.
Eliminando gli ultimi due versi si è formato l'haiku.
Per l'estrema brevità richiede una grande sintesi di pensiero e d'immagine.
Tradizionalmente l'ultimo verso è il cosiddetto riferimento stagionale o
kigo, cioè un accenno alla stagione che
definisce il momento dell'anno in cui viene
composta o al quale è dedicata. Soggetto dell'haiku sono scene rapide ed intense che rappresentano, in genere, la natura e le
emozioni che esse lasciano nell'animo dell'haijin
(il poeta). La mancanza di nessi evidenti tra i versi lascia spazio ad un vuoto ricco di suggestioni.
Hakama: pantalone largo e a pieghe (sette pieghe, di cui cinque davanti e due dietro), munito di un
supporto rigido (koshi ito). Era
tradizionalmente indossata dai nobili nel Giappone durante il medioevo e in particolare dai samurai. Ha acquisito la sua forma attuale durante
il periodo Edo. Sia uomini che
donne possono indossare la hakama. Alcuni
affermano che il ruolo dell'hakama sia di nascondere i movimenti dei
piedi, per soprendere meglio l'avversario, sebbene
questa spiegazione non è accettata da tutti: in
effetti, i samurai portano delle schiniere che
racchiudono l hakama, i piedi sono quindi ben visibili. Per alcuni,
siccome non si trattava di un'armatura ma si preparava ad un combattimento, i samurai, tiravano su
l'hakama a livello della cintura, la stessa alla quale attaccava le
maniche del kimono tramite una striscia di tessuto, la tasuki. Era infatti solamente un pantalone di
cavalleria. Le cinque pieghe frontali rappresentano la via dei cinque principi:
lealtà (signore - vassallo), pietà filiale (genitore - figlio), armonia (marito
- moglie), affetto (amore - indulgenza) e fiducia. O ancora: fedeltà, cortesia,
intelletto, compassione, fiducia (fede). Infine, considerando le pieghe
frontali e posteriori, jin (benevolenza), rei
(etichetta e gentilezza), gi (giustizia), chi (saggezza), shin (sincerità), koh (pietà) e chu ( lealtà ). La piega posteriore rappresenta la via della sincerità
(assenza di doppiezza). Questo significa che indossando la nostra hakama,
noi dovremmo iscrivere questi valori nel nostro cuore.
Hachiwari: sorta di stiletto a sezione triangolare e a lama smussata usato nel Giappone feudale. Lungo circa 30-35cm (alcune versioni più lunghe
raggiungevano i 45cm), era incurvato ed aveva un uncino sul dorso vicino alla
base dell'impugnatura. In certi casi la fattura dell'hachiwari era così simile
a quella di un tantō da considerarli veri e propri
coltelli piuttosto che randelli smussati. Si ritiene venisse usato in modo del tutto simile al jitte: portato
al fianco come fosse un pugnale, in combattimento veniva solitamente usato
insieme alla spada, impugnata nella mano destra, tenendolo nella mano sinistra
e usandolo per parare i colpi dell'arma avversaria tentando, se possibile, di
spezzarne la lama con l'uncino. In alternativa poteva essere usato per sfondare
l'elmo o, come appare più probabile, per penetrare di
punta negli interstizi dell'armatura dell'avversario.
Hadajuban: in un pezzo unico o in due pezzi, è
una veste (hadaji = camiciola più susoyoke = gonna a portafoglio), in cotone bianco,
serve ad assorbire il sudore ed impedire che il nagajuban
si sporchi.
Hai: sì
Hakurei: montagna sacra dall’intensa e pura
aura spiritica, circondata da una barriera prodotta dal monaco Hakushin, è il riparo di Naraku
dopo la sconfitta subita da parte di Inuyasha e Sesshomaru. Secondo la
leggenda, la purezza del luogo è tale da purificare qualsiasi aura maligna o
peccato, tanto da permettere di raggiungere la beatitudine anche ai criminali
più incalliti. Inoltre nega l’accesso alle sue pendici a demoni e uomini dai
pensieri impuri. Il monte crollerà in seguito alla distruzione della barriera
mistica e alla liberazione dei demoni usati da Naraku per costruirsi un nuovo corpo.
Hanagushi: particolare kanzashi
a forma di pettine arrotondato realizzato con legno laccato e guscio di
tartaruga, spesso impreziosito con decorazioni in madreperla e foglia d’oro e
decorato con fiori di stoffa o lamina d’argento, impiegati soprattutto per
donne di alto rango.
Hama: solitamente impiegata con il termine
freccia (Hama no
ha), la parola significa “sacro” e designa le frecce intrise di potere
spirituale usate da monaci e sacerdotesse per sconfiggere demoni ed essere
maligni. La pericolosità della freccia è direttamente proporzionale al potere
spirituale di chi la scaglia.
In “Inuyasha” sia Kagome sia Kikyo combattono con frecce hama, come
anche l’anziana Kaede. Lo stesso Inuyasha è stato sigillato a Goshinboku per mezzo
di una freccia sacra.
Han-eri: sopracollo in tinta
unita o ricamato applicato al collo del nagajuban, che ha scopo
sia decorativo che pratico perché una volta sporco può
essere staccato e sostituito facilmente.
Hanfu: costume
tradizionale del popolo cinese (Han) nel corso di gran parte della loro storia,
ed in particolar modo prima della dinastia di Quing.
Hanhaba obi: l'obi più informale di tutti, alto solo 15 cm e lungo 360, viene utilizzato per la yukata e
per i kimono decisamente informali.
Haniwa: letteralmente "cilindri d’argilla", erano
statuette in argilla raffiguranti genericamente
oggetti (entō haniwa) o animali e poi persone (keishō haniwa). I secondi dovevano svolgere una
funzione religiosa, seppure non chiarissima: forse testimoniavano la credenza
in una reincarnazione o resurrezione, o forse avevano la funzione di proteggere
il defunto. O, piuttosto, sostituivano simbolicamente - secondo l'usanza cinese
- la famiglia di servitori che doveva seguire il sovrano. Con il progredire
della civiltà, infatti, erano queste ad essere seppellite
insieme ai signori alla loro morte, al posto dei loro servitori.
Hanyou: secondo la tradizione del Giappone,
sono il frutto dell'unione tra uno youkai
e un umano, spesso guardati con disprezzo dagli youkai e con timore dagli
umani.
Haori:
accessorio del kimono, è un soprabito
che giunge fino all'anca o alla coscia, che aggiunge ulteriore
formalità all’abito. Riservato agli uomini fino alla fine del periodo
Meiji, quando col cambio delle mode è entrato
nell'uso anche per le donne; i modelli da donna tendono ad essere più lunghi. Lo haori si porta quindi sopra il
kimono, senza chiudere i lembi. Un cordoncino attaccato ai due lati
dell'apertura viene annodato
con un nodo codificato (diverso per haori maschili e femminili),
ma lo haori ha comunque una certa ampiezza per "accomodare" il fiocco
dell'obi, sulla schiena. I motivi decorativi dello haori
vanno da tutte le possibili delizie dello shibori a
motivi dipinti con tecnica Yuzen, e
possono ricoprire tutta la superficie, parte di essa
con una disposizione asimmetrica o concentrarsi sulla schiena. Il colore
classico ed elegante è il nero, magari con motivi tipo urushi, ma non mancano certo esempi di colori brillanti.
Hashi: bastoncini più corti e delicati di
quelli cinesi, sostituiscono le posate all’occidentale. Quando non vengono usati, durante il pasto,
vanno riposti sull’apposito sostegno (hashi-oki).
Higashi: letteralmente, Est.
Nella storia, Higashi costituisce uno dei cinque regni di Honshu,
posto sotto il controllo di Sesshomaru, che lo deriva in eredità dalla madre,
che era Signora dell’Est e lo portò in dote a Inutaisho. racchiude in sè anche i territori di Musashi. (vd. Honshu)
Hime:
principessa
Himitsu bako:
letteralmente scatola segreta, da himitsu che significa segreto e bako scatola. In
apparenza è un cubo di legno liscio caratterizzato da vari motivi spesso a
carattere geometrico; facendo più attenzione alla superficie, è possibile
notare delle sottilissime giunture, che ne delineano i
pezzi che compongono la scatola, la cui apertura è soggetta ad una combinazione
che viene fatta scattare muovendo le parti che compongono la scatola stessa secondo
una serie di passi predefiniti per accedere allo scomparto segreto.
Hina matsuri: Hina significa ‘uccellino’, ‘pulcino’; per estensione e
contiguità semantica con il concetto di ‘piccolo’, passò ad indicare anche i
giochi delle bambine con le bamboline e altre miniature di pupazzi (hinagata ‘piccola forma’) dalle
fattezze umane, usati nello hina asobi
(gioco delle bambole). Nella lingua moderna dunque hinadori
significa pulcino, ma hina ningyou significa bambola,
rappresentazione in miniatura di creature dalle sembianze umane. La Festa delle
Bambine è comunque una ricorrenza molto sentita dalle famiglie giapponesi che
celebrano le figlie femmine pregando per la loro salute e prosperità futura. Lo Hinamatsuri
è celebrato esponendo le hina ningyou,
offrendo hishimochi (mochi
composti in graziosissime losanghe di colore rosa, bianco e verde, spesso
decorati con fiori di pesco) e bevendo lo shirazake
(sake bianco, dolce). Talvolta questi dolci di riso a 3
o 5 piani sono esposti insieme con le bambole su apposite raffinatissime
scaffalature, che restano in esposizione nelle case per circa un mese.
L’esposizione delle hina-ningyou inizia ai primi di
Febbraio, che nel calendario lunare già segna l’inizio della primavera;.ma si è poi soliti riporre le bambole quasi subito dopo il
3 di Marzo o al massimo entro il 15 Marzo, perché si ritiene che lasciare le hina ningyou troppo a lungo in
esposizione, potrebbe ritardare il matrimonio delle ragazze. Le bambole del
periodo Heian, citate anche nel famoso romanzo Genji monogatari, erano molto
semplici: i bambini vi giocavano semplicemente cambiandole di abito; mentre fra
le famiglie nobili si diffondeva l’abitudine di esporre le bambole più belle
per la festività del Joumi.
Fu solo a partire dal periodo Edo che il governo
proclamò il 3 Marzo come festa nazionale. Durante lo shogunato
di Tokugawa Iemitsu
(1623-1651), era prassi offrire come regalo un set di hina ningyou
a tutte le neonate femmine, nate a palazzo. L’usanza sorse
quando i membri del governo shogunale decisero
di offrire un set di hina ningyou
a Chiyohime, la figlia più grande dello shougun Iemitsu, il 1 Marzo 1644 per festeggiare il suo settimo compleanno.
Essendo ‘regalo di corte’, l’artigianato delle
bambole cominciò a fiorire, creando hina ningyou sempre più lussuose e importanti, elaborate nelle
vesti e negli accessori che imitavano la vita a palazzo. Inizialmente questa
pratica avveniva per di più nelle città e nelle ricche famiglie dei mercanti,
ma con il periodo Meiji (1868-1912) l’usanza di
celebrare lo hinamatsuri si estese a tutto il paese, facendo fiorire
commerci di hina ningyou
sempre più elaborate e di alto valore artistico. Le bambole del periodo Heian erano bambole rappresentate
in posizione eretta, nel periodo Muromachi
(1338-1573) comparvero le prime hina ningyou sedute, fino all’attuale parata di bambole dalle
diverse posture e dai diversi significati. Inoltre, le bambole (hina ningyou) vengono poste su stand a 3, 5 o 7 ripiani coperti da
velluto rosso e nel preciso rispetto di una gerarchia stabilita e codificata.
Hisashi: nome generale del corridoio che circonda, nel shinden, cioè nella parte principale del palazzo di
periodo Heian, la stanza fulcro o moya,
separandola dal sunoko. Il nome cambia in base ai punti cardinali, per cui
l’hisashi nord, sud, est e ovest saranno rispettivamente chiamati
kitabisashi, minabisaschi, higaschibisaschi e nischibisashi. L’hisashi,
inoltre, può esser suddiviso, in caso di necessità, in varie stanze mediante
l’ausilio di particolare paraventi e tatami mobili.
Hitoyogiri:
tipo
di shakuhachi (flauto) introdotto in Giappone dalla Cina
durante il periodo
Muromachi. Era lungo
33 cm ed aveva cinque fori (quattro anteriori ed uno posteriore). Il suo nome
significa letteralmente "tagliato con un nodo solo" ed allude al fatto che, per la sua lunghezza limitata, il
suo corpo comprende generalmente un solo nodo del fusto del bambù. Inizialmente
usato da mendicanti per la questua, fu poi utilizzato anche nella musica
d'arte; ebbe una fioritura soprattutto durante l'era Genroku (1688 - 1703) ma in
seguito fu soppiantato dal fuke shakuhachi.
Ho: letteralmente veste, è la
parte superiore del kimono quotidiano dei cortigiani a corte nel periodo Heian,
indossato assieme a particolari hakama chiamati sashinuki. Il vestito nel suo
complesso prende nome di ikan, ed era usato spesso dai
cortigiani in tribunale o durante le riunioni
Ho-ate: maschera dell’armatura
Hokora: piccolo tempio shintoista
Homongi: kimono semi-formale per consuetudine
usato per andare in visita o ricevere ospiti. La caratteristica è di avere il
motivo disposto asimmetricamente, e che copre buona parte della superficie, più
che nello tsukesage. Il motivo inoltre è eba-moyou, cioè passa sopra le cuciture, e questo richiede
che la stoffa sia tagliata ed
imbastita per disegnare i contorni, prima di tingerla, per essere sicuri che il
disegno combaci una volta cucito definitivamente il kimono. A seconda del grado di formalità un homongi può avere tre kamon
o un solo kamon, solitamente ricamato (nui kamon), che è il tipo meno
formale, ma talvolta anche dipinto, in questo caso può essere del tipo nakakage mon, cioè mon semidelineato.
Con l’homongi
il nagajuban può essere di seta colorata o disegnata, per dare un tono più
elegante si usa un date-eri in colore contrastante, fukuro obi e obiage ed obijime colorati.
Honshu l'isola
più grande del Giappone. Honshū
in giapponese vuol dire appunto Provincia
principale. Nello Honshū
sono ubicate, oltre la capitale Tokyo, alcune fra le città più grandi e
famose del paese: Hiroshima, Kawasaki, Kobe, Kyoto, Nagoya, Nara, Osaka, Sendai, Yokohama. Una catena montuosa altamente vulcanica attraversa l'isola per il lungo.
La cima più alta è quella del Monte
Fuji (3778m), seguita
da alcune cime delle Alpi
giapponesi. L’isola è divisa in tre zone, ognuna delle quali è a sua
volta divisa in altre regioni: Honshu settentrionale
con la regione de Tohoku, con sei prefetture (Aomori, Akita, Iwate, Yamagata, Miyagi, Fukushima); Honshu centrale, con le regioni di Kanto,
dotata di sette prefetture (Tochigi, Ibaraki, Saitama, Tokyo, Chiba, Kanagawa, Gunma), e di Chibu, con nove
prefetture (Niigata, Toyama,
Ishikawa, Fukui,
Nagano, Yamanashi, Shizuoka, Aichi, Gifu); Honshu occidentale, con le
regioni di Kansai o Kinki, con sette prefetture (Hyogo, Kyoto, Shiga,
Osaka, Nara, Mie, Wakayama) e di Chogoku, con cinque prefetture (Tottori,
Okayama, Stimane, Hiroshima, Yamaguchi).
Nella fanfiction, la divisione dell’isola differisce un po’, in quanto il territorio viene
nominato secondo una topografia demoniaca e non umana. Di conseguenza, l’isola
di Honshu è divisa, teoricamente, in cinque regni,
corrispondenti alle cinque regioni storiche dell’isola. Partendo da Nord, il
regno di Kita, governato da Kumamoto, corrisponde alla regione di Tohoku; il regno di Sesshomaru sarebbe propriamente Nishi,
corrispondente alla regione storica di Chibu, ma
comprende anche il regno di Higashi, dove si trova Musashi,
portato in dote dalla madre di Sesshomaru a Inutaisho. A Sud,
infine, due regni: il regno del Kansai, sotto il controllo di Morigawa, e il
regno di Minami. A questi cinque regni, si devono aggiungere i tre
situati nelle restanti isole, in corrispondenza biunivoca con il nome storico:
il regno di Yezo, a Nord, sotto il dominio di Hidesuke; i regni di Shikoku e Kyushu a Sud.
Horagai: strumento musicale della famiglia
della tromba ricavato da una grossa conchiglia
(Charonia tritonis)
in cui è praticato un foro e aggiunto un bocchino di legno laccato (o, in tempi
recenti, di metallo). Si tratta di uno strumento di origini antichissime, che
in forme diverse è diffuso non solo in tutto il Pacifico ma anche in Asia,
Africa ed America. In Giappone lo horagai è
documentato a partire dal periodo
Heian ed è stato utilizzato sia come strumento
militare (come segnale sui campi di battaglia), sia come strumento rituale nei
templi buddhisti o tra i seguaci dello Shugendô. È in grado di emettere una sola
nota: a volte segnali particolari vengono
prodotti usando più strumenti con intonazioni diverse.
Houshi: monaco buddista, solitamente
cieco, ma non necessariamente.
Hoozuki: ciliegio giapponese dai fiori arancio,
che sbocciano in inverno.
I
Ihai: tavolette funerarie presenti all’interno del
butsudan; esposte quarantanove giorni dopo la morte del defunto, ne commemorano
la persona e il nome, benché questo non corrisponda a quello usato dal morto in
vita, ma sia invece quello scelto per la sua anima dopo la morte stessa da un
sacerdote buddista e venga consacrato in un tempio.
Inrou: porta medicine solitamente ligneo di forma cilindrica, formato da due pezzi montati su
una cordicella da appendere al collo che permette lo scorrimento del pezzo
superiore rivelando l’incavo per contenere i rimedi.
Irikawa :
spazio che intercorre fra la veranda e la stanza
Iromuji: kimono
maschile di un solo colore, come testimonia anche il suo stesso nome (iro in giapponese
significa colore), con però l’eccezione del nero e del bianco impiegati preferibilmente in occasioni
particolari. Può essere sia formale sia informale, in base alla presenza e al numero dei kamon
(stemmi)
Izanagi: nome
di una divinità shintoista il cui nome significa "Colui
che invita", fratello e compagno della dea Izanami
("Colei che invita"). Nella mitologia giapponese
è il dio creatore, padre di tutti i kami.
Nel Kojiki ("Memorie degli
eventi antichi"), si narra che il primo gesto di Izanagi ed Izanami fu quello di far sorgere le terre dall'oceano e mescolarle con una lancia chiamata Ame-Nu-Hoko.
Con il fango che si ammassò colando dalla lancia ebbe origine la prima isola: Onogaro-Shima
(il Regno Terreno). In seguito gli dei crearono altre otto grandi isole che
divennero la terra di Yamato, il Giappone. Le due divinità abbandonarono il
Regno del Cielo e stabilirono la loro nuova dimora sulla Terra. Dalla loro
unione nacquero il dio del mare O-Wara-Tsu-Mi, il dio
delle montagne O-Yama-Tsu-Mi,
il dio degli alberi Kuku-no-chi
e il dio del vento Shina-Tsu-Hiko.
La nascita dell'ultimo dio, quello del fuoco Kagu-tsuchi,
costò la vita ad Izanami. Izanagi, adirato, uccise il
figlio e scese all'inferno (Yomi-Tsu-Kumi) con l'intento di condurre
nuovamente la sua compagna nell'Onogaro-shima; al suo arrivo, il dio scoprì che
la sua sposa si era nutrita con il cibo infernale ed era diventata un demone
malvagio. Izanagi fuggì in superficie ed Izanami restò
nello Yomi-Tsu-Kumi
divenendone la terribile regina. Ritornato sulla Terra, Izanagi volle lavarsi
dal sudiciume che lo aveva ricoperto ed eseguì un rito
di purificazione. Si tuffò in un fiume e soffiandosi il naso originò il dio
Susanoo (Susa-no-wo), signore della tempesta; dal suo occhio destro nacque
Tsukuyomi, divinità della luna, e da quello sinistro
Amaterasu, dea del sole.
J
Jigai: suicidio rituale femminile, corrispondente al seppuku
maschile. Veniva compiuto dalle donne che rischiavano
di venir disonorate. A differenza del suicidio rituale maschile, quello
femminile non prevedeva un compagno e
avveniva mediante il taglio della carotide con un coltello con lama che variava
fra i quindici e i trenta centimetri. Per rispondere alla consueta esigenza di
compostezza anche nella morte, le donne che praticavano il
jigai erno solite legarsi le ginocchia, perché il corpo restasse in posizione
consona e decorosa anche dopo le convulsioni della morte.
Jimbaori: particolare soprabito senza
maniche, comunemente indossato dai samurai di rango elevato sopra le armature
per aumentare l’effetto spaventoso e incutere maggior paura.
Jinja: termine giapponese che sta ad indicare un tempio
shintoista, generalmente costituito da una
serie di edifici e l'area naturale circostante ed è il luogo dove i fedeli shintoisti possono recarsi per la venerazione degli dèi (kami).
Si crede che originariamente i
jinja fossero solo templi temporanei, allestiti in
occasione di una festività (matsuri) in luoghi considerati sacri come
caverne o montagne. Questo per il fatto che nella fede
shintoista i kami
sono in un certo senso «onnipresenti», avendo la facoltà di essere dove vogliono quando vogliono, e che dunque non possano essere
confinato in uno spazio sacro ben definito. Comunque, in epoche più recenti,
dopo la costruzione di questi templi temporanei chiamati shaden si diffuse la credenza secondo cui un kami venerato in un tempio
farebbe di quest'ultimo la sua dimora sacra. Nacquero così i primi templi
stabili, i jinja, a partire da preesistenti shaden.
Molti credono che le tecniche di costruzione degli shaden
derivino dal Buddhismo, difatti, parecchi jinja
antichi non hanno tracce di shaden, ma
solamente luoghi di preghiera affacciati su ambienti sacri a cui è solitamente vietato l'accesso. Un tempio shintoista è costituito da parecchi locali ed edifici, inclusi un honden e un haiden . L'honden
è il Sancta Sanctorum, la
stanza o l'edificio contenente il goshintai ,letteralmente,
"il Sacro Corpo del kami".
Di queste stanze, solo l’haiden
è aperto ai laici. L'honden è collocato dietro
l'haiden, è più piccolo ed è privo di
decorazioni. Altre zone particolari di un tempio shintoista
sono l'area del torii, l'ingresso sacro al tempio; il chōzuya l'area delle abluzioni di mani e
bocca, e il shamusho .
Junihitoe: kimono
a dodici strati indossato nell'antichità dalle donne di corte. Oggi usato solo nelle occasioni più
formali a corte (matrimoni imperiali, incoronazioni) e visibile nei musei.
Jyuzu: rosario buddista, formato da 108
grani o sfere, corrispondenti alle passioni a ai vizi che l’uomo deve esorcizzare per riuscire a
elevarsi spiritualmente e a raggiungere l’illuminazione divina o Nirvana.
K
Kabuto: elmo
Kaiken: arma da taglio quasi esclusivamente
femminile, usata per gli scontri ravvicinati e facile da nascondersi fra le
vesti o nelle tasche dei kimono, in modo da poter cogliere l’avversario di sorpresa.
Kake-obi: particolare obi del nushi no tareginu (vd.);
consiste in una fascia che corre davanti al seno, per poi aggirare la spalla e
fissarsi sul petto della donna, tenendo fermo il grande cappello di paglia con
velame di canapa.
Kake soba: "soba in brodo"
consistente di tagliatelle di soba, sottili tagliatelle di grano saraceno, bollite e
servite in una tazza di brodo caldo chiamato tsuyu
e fatto con dashi, mirin e salsa
di soia, guarnito con fettine di negi (cipolletta) e solitamente mangiata con i bastoncini.
Kaji: spadaio
Kamaitachi:
creatura soprannaturale della mitologia giapponese, tradizionalmente associata
al vento e diffusa in varie zone del Giappone, soprattutto montuose e, appunto, ventose. Di questo spirito
esistono molte versioni, in parte differenti per aspetto e caratteristiche a seconda della zona d'avvistamento, ma in generale si
tratta di un velocissimo essere dall'aspetto di donnola (per tradizione considerato
un animale maligno), che si muove cavalcando folate di vento e che è munito di
artigli affilati come rasoi coi quali ferisce alle gambe i malcapitati passanti
per poi dileguarsi immediatamente. L'azione è così rapida che spesso le vittime
non si accorgono nemmeno dell'attacco, anche perché, altra caratteristica
peculiare del kamaitachi, le ferite inferte non provocano dolore ma solo
sanguinamento, a volte anche copioso. Secondo alcune versioni, invece,
accadrebbe l'esatto contrario e cioè che le ferite non
sanguinerebbero quasi per nulla ma causerebbero grande dolore e in
taluni casi sarebbero fatali. La versione più famosa del kamaitachi ha origine
nelle montagne delle regioni di Mino e Hida (oggi accorpate nella prefettura di
Gifu), dove sembra che apparisse come un terzetto di donnole di cui la prima
faceva inciampare la vittima, la seconda le tagliava la pelle delle gambe e la
terza le curava la ferita con una medicina in grado di eliminare il dolore.
Questa interpretazione sembra sia da ricondurre a Toriyama
Sekien, che fu probabilmente anche il primo ad associare
l'apparizione alla donnola; egli eseguì, infatti, un tipico gioco di parole,
alterando leggermente uno dei nomi più popolari della creatura, kamaetachi,
per trasformarlo appunto in kamaitachi (donnola con le falci). Nella
prefettura di Niigata, invece, il kamaitachi era uno spirito singolo ma molto
più aggressivo, tanto che le sue vittime non riuscivano più a liberarsene.
Kami: parola giapponese indicante gli oggetti di
venerazione nella fede Shintoista. Sebbene
la parola sia talvolta tradotta con "dio" o "divinità", i teologi shintoisti specificano che tale tipo di traduzione può causare una
grave fraintesa del termine.
In alcune circostanze, come Izanagi e Izanami, i kami
sono identificati come vere e proprie divinità, simili agli dei dell'antica Grecia o Roma. In altri casi invece, come il fenomeno
della crescita, gli oggetti naturali, gli spiriti che dimorano alberi, o forze
della natura, tradurre "kami"
con "dio" o "divinità" sarebbe una cattiva interpretazione.
Limitatamente all'uso nello Shintoismo, la parola è un'onorificenza per spiriti nobili e sacri, che
implica un senso di rispetto o adorazione per la loro virtù e autorità. Dal momento che tutti gli esseri (viventi e non) hanno tali
spiriti, gli esseri umani (come d'altra parte ogni altro essere) potrebbe
essere considerato un kami o un kami potenziale. Poiché il
giapponese normalmente non distingue il numero (singolare/plurale/duale) nei
nomi, non è talora chiaro se kami si riferisce ad
una singola entità o ad entità multiple. Quando è assolutamente necessario un
concetto di pluralità, viene
usato il termine kami-gami
che è una ripetizione della stessa parola (kami diventa gami per eufonia). A volte ci si riferisce a kami "femminili" col termine megami. Si dice poi spesso che ci sono Yaoyorozu-no-kami ,ossia
"otto-milioni-di-kami"; in giapponese, questo
numero spesso porta con sé il concetto di infinito.
Kami-gami: forma plurale del nome Kami, quando è assolutamente necessario
esprimere un concetto di pluralità. Si basa su una ripetizione della parola
stessa kami, che per eufonia muta in gami. (vd. Kami)
Kamishimo: abbigliamento formale
indossato dai samurai in uso durante il periodo Heian ed
Edo, letteralmente la parola significa kami (alto) e shimo (basso) forse ad
indicare che copriva sia la parte superiore che quella inferiore del corpo. Era
indossato anche nelle cerimonie ufficiali o per svolgere compiti all'interno di
strutture dove risiedevano personaggi altolocati (ad esempio castelli) e riportava
il kamon o simbolo della casata di appartenenza.
Kano: fiume nella
penisola di Izu.
Kansai: regione giapponese, anche conosciuta
come Kinki , si trova nella zona centrale
dell'isola principale del Giappone, Honshu. Il termine Ki,
in Kinki, può anche esser letto miyako, che significa città
o capitale.
Questo deriva dal fatto che nel Periodo
Edo, la capitale del Giappone era situata in questa regione. Il Kansai
include le prefetture di Nara,
Wakayama, Mie,
Kyōto, Ōsaka,
Hyogo, e Shiga.
Nella storia, il Kansai è
uno dei cinque regni demoniaci dell’isola di Honshu,
posto sotto il controllo del Clan di Morigawa e Shin.
(vd. Honshu)
Kanzashi: ornamenti per i capelli in forma di
fiori di seta, pettini di legno, forcine di giada, di metallo, di tartaruga o di
resine o ancora di legno laccato; la varietà è infinita, e quelle per geisha
spesso hanno una piccola molla che fa oscillare delicatamente la decorazione.
Kanzashi hana:
particolare tipo di ornamento per i capelli, con un fiore lungo ondeggiante. Sono creati dagli artigiani
giapponesi da dei quadrati di seta da una tecnica un conosciuta come tsumami. Ogni quadrato è piegato con l'aiuto di pinzette e col
tagliato, formando un singolo petalo. Questi sono poi attaccati al supporto di
metallo per creare i fiori interi, o attaccati a dei fili di seta per creare le
cordicelle del bocciolo. Anche simboli come farfalle e uccelli sono comuni.
Alcuni dettagli del fiore, come lo stame,
possono essere creati con elementi propri dell'arte del mizuhiki, ovvero delle
stringhe ottenute dalla carta washi. I colori e i motivi variano in base alle
stagioni, solitamente bianco e argento o comunque colori pastello per la
stagione estiva e guscio di tartaruga o corallo per la stagione invernale.
Kappa: creatura leggendaria, è uno spirito del
folklore e della mitologia giapponese che abita in laghi, fiumi e stagni. La maggior parte delle
descrizioni descrive i kappa come umanoidi
delle dimensioni di bambini, sebbene i loro corpi siano più simili a quelli
delle scimmie o a quelli delle rane piuttosto che a quelli degli esseri
umani. Alcune descrizioni dicono che le loro facce sono gorillesche, mentre secondo altre hanno un viso con un becco simile a
quello delle tartarughe. Generalmente i disegni mostrano i
kappa con spessi gusci simili a quelli di una
tartaruga e con la pelle scagliosa in colori nell'intervallo che va dal verde,
al giallo o al blu. I kappa abitano i laghi e
i fiumi del Giappone e sono dotati di diverse
caratteristiche che li aiutano in questo ambiente,
come mani e piedi palmati. Si dice alle volte che puzzino
di pesce e certamente sanno nuotare bene.
L'espressione kappa no kawa nagare
("un kappa che affoga") significa che anche
gli esperti possono sbagliare. La caratteristica principale del kappa è comunque la depressione piena d'acqua in
cima alla testa. Questa cavità è circondata da ispidi e corti capelli, che
hanno dato nome al taglio di capelli okappa atama. Il kappa
deriva la sua forza incredibile da questo foro pieno d'acqua e chiunque ne
affronti uno può sfruttare questa debolezza semplicemente facendo in modo che
il kappa rovesci l'acqua dalla sua testa.
Karakami: pannello scorrevole fra due stanze. Letteralmente carta
cinese
Kariginu: abito
di corte e di guerrieri di alto rango attestato per la prima volta nel periodo Heian. Era costituito da hakama (pantaloni larghi) e
particolari giacche con le maniche tagliate (il termine significa proprio “manica tagliata”).
L’abito di Inuyasha è a tutti gli effetti
un kariginu, ma la sua composizione di pelle di topi demoniaci (pelle di
Hinezumi) lo rende un vestito demoniaco, capace di
proteggere dal fuoco e resistente quanto un’armatura.
Kasane: stradi di vesti sovrapposte con i
colori coordinati secondo accostamenti codificati che portavano il nome di
fiori o uccelli stagionali. In numero anche di cinque, cui si aggiungevano le
sottovesti e le sopravvesti, erano usate principalmente dalle dame del periodo Heian.
Katana: spada lunga giapponese, anche se molti giapponesi usano
questa parola genericamente per intendere una spada Katana (o più precisamente uchigatana)
si riferisce ad una specifica spada a lama curva e a
taglio singolo usata dai samurai. Veniva
usata principalmente per colpire con dei fendenti, nonostante permetta
tranquillamente di stoccare, e può essere impugnata ad una o due mani.
Quest'ultima diventò la maniera più comune, ma nel Libro dei Cinque Anelli, Musashi Miyamoto
raccomanda la tecnica a due spade, e quindi una per mano. Veniva portata con la parte concava della lama verso
il basso, in modo da poterla sguainare più velocemente con dei sapienti
movimenti. L'arma era portata di solito dai membri della classe guerriera
insieme al wakizashi, o
spada corta. Le due spade insieme erano chiamate daisho, e
rappresentavano il potere o classe sociale e l'onore dei samurai, i guerrieri che obbedivano al daimyō
(feudatario). In particolare la combinazione daishō era costituita fino
al XVII secolo da tachi e tanto, in seguito da katana e wakizashi.
Katanakake: supporto ligneo a due o più piani per le spade
giapponesi. Solitamente, presenta una forma leggermente trapezoidale,
con il supporto inferiore destinato alla katana e quello superiore al corpo
pugnale che forma il dashi.
Katsuragi:
montagna nella penisola di Izu, alle cui pendici esistono
sono presenti numerose sorgenti termali e la collina Genjiyama.
Katsura
tsutsumi: lungo panno bianco
solitamente legato attorno alla testa per portare pesi dalle contadine di
Katsura, nelle periferia occidentale di Kyoto.
Kayaributa:
zampirone giapponese usato soprattutto in estate.
Kimono: abito tradizionale giapponese. In origine il termine
'kimono' veniva usato in
origine per ogni tipo di abito; in seguito è passato ad indicare specificamente
l'abito lungo portato ancor oggi da persone di entrambi i sessi e di tutte le
età. È veste a forma di T, dalle linee dritte, che arriva fino alle caviglie,
con colletto e maniche lunghe. Le maniche solitamente sono molto ampie
all'altezza dei polsi, fino a mezzo metro. Avvolto attorno al corpo, sempre con
il lembo sinistro sopra quello
destro, è fissato da un'ampia cintura
annodata sul retro chiamata obi.
Esistono diversi stili di kimono per le varie occasioni, dalle più formali alle
più familiari. Il livello di formalità di un kimono da donna è dato dalla sua
forma (principalmente la lunghezza delle maniche), dal disegno, dal tessuto e
anche dal colore. I kimono da uomo si presentano invece generalmente in
un'unica forma e sono di colori spenti. Il loro grado di formalità è dato dal
colore degli accessori, dal tipo di tessuto e dal numero (o dall'assenza) di mon
(cimiero
di famiglia). La seta
è la stoffa più ricercata e più formale, il cotone
è più familiare. oggi sono
disponibili anche kimono in poliestere,
considerati ancora più informali.
Kinoko: creatura misteriosa di montagna dall’aspetto indefinito, ma
spesso rappresentato come un bambino di tre o quattro anni. È spesso
immaginato vestito di foglie d’albero, da cui appunto il suo nome: kinoko significa
infatti bambino (ko)
dell’albero (kino).
Kinu:
giacca del (vd.) kinubakama.
Kinubakama:
abito tradizionale dei clan più potenti dell’epoca Yamato. Può esser
considerato il primo tentativo nella realtà giapponese di distinguere il
vestiario in base al rango di appartenenza. Tale abbigliamento, per gli uomini,
era costituito da una giacca chiamata kinu
fermata da dei lacci poco sotto il gomito e stretta in vita da una cintura
chiamata shizuri, e da un primitivo
tipo di hakama stretti sotto al
ginocchio da dei lacci. Per le donne l’abbigliamento era costituito dal kinu, mentre gli hakama erano sostituiti da una lunga donna anche a pieghe chiamata mo. Comune a entrambi i sessi era l’uso di collane e bracciali in pietre preziose
semilavorate, ossa e zanne di animali come lupi o cinghiali.
Kirin: creatura
mitologica di origine cinese simile ad una chimera. È
spesso rappresentato come un mostro il cui corpo è completamente circondato da
fiamme. Animale fantastico, è dotato di testa di drago, corpo di cervo e a
volte e descritto come in possesso di ali. Secondo la leggenda nasce
dall'unione di un drago con una mucca, e appare solo ogni mille anni circa,
quando nel mondo sta per avvenire un cambiamento epocale
o quando nasce un personaggio di importanza straordinaria. Fin dai tempi
antichi, quando in Cina qualcuno avvistava o catturava un Kirin
la notizia era accolta come un fausto evento, tanto che si decideva di
cambiare perfino il nome dell'epoca storica. In Giappone la leggenda del Kirin
è stata tramandata fin dai tempi antichi, ma non esiste praticamente
nessun racconto in cui qualcuno dichiara di averlo visto realmente. Nel nono
anno dell'era dell'imperatore Tenmu furono ritrovate ossa di un Kirin nei
pressi del monte Katsuragi, anche se secondo molti erano semplicemente le ossa
di un cervo di dimensioni enormi, o qualcosa di simile. Anche nel libro
intitolato Engishiki il Kirin è descritto come un animale foriero di
buona sorte. Successivamente fu un animale realmente esistente
a essere chiamato Kirin, ovvero la giraffa, probabilmente perchè il suo aspetto
ricorda molto le descrizioni della creatura mitologica. Comunque sia, pare proprio
che questa bestia misteriosa non proliferasse in Giappone.
Kita: letteralmente, Nord
Nella storia, è
il più settentrionale dei cinque regni inuyoukai di Honshu,
posto sotto il controllo del Clan di Kumamoto, (vd. Honshu)
Kizashi: scala di legno di circa cinque-sei gradini con altri corrimani.
Kodama:
letteralmente, il kodama è l’amina di un albero molto antico
, spesso oggetto di venerazione e la cui custodia è tramandata di padre
in figlio.
Kogo:titolo dell’imperatrice. Vd. chugu
Komon: letteralmente "bel motivo",
è un kimono con un piccolo motivo decorativo ripetuto su tutta la superficie
dell'abito e abbastanza informale.
Koshi-ate: gambali
Koshihimo: cintura di mussolina o seta impiegata per stringere nagajuban
e kimono, nel qual caso sono necessari in numero che varia
da tre a cinque.
Kosode: prima
forma di kimono impiegata in Giappone, nato essenzialmente come un capo
d'abbigliamento indossato sotto gli abiti, ed era largamente diffuso tra gli
strati inferiori della società del periodo Ahikaga (1932-1568).
Gradualmente sarà adottato anche dai ceti più elevati, ma come indumento
esterno e nel tardo XVI sec, diverrà il vestito d'uso quotidiano, sia maschile che femminile.
Kote: maniche e spallacci
Ku: pantaloni
stretti e lunghi fono alle caviglie, solitamente di seta, che compongono
la parte inferiore di un hanfu cinese maschile.
Kugutsu: simulacro utilizzato da Naraku per
muoversi e attaccare senza rischiare nulla.
Kun: uno dei
suffissi più diffusi, utilizzato tra ragazzi e amici per indicare una certa
forma di rispetto, o da un adulto verso una persona molto più giovane
come segno di confidenza. Può essere rivolto da un ragazzo anche alle ragazze
ma questo caso è più raro. È utilizzato anche in ambito lavorativo.
Kurigata: asola di corno o di metallo, raramente di legno, della
katana disposta sul lato esterno (omote; quello
posteriore, verso il corpo di chi porta l'arma, si chiama "ura") della guaina, entro cui passa il sageo
Kuroinuyoukai: letterlamente,
demone cane (inuyoukai) nero (kuro).
Nella storia, i
Clan di inuyoukai si distinguono per il colore della
pelliccia una volta trasformati: nero (kuro) per il Clan di Shin e Morigawa; argento (ginka) per il Clan di Sesshomaru; oro (kinka) per quello di Yezo; rosso (aka) per il Clan di Kumamoto.
Kuroshoin: letteralmente “studio” (shoin) “nero” (kuro), nome
derivato dalle lacche scure che decorano le pareti della stanza. Uno dei più
famosi gabinetti giapponesi con questo nome è quello del castello di Nijo, una delle poche fortificazioni del Giappone. É
inoltre famoso per i suoi caratteristici “pavimenti dell’usignolo” tatami
creati con speciali morsetti canori ideati per riprodurre il suono del canto di
un uccello nel momento in cui vengono
calpestati.
Kusarigama: arma derivata dal falcetto
utilizzato dai contadini per mietere il grano. L’impiego come arma
era noto già dall'antichità ma dal XV secolo fu
consolidato l'utilizzo di una forma modificata aggiungendo, ad un estremo del
manico in legno, una lunga catena con un peso di piombo ad un estremo. La lama
divenne a due tagli per rendere il tutto più efficace. L'utilizzo di un'arma
siffatta è alquanto vario: la lama doppiamente affilata può essere usata di
taglio o di punta, il manico ed il peso per stordire,
la catena per bloccare o sbilanciare. Tale varietà di utilizzo poteva essere afficace contro qualsiasi altra arma ma,
per ovvi motivi, il kusarigama rimase sempre un'arma individuale, estranea alle dotazione degli eserciti.
Kushinada-hime:
moglie umana del dio Susanoo dopo che questi fu scacciato dal cielo. Ultima di
tre sorelle, è condannata ad essere sacrificata al
drago a otto testo Yamata-no-Orochi. Susanoo la incontra mentre si sta recando
al sacrificio e, impietosito dalla sua sorte e colpito dalla sua bellezza, di offre di salvarla in cambio della sua mano. Trasformatala
dunque in un pettine che tiene sempre con sè, Susanoo fa costruire davanti alla
casa di Kushinada-hime un recinto con otto porte, e davanti ad
ogni porta fa collocare un tavolo con una botte di sake. Il drago
Yamata-no-Orochi, venuto a reclamare la sua vittima, viene
attratto dal sake e Susanoo approfitta dello stodimento del drago per
affrontarlo in una dura battaglia che colora di rosso le acque del fiume Hi.
Alla fine, Susanoo riesce a uccidere il drago e a impadronirsi della spada Ama-no-Murakumo-no-Tsurugi che dona alla sorella Amaterasu
con il nome di spada Kusanagi.
Kyuden: castello
Kyusu: teiera
L
M
Maccha: tè verde facente
parte della produzione dei tè verde che viene fatta in
Giappone, dove vengono coltivati tè verdi di altissima qualità. Basti ricordare
che i tè verdi giapponesi hanno caratteristiche uniche come favorire la digestione,
essere ricchi
di vitamina C e avere effetti tonificanti. Nella grande categoria dei tè verdi
giapponesi, il maccha fa parte di quei tè detti ‘tè d’ombra‘, tè che i
coltivatori giapponesi fanno crescere appunto nell’oscurità (metodo ‘kabuse’).
I tè così coltivati saranno più ricchi di vitamine, clorofilla e sali minerali,
e assumeranno un profumo e un sapore erbaceo, note caratteristiche proprio del maccha.
Per realizzare
il maccha le
foglie del tè vengono essiccate e poi schiacciate con uno stampo di pietra fino
a ridurle in una polvere finissima. Questo è il tè che viene
usato per la cerimonia del tè, rito religioso che risale al XII secolo, dove la
polvere del tè maccha viene mescolata all’acqua calda con una piccola frusta di
bambù, dando origine ad una bevanda dove la polvere di tè è sospesa nell’acqua,
e non infusa.
Mado: finestra
Mantra: deriva dalla combinazione delle
due parole sanscrite manas (mente) e trayati (liberare). Il mantra
si può quindi considerare come un suono in grado di liberare la mente dai
pensieri. Sostanzialmente consiste in una formula (una o più sillabe, o lettere o frasi), generalmente in Sanscrito, che vengono ripetute per un certo numero di volte al fine
di ottenere un determinato effetto, principalmente a livello mentale, ma anche,
seppur in maniera ridotta, a livello fisico ed energetico. Esistono moltissimi mantra per gli scopi più diversi; la maggior parte sono in sanscrito, ma ne esistono anche in altre lingue. Il
loro uso varia a seconda delle
scuole spirituali o delle filosofie. Vengono principalmente utilizzati come amplificatori
spirituali, parole e vibrazioni che inducono nei devoti una graduale concentrazione. I mantra
vengono utilizzati anche per
accumulare ricchezza, evitare pericoli, o eliminare nemici. I mantra sono considerati come suoni vibrazionali, a
causa della grande enfasi che si pone alla loro corretta pronuncia ( grazie allo sviluppo della scienza fonetica, in India, migliaia di anni fa ). Il
loro scopo è liberare la mente dalla realtà illusoria e dalle inclinazioni materiali. Il
processo di ripetizione di un Mantra è definito cantilena.
Menuki: piccoli scudetti di metallo con
figure in rilievo fissati sul samegawa (rivestimento di pelle di razza dell’elsa della
katana) sotto la nastratura di nastro di seta (tsukamaki) che fascia l’impugnatura di legno (di solito magnolia) della spada.
Michiyuki:
particolare tipo di haori, differisce da quest’ultima per la maggior lunghezza
e la chiusura del collo squadrata, effettuata con
appositi lacci. Utilizzato soprattutto dalle donne, è indossata sopra il kimono
anche da medici e farmacisti come primitivo camice.
Miko: giovani donne che lavorano presso i templi shintoisti. Erano spesso le figlie dei sacerdoti
incaricati di prendersi cura di uno dei templi. I
ruoli della miko includevano l'esibizione in danze cerimoniali (miko-mai) e l'assistere i sacerdoti in varie funzioni, soprattutto nei
matrimoni. É piuttosto difficile dare una definizione precisa dell'equivalente
occidentale alla parola giapponese "miko",
comunque "Vergini dell'altare" è quella usata più di frequente. Altri
termini sono stati usati come succedanei, quali profetesse,
medium, sacerdotesse, suore, streghe. C'è da sottolineare
che, malgrado lo scintoismo comprenda sacerdoti donna,
esse non sono miko. É anche importante notare che le miko non hanno lo stesso
grado di autorità di un sacerdote, per quanto possano ricoprire gli incarichi
di un chierico anziano se non c'è disponibile alcun sacerdote. Le uniche
eccezioni a questa norma avvenivano in antichità, quando le profezie rivelate
dalle miko erano considerate come ispirate dalla stessa voce del kami
(la divinità). Teoricamente, requisito iniziale per essere miko era quello di essere vergine, però storicamente vennero fatte eccezioni a questa regola, in favore di donne
dotate di grande carattere. É probabilmente vero che, quando una donna che
stava servendo ad un tempio si sposava, abbandonava il
suo ruolo di miko per occuparsi del marito e della nuova famiglia. Questa
regola è stata pressoché completamente rimossa nei tempi moderni, anche se la
maggior parte delle miko ancora oggi, quando si sposa, lascia il servizio al
tempio o il corso di apprendimento per diventare sacerdotessa. Il costume
tradizionale, o veste, di una miko è chiamato chihaya e consiste di un hakama
rosso, che può essere sia in foggia di pantaloni che di gonna, della tunica
bianca del kimono
con grandi maniche, spesso orlate di rosso ed è associato ai tipici calzari
giapponesi, i tabi.
Per le miko è anche comune portare nastri e fiocchi ai capelli, o altri
ornamenti, comunque colorati di rosso o di bianco.
Miso: condimento derivato dai semi della soia
gialla, di origine giapponese,
cui spesso vengono aggiunti altri cereali come orzo
(Mugi Miso) o riso
(Kome Miso). Ha un gusto
molto deciso e molto salato, che può comunque variare a seconda della stagionatura, della composizione e,
ovviamente, della qualità del prodotto
Mizuchi: divinità
giapponese delle acque in forma di dragone. Raffigurato come un essere
serprentiforme con corna, quattro zampe e un veleno mortale per l’uomo, è uno
spirito dell’acqua come denota il suo stesso nome formato da mizu che significa acqua e chi che indica
uno spirito acquatico. Inoltre, la leggenda vuole che nel caso in cui possa
nutrirsi di iris, il mizuchi sia capace di creare
miraggi estremamente verosimili che emana dalla bocca.
Mizura: tradizionale
acconciatura maschile del periodo Yamato, consisteva in due nodi di capelli ai
lati delle tempie.
Momo: pesco
Momo no sekku: letteralmente festa
del pesco, è il periodo di fioritura dell’albero che va dal tre di marzo,
in concomitanza con l’hima metsuri. Indica il periodo in cui tradizionalmente
si raccoglievano erbe medicinali nei campi con lo scopo di purificare l’anima e
proteggersi dai mali.
Moya: stanza
interna del shinden, solitamente adibita a stanza
d’udienza o di ritrovo, o ancora ad appartamento privato del signore del
castello. Può essere divisa in due parti, moya e moya nurigome, che presenta la
struttura in pietra anzicchè in legno e non ha
aperture verso l’esterno.
Mushi no tareginu: designa un particolare abbigliamento
femminile in uso nel periodo Heian durante spostamenti brevi o lunghi. Consiste
in un particolare kimono hitoe
protetto da una veste uchie ; tutta la persona, poi, è nascosta dietro un lungo velo di
canapa di un largo cappello di paglia, fissato al corpo con un particolare obi
che ne impedisce la perdita.
N
Nagajuban: sottoveste di seta o di lana che si
indossa sotto il kimono. Non viene
ripiegato in vita come il kimono ed è legato con un koshihimo (cintura).
Naginata: sorta di alabarda costituita da un'asta in legno, soliamente laccata,
lunga circa 150 cm, su cui è innestata una lama ricurva, di forma analoga al wakizashi ma più spessa e con una forte curvatura verso la
punta. Altra sorta di alabarda fu il nagamaki, in cui
le proporazioni fra lama e asta erano, rispetto al
naginata, circa uguali. Queste armi furono utilizzate ampiamente soprattutto
prima dell'avvento delle armi da fuoco, sia da cavallo che
a piedi (frequentissimo è trovarle rappresentate, ad esempio, in stampe
raffiguranti episodi di battaglie nel periodo delle guerre con i mongoli). In
particolare, se utilizzate da un fante potevano essere
utili contro un cavaliere avvalendosi sia della lunghezza sia della possibilità
di atterrare il nemico tagliando le gambe del cavallo che lo sosteneva. Il
naginata utilizza la lama prevalentemente di taglio mentre
l'asta può essere utilizzata per colpire (frequente era l'adozione di un pomolo
di metallo all'estremità dell'asta per rafforzare il
colpo). La lunghezza dell'arma e l'impugnatura lunga consentono una potenza non
indifferente soprattutto se il guerriero era dotato di fluidità e destrezza nei
movimenti. Per tale motivo il naginata divenne con il tempo l'arma dedicata
alle donne appartenenti alle famiglie samurai. Il progressivo abbandono del
naginata nel periodo Tokugawa ne fece strumento di
educazione per le nobili guerriere più che arma di offesa.
Nàn: sud in cinese
Natto: soia fermentata.
Nee-san: sorella maggiore. Un altro termine
corrispondente è aneki,
“nobile sorella maggiore”. É molto importante ricordarsi che in Giappone, fin
dall’antichità, l’età è stato un forte fattore
sociale, tanto che ogni grado di parentela assume kanji
differenti in base a chi lo pronuncia.
Nekomata: creatura soprannaturale della mitologia
giapponese evolutasi da un gatto
e caratterizzata dalla presenza di una coda biforcuta o addirittura di una
seconda coda e dalla capacità di camminare sulle zampe posteriori. Come per il
"cugino" bakeneko e la kitsune,
la trasformazione avviene solitamente quando il gatto
raggiunge un'età avanzata (10 anni, secondo alcuni racconti), per questo
motivo, fino al XVII
secolo ai gatti spesso veniva mozzata la coda,
secondo la credenza che questo avrebbe impedito la loro trasformazione in nekomata, tale pratica potrebbe col tempo aver contribuito
alla nascita del bobtail giapponese, una razza di gatti privi di
coda.
In Inuyasha,
il personaggio di Kirara
è un tipico esempio di nekomata, anche se privato dei
suoi tratti negativi.
Nigatsu: febbraio
La storia parte, a
livello cronologico, a fine Ottobre. Alessandra trascorre circa due mesi con
Rin,Jacken e Sesshomaru, o
solo con il demone, lontana dal palazzo, e poi devono passare altri due mesi
circa prima che Inuyasha arrivi al castello del fratello, dove trascorrerà un
mese. Ormai, siamo a fine Febbraio,alcune
settimane dopo il capitolo “Principe”.
Nihon: nome originale nipponico del Giappone,
formato d due ideogrammi, di cui il primo, ni, significa Sole, e il secondo,
hon,
origine, cosicché letteralmente il termine significa origine del sole, per poi esser tradotto con “Paese del Sol
levante”, come è conosciuto anche in Occidente.
Calcolando
approssimativamente l’età di Sesshomaru attorno ai quattrocento anni, suo
padre, stando al terzo film, poteva già fregiarsi del titolo di Dominatore del mondo nel periodo Heian (794-1185), quando cioè era all’acme del suo potere. Benché
in tale periodo il governo giapponese costituisse un sistema di
ispirazione cinese e testimonianze di rapporti con l’impero Celeste risalgano addirittura al 239, a lungo il Giappone si chiuse
agli stranieri, considerando il suo arcipelago come l’unica realtà esistente.
Di conseguenza, la definizione di “Dominatore del mondo” va intesa in modo
relativo, restringendo il termine “mondo” al solo Giappone , altrimenti detto, Inutaisho dominava tutti i
demoni del Giappone.
Niisan: fratello maggiore, dalla lettura del kanji corrispondente che rappresenta la raffigurazione
stilizzata di una persona con una testa molto grande.
Nikko: situata sul fiume Daiya
nell’isola di Honshu, al confine con la regione
centrale e quella settentrionale di cui fa parte, è un rinnovato centro buddista-schintoista, dal momento che,
oltre 1200 anni fa, il venerabile sacerdote buddhista
Shodo Shonin, in cammino
per il monte Nantai, vi fondò il primo tempio della
città. Secoli più tardi Tokugawa Ieyasu
lo scelse come luogo del proprio mausoleo. Con questo santuario, eretto nel
1634 e detto Tosho-gu, il clan Tokugawa
voleva mostrare ai rivale la propria ricchezza e il proprio potere. Da allora
Nikko, che significa “i raggi del sole”, è diventato sinonimo giapponese di speldore.
Ningen: essere umano
Nioi-bukuro: sacchettimi
d’incenso preparati con ingredienti naturali, come le polveri di legno al
naturale, non lavorate tali sacchettini, preziosamente
decorati, sono utilizzati per profumare la casa, i vestiti, per essere portati
addosso, anche nelle maniche del kimono.
Nishi: letteralmente, Ovest.
Nella storia,
costituisce uno e il più vasto dei regni di Honshu,
dominato da Sesshomaru, che lo ha ricevuto in eredità
da suo padre. (vd. Honshu)
Nishikigoi:
specifica varietà giapponese di carpe, caratterizzate da una colorazione
brillante e policroma.
Noka: tradizionale
casa rurale giapponese in opposizione al minka, formata da un solo ambiente
regolare comprensivo di cucina in muratura nel domo ed engawa e da un ambiente
più piccolo dotato di rudimentale vasca da bagno in
legno.
Norito: preghiere prefissate da pronunciarsi in
diverse e particolari occasioni
O
Obi: equivalente giapponese della fusciacca
o della cintura, usata per il kimono o per la yukata.
Sono generalmente usati in modi differenti a
seconda dell'occasione e i modelli da donna sono generalmente più
intricati. Di vario materiale e lunghezza, come per il kimono, variano nel loro
utilizzo in base all’occasione in cui vanno indossati, spesso con lo scopo di
creare un piacevole contrasto con il kimono stesso. Esistono centinaia di modi
diversi di annodare l'obi, alcuni molto complessi e vistosi.
In linea generale il fiocco più diffuso è il Taiko-musubi,
o fiocco a tamburo. Il suo nome deriva dal Taiko-bashi,
o Ponte a tamburo, un famoso ponte di Kyoto che fu inaugurato
nel XIX secolo. Le geishe invitate ad assistere
all'occasione inventarono questo tipo di fiocco, che ricorda la forma bombata
del ponte, da cui il nome... Il Taiko musubi è dunque il tipo più usato
per il kitsuke "di
tutti i giorni", e praticamente è il fiocco usato dalle donne sposate in
qualsiasi occasione. Le ragazze nubili invece possono sbizzarrirsi, nelle
occasioni speciali, con fiocchi "a rosa" (bara no hana), "ad anatra mandarina" (oshidori),
"a fenice" (Houoh), "a
crisantemo" (itogiku), "ad ali
d'aquila" (washikusa) e via dicendo...
Oden: sorta di spezzatino, consiste in una
ciotola calda di crocchette fritte di pesce e verdure varie
Ofuro: bagna caldissimo che si fa in vasche di legno di hinoki, cipresso giapponese.
Oiran: cortigiana di rango più elevato, ben
diversa dalla yotaka
(“falco della notte”), prostituta d’infimo ordine. Loro caratteristica sono i geta con la suola divisa in tre
parti, portati sempre, in qualsiasi stagione, senza tabi, e l’obi annodato sul
petto, come è consuetudine per tutte le prostitute.
O-Kuni-Nushi: divinità shintoista della
stregoneria e della medicina
Oni: creature mitologiche del folklore giapponese, simili ai demoni e agli orchi occidentali. I ritratti degli oni
variano notevolmente tra loro, ma normalmente li ritraggono come creature giganti e mostruose, con artigli taglienti, capelli
selvaggi e due lunghe corna che crescono dalla loro testa. Sono
fondamentalmente umanoidi, ma occasionalmente sono ritratti con caratteristiche
innaturali, come molti occhi o dita delle mani e dei piedi extra. La loro pelle
può essere di colori diversi, ma quelli più comuni sono il rosso, blu, nero,
rosa e verde. Il loro aspetto feroce viene
spesso accentuato dalla pelle di tigre che tendono ad indossare e dalla mazza
ferrata da loro favorita, detta kanabō. Nelle prime leggende gli oni come
per esempio la ragazza del pozzo erano creature benevolenti ritenute capaci di
tenere alla larga spiriti maligni malvagi e malevoli e
di punire i malfattori. Durante l'era Heian il Buddhismo giapponese, che aveva già importato una
parte della demonologia indiana (rappresentata da figure come i kuhanda, gaki e
altri) incorporò queste credenze chiamando queste creature aka-oni
("oni rosso") e ao-oni ("oni
blu") e facendone i guardiani dell'inferno o torturatori delle anime dannate. Alcune di
queste creature erano riconosciute come incarnazioni di spiriti shinto. Con il
passare del tempo la forte associazione degli oni con il male contagiò il modo
in cui venivano percepite
queste creature e vennero ad essere considerate come portatori o agenti delle
calamità. I racconti popolari e teatrali iniziarono a descriverli come bruti
stupidi e sadici, felici di distruggere. Si disse che gli stranieri ed i barbari fossero oni. Oggigiorno sono variamente
descritti come spiriti dei morti, della terra, degli antenati, della vendetta, della pestilenza o della carestia. Non importa quale sia la loro essenza, gli oni odierni sono qualcosa da
evitare e da tenere a bada.
Onigiri: involtini a base di riso
e alghe
crude, solitamente di forma triangolare. Possono essere di solo riso
oppure ripieni di pesce
o carne.
Molto diffusa e' la versione con
all'interno l'umeboshi
una tipica prugna
giapponese seccata con il sale,
dal sapore aspro.
Oniisan: letteralmente, signor fratello maggiore, indicando una
particolare forma di rispetto e assieme affetto.
Onmyoji: una delle
classificazioni dei funzionari appartenenti all'Ufficio di presidenza del
sistema antico del Giappone. Le persone
con questo titolo sono stati i professionisti del onmyōdō.
La loro responsabilità giudice variava da compiti come tenere traccia del
calendario ai doveri mistica, come la divinazione e la
protezione del capitale da spiriti malvagi. Potevano divina
influenze di buon auspicio, o nociva in terra, e sono stati fondamentali
per lo spostamento di capitali.. Si dice
che uno Onmyoji potrebbe anche convocare e controllo shikigami. Onmyoji famosi
includono Kamo no Yasunori e Abe Seimei (921-1005). Dopo la morte di Seimei è l’imperatore aveva
un santuario eretto nella sua casa di Kyoto. Onmyoji aveva peso politico durante il periodo Heian, ma in tempi
più tardi, quando la corte imperiale cadde in declino, il loro patrocinio era
stato perso completamente. In tempi moderni Onmyoji Giappone sono
definiti come una sorta di sacerdote shintoista e anche se ci sono molti che
affermano di essere medium e spiritisti, i Onmyoji
continua ad essere una figura occulta Hallmark.
Ookami:
youkai animale che può assumere sembianze umane
corrisponde al lupo
del Giappone, ora estinto.
Oribenishiki: dolcetto fatto con marmellata di soia
e pasta di castagne, rivestito di zucchero di canna non raffinato.
Oshiire: porte scorrevoli degli armadi a muro.
Okasama: letteralmente
signora madre, nel giapponese antico
è la formula tradizionale di deferenza con cui ci si rivolge al proprio
genitore. Nel giapponese moderno, invece, designa la madre altrui.
Otosama: letteralmente
signor padre, nel giapponese antico è la
formula tradizionale di deferenza con cui ci si rivolge al proprio genitore.
Nel giapponese moderno, invece, designa il padre altrui.
Ototo: fratello minore
Oujisama: termine che
designa la carica di principe
Oyakata-sama: termine che significa "potente signore", utilizzato dai
soldati per rivolgersi al loro comandante.
P
Pei: ornamento
solitamente di giada applicato alla cintura e alla vita degli hanfu cinesi.
Prana: termine
sanscrito che significa letteralmente soffio vitale, respiro o energia
cosmica. Secondo la fisiologia induista, tutti gli esseri viventi
attraverso la respirazione creano un interscambio tra
il mondo esterno e quello interno, individuale. Tale comunicazione, che avviene
attraverso il prāṇa, è una comunione tra un essere e
l'ambiente che lo circonda: grazie alla respirazione si assimila energia
vitale. Per alcune culture asiatiche il respiro assume un ruolo fondamentale:
respirare in modo adeguato, potenzia gli effetti terapeutici e armonizzanti
dell'energia cosmica contenuta nell'aria. Il prāṇa raccolto
all'atto del respiro, viene assimilato dai chakra, attraverso i canali di
scorrimento delle energie detti nadi.
Q
R
Ramen: Zuppa
con carne,
spaghetti
di grano,
uova
e alghe
crude. Tutti vengono serviti
in brodo ed è buona norma sorbirli in maniera rumorosa per dimostrare
gradimento. I Ramen sono spaghetti cinesi all'uovo e
oltre che in brodo si servono asciutti conditi con verdure.
Ramma: decorazione a traforo posta sopra i
pannelli scorrevoli che sostituiscono le pareti divisorie della casa.
Rì: ali
del palazzo, formate da corridoi coperti e talvolta costeggianti delle stanze
secondarie.
Rokugatsu:
Ryo: antica moneta d’oro
Ryokan: tradizionale
albergo giapponese
S
Sageo: lungo nastro utilizzato per fissare
l’arma alla cintura. Intrecciato anticamente con fili di cotone o di seta, nel
qual caso era più pregiato, il sageo riceveva una
colorazione naturale monocormatica
i bicromatica, con talvolta un colore
dominante, ricami laterali e anche frangiature, e variava la sua lunghezza in
dipendenza dal tipo di lama che accompagnava, cioé il
tanto (90 cm), il wakizashi (110 cm), la katana (180
cm) e il tachi (220 cm). Inoltre, il sageo, oltre a fissare l’arma all’obi, veniva anche
impiegato per ripiegare le maniche dei kimono, tradizionalmente molto ampie e che potevano
ostacolare i movimenti durante le attività quotidiane, nei duelli e nelle arti
marziali.
Saimyosho:
letteralmente il nome significa "vittoria assoluta". Sono le api
infernali utilizzate da Naraku, dotate di un potente veleno.
Sakazuki: nome
delle tazzine usate per servire e gustare il sake
Sake:
nome di un liquore incolore, con una gradazione alcolica dai 15
ai 17 gradi. Nelle antichissime cronache del Giappone veniva indicato come “la bevanda degli dei”. Si
ottiene mescolando riso cotto al vapore con una muffa simile al lievito; si
lascia riposare e poi si raffina. Esistono due tipi di sakè: quello dolce e
quello secco, comunque entrambi, secondo la
tradizione, vendono serviti caldi.
Sama: suffisso che indica reverenza e rispetto
San: suffisso onorifico d’uso comune, equivalente a
“signore”, “signorino”
Sashinuki hakama: tipo di hakama che viene indossata in un modo
tale da risultare gonfia sulla gamba ed esporre il piede. Per ottenere questo
effetto questo tipo di hakama è più lunga e vengono
fissate e strette delle corde negli orli delle caviglie; ciò crea un effetto a
palloncino. Questo tipo di hakama era molto popolare nel periodo Heian.
Satsuki: letteralmente
mese dei germogli di riso, è l’antico
nome nel calendario lunare giapponese di Gogatsu, che corrisponde circa al
maggio occidentale.
Saya:
termine giapponese che indica il fodero
della katana
o della wakizashi. Tradizionalmente è costruito in legno di magnolia
giapponese ed è verniciato con lacca Urushi, una lacca di origine naturale. La laccatura del saya spesso
include decorazioni particolari con polveri d'oro, mica, abalone, same o altri materiali applicati a strati o inclusi
nella lacca che formano disegni in rilievo di rara eleganza (makie). Lo shira - saya,
(letteralmente "fodero bianco"), è invece realizzato senza
decorazioni, il legno è lasciato al naturale. Lo Shirasaya
ha lo scopo di preservare e custodire la lama, non viene usato nell'utilizzo pratico della spada.
L'imboccatura del saya si chiama koiguchi,
(letteralmente bocca di carpa),
mentre la parte terminale è chiamata kojiri. L'anello dove viene legato il sageo invece viene denominato Kurigata.
Tali finiture, nella montatura di tipo Buke-zukuri,
sono tradizionalmente costruite in corno o ebano, più raramente in metallo. Il
saya può avere delle tasche laterali per contenere il kogatana
(piccolo coltellino tuttofare) o il kogai (piccolo attrezzo per sistemare l'acconciatura da samurai), o
essere munito di un piccolo gancio (sakazuno)
utilizzato soprattutto nei wakizashi per trattenere il fodero nell'obi. Tale
necessità era dovuta al fatto di dover estrarre il wakizashi spesso e volentieri con un unica
mano poiché la prima spada ad essere estratta era la katana e la mano destra
era quindi occupata da quest'ultima.
Seiza: posizione
formale di seduta. Per mettersi correttamente in questa posizione bisogna prima
piegare la gamba sinistra ruotando leggermente a destra col busto, quindi
seguire con la gamba destra; gli alluci restano a contatto o si
incrociano mentre i talloni, rivolti verso l'esterno, formano un incavo
in cui ci si siede; la schiena è dritta e la testa eretta, le spalle sono
rilassate e le mani sono appoggiate sulle cosce coi palmi in basso e le dita
rivolte verso l'interno, le ginocchia sono aperte in modo naturale - generalmente
distanziate da due pugni - e determinano la stabilità della postura. Il
praticante deve tenere la colonna vertebrale diritta per
potere respirare in modo corretto.
Sengoku Jidai: periodo storico che comprese quasi
tutto il sedicesimo secolo, caratterizzato da accese lotte tra i samurai per la
gestione del potere. In quell’era il Giappone era diviso in tanti piccoli regni
in perenne contrasto fra loro.
Verso la metà del 1400, il Giappone si trovava a
fronteggiare la più grande crisi politica della sua storia. Fino ad allora, il Giappone era stato facilmente amministrato
dallo Shogun (il generale più forte, consigliere
supremo dell'imperatore, ma spesso anche più potente di quest'ultimo), che a
sua volta delegava a circa 260 Daimyo (signorotti
locali), il controllo regionale dello stato. I Daimyo
possedevano un proprio esercito, spesso formato da migliaia di uomini, per la
maggior parte contadini reclutati nelle campagne. Con l'inizio della guerra di Onin (1467-1477), ebbe inizio quella che in Giappone, è comunemente chiamata "Era Sengoku", o
"periodo degli stati combattenti". Durante questo periodo, le
continue rivolte dei Daimyo minarono il potere
amministrativo del Giappone, fino allora detenuto dallo Shogunato
Ashikaga e ogni Daimyo
fondò un proprio stato, in guerra con quelli confinanti.
La guerra di Onin (1467-1477)
Originariamente, la guerra di Onin
non era altro che un conflitto locale tra i due più potenti Daimyo,
gli Hosokawa e gli Yamana.
Ben presto però, il conflitto si estese anche alle regioni circostanti, quando
lo Shogun Ashikaga Yoshimasa, d’accordo con Hosokawa,
decise di cedere il potere al proprio figlio minore, Yoshimi.
Gli Yamana però, d’accordo con la moglie di Yoshimasa, volevano invece che il potere passasse nelle
mani del fratello di Yoshimasa, Yoshihisa.
Contemporaneamente, Hosokawa cercava di interferire
nel conflitto tra due membri della famiglia Hatakeyama,
e Yamana chiese allo Shogun
il permesso di punire la famiglia Hosokawa. Lo Shogun, rigettò la proposta, e Hosokawa
prese il figlio Yoshimi, e si barricò nel palazzo
dello Shogun, situato a Kyoto,
la capitale dell'impero. Lo Shogun Yoshimasa capì subito che una guerra nella capitale avrebbe
paralizzato il suo controllo sul resto dell'impero, lasciandolo senza potere
nelle regioni più esterne, ma non potè farci nulla. La guerra scoppiò nel 1467
e nel giro di pochi mesi devastò la città di Kyoto,
facendo estendere la guerra civile anche nella periferia della città. Nel settembre 1467, Yamana si
alleò con un altro potente Daimyo, Ouchi Masahiro, allargando il
conflitto. Alla fine del 1467, non c'era ancora un chiaro vincitore, e le due
fazioni stavano ancora combattendosi. Nei primi mesi del 1468 Yoshimi tradì Hosokawa e si alleò
con Yamana (che invece supportava Yoshihisa).
Lo Shogun dichiarò allora Yoshimi
un ribelle, e la guerra si trasformò in un conflitto tra lo Shogun
(supportato da Hosokawa), e suo fratello (supportato
da Yamana). Nel 1473 sia Hosokawa,
quarantatreenne, che Yamana, settantenne, morirono, e il conflitto andò rapidamente spegnendosi, poichè Yoshimasa riuscì a
riprendere il controllo delle province che si erano ribellate. Nel 1477 anche Ouchi Masahiro ritornò agli
ordini di Yoshimasa. Il conflitto produsse migliaia
di morti; in un attacco di Ouchi ad Hosokawa, fortificato
nel monastero Shokokuji, viene riportato che Ouchi collezionò oltre 8 carri di teste mozzate ai nemici.
Il conflitto lasciò inoltre devastata la città di Kyoto.
Gli stati combattenti
Dopo la guerra di Onin, gli Ashikaga persero rapidamente il loro potere, diventanto burattini agli ordini della famiglia Hosokawa. Quando il figlio di Yoshimi,
Yoshitane, divenne Shogun
nel 1490, il reggente della famiglia Hosokawa lo fece
deporre nel giro di soli 3 anni, e dichiarò Shogun un altro Ashikaga, Yoshizumi, iniziando un nuovo conflitto. Nel 1499 Yoshitane arrivò a Yamagichi,
dove risiedevano gli Ouchi, e ne ottenne il supporto
militare. Nel 1507, il reggente degli Hosokawa, Matsumoto, venne
assassinato, e nel 1508 Yoshizuni fu costretto alla
fuga. Gli Ouchi restituirono allora lo Shogunato a Yoshitane. Con la
morte di Matsumoto, i suoi due figli adottivi,
Takakuni e Sumimoto iniziarono una guerra interna per
la successione, e la famiglia perse lentamente il proprio potere. Durante i
successivi 50 anni, molti dei Daimyo,
tra i quali i gli Shimazu, i
Takeda, Imagawa, e i Mori
approfittarono del periodo di crisi, per stabilire dei propri domini
indipendenti o consolidarli. Le guerre si moltiplicarono, e alla fine del 1550,
dei circa 260 Daimyo, solo una dozzina erano ancora al potere. Tra le centinaia di piccole guerre
che si combatterono, si ricordano principalmente la
guerra tra gli Ouchi e i Mori, conclusa nel 1551 con
la vittoria di questi ultimi, quella tra il clan Takeda
e quello Uesugi, quelle Yeyasu
Tokugawa, che unificò sotto il suo dominio la parte
ovest del Giappone, e le guerre di Oda Nobunaga.
Oda Nobunaga (1534-1582)
Nato nel 1534 nella piccola provincia di Owari, nel 1560 consolidò sotto il suo
dominio tutti i piccoli clan della regione. In questo periodo si alleò
con Yeyasu Tokugawa, e Toyotomi Hideyoshi che lo serviranno fedelmente fino alla
morte. Vincendo nel 1567 la decisiva battaglia di Okehazama,
in cui sconfisse un esercito 10
volte superiore al suo, potè estendere i suoi domini oltre la regione di
Owari. Nel 1568 marciò su Kyoto
e la conquistò, facendo eleggere come Shogun Ashikaga Yoshiaki, in realtà un
burattino nelle sue mani. Nel 1571-72 assoggettò le regioni dominate dai clan Asai e Asakura, nel 1574 quelle
dei Nagashimi, e nel periodo 1575-1580 quelle dei Takeda. Dal 1575 al 1582 fu impegnato in feroci battaglie
con i Mori. Nel 1582, quando ormai sembrava vicina anche la fine dei Mori, fu
assassinato da uno dei suoi generali. Nobunaga, che
insieme a Yeyasu Tokugawa e
Toyotomi Hideyoshi è tra
gli eroi più famosi del Giappone, è passato alla storia per la sua incredibile
abilità militare, per le sue aperture agli occidentali (in particolare al
Cristianesimo), ma anche per la sua grande ferocia e mancanza di pietà.
La fine dell'era Sengoku
Dopo la morte di Nobunaga, Tokugawa e Hideyoshi si
spartirono le regioni che Oda aveva unificato, ingaggiando una nuova guerra
civile. Nel 1590 i due strinsero un accordo di pace e sconfissero insieme le
orde di invasori provenienti dalla Korea
(nella battaglia di Odawara). La pace tra le due
fazioni permise a Tokugawa di diventare Shogun nel 1603. Morì nel 1613. Grazie al decisivo
contributo di Hideyoshi (morto nel 1598 e autore di
alcune leggi innovative), il suo shogunato fu uno dei
più profilici e pacifici, permettendo al suo clan di
restare al potere fino al 1868.
Nel manga non viene mai indicato un anno preciso, ma leggendo
alcuni capitoli, si intuisce che Inuyasha dovrebbe essere ambientato
all'incirca nel 1500 e il 1550 (quando cioè Nobunaga
inizia a diventare un generale famoso e cominciano a comparire le prime armi da
fuoco, importate dai portoghesi)
Sensei: termine giapponese che significa "maestro".
Oltre a indicare i docenti scolastici, viene
adoperato anche all'interno delle arti e tecniche tradizionali, dove il maestro
spesso non viene visto come il semplice insegnante di nozioni, ma anche come un
individuo dotato di autorità ed esperienza, ovvero un "maestro di
vita". Il termine è adoperato anche per quelle personalità che, in ambito
artistico, hanno raggiunto un notevole livello di eccellenza e popolarità:
grandi registi, scrittori,
artisti o fumettisti
vengono quindi chiamati sensei.
Shikigami: tipo di spiriti (kami)
che possono essere evocati da un onmyōji,
similmente agli spiriti familiari della stregoneria
occidentale. Gli shikigami sono invisibili
alla maggioranza delle persone, ma secondo gli onmyōji dell'epoca
Heian di cui si dice fossero in grado di
utilizzarli, avrebbero in genere l'aspetto di piccoli oni.
Sebbene invisibili, gli shikigami potrebbero, su ordine dell'onmyōji,
assumere forme umane o animali, possedere o stregare le persone, e anche
causare dolore fisico o morte.
In “Inuyasha” uno shikigami in
forma di serpente è usato dalla sacerdotessa nera Tsubaki
per cercare di uccidere Kikyo prima e Kagome poi. Kikyo stessa crea tre shikigami
quando viene avvelenata e ha bisogno di guadagnare tempo per rimettersi; due di
essi, Kochō e Asuka,
sono sufficientemente potenti da creare barriere, mentre il terzo, Hijiri ha le sembianze della sacerdotessa e parte del suo
potere. Inoltre, Kururugi, personaggio del videogioco
Inuyasha: The Cursed
Mask li usa come armi, per curarlo e per difenderlo.
Shinigami: personificazione
della morte
nella mitologia
giapponese, l'equivalente al "mietitore di anime" (psicopompo) occidentale. La mitologia degli
shinigami è piuttosto recente, in quanto non sembra
esistesse prima dell'epoca
Meiji; molto probabilmente si tratta di un
mito importato dall'Europa.
La figura fu adottata molto rapidamente in Giappone,
e compare ad esempio nell'opera rakugo Shinigami (probabilmente basato
sull'opera italiana Crispino e la Comare, a sua volta basata sul
racconto Der Gevatter
Tod dei fratelli
Grimm) e nel Ehon Hyaku Monogatari (Libro di immagini di cento storie) di Shunsen Takehara. Secondo
altri però il mito potrebbe essere stato importato dalla Cina;
secondo il critico letterario Masao Azuma, «In origine non c'era
alcun culto della morte in Giappone. In Cina, ci sono figure simili al
mietitore di anime, chiamate "Somujo" o
"Koshinin", il cui compito è portare gli
spiriti al "Meifu" (la Terra dei Morti)».
Con shinigami non si indica solo la divinità
principale della morte ma anche quelle secondarie.
Shakujo:
bastone che portano i monaci buddisti erranti, caratterizzato da degli anelli
sulla sommità. Era usato come arma di difesa personale
e per gli esorcismi, si diceva, infatti, che il tintinnare degli anelli
allontanasse i demoni.
Shihandai: istruttore e maestro di bonzi
combattenti, dotati di potente energia spirituale
Shingetsu: novilunio. È la notte in cui Inuyasha
perde la sua aura demoniaca e diviene un semplice essere umano.
Shinden:
corpo centrale del palazzo Heian, costruito con la presenza anche di elementi
in muratura.
Shinobue: tradizionale fluato traverso giapponese ricavato dal
bambù con sette fori, caratterizzato da un suono dal tono alto.
Shitagi:
sottokimono da lavoro femminile impiegato dal periodo Kamakura al periodo
Azuchi-Momoyama.
Shogun: supremo capo politico-militare,
teoricamente sottomesso all'imperatore, ma praticamente
indipendente e investito di pieni poteri. Il termine è l'abbreviazione di Sei-I-Tai-Shogun, che significa letteralmente generalissimo
inviato contro i barbari e indica coloro che in origine dirigevano le
operazioni contro gli Ainu, abitanti
del nord dell’Honshu, e che solo più tardi
designò i dittatori militari che governarono il paese dal 1192 al 1868.
Nell’Epoca Heinan (Heinan
Jidai – 794-1185) la dignità di Shogun veniva attribuita all’imperatore.
Nel 1192 il generale Yoritomo Minamoto,
però, si fregiò di tal titolo, assicurandolo a tutta la sua discendenza. Da
allora gli Shogun non seguirono più il volere
dell’imperatore, che assunse soltanto una carica pressoché divina e religiosa.
Questi dittatori feudali avevano in mano tutto il
potere politico del paese e divennero persino più potenti dell’imperatore
stesso. Prima della loro caduta, nel 1868 con l’avvento del governo Meiji, si susseguirono ben tre dinastie di Shogun: i Minamoto, gli Ashikaga ed i Tokugawa,
i più duraturi.
Shogi: scacchi giapponesi
Shoji: porta scorrevole che separa
l’interno dall’esterno della casa, costituita da un graticcio di legno
rivestito con carta di riso.
Sofu: nonno, composto
di so che
significa antenato e fu che significa
padre.
Sozu: canna di
bambù basculante, collegata attraverso un perno ad un
paletto piantato nel terreno. Raccoglie un getto d'acqua proveniente dall'alto
fino a riempirsi e per il peso ruota verso il basso, gettando l'acqua appena
introdotta in una pozza sottostante, per poi tornare nuovamente ad accumularne
altra producendo un suono secco ripetendo l'azione
Sukiwatadono: piccoli
ponti che nei palezzi di età Heian costituivano il collegamento più diffuso fra
il shinden e i padiglioni privati.
Sukiyaki: piatto della cucina giapponese nello stile nabemono
("una-una pentola"). Consiste di sottili
fettine di manzo, tofu, ito konnyaku (una specie di
spaghetti), negi (cippolletta), cavolo cinese, e funghi enoki tra gli
altri ingredienti. Generalmente viene
preparato nei giorni più freddi dell'anno ed è un piatto comune per le feste di
capodanno (bonenkai). Gli
ingredienti sono lentamente bolliti in una bassa pentola di ferro, in una
miscela di salsa di soia, zucchero e mirin. Prima di
essere mangiati vengono
immersi in una piccola ciotola di uova sbattute.
Sumi-e: stile
pittorico monocromatico dell'Estremo Oriente che utilizza solo inchiostro nero,
il sumi, in varie concentrazioni. Questa tecnica nacque in Cina durante la
dinastia Tang (618-907), consolidandosi con la dinastia
Song (960-1279). Fu introdotta in Giappone a metà del XIV secolo da alcuni
monaci buddisti zen, crescendo in popolarità fino al suo periodo di massimo
splendore, nell'era Muromachi (1338-1573). Come nell'arte della calligrafia,
l'artista prepara il proprio inchiostro (il sumi) polverizzando delle barrette
contro un'apposita pietra (suzuri), oppure può
utilizzarne di pronti. I pennelli sono simili a quelli per la calligrafia,
fatti di bambù con peli di capra, bue, cavallo, pecora, coniglio, martora,
tasso, cervo, cinghiale o lupo. La punta del pennello è assottigliata,
caratteristica indispensabile allo stile sumi-e. Ogni pennello produce degli
effetti diversi: quelli piccoli di peli di lupo possono fare linee sottili,
quasi come quelle delle biro; quelli di pecora, del
tipo chiamato grande nuvola, assorbono acqua ed inchiostro in grande
quantità, lasciando sulla carta una traccia di inchiostro con una miriade di
sfumature che vanno, gradualmente, dal grigio al nero. Le linee tracciate non
possono più essere cancellate o modificate: questa tecnica
infatti richiede concentrazione, pratica e un grande talento. Il sumi-e
predilige la raffigurazione dei Quattro Nobili (detti anche i Quattro
Amici), che comprendono quattro specie di piante, rappresentanti ognuna una
stagione: le orchidee , la primavera; l'ume, cioè il
pruno asiatico, per l'estate; i crisantemi, l'autunno; il bambù, l'inverno.
Queste piante rappresentano inoltre le virtù del junzi confuciano, cioè l'uomo ideale.
Infine, il sumi-e era utilizzato anche per decorare paraventi, ventagli e
accessori di ogni tipo, per illustrare poesie, storie a rotoli e come tecnica
pittorica vera e propria.
Sune-ate: schinieri
Sunoko:
veranda all’aperto di un palazzo, con i corrimani posizionati fuori del hisash. Veniva impiegata per passeggiate
passaggio e inoltre poteva venir trasformata in una stanza di ricezione
disponendo in modo appropriato gli schermi della carta o del bambù. Forniva,
inoltre, un posto conveniente da cui guardare le cerimonie che avvenivano nel giardino.
Suruga: insenatura
dell'Oceano Pacifico nella costa meridionale
dell'isola di Honshu, limitata a est dalla penisola di Izu.
T
Tabane-gani: acconciatura
femminile di carattere popolare diffusa fra il periodo Kamakura e il periodo Azuchi-Momoyama; consiste in un nodo di capelli
fermato sulla nuca con un nastro, per facilitare lo svolgimento di lavori
manuali.
Taijiya: sterminatore di demoni (tai indica un demone di grande
potere)
Taiyoukai: demone superiore.
Tamago-yaki: frittata di uova sottile e
rettangolare, tagliata a fette e servita dapprima sul piatto da portata comune.
Tamarinoma: anticamera
Tansu: significa
(approssimativamente) "scatola", quasi a cogliere l'essenza di un
cassettone/credenza/armadio: accogliere in se delle cose e separarle
dall'esterno. Lo stile dei Tansu
giapponesi è immutato da molti secoli ed è caratterizzato da alcuni elementi:
realizzazione in tutto artigianale (anche le parti metalliche), legni pregiati
ma leggeri per facilitare il trasporto, linee essenziali ma
"movimentate" dalla metalleria quasi
decorativa, in ferro brunito, dall'assenza di gambe (che inoltre rovinerebbero
i tatami), dalle maniglie ai lati per il trasporto e dal gran numero di
cassetti, sportelli.Inoltre spesso sono modulari. Ve
ne sono vari tipi, tra i quali: chopa/choba tansu, cassettone da
viaggio usato spesso fai mercanti per trasportare i
documenti e oggetti preziosi (spesso avevano anche dei piccoli scompartimenti
segreti); kaidan tansu, il
tipico mobile-scala, utilizzato appunto sia come mobile a scomparti e cassetti
che come scala (alquanto ingegnosamente nella assoluta semplicità); isho tansu per
riporre i vestiti e quindi con ampi cassetti spesso sono molto decorati nella
parte esterna; todana, grandi tansu
per riporre i futon
Tatami:
una tradizionale pavimentazione giapponese
composta da pannelli
rettangolari affiancati fatti con paglia
di riso intrecciata e pressata. Puo' anche
avere diversi spessori che mediamente raggiungono i 6 cm. Le dimensioni non
sono fisse variando da zona a zona. Orientativamente il tatami è lo spazio
occupato da una persona sdraiata. Le misure più frequenti sono 90 cm.
x 180 cm.
oppure 85 cm. x 180 cm. Vi sono anche i mezzi tatami di 90x90 oppure
85x85. La stanza con pavimento di questo tipo viene designata washitsu,
mentre quando si parla di una stanza all'occidentale si usa la parola yoshitsu. Il tatami è utilizzato come unità di
misura degli ambienti, così se si dice che una stanza e di dieci tatami, o di
quattro, l'interlocutore ha ben chiara la dimensione. I margini sono squadrati
e i due lati più lunghi sono orlati con una fettuccia
larga di lino
nero o cotone;
quelli delle case nobiliari hanno, intessuti nella
fettuccia, dei motivi ornamentali in bianco e nero. In Giappone
il tatami accompagna tutta la vita familiare: il sonno, i pasti, l'amore e
anche la morte. Sul tatami è doveroso camminare senza suole
(scarpe, zoori, zoccoli, ciabatte, ecc) ma solo con calze o a
piedi nudi. La calza tradizionale da usare sul tatami si chiama tabi,
ha la particolarità di essere di colore bianco e con l'infradito, così da
consentire, usciti dalla stanza, l'uso di sandali di tale foggia.
Tessan: un ventaglio
da combattimento giapponesi. Lungo tipicamente circa 35 cm,
ne esistono di due tipi: menhari-gata, di seta o
di washi (una carta
molto resistente), decorato, a volte anche con lamine di oro
o argento,
o trattato con petrolio. Ha le stecche fatte o rinforzate con ferro (a volte
tutte, in genere 8 o 10, a volte solo quelle esterne);
tenarashi-gata,
oggetti completamente in ferro a forma di ventaglio chiuso. I tenarashi-gata erano i più popolari tra i samurai,
i quali li usavano anche contro gli avversari di rango inferiore, perché usare
la spada
contro questi era considerato disdicevole. L'etichetta
del tempo vietava di portare armi all'interno di abitazioni
e castelli,
per cui i tessen venivano indossati dai samurai come parte dell'abbigliamento,
come era usanza fare con i ventagli normali, che avevano un ruolo
nell'etichetta giapponese. Venivano
portati sia infilati nell'obi
(la cintura) o tenuti in mano
e potevano essere utilizzati come difesa improvvisata. I tessen
venivano costruiti
principalmente con la forma di altri tre tipi di ventaglio: sensu-gata, il ventaglio
comune; maiohgi-gata,
i tradizionali ventagli degli spettacoli giapponesi; bessen-gata, i ventagli usati
per dirigere le truppe militari in guerra.
Tokkuri:
nome della particolare bottiglietta in ceramica impiegata per
riscaldare, raffreddare e servire il sake.
Tokonoma: significa letteralmente spazio e tempo (ma) del (no)
giaciglio (toko), un concetto di spazio temporalità
vago, che riposa su se stesso. “Toko” significa
altresì un
piccola area verde destinata alla semina, alla coltivazione. Se si
considera che l’antenato del tokonoma era l’altare buddista (butsudan),
formato da un rotolo appeso davanti al quale, su un ripiano di legno
sopraelevato,venivano posti un braciere per l’incenso
e un’offerta floreale, si comprende come il tokonoma
possa essere considerato anche il luogo della coltivazione di sé, uno spazio
“consacrato” dove non è permesso camminare o sedere. Spazio caratteristico dell’architettura
giapponese, senza uguali in altri paesi. Si tratta di una nicchia, di
un’alcova, ricavata in una parete della stanza principale della casa, di
dimensioni varie a seconda degli
stili; generalmente è profonda mezzo metro e larga 180 cm, le dimensioni di un
tatami. Vi viene appeso un
rotolo con un dipinto, generalmente legato alla stagione, o una calligrafia, e
vi è collocata una composizione di ikebana o un bonsai, talvolta un oggetto di
particolare bellezza o valore. Il pavimento del tokonoma
(jodan) è rialzato rispetto al pavimento della
stanza, per permettere una giusta visione dello spazio e di ciò che vi è contenuto a chi sia seduto nella tradizionale posizione
giapponese (seiza) sui tatami della stanza stessa. La
soglia può essere grezza o rifinita con cura, ma anche quando è ben squadrata può conservare qualche superficie naturale nelle
curvature del tronco da cui è stata sbozzata e che era stato scelto proprio per
questa caratteristica. Il pavimento del tokonoma è quasi sempre lucido; spesso se è spazioso viene
ricoperto da un tatami, orlato in genere da una fettuccia bianca. Nelle case
dei notabili i tatami erano orlati di fettuccia nera. Il pilastro della parete
di sinistra è un tronco d’albero, semplicemente scortecciato, detto tokobashira. E’ quasi sempre un
ramo d’albero al naturale o privato solo della corteccia ed è molto più
apprezzato se è contorto o con venature elaborate, o se presenta nodi o
protuberanze. Nel punto in cui la trave superiore si unisce al tokobashira sono usati chiodi con
la capocchia ornamentale, spesso in metallo minuziosamente cesellato in varie
forme tratte dal mondo naturale o dal repertorio tradizionale. Talvolta di
fianco al tokonoma si può trovare un’altra nicchia
detta chigaidana che contiene uno o più ripiani
alternati e generalmente sormontati da un ripiano continuo chiuso da sportelli
scorrevoli. Spesso il tramezzo che separa i due spazi ha un’apertura ornamentale
che si presenta come una finestrella, chiusa o meno da una grata, spesso di
bambù. La nascita e l’ evoluzione del tokonoma sono strettamente correlate all’uso di esporre un
rotolo dipinto o una calligrafia, che a differenza di quanto avveniva in Cina,
in Giappone erano montati su tessuti pregiati secondo una precisa tecnica detta
hyo-so o hyo-gu. A sottolineare l’intimo legame estetico e funzionale tra lo
spazio e l’opera appesa è significativo un dettaglio costruttivo La parte
superiore del tokonoma, a 50 cm. circa dal soffitto,
è attraversata da una trave ben rifinita, che nasconde agli occhi di chi è
seduto il chiodo cui è appeso il rotolo.
Torii: tradizionale cancello di ingresso giapponese
che porta ad un jinja (santuario o tempio shintoista). É formato da due colonne di supporto
verticali e due pali orizzontali sulla cima e frequentemente viene dipinto in colore vermiglio.
Su alcuni Torii viene
piazzata una tavoletta con delle scritte sui pali orizzontali. Tradizionalmente
sono fatti di pietra o legno. In tempi recenti i costruttori hanno iniziato ad usare anche l'acciaio o l'acciaio inossidabile. Come suggerito dai kanji (che significano: tori =
"uccello", i = luogo), un torii è
progettato perché gli uccelli vi si posino per riposare. Questo perché lo
shintoismo considera gli uccelli come messaggeri degli dei.
Tsuchigumo:
creatura leggendaria della mitologia giapponese, descritto come un ragno
intelligente e dalle dimensioni enormi.
Sembra che gli tsuchigumo mitologici siano basati su un'antica popolazione
dalle abitudini cavernicole che abitò in passato alcune regioni montuose del
Giappone; dal punto di vista dei giapponesi i loro arti erano
sproporzionatamente lunghi rispetto al corpo e il loro carattere violento,
suggerendo l'associazione mitica con i ragni. Questa interpretazione
tradizionale è però contestata da alcuni studiosi. Il mito più noto che ha per
protagonista uno tsuchigumo è quello associato all'eroe epico Minamoto
no Yorimitsu, meglio conosciuto come Minamoto
no Raikō. Del mito esistono più versioni: in alcune il demone si
presenta con le sembianze di una splendida donna che seduce l'eroe, in altre
come un ragazzo che entra al suo servizio, in altre come un monaco buddhista.
In ogni caso, l'eroe non si accorge della vera natura della creatura, mentre la
sua salute peggiora sempre più rapidamente; divenuto ormai sospettoso
dell'ospite, lo attacca all'improvviso, e mentre la creatura fugge le illusioni
da lei create si dissolvono, rivelando una tela di
ragno intorno a Raikō, che con l'aiuto dei suoi uomini si libera e parte
all'inseguimento. La scia di sangue della creatura ferita li conduce ad una grotta. Secondo alcune versioni gli uomini trovano il
ragno già morto a causa del colpo infertogli da Raikō, secondo altre nella
tana della creatura ha luogo un'ultima battaglia che vede l'eroe e i suoi
compagni emergere vittoriosi. L'associazione tradizionale degli tsuchigumo con
una popolazione realmente esistita ha condotto alcuni a speculare che il demone
del mito possa rappresentare un gruppo di banditi che l'eroe avrebbe affrontato
e sconfitto.
Tsukesage: tipo di kimono
molto popolare perché estremamente versatile: può
adattarsi ad una cerimonia del tè, ad una riunione informale, ad una festa
elegante, ad una passeggiata. Basta cambiare gli accessori, cioè l'obi, obiage ed obijime,
e magari aggiungere un date-eri.Iil motivo nello tsukesage "tende"
verso l'alto (spesso sono fiori a stelo lungo, comunque con un andamento di
linee più verticale), per incontrarsi a livello delle spalle, anzi della spalla
destra per l'esattezza, ed ha una distribuzione grosso modo diagonale, ma
(almeno in teoria) non "passa" sopra le cuciture. Talvolta un piccolo
motivo è disegnato anche sulla manica sinistra, ma più spesso è solo a destra.
Tsuridono:
padiglioni aperti, solitamente collocati sui lati sud
del palazzo, ad una delle estremità dei rì e dotati di particolari palafitte
che permettono loro di affacciarsi direttamente sull’acqua di un lago.
U
Uchie: kimono di protezione utilizzato durante i viaggi specialmente
assieme al nushi no tareginu
Usumono: indica un tessuto sfoderato leggero e trasparente, o in lino e
canapa, impiegato dal 10 di Giugno fino a fine Settembre, con il kimono che
diventa usumono solo per luglio e Agosto. (vd. Kimono)
V
W
Wagashi: dolci giapponesi a base di farina di riso, cereali e crema di fagioli rossi di soia. La forma varia in base alla stagione,
così come i colori, e sono veramente belli da vedere. Vengono serviti insieme al tè verde per smorzarne il
sapore molto dolciastro e vengono considerati come un dono di lusso. Ne
esistono molte varianti, sia per ingredienti usati che
per le miriadi di forme che vengono scelte per
confezionare questi splendidi dolcetti.
Washi: particolare
tipo di carta trattata con molta attenzione e impiegata ancora oggi, in
Giappone, in svariato modo, dall’origami, alle lampade ai pannelli per le porte
e le fusume, a semplice carta da regalo o incarto.
X
Xi: ovest in cinese
Y
Yaouguai: termine cinese che significa
in genere "demone". Spiriti animali Yaoguai sono per lo più malevoli
che hanno acquisito poteri magici attraverso la pratica del Taoismo. I demoni sono solitamente denominati guai (letteralmente,
"freak") o mo (letteralmente, "demone") in cinese.
Il loro obiettivo più grande è raggiungere l'immortalità e quindi deificazione.
In giapponese, yaoguai sono conosciuti come youkai (in realtà, il
termine è un prestito linguistico dal cinese).
Yari: arma d'asta tipica della fanteria,
era costituito da una lama diritta con punta e due tagli innestata su un'asta in legno tramite un codolo della
lama. La lunghezza di lama e asta variavano in base al
modello ed all'utilizzo (dai due metri fino ad oltre tre metri e più). Una tale
arma, in cui la lama non risultava particolarmente
costosa nella fabbricazione (comparata al costo di una spada) ha consentito una
produzione di massa di lance ad uso di eserciti di fanti. Tale opportunità ha
fatto sì che la lancia sia stata adottata come arma principale della fanteria e
drappelli di lancieri continuarono ad esistere anche dopo l'avvento delle armi
da fuoco (mai diffuse, nel Giappone medievale, in modo massiccio come in
occidente). L'arte del combattere con lo yari (sojutsu) è presente in diverse scuole fin dal 1400. La
lancia (mai scagliata verso il nemico come erano
soliti fare gli eserciti antichi occidentali) colpisce prevalentemente di
punta; il guerriero si esercitava ad eseguire attacchi ripetuti in cui la
lancia, tenuta saldamente con la mano destra (arretrata rispetto la sinistra),
scorre all'interno della mano sinistra a produrre un affondo di temibile
efficacia. Alcune variazioni nella forma della lama prevedono l'adozione di
appendici laterali, anch'esse affilate, atte a
tagliare, o, in caso di utilizzo contro un nemico a cavallo, afferrare e
sbilanciare il cavaliere. Nello stesso esercito potevano essere utilizzate
lance di lunghezza differente in relazione alla
posizione ed ai compiti del fante.
Yasha:
temine sanscrito che definisce uno spirito divino appartenente alla mitologia
indiana. Normalmente, viene
utilizzato per indicare gli youkai femmine, in opposizione a youko, che invece
designa il demone maschio.
Yezo: antico nome dell’isola di Hokkaido, la più settentrionale
dell’arcipelago giapponese. Abitata fin da circa 20.000 anni fa, dopo il XII sec.
l’isola costituiva la sola patria della popolazione indigena locale, gli
Ainu. I giapponesi la scoprirono nel 659, ma la
considerarono troppo lontana, inospitale e fredda. Per secoli l’isola fu
abitata solo da Ainu, da rifugiati politici e da
criminali in fuga dal Giappone. Alla fine del 1860, tuttavia, il nuovo governo Meiji decise di annettere ufficialmente l’isola all’impero
con il nome di Hokkaido, “strada marittima del Nord”.
Nella storia Yezo è soggetta al clan di inuyoukai
cui appartengono Kyoko e suo fratello Hidesuke. Con i regni
di Shikoku e Kyushu a Sud
costituisce la triade di regni demoniaci della
Famiglia inuyoukai esterni ad Honshu.
(vd. Honshu).
Yogi: largo kimono di cotone, imbottito in
inverno per ottenere maggior calore, utilizzato da uomini e donne per dormire
come pigiama; sovente faceva parte del corredo nuziale, nel qual caso veniva decorato con tecnica tsutsugaki
in indaco.
Yogin: colui che pratica il cammino dello yoga.
Yoroi: pettorale dell’armatura.
Yotaka:
letteralmente falco della notte,
indica la prostituta di infimo livello.
Youkai:
letteralmente "apparizione",
"spirito",
o "demone",
sono una classe di obake o obakemono, creature della mitologia
giapponese. Ci sono molte tipologie di youkai: si va dal malvagio oni alle
ingannatrici kitsune
e la signora della neve yuki-onna; alcuni posseggono parti animali e
parti umane, ad esempio il kappa e il tengu. Gli youkai spesso hanno poteri
soprannaturali; sono quasi sempre considerati
pericolosi per gli esseri umani, e le loro azioni hanno ragioni oscure. Alcune
storie moderne raccontano di youkai che si mescolano agli esseri umani,
generando gli hanyou;
nella tradizione solo le kitsune
ne erano capaci. Alcuni youkai semplicemente evitano gli esseri umani, e
abitano aree selvagge molto lontano dagli insediamenti umani; altri invece
scelgono di vivere vicino ad essi,
attratti dal calore delle case o dai fuochi. Gli youkai sono tradizionalmente
associati al fuoco, la direzione nord-est, e l'estate, quando il mondo degli
spiriti è vicino a quello umano. Youkai, come gli altri obake,
sono spesso rappresentati con tratti tra il grottesco e il terrificante. C'è
un'ampia varietà di nella
mitologia giapponese: youkai è un termine vago che può arrivare a comprendere
virtualmente tutti i mostri e gli esseri sovrannaturali, perfino creature della
mitologia occidentale. Molti youkai erano inzialmente
esseri umani, trasformati in qualcosa di grottesco e orrendo spesso da qualche
stato emotivo.
Youki: energia spirituale che scaturisce dagli youkai.
Yukata: kimono informale foderato generalmente in cotone, lino o
canapa. Gli yukata sono indossati in occasioni all'aperto da uomini e
donne di ogni età. Sono inoltre indossati alle terme, dove spesso vengono anche
offerti agli ospiti degli stabilimenti termali.
Z
Zabuton: cuscino che si usa al posto delle sedie.
Zafu: è un
cuscino che viene usato da
secoli nella meditazione zen; il termine tradotto alla lettera dal giapponese
significa "sedile cucito". E' tondo e compatto, imbottito di pula di
grano saraceno conferisce la consistenza necessaria
che permette di sedere sollevati per poggiare le
ginocchia a terra e raddrizzare la colonna vertebrale, inoltre questo materiale
ha spiccate proprietà antinfiammatorie facilitano la circolazione e
l’attenuazione delle tensioni muscolari.