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Autore: avalon9    17/02/2007    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PICCOLO DIZIONARIO

PICCOLO DIZIONARIO

 

 

 

Nato dall’unione e dalla rivisitazione del materiale raccolto come documentazione per la fanfic, questo piccolo dizionario, lungi dall’essere esaustivo e completo, vorrebbe offrire un piccolo aiuto interpretativo in relazione all’impiego di termini in giapponese. Senza volontà di offendere chi già possiede una solida base di conoscenze di tali termini, ha invece lo scopo di dissipare eventuali dubbi a chi per la prima volta s’imbattesse in parole dal significato oscuro.

 

 

AVVERTENZA

Per i nomi di persona o di luogo in lingua giapponese, trascritti secondo il sistema Hepburn, le vocali si pronunciano come in italiano e le consonanti come in inglese. In proposito si noti che:

ch è un’affricata come la c dell’italiano "cesto" (p.e. "Chica-chan" va letto "Cicacian")

g è velare come nell’italiano "gatto" (p.e. "Akagi" va letto "Acaghi")

h è sempre aspirata, come nell’inglese “hotel”

j è un’affricata come la g di "gioco"

s è sorda come nell’italiano “sasso”

sh è una fricativa come sc nell’italiano "scelta" (p.e. "sashimi" va letto "sascimi")

w va pronunciata come una u molto rapida

y è consonantico e va letto come la i italiana di “ieri”

z è dolce come nell’italiano “rosa” o “smetto”, o come in “zona” se iniziale o dopo n

La lingua giapponese non conosce i generi maschile e femminile e quindi si è liberi di assegnare il genere in base alle regole italiane: si dirà pertanto "la katana", "il tanto". La trascrizione in caratteri europei rende abbastanza fedelmente il suono delle parole giapponesi. In giapponese non esiste quasi l’accento tonico e perciò ogni sillaba ha lo stesso valore; non si deve, quindi, pronunziare katàna o katanà, ma kà-tà-nà, senza troppo accentuare l’ultima sillaba poiché, in tal caso, l’orecchio, per sua impostazione, sentirebbe il tutto come se fosse stato detto katana!

 

 

 

A

Aki: autunno, comprendeva i mesi di Agosto, Settembre e Ottobre.

Ami-e: nome del kimono che forma la tradizionale veste del monaco buddista errante, formata anche da gojo-gesa e habaki.

Andon: lampada costituita da un telaio di bambù, legno o metallo su cui viene teso un foglio di carta di riso per proteggere la fiamma dal vento. Il combustibile, conservato in un recipiente di pietra o ceramica con uno stoppino di cotone, è solitamente costituito da olio di colza o dal più economico olio di sarde. In certi casi sono usate anche candele ma il loro prezzo elevato ne ha ridotto la diffusione. Particolarmente diffuso durante il Periodo Edo, ne esistevano varie versioni, spesso differenziate l'una dall'altra esclusivamente per l'utilizzo che se ne faceva. L' okiandon era la comune versione da interni e solitamente presentava un piccolo piedistallo per la luce e in alcuni casi un cassettino alla base, per facilitare il rabbocco di olio combustibile e l'accensione della fiamma. Inoltre, sul lato superiore presentava una maniglia che consentiva di trasportarlo comodamente. Un'altra versione era l'Enshū andon, sembra risalente al tardo Periodo Azuchi-Momoyama, aveva forma di tubo con un'apertura al posto del cassettino. Ariake andon era invece chiamata la versione "da comodino", mentre il kakeandon era la versione da esterno usata sotto le tettoie dei negozi e recante su disegnata il nome del proprietario e quindi molto comune nelle città. Infine, il bonbori,è una versione di andon piccola a sezione esagonale.

Aniue: fratello maggiore; termine usato per designare i fratelli più grandi nelle famiglie nobili e soprattutto reali

Arigato gosai: grazie infinite

Ashura: presso la religione e la mitologia induista, sono un gruppo di deità alla ricerca di potere, a cui spesso ci si riferisce come demoni. Generalmente rappresentano la materializzazione dei vizi e dei difetti dell'animo umano; infatti, gli Ashura non vanno visti come parte del macrocosmo attorno a noi più di quanto siano parte del microcosmo della nostra anima. Ashura significa letteralmente "senza Sole". Essendo il Sole da sempre il simbolo divino assoluto, la parola Ashura identifica tutto ciò che si oppone a Dio, tutte le forze e le entità che fanno parte del male. Vengono invocati con mantra malefici da coloro che richiamano energie negative per pratiche e rituali di magia nera. Gli antichi conoscevano molto bene queste entità, tanto che in alcuni testi (quasi tutti tolti dal commercio) venivano elencate le varie categorie di demoni con le descrizioni delle caratteristiche e le pratiche (mantra) per evocarli. Gli Ashura influenzano la percezione ed il comportamento di tutti gli uomini, alimentando le tendenze negative allontanano l'uomo dalla fonte divina della realizzazione spirituale.

Awase: indica un tessuto foderato molto pesante, impiegato per tutto il periodo invernale e autunnale, variando la destinazione dell’indumento foderato con il procedere verso la stagione calda. (vd. Kimono)

 

B

Baba: suffisso affettivo usato per una persona anziana

Bai Gu Jing: yaoguai presente nel libro Viaggio in Occidente. Letteralmente spirito dalle ossa bianche, è uno spirito che è solito manifestarsi ai viaggiatori sotto le spoglie di una bella e fragile ragazza bisognosa di aiuto. Avutane la fiducia, li uccide per divorarli e assorbirne quindi la forza vitale necessaria a sopravvivere.

Baka: sciocco, stupido

Bashe: creatura immaginaria della mitologia cinese, si tratta di un serpente gigantesco in grado di ingoiare interi elefanti. Il nome bashe deriva dall'unione di ba (può significare "punta", "coda", "crosta", "aggrappare", "essere vicino") e she (significa "serpente"). Il carattere cinese che sta per ba è reso graficamente con un pittogramma che rappresenta un serpente con una lunga coda. Nell'antichità - per la precisione nell'epoca della dinastia Zhou (1122 a.C.-256 a.C.) - questo carattere faceva spesso riferimento allo Stato di Ba, posizionato a est dell'attuale provincia di Sichuan.  Bashe non è solo il nome del mitico rettile gigante, ma è anche il nome che i cinesi danno a ran (o mang) - il pitone tipico del sud asiatico - al boa sudamericano e al mamba africano. Nelle letteratura, bashe è spesso indicato con un pittogramma di quattro caratteri che suona come bashetuxiang, traducibile come "ba-il serpente che mangia un elefante".

Bei: nord in cinese

Bijin-sama: manifestazione degli spiriti di montagna, appare con l’aspetto di un globo striato di blu e rosso, avvolto in una strana nube nera e caratterizzato dall’emettere un sibilo ininterrotto. Non è particolarmente grande e può essere racchiuso in una mano per le dimensioni.

Butsudan: piccolo altare buddista presente nelle case dei fedeli; si presenta come un armadietto con ante contenente principalmente la statua di Buddha e le tavolette funerarie dei defunti.

Byobu: strutture pieghevoli e mobili composte da più ante o pannelli di carta o seta dipinta, tese e sorrette da un’intelaiatura leggera in legno. I byobu nascono, già dal VII secolo, con la funzione di dividere gli spazi interni delle abitazioni giapponesi; non erano disposti a soffietto come nell’uso moderno, né venivano completamente aperti su uno stesso piano: a seconda delle esigenze venivano piegati semplicemente in due per delimitare uno spazio più intimo all’interno della stanza o del giardino o collocati in coppia, uno di fronte all’altro. Nonostante la loro bellezza decorativa, si teneva conto più della loro funzione pratica che della lettura completa dei soggetti dipinti, spesso continui e trasversali ai pannelli. I paraventi più antichi erano pesanti e poco maneggevoli. Ciascun pannello era incorniciato da una fascia di broccato di seta ed era legato agli altri da corde di pelle o seta che passavano in fori rinforzati da rondelle in legno di forma analoga alle monete giapponesi, e per questo dette costruzioni zenigata (a forma di moneta). Le dimensioni dei byobu variavano da uno a due metri in altezza e da uno a cinque metri in larghezza e potevano essere costituiti da un minimo di 2 fino ad un massimo di 8 ante, anche se i più diffusi furono i paraventi a 6 ante. L’utilizzo del byobu si modifica nel corso dei secoli. Da attraente arredo di varie dimensioni nato per creare privacy all’interno degli ambienti e per appendere i vestiti, diventa strumento e supporto di virtuosismo artistico – forse uno dei pochi dell’arredo giapponese – e un oggetto destinato alla pura contemplazione visiva per lo spettatore.

 

C

Chan: suffisso, che si aggiunge al nome di una persona per indicare un linguaggio familiare, usato soprattutto per le ragazze o per gli animali piccoli.

Chawan: tazza da thè giapponese

Chawan mushi: crema a base di uova e brodo dashi (brodo leggero di pesce), guarnita con verdure, foglie di spinaci o funghi, pollo, gamberi o altro. Si prepara nelle apposite tazzine con coperchio e si cuoce a bagnomaria come la nostra creme caramel. Si serve caldissimo e si mangia con un cucchiaino. È piacevole come intermezzo o antipasto.

Chihaya: costume tradizionale, o veste, di una miko consiste di un hakama rosso, colore della verginità, che può essere sia in foggia di pantaloni che di gonna, della tunica bianca del kimono con grandi maniche, spesso orlate di rosso ed è associato ai tipici calzari giapponesi, i tabi.

Chikuso: maledizione

Chugu: titolo riservato in età storica ad una moglie dell’imperatore del Giappone. La realtà poligamica della corte imperiale rendeva necessaria una precisa terminologia che distinguesse in modo inequivocabile la posizione sociale di ogni membro nell’universo della corte. La chugu è una delle mogli dell’imperatore, e ne indica la favorita, pur non trattandosi di necessità della sposa ufficiale o altrimenti riconosciuta come imperatrice, che prendeva nome di kogo.

 

D

Daimyo: carica più importante in Giappone fra il XII e il XiX secolo. Signori feudali del Giappone premoderno. Durante l'epoca Kamakura i capi militari locali ottennero dallo shogun i diritti di proprietà (daimyo) su grandi estensioni di terra. Nei secoli successivi i daimyo accrebbero ulteriormente il proprio potere politico nei confronti dei vassalli e quello economico a danno dei contadini attraverso l'imposizione fiscale. Successivamente, le guerre feudali che caratterizzarono l'epoca Ashikaga ne selezionarono i più potenti e nel corso del XVI secolo tre di essi, prima Oda Nobunaga, quindi Toyotomi Hideyoshi e infine Tokugawa Ieyasu, si imposero su tutti costruendo uno stato feudale accentrato. I daimyo (circa 270 famiglie con feudi di varie dimensioni) accettarono un governo centrale ed ebbero riconosciuta la propria autorità a livello locale, ma nell'ambito di norme quadro e di rigide regole di comportamento. Con lo sviluppo di una dinamica economia mercantile urbana molti daimyo si trovarono in gravi difficoltà finanziarie sin dalla fine del XVII secolo e seguirono il declino economico e politico del bakufu. In seguito alla restaurazione Meiji del 1868, vennero dapprima trasformati in governatori dei loro ex feudi, per poi essere sostituiti, a partire dal 1871, da una nuova burocrazia centralizzata.

Daruma: monte (982 m) nella prefettura di Darumayama nella penisola di Izo, nella regione di Shizuoka. La sua vetta è raggiungibile a piedi in circa un’ora e in mezz’ora con l’autobus dalla stazione di Shizenji e offra uno splendido panorama del monte Fuji a Nord e della baia di Suruga a Ovest.

Date-eri: accessorio impiegato per simulare che ci sia un secondo kimono portato sotto, cosa che un tempo era molto usata, specie in inverno, quando sovrapporre più strati di seta aiutava a tenere lontano in freddo. Si tratta di una striscia di tessuto raddoppiato, che viene cucito all'interno dello scollo del kimono in modo che sporga un poco con un colore contrastante, spesso coordinato a quello dell'obiage.

Dojo: palestra con pavimento in legno, considerata luogo sacro e adibita solitamente alla pratica delle arti marziali.

Dong: est in cinese

E

Engawa: veranda esterna di legno, coperta da un tetto spiovente che solitamente da sul giardino e corre attorno alla casa. Può essere chiusa da pesanti porte di legno o lasciata aperta, e costituisce l’ingresso principale per i visitatori, che sono tenuti a togliersi le scarpe sul gradino di pietra prospicente.

Enma: nome giapponese di Yen-lo-wang, dio cinese d'origine buddista, associato al bodhitsattva Dizangwang, guardiano e giudice dell'inferno.

F

Fuda: talismani distribuiti dai templi shintoisti; sono realizzati scrivendo il nome di un kami, di un tempio o di un rappresentante del kami su un pezzo di carta, legno, stoffa o metallo. Si crede che un o-fuda abbia il potere di infondere la protezione del dio, e viene generalmente apposto su una porta, una colonna o sul soffitto per proteggere la casa e i suoi abitanti. Può anche essere apposto in posti specifici, ad esempio in una cucina per prevenire dagli incendi. Inoltre può essere posto all'interno dell'altare privato (kamidana), nelle dimore che ne hanno uno. Nelle opere contemporanee, soprattutto manga e anime, gli o-fuda compaiono come delle pergamene magiche, destinate non tanto alla protezione, quanto alla lotta contro spiriti malvagi (tipicamente yōkai); è generalmente un attributo di miko e maghi, per quanto occasionalmente compaiono nelle mani di monaci buddhisti, e in tal caso ad esservi scritto sopra è il testo di un sutra o di un mantra. Possono essere utilizzati per respingere demoni o per sigillarli in luoghi chiusi, ma l'esatta interpretazione varia a seconda dell'autore.

Fuji: monte simbolo del Giappone situato nella regione centrale di Honshu, con i suoi 3776 metri è la vetta più alta del paese e il suo perfetto cono vulcanico, grigio-viola in estate e bianco di neve in inverno, si staglia fra nuvole e colline. Inattivo dal 1707, fino all’’800 il monte fuji (o Fuji-san) era considerato sacro e poteva essere scalato solo da religiosi e pellegrini, mentre le donne furono ammesse solo dopo il 1872. oggi è accessibile a tutti, con le vie al monte aperte però solo in Luglio e Agosto. La cima, una corona percorribile in un’ora, è raggiungibile mediante cinque sentieri (Kawaguchi-ko, Yoshida, Subashiri, Gotenba, Fujimomiya), variabili per tempo di percorrenza e lunghezza, divisi in dieci tappe. Solitamente, gli escursionisti partono dalla tappa cinque, alle endici del monte, mettendosi in marcia nel tardo pomeriggio per godere del tramonto e sfuggire alla canicola e pernottando nei rifugi delle tappe sette od otto, per poi raggiungere la vetta verso le sedici del giorno successivo. Sulla cima si trova, inoltre, un santuario Sengan, dedicato alla divinità della montagna. In tutta la zona sorgono santuari del medesimo tipo, attorniati da vecchie locante e cascate o sorgenti termali per purificarsi prima di ascendere al monte, come per esempio quelle a Fuji-Yoshida, base per escursioni e pellegrinaggi. La zona ai piedi del vulcano, caratterizzata a Nord-Ovest dalla presenza della Aokigahara Jukai (“Il mare di alberi), una foresta primordiale in cui è facile perdersi, e da un intricato sistema di caverne e grotte, come quella del vento Fugaki e del ghiaccio Narasawa, prende il nome di regione dei Cinque laghi per la presenza di altrettanti specchi d’acqua: Lago Motosu. Lago Shojin, Lago Sai, Lago Kawaguchi e Lago Yamanaka.

L’escursione cui prende parte Alessandra, articolata di necessità in più giorni, si svolge fra la fine Ottobre e i primi di Novembre, quando già parte dei laghi può essere ghiacciata, e non prevede l’effettiva scalata fino alla corona del vulcano, dal momento che i sentieri sono chiusi e inagibili per la neve. Per raggiungere il Lago Shojin, dove avrebbero pattinato, Alessandra e i suoi compagni scendono dal treno (l’autobus percorre il medesimo tragitto solo d’estate) a Fuji-Yoshida, per poi costeggiare la Aokigahara Jukai, in cui Alessandra si smarrisce dopo esser scivolata in un piccolo crepaccio. Il progetto iniziale prevedeva il pernottamento in uno dei rifugi, locande o ryokan, che sono numerosi in tutte le zone di montagna, spesso vicino a sorgenti termali. La presenza del costume da bagno, che può sembrare strana, è dovuta al fatto che per un occidentale può esser imbarazzante un bagno, magari anche all’aperto (non così strano neanche in inverno, anche con la neve) con persone sconosciute e anche di sesso misto (benché solitamente le piscine termali siano distinte per uomini e donne, ma ad esempio la notte il bagno misto è più accettato).

Fukurodana: armadio a muro

Fundoshi: biancheria intima maschile costituita da una lunga striscia di stoffa avvolta attorno ai fianchi e all’inguine

Furin: formato da fu che significa vento e rin che indica la campanella, è una campanella di vetro o ceramica con piccolissimo batacchio con una laminetta sottilissima. Il suono prodotto varia in base alla struttura e al materiale del furin stesso, con una sensazione di freschezza. I furi vengono attaccati alle grondaie o alle finestre delle case principalmente d’estate e, giocando con il vento, riescono quasi a fargli assumere una forma nel suono. Originario della tradizione cinese, il furin è impiegato in Giappone da secoli, tanto da assolvere funzione apotropaica. Si pensava, infatti, che il suo suono tenesse lontano dalle case gli spiriti maligni ed era ritenuto tanto importante che il monaco buddista Honen (1133-1212) di Kamakura lo definì un tesoro nazionale.

Fusuma: porta scorrevole da interni formata da un’intelaiatura in legno su cui sono montati pannelli in carta di riso decorati nelle parti “a vista”, scivola sul pavimento mediante delle cabalette disposte in alto e in basso.

Futakuchi-onna: creatura soprannaturale della mitologia giapponese. Come suggerisce il nome (donna dalle due bocche) è caratterizzata dalla presenza, oltre a quella "normale", di una seconda bocca nascosta tra i capelli della nuca, dove il cranio della donna si apre, presentando labbra, denti e una lingua. Come se questo non bastasse, la bocca posteriore borbotta e sputacchia, continuando a chiedere cibo e, se non viene adeguatamente sfamata, inizia a strillare in modo osceno e a provocare alla donna un tremendo dolore. Addirittura, in una particolare versione del mito, anche i capelli della donna si animano e, muovendosi come serpenti, iniziano a portare cibo alla vorace bocca. Nella mitologia e nel folklore giapponesi, le futakuchi-onna appartengono allo stesso tipo di miti delle rokurokubi, delle kuchisake-onna e delle yamanba: donne trasformate in yōkai da maledizioni o malattie soprannaturali. In questi racconti, la natura soprannaturale delle donne rimane solitamente nascosta fino all'ultimo minuto, quando la verità viene rivelata. Nella tradizione mitica la futakuchi-onna era una matrigna che, non amando il figlio di primo letto del marito, sfamò solo i propri figli, lasciando invece morire di fame il figliastro. Qualche tempo dopo, mentre un taglialegna spaccava la legna in giardino, accidentalmente ruppe la propria ascia che andò a ferire la cattiva matrigna alla nuca. Lo spirito del figliastro trascurato, allora, entrò nel corpo della donna impedendo per vendetta alla ferita di rimarginarsi. Col tempo la ferita sanguinante si trasformò in una bocca che cominciò a chiedere continuamente cibo alla donna e a ripeterle instancabilmente di chiedere perdono per ciò che aveva fatto. Secondo un altro racconto popolare molto famoso invece, la futakuchi-onna era una donna che non mangiava mai e che per questo fu presa in moglie da un uomo molto avaro. Poco tempo dopo però l'uomo si accorse che, nonostante la donna non toccasse cibo, le scorte continuavano a diminuire. Spiandola, infatti, scoprì che quando era sola i suoi capelli si animavano e portavano in continuazione decine di polpette di riso ad una seconda bocca posta sulla nuca della sua testa. Sembra che quella seconda bocca fosse "nata" dal desiderio di cibo che la donna reprimeva costantemente in pubblico.

Futon: materasso tradizionale giapponese (il suo nome significa "materasso che si arrotola") è costituito da falde di cotone disposte a strati e ricoperte da una fodera di cotone trapuntata a mano. Si stende solo di notte e, di giorno, viene riposto in appositi armadi a muro. La storia del futon è molto antica: si ritiene che il futon derivi dal goza, la stuoia usata in periodo Heian per dormire e che sia nato per il fatto che in Giappone esiste da sempre l’usanza di togliersi le scarpe all’interno della stanza.

G

Geisha: tradizionali artiste e intrattenitrici giapponesi. Fin da piccole e durante quasi tutta la loro vita, le geisha prendono lezioni di numerose arti. Le case dove le geisha apprendono hanno talvolta accettato ragazze di famiglie povere e hanno iniziato a crescerle e ad educarle. Durante la loro infanzia, le apprendiste (maiko) devono lavorare dapprima come serve (o domestiche) e solo in seguito diventano assistenti delle geisha più anziane. È questo il percorso col quale una geisha diventa una professionista. La maggior parte delle geisha studia danza sin dall'infanzia. Molte geisha non entrano fino ad un'età adulta nelle scuole per geisha e alcune fortunate vi entrano dopo avere finito l'istituto superiore. Le arti che studiano sono molte e varie, come: lo shamisen, il flauto, le percussioni, il canto, la danza giapponese classica, la cerimonia del tè, la letteratura e la poesia. Guardando le geisha più anziane, le studentesse diventano esperte anche nelle tradizioni complesse, nell'utilizzo del kimono e nell'intrattenimento dei clienti. La parola geisha è stata spesso confusa con il significato di prostituta e in Cina è tradotta con una parola che in cinese significa proprio prostituta. Tale confusione deriverebbe dal periodo dell'occupazione americana del Giappone, durante il quale le geisha si sono vendute per denaro ai soldati americani in cerca di sesso. Questi motivi ed il concetto di mizuage hanno causato confusione al di sopra della vera intenzione della professione della geisha.

Gojo-gesa: tipica veste sacerdotale buddista in uso nel periodo Heian composta da un kimono e da una protezione che si avvolgeva al corpo e si fermava su una spalla con un nodo e passando i capi in un anello di legno o metallo.

Guinomi: tazza grande per bere il sake.

H

Habaki: pantaloni molto stretti e aderenti, lunghi fino alla caviglia se non meno, indossati solitamente dai monaci buddisti del periodo Heian sopra la tradizionale veste sacerdotale.

Haiku: componimento poetico di tre versi caratterizzati da cinque, sette e ancora cinque sillabe. È una poesia dai toni semplici che elimina i fronzoli lessicali e le congiunzioni e trae la sua forza dalle suggestioni della natura e le sue stagioni. Lo haiku fu creato in Giappone nel secolo XVII e deriva dal tanka, componimento poetico di 31 sillabe che risale già al IV secolo. Il tanka formato da 5 versi con una quantità precisa di sillabe per ogni verso: 5-7-5-7-7. Eliminando gli ultimi due versi si è formato l'haiku. Per l'estrema brevità richiede una grande sintesi di pensiero e d'immagine. Tradizionalmente l'ultimo verso è il cosiddetto riferimento stagionale o kigo, cioè un accenno alla stagione che definisce il momento dell'anno in cui viene composta o al quale è dedicata. Soggetto dell'haiku sono scene rapide ed intense che rappresentano, in genere, la natura e le emozioni che esse lasciano nell'animo dell'haijin (il poeta). La mancanza di nessi evidenti tra i versi lascia spazio ad un vuoto ricco di suggestioni.

Hakama: pantalone largo e a pieghe (sette pieghe, di cui cinque davanti e due dietro), munito di un supporto rigido (koshi ito). Era tradizionalmente indossata dai nobili nel Giappone durante il medioevo e in particolare dai samurai. Ha acquisito la sua forma attuale durante il periodo Edo. Sia uomini che donne possono indossare la hakama. Alcuni affermano che il ruolo dell'hakama sia di nascondere i movimenti dei piedi, per soprendere meglio l'avversario, sebbene questa spiegazione non è accettata da tutti: in effetti, i samurai portano delle schiniere che racchiudono l hakama, i piedi sono quindi ben visibili. Per alcuni, siccome non si trattava di un'armatura ma si preparava ad un combattimento, i samurai, tiravano su l'hakama a livello della cintura, la stessa alla quale attaccava le maniche del kimono tramite una striscia di tessuto, la tasuki. Era infatti solamente un pantalone di cavalleria. Le cinque pieghe frontali rappresentano la via dei cinque principi: lealtà (signore - vassallo), pietà filiale (genitore - figlio), armonia (marito - moglie), affetto (amore - indulgenza) e fiducia. O ancora: fedeltà, cortesia, intelletto, compassione, fiducia (fede). Infine, considerando le pieghe frontali e posteriori, jin (benevolenza), rei (etichetta e gentilezza), gi (giustizia), chi (saggezza), shin (sincerità), koh (pietà) e chu ( lealtà ). La piega posteriore rappresenta la via della sincerità (assenza di doppiezza). Questo significa che indossando la nostra hakama, noi dovremmo iscrivere questi valori nel nostro cuore.

Hachiwari: sorta di stiletto a sezione triangolare e a lama smussata usato nel Giappone feudale. Lungo circa 30-35cm (alcune versioni più lunghe raggiungevano i 45cm), era incurvato ed aveva un uncino sul dorso vicino alla base dell'impugnatura. In certi casi la fattura dell'hachiwari era così simile a quella di un tantō da considerarli veri e propri coltelli piuttosto che randelli smussati. Si ritiene venisse usato in modo del tutto simile al jitte: portato al fianco come fosse un pugnale, in combattimento veniva solitamente usato insieme alla spada, impugnata nella mano destra, tenendolo nella mano sinistra e usandolo per parare i colpi dell'arma avversaria tentando, se possibile, di spezzarne la lama con l'uncino. In alternativa poteva essere usato per sfondare l'elmo o, come appare più probabile, per penetrare di punta negli interstizi dell'armatura dell'avversario.

Hadajuban: in un pezzo unico o in due pezzi, è una veste (hadaji = camiciola più susoyoke = gonna a portafoglio), in cotone bianco, serve ad assorbire il sudore ed impedire che il nagajuban si sporchi.

Hai: sì

Hakurei: montagna sacra dall’intensa e pura aura spiritica, circondata da una barriera prodotta dal monaco Hakushin, è il riparo di Naraku dopo la sconfitta subita da parte di Inuyasha e Sesshomaru. Secondo la leggenda, la purezza del luogo è tale da purificare qualsiasi aura maligna o peccato, tanto da permettere di raggiungere la beatitudine anche ai criminali più incalliti. Inoltre nega l’accesso alle sue pendici a demoni e uomini dai pensieri impuri. Il monte crollerà in seguito alla distruzione della barriera mistica e alla liberazione dei demoni usati da Naraku per costruirsi un nuovo corpo.

Hanagushi: particolare kanzashi a forma di pettine arrotondato realizzato con legno laccato e guscio di tartaruga, spesso impreziosito con decorazioni in madreperla e foglia d’oro e decorato con fiori di stoffa o lamina d’argento, impiegati soprattutto per donne di alto rango.

Hama: solitamente impiegata con il termine freccia (Hama no ha), la parola significa “sacro” e designa le frecce intrise di potere spirituale usate da monaci e sacerdotesse per sconfiggere demoni ed essere maligni. La pericolosità della freccia è direttamente proporzionale al potere spirituale di chi la scaglia.

In “Inuyasha” sia Kagome sia Kikyo combattono con frecce hama, come anche l’anziana Kaede. Lo stesso Inuyasha è stato sigillato a Goshinboku per mezzo di una freccia sacra.

Han-eri: sopracollo in tinta unita o ricamato applicato al collo del nagajuban, che ha scopo sia decorativo che pratico perché una volta sporco può essere staccato e sostituito facilmente.

Hanfu: costume tradizionale del popolo cinese (Han) nel corso di gran parte della loro storia, ed in particolar modo prima della dinastia di Quing.

Hanhaba obi: l'obi più informale di tutti, alto solo 15 cm e lungo 360, viene utilizzato per la yukata e per i kimono decisamente informali.

Haniwa: letteralmente "cilindri d’argilla", erano statuette in argilla raffiguranti genericamente oggetti (entō haniwa) o animali e poi persone (keishō haniwa). I secondi dovevano svolgere una funzione religiosa, seppure non chiarissima: forse testimoniavano la credenza in una reincarnazione o resurrezione, o forse avevano la funzione di proteggere il defunto. O, piuttosto, sostituivano simbolicamente - secondo l'usanza cinese - la famiglia di servitori che doveva seguire il sovrano. Con il progredire della civiltà, infatti, erano queste ad essere seppellite insieme ai signori alla loro morte, al posto dei loro servitori.

Hanyou: secondo la tradizione del Giappone, sono il frutto dell'unione tra uno youkai e un umano, spesso guardati con disprezzo dagli youkai e con timore dagli umani.

Haori: accessorio del kimono, è un soprabito che giunge fino all'anca o alla coscia, che aggiunge ulteriore formalità all’abito. Riservato agli uomini fino alla fine del periodo Meiji, quando col cambio delle mode è entrato nell'uso anche per le donne; i modelli da donna tendono ad essere più lunghi. Lo haori si porta quindi sopra il kimono, senza chiudere i lembi. Un cordoncino attaccato ai due lati dell'apertura viene annodato con un nodo codificato (diverso per haori maschili e femminili), ma lo haori ha comunque una certa ampiezza per "accomodare" il fiocco dell'obi, sulla schiena. I motivi decorativi dello haori vanno da tutte le possibili delizie dello shibori a motivi dipinti con tecnica Yuzen, e possono ricoprire tutta la superficie, parte di essa con una disposizione asimmetrica o concentrarsi sulla schiena. Il colore classico ed elegante è il nero, magari con motivi tipo urushi, ma non mancano certo esempi di colori brillanti.

Hashi: bastoncini più corti e delicati di quelli cinesi, sostituiscono le posate all’occidentale. Quando non vengono usati, durante il pasto, vanno riposti sull’apposito sostegno (hashi-oki).

Higashi: letteralmente, Est.

Nella storia, Higashi costituisce uno dei cinque regni di Honshu, posto sotto il controllo di Sesshomaru, che lo deriva in eredità dalla madre, che era Signora dell’Est e lo portò in dote a Inutaisho. racchiude in sè anche i territori di Musashi. (vd. Honshu)

Hime: principessa

Himitsu bako: letteralmente scatola segreta, da himitsu che significa segreto e bako scatola. In apparenza è un cubo di legno liscio caratterizzato da vari motivi spesso a carattere geometrico; facendo più attenzione alla superficie, è possibile notare delle sottilissime giunture, che ne delineano i pezzi che compongono la scatola, la cui apertura è soggetta ad una combinazione che viene fatta scattare muovendo le parti che compongono la scatola stessa secondo una serie di passi predefiniti per accedere allo scomparto segreto.

Hina matsuri: Hina significa ‘uccellino’,pulcino’; per estensione e contiguità semantica con il concetto di ‘piccolo’, passò ad indicare anche i giochi delle bambine con le bamboline e altre miniature di pupazzi (hinagata ‘piccola forma’) dalle fattezze umane, usati nello hina asobi (gioco delle bambole). Nella lingua moderna dunque hinadori significa pulcino, ma hina ningyou significa bambola, rappresentazione in miniatura di creature dalle sembianze umane. La Festa delle Bambine è comunque una ricorrenza molto sentita dalle famiglie giapponesi che celebrano le figlie femmine pregando per la loro salute e prosperità futura. Lo Hinamatsuri è celebrato esponendo le hina ningyou, offrendo hishimochi (mochi composti in graziosissime losanghe di colore rosa, bianco e verde, spesso decorati con fiori di pesco) e bevendo lo shirazake (sake bianco, dolce). Talvolta questi dolci di riso a 3 o 5 piani sono esposti insieme con le bambole su apposite raffinatissime scaffalature, che restano in esposizione nelle case per circa un mese. L’esposizione delle hina-ningyou inizia ai primi di Febbraio, che nel calendario lunare già segna l’inizio della primavera;.ma si è poi soliti riporre le bambole quasi subito dopo il 3 di Marzo o al massimo entro il 15 Marzo, perché si ritiene che lasciare le hina ningyou troppo a lungo in esposizione, potrebbe ritardare il matrimonio delle ragazze. Le bambole del periodo Heian, citate anche nel famoso romanzo Genji monogatari, erano molto semplici: i bambini vi giocavano semplicemente cambiandole di abito; mentre fra le famiglie nobili si diffondeva l’abitudine di esporre le bambole più belle per la festività del Joumi. Fu solo a partire dal periodo Edo che il governo proclamò il 3 Marzo come festa nazionale. Durante lo shogunato di Tokugawa Iemitsu (1623-1651), era prassi offrire come regalo un set di hina ningyou a tutte le neonate femmine, nate a palazzo. L’usanza sorse quando i membri del governo shogunale decisero di offrire un set di hina ningyou a Chiyohime, la figlia più grande dello shougun Iemitsu, il 1 Marzo 1644 per festeggiare il suo settimo compleanno. Essendo ‘regalo di corte’, l’artigianato delle bambole cominciò a fiorire, creando hina ningyou sempre più lussuose e importanti, elaborate nelle vesti e negli accessori che imitavano la vita a palazzo. Inizialmente questa pratica avveniva per di più nelle città e nelle ricche famiglie dei mercanti, ma con il periodo Meiji (1868-1912) l’usanza di celebrare lo hinamatsuri si estese a tutto il paese, facendo fiorire commerci di hina ningyou sempre più elaborate e di alto valore artistico. Le bambole del periodo Heian erano bambole rappresentate in posizione eretta, nel periodo Muromachi (1338-1573) comparvero le prime hina ningyou sedute, fino all’attuale parata di bambole dalle diverse posture e dai diversi significati. Inoltre, le bambole (hina ningyou) vengono poste su stand a 3, 5 o 7 ripiani coperti da velluto rosso e nel preciso rispetto di una gerarchia stabilita e codificata.

Hisashi: nome generale del corridoio che circonda, nel shinden, cioè nella parte principale del palazzo di periodo Heian, la stanza fulcro o moya, separandola dal sunoko. Il nome cambia in base ai punti cardinali, per cui l’hisashi nord, sud, est e ovest saranno rispettivamente chiamati kitabisashi, minabisaschi, higaschibisaschi e nischibisashi. L’hisashi, inoltre, può esser suddiviso, in caso di necessità, in varie stanze mediante l’ausilio di particolare paraventi e tatami mobili.

Hitoyogiri: tipo di shakuhachi (flauto) introdotto in Giappone dalla Cina durante il periodo Muromachi. Era lungo 33 cm ed aveva cinque fori (quattro anteriori ed uno posteriore). Il suo nome significa letteralmente "tagliato con un nodo solo" ed allude al fatto che, per la sua lunghezza limitata, il suo corpo comprende generalmente un solo nodo del fusto del bambù. Inizialmente usato da mendicanti per la questua, fu poi utilizzato anche nella musica d'arte; ebbe una fioritura soprattutto durante l'era Genroku (1688 - 1703) ma in seguito fu soppiantato dal fuke shakuhachi.

Ho: letteralmente veste, è la parte superiore del kimono quotidiano dei cortigiani a corte nel periodo Heian, indossato assieme a particolari hakama chiamati sashinuki. Il vestito nel suo complesso prende nome di ikan, ed era usato spesso dai cortigiani in tribunale o durante le riunioni

Ho-ate: maschera dell’armatura

Hokora: piccolo tempio shintoista

Homongi: kimono semi-formale per consuetudine usato per andare in visita o ricevere ospiti. La caratteristica è di avere il motivo disposto asimmetricamente, e che copre buona parte della superficie, più che nello tsukesage. Il motivo inoltre è eba-moyou, cioè passa sopra le cuciture, e questo richiede che la stoffa sia tagliata ed imbastita per disegnare i contorni, prima di tingerla, per essere sicuri che il disegno combaci una volta cucito definitivamente il kimono. A seconda del grado di formalità un homongi può avere tre kamon o un solo kamon, solitamente ricamato (nui kamon), che è il tipo meno formale, ma talvolta anche dipinto, in questo caso può essere del tipo nakakage mon, cioè mon semidelineato. Con l’homongi il nagajuban può essere di seta colorata o disegnata, per dare un tono più elegante si usa un date-eri in colore contrastante, fukuro obi e obiage ed obijime colorati.

Honshu l'isola più grande del Giappone. Honshū in giapponese vuol dire appunto Provincia principale. Nello Honshū sono ubicate, oltre la capitale Tokyo, alcune fra le città più grandi e famose del paese: Hiroshima, Kawasaki, Kobe, Kyoto, Nagoya, Nara, Osaka, Sendai, Yokohama. Una catena montuosa altamente vulcanica attraversa l'isola per il lungo. La cima più alta è quella del Monte Fuji (3778m), seguita da alcune cime delle Alpi giapponesi. L’isola è divisa in tre zone, ognuna delle quali è a sua volta divisa in altre regioni: Honshu settentrionale con la regione de Tohoku, con sei prefetture (Aomori, Akita, Iwate, Yamagata, Miyagi, Fukushima); Honshu centrale, con le regioni di Kanto, dotata di sette prefetture (Tochigi, Ibaraki, Saitama, Tokyo, Chiba, Kanagawa, Gunma), e di Chibu, con nove prefetture (Niigata, Toyama, Ishikawa,  Fukui, Nagano, Yamanashi, Shizuoka, Aichi, Gifu); Honshu occidentale, con le regioni di Kansai o Kinki, con sette prefetture (Hyogo, Kyoto, Shiga, Osaka, Nara, Mie, Wakayama) e di Chogoku,  con cinque prefetture (Tottori, Okayama, Stimane, Hiroshima, Yamaguchi).

Nella fanfiction, la divisione dell’isola differisce un po’, in quanto il territorio viene nominato secondo una topografia demoniaca e non umana. Di conseguenza, l’isola di Honshu è divisa, teoricamente, in cinque regni, corrispondenti alle cinque regioni storiche dell’isola. Partendo da Nord, il regno di Kita, governato da Kumamoto, corrisponde alla regione di Tohoku; il regno di Sesshomaru sarebbe propriamente Nishi, corrispondente alla regione storica di Chibu, ma comprende anche il regno di Higashi, dove si trova Musashi, portato in dote dalla madre di Sesshomaru a Inutaisho. A Sud, infine, due regni: il regno del Kansai, sotto il controllo di Morigawa, e il regno di Minami. A questi cinque regni, si devono aggiungere i tre situati nelle restanti isole, in corrispondenza biunivoca con il nome storico: il regno di Yezo, a Nord, sotto il dominio di Hidesuke; i regni di Shikoku e Kyushu a Sud.

Horagai: strumento musicale della famiglia della tromba ricavato da una grossa conchiglia (Charonia tritonis) in cui è praticato un foro e aggiunto un bocchino di legno laccato (o, in tempi recenti, di metallo). Si tratta di uno strumento di origini antichissime, che in forme diverse è diffuso non solo in tutto il Pacifico ma anche in Asia, Africa ed America. In Giappone lo horagai è documentato a partire dal periodo Heian ed è stato utilizzato sia come strumento militare (come segnale sui campi di battaglia), sia come strumento rituale nei templi buddhisti o tra i seguaci dello Shugendô. È in grado di emettere una sola nota: a volte segnali particolari vengono prodotti usando più strumenti con intonazioni diverse.

Houshi: monaco buddista, solitamente cieco, ma non necessariamente.

Hoozuki: ciliegio giapponese dai fiori arancio, che sbocciano in inverno.

I

Ihai: tavolette funerarie presenti all’interno del butsudan; esposte quarantanove giorni dopo la morte del defunto, ne commemorano la persona e il nome, benché questo non corrisponda a quello usato dal morto in vita, ma sia invece quello scelto per la sua anima dopo la morte stessa da un sacerdote buddista e venga consacrato in un tempio.

Inrou: porta medicine solitamente ligneo di forma cilindrica, formato da due pezzi montati su una cordicella da appendere al collo che permette lo scorrimento del pezzo superiore rivelando l’incavo per contenere i rimedi.

Irikawa : spazio che intercorre fra la veranda e la stanza

Iromuji: kimono maschile di un solo colore, come testimonia anche il suo stesso nome (iro in giapponese significa colore), con però l’eccezione del nero e del bianco impiegati preferibilmente in occasioni particolari. Può essere sia formale sia informale, in base alla presenza e al numero dei kamon (stemmi)

Izanagi: nome di una divinità shintoista il cui nome significa "Colui che invita", fratello e compagno della dea Izanami ("Colei che invita"). Nella mitologia giapponese è il dio creatore, padre di tutti i kami. Nel Kojiki ("Memorie degli eventi antichi"), si narra che il primo gesto di Izanagi ed Izanami fu quello di far sorgere le terre dall'oceano e mescolarle con una lancia chiamata Ame-Nu-Hoko. Con il fango che si ammassò colando dalla lancia ebbe origine la prima isola: Onogaro-Shima (il Regno Terreno). In seguito gli dei crearono altre otto grandi isole che divennero la terra di Yamato, il Giappone. Le due divinità abbandonarono il Regno del Cielo e stabilirono la loro nuova dimora sulla Terra. Dalla loro unione nacquero il dio del mare O-Wara-Tsu-Mi, il dio delle montagne O-Yama-Tsu-Mi, il dio degli alberi Kuku-no-chi e il dio del vento Shina-Tsu-Hiko. La nascita dell'ultimo dio, quello del fuoco Kagu-tsuchi, costò la vita ad Izanami. Izanagi, adirato, uccise il figlio e scese all'inferno (Yomi-Tsu-Kumi) con l'intento di condurre nuovamente la sua compagna nell'Onogaro-shima; al suo arrivo, il dio scoprì che la sua sposa si era nutrita con il cibo infernale ed era diventata un demone malvagio. Izanagi fuggì in superficie ed Izanami restò nello Yomi-Tsu-Kumi divenendone la terribile regina. Ritornato sulla Terra, Izanagi volle lavarsi dal sudiciume che lo aveva ricoperto ed eseguì un rito di purificazione. Si tuffò in un fiume e soffiandosi il naso originò il dio Susanoo (Susa-no-wo), signore della tempesta; dal suo occhio destro nacque Tsukuyomi, divinità della luna, e da quello sinistro Amaterasu, dea del sole.

J

Jigai: suicidio rituale femminile, corrispondente al seppuku maschile. Veniva compiuto dalle donne che rischiavano di venir disonorate. A differenza del suicidio rituale maschile, quello femminile non prevedeva un compagno e avveniva mediante il taglio della carotide con un coltello con lama che variava fra i quindici e i trenta centimetri. Per rispondere alla consueta esigenza di compostezza anche nella morte, le donne che praticavano il jigai erno solite legarsi le ginocchia, perché il corpo restasse in posizione consona e decorosa anche dopo le convulsioni della morte.

Jimbaori: particolare soprabito senza maniche, comunemente indossato dai samurai di rango elevato sopra le armature per aumentare l’effetto spaventoso e incutere maggior paura.

Jinja: termine giapponese che sta ad indicare un tempio shintoista, generalmente costituito da una serie di edifici e l'area naturale circostante ed è il luogo dove i fedeli shintoisti possono recarsi per la venerazione degli dèi (kami). Si crede che originariamente i jinja fossero solo templi temporanei, allestiti in occasione di una festività (matsuri) in luoghi considerati sacri come caverne o montagne. Questo per il fatto che nella fede shintoista i kami sono in un certo senso «onnipresenti», avendo la facoltà di essere dove vogliono quando vogliono, e che dunque non possano essere confinato in uno spazio sacro ben definito. Comunque, in epoche più recenti, dopo la costruzione di questi templi temporanei chiamati shaden si diffuse la credenza secondo cui un kami venerato in un tempio farebbe di quest'ultimo la sua dimora sacra. Nacquero così i primi templi stabili, i jinja, a partire da preesistenti shaden. Molti credono che le tecniche di costruzione degli shaden derivino dal Buddhismo, difatti, parecchi jinja antichi non hanno tracce di shaden, ma solamente luoghi di preghiera affacciati su ambienti sacri a cui è solitamente vietato l'accesso. Un tempio shintoista è costituito da parecchi locali ed edifici, inclusi un honden e un haiden . L'honden è il Sancta Sanctorum, la stanza o l'edificio contenente il goshintai ,letteralmente, "il Sacro Corpo del kami". Di queste stanze, solo l’haiden è aperto ai laici. L'honden è collocato dietro l'haiden, è più piccolo ed è privo di decorazioni. Altre zone particolari di un tempio shintoista sono l'area del torii, l'ingresso sacro al tempio; il chōzuya l'area delle abluzioni di mani e bocca, e il shamusho .

Junihitoe: kimono a dodici strati indossato nell'antichità dalle donne di corte. Oggi usato solo nelle occasioni più formali a corte (matrimoni imperiali, incoronazioni) e visibile nei musei.

Jyuzu: rosario buddista, formato da 108 grani o sfere, corrispondenti alle passioni a ai vizi che l’uomo deve esorcizzare per riuscire a elevarsi spiritualmente e a raggiungere l’illuminazione divina o Nirvana.

 

K

Kabuto: elmo

Kaiken: arma da taglio quasi esclusivamente femminile, usata per gli scontri ravvicinati e facile da nascondersi fra le vesti o nelle tasche dei kimono, in modo da poter cogliere l’avversario di sorpresa.

Kake-obi: particolare obi del nushi no tareginu (vd.); consiste in una fascia che corre davanti al seno, per poi aggirare la spalla e fissarsi sul petto della donna, tenendo fermo il grande cappello di paglia con velame di canapa.

Kake soba: "soba in brodo" consistente di tagliatelle di soba, sottili tagliatelle di grano saraceno, bollite e servite in una tazza di brodo caldo chiamato tsuyu e fatto con dashi, mirin e salsa di soia, guarnito con fettine di negi (cipolletta) e solitamente mangiata con i bastoncini.

Kaji: spadaio

Kamaitachi: creatura soprannaturale della mitologia giapponese, tradizionalmente associata al vento e diffusa in varie zone del Giappone, soprattutto montuose e, appunto, ventose. Di questo spirito esistono molte versioni, in parte differenti per aspetto e caratteristiche a seconda della zona d'avvistamento, ma in generale si tratta di un velocissimo essere dall'aspetto di donnola (per tradizione considerato un animale maligno), che si muove cavalcando folate di vento e che è munito di artigli affilati come rasoi coi quali ferisce alle gambe i malcapitati passanti per poi dileguarsi immediatamente. L'azione è così rapida che spesso le vittime non si accorgono nemmeno dell'attacco, anche perché, altra caratteristica peculiare del kamaitachi, le ferite inferte non provocano dolore ma solo sanguinamento, a volte anche copioso. Secondo alcune versioni, invece, accadrebbe l'esatto contrario e cioè che le ferite non sanguinerebbero quasi per nulla ma causerebbero grande dolore e in taluni casi sarebbero fatali. La versione più famosa del kamaitachi ha origine nelle montagne delle regioni di Mino e Hida (oggi accorpate nella prefettura di Gifu), dove sembra che apparisse come un terzetto di donnole di cui la prima faceva inciampare la vittima, la seconda le tagliava la pelle delle gambe e la terza le curava la ferita con una medicina in grado di eliminare il dolore. Questa interpretazione sembra sia da ricondurre a Toriyama Sekien, che fu probabilmente anche il primo ad associare l'apparizione alla donnola; egli eseguì, infatti, un tipico gioco di parole, alterando leggermente uno dei nomi più popolari della creatura, kamaetachi, per trasformarlo appunto in kamaitachi (donnola con le falci). Nella prefettura di Niigata, invece, il kamaitachi era uno spirito singolo ma molto più aggressivo, tanto che le sue vittime non riuscivano più a liberarsene.

Kami: parola giapponese indicante gli oggetti di venerazione nella fede Shintoista. Sebbene la parola sia talvolta tradotta con "dio" o "divinità", i teologi shintoisti specificano che tale tipo di traduzione può causare una grave fraintesa del termine. In alcune circostanze, come Izanagi e Izanami, i kami sono identificati come vere e proprie divinità, simili agli dei dell'antica Grecia o Roma. In altri casi invece, come il fenomeno della crescita, gli oggetti naturali, gli spiriti che dimorano alberi, o forze della natura, tradurre "kami" con "dio" o "divinità" sarebbe una cattiva interpretazione. Limitatamente all'uso nello Shintoismo, la parola è un'onorificenza per spiriti nobili e sacri, che implica un senso di rispetto o adorazione per la loro virtù e autorità. Dal momento che tutti gli esseri (viventi e non) hanno tali spiriti, gli esseri umani (come d'altra parte ogni altro essere) potrebbe essere considerato un kami o un kami potenziale. Poiché il giapponese normalmente non distingue il numero (singolare/plurale/duale) nei nomi, non è talora chiaro se kami si riferisce ad una singola entità o ad entità multiple. Quando è assolutamente necessario un concetto di pluralità, viene usato il termine kami-gami che è una ripetizione della stessa parola (kami diventa gami per eufonia). A volte ci si riferisce a kami "femminili" col termine megami. Si dice poi spesso che ci sono Yaoyorozu-no-kami ,ossia "otto-milioni-di-kami"; in giapponese, questo numero spesso porta con sé il concetto di infinito.

Kami-gami: forma plurale del nome Kami, quando è assolutamente necessario esprimere un concetto di pluralità. Si basa su una ripetizione della parola stessa kami, che per eufonia muta in gami. (vd. Kami)

Kamishimo: abbigliamento formale indossato dai samurai in uso durante il periodo Heian ed Edo, letteralmente la parola significa kami (alto) e shimo (basso) forse ad indicare che copriva sia la parte superiore che quella inferiore del corpo. Era indossato anche nelle cerimonie ufficiali o per svolgere compiti all'interno di strutture dove risiedevano personaggi altolocati (ad esempio castelli) e riportava il kamon o simbolo della casata di appartenenza.

Kano: fiume nella penisola di Izu.

Kansai: regione giapponese, anche conosciuta come Kinki , si trova nella zona centrale dell'isola principale del Giappone, Honshu. Il termine Ki, in Kinki, può anche esser letto miyako, che significa città o capitale. Questo deriva dal fatto che nel Periodo Edo, la capitale del Giappone era situata in questa regione. Il Kansai include le prefetture di Nara, Wakayama, Mie, Kyōto, Ōsaka, Hyogo, e Shiga.

Nella storia, il Kansai è uno dei cinque regni demoniaci dell’isola di Honshu, posto sotto il controllo del Clan di Morigawa e Shin. (vd. Honshu)

Kanzashi: ornamenti per i capelli in forma di fiori di seta, pettini di legno, forcine di giada, di metallo, di tartaruga o di resine o ancora di legno laccato; la varietà è infinita, e quelle per geisha spesso hanno una piccola molla che fa oscillare delicatamente la decorazione.

Kanzashi hana: particolare tipo di ornamento per i capelli, con un fiore lungo ondeggiante. Sono creati dagli artigiani giapponesi da dei quadrati di seta da una tecnica un conosciuta come tsumami. Ogni quadrato è piegato con l'aiuto di pinzette e col tagliato, formando un singolo petalo. Questi sono poi attaccati al supporto di metallo per creare i fiori interi, o attaccati a dei fili di seta per creare le cordicelle del bocciolo. Anche simboli come farfalle e uccelli sono comuni. Alcuni dettagli del fiore, come lo stame, possono essere creati con elementi propri dell'arte del mizuhiki, ovvero delle stringhe ottenute dalla carta washi. I colori e i motivi variano in base alle stagioni, solitamente bianco e argento o comunque colori pastello per la stagione estiva e guscio di tartaruga o corallo per la stagione invernale.

Kappa: creatura leggendaria, è uno spirito del folklore e della mitologia giapponese che abita in laghi, fiumi e stagni. La maggior parte delle descrizioni descrive i kappa come umanoidi delle dimensioni di bambini, sebbene i loro corpi siano più simili a quelli delle scimmie o a quelli delle rane piuttosto che a quelli degli esseri umani. Alcune descrizioni dicono che le loro facce sono gorillesche, mentre secondo altre hanno un viso con un becco simile a quello delle tartarughe. Generalmente i disegni mostrano i kappa con spessi gusci simili a quelli di una tartaruga e con la pelle scagliosa in colori nell'intervallo che va dal verde, al giallo o al blu. I kappa abitano i laghi e i fiumi del Giappone e sono dotati di diverse caratteristiche che li aiutano in questo ambiente, come mani e piedi palmati. Si dice alle volte che puzzino di pesce e certamente sanno nuotare bene. L'espressione kappa no kawa nagare ("un kappa che affoga") significa che anche gli esperti possono sbagliare. La caratteristica principale del kappa è comunque la depressione piena d'acqua in cima alla testa. Questa cavità è circondata da ispidi e corti capelli, che hanno dato nome al taglio di capelli okappa atama. Il kappa deriva la sua forza incredibile da questo foro pieno d'acqua e chiunque ne affronti uno può sfruttare questa debolezza semplicemente facendo in modo che il kappa rovesci l'acqua dalla sua testa.

Karakami: pannello scorrevole fra due stanze. Letteralmente carta cinese

Kariginu: abito di corte e di guerrieri di alto rango attestato per la prima volta nel periodo Heian. Era costituito da hakama (pantaloni larghi) e particolari giacche con le maniche tagliate (il termine significa proprio “manica tagliata”).

L’abito di Inuyasha è a tutti gli effetti un kariginu, ma la sua composizione di pelle di topi demoniaci (pelle di Hinezumi) lo rende un vestito demoniaco, capace di proteggere dal fuoco e resistente quanto un’armatura.

Kasane: stradi di vesti sovrapposte con i colori coordinati secondo accostamenti codificati che portavano il nome di fiori o uccelli stagionali. In numero anche di cinque, cui si aggiungevano le sottovesti e le sopravvesti, erano usate principalmente dalle dame del periodo Heian.

Katana: spada lunga giapponese, anche se molti giapponesi usano questa parola genericamente per intendere una spada Katana (o più precisamente uchigatana) si riferisce ad una specifica spada a lama curva e a taglio singolo usata dai samurai. Veniva usata principalmente per colpire con dei fendenti, nonostante permetta tranquillamente di stoccare, e può essere impugnata ad una o due mani. Quest'ultima diventò la maniera più comune, ma nel Libro dei Cinque Anelli, Musashi Miyamoto raccomanda la tecnica a due spade, e quindi una per mano. Veniva portata con la parte concava della lama verso il basso, in modo da poterla sguainare più velocemente con dei sapienti movimenti. L'arma era portata di solito dai membri della classe guerriera insieme al wakizashi, o spada corta. Le due spade insieme erano chiamate daisho, e rappresentavano il potere o classe sociale e l'onore dei samurai, i guerrieri che obbedivano al daimyō (feudatario). In particolare la combinazione daishō era costituita fino al XVII secolo da tachi e tanto, in seguito da katana e wakizashi.

Katanakake: supporto ligneo a due o più piani per le spade giapponesi. Solitamente, presenta una forma leggermente trapezoidale, con il supporto inferiore destinato alla katana e quello superiore al corpo pugnale che forma il dashi.

Katsuragi: montagna nella penisola di Izu, alle cui pendici esistono sono presenti numerose sorgenti termali e la collina Genjiyama.

Katsura tsutsumi: lungo panno bianco solitamente legato attorno alla testa per portare pesi dalle contadine di Katsura, nelle periferia occidentale di Kyoto.

Kayaributa: zampirone giapponese usato soprattutto in estate.

Kimono: abito tradizionale giapponese. In origine il termine 'kimono' veniva usato in origine per ogni tipo di abito; in seguito è passato ad indicare specificamente l'abito lungo portato ancor oggi da persone di entrambi i sessi e di tutte le età. È veste a forma di T, dalle linee dritte, che arriva fino alle caviglie, con colletto e maniche lunghe. Le maniche solitamente sono molto ampie all'altezza dei polsi, fino a mezzo metro. Avvolto attorno al corpo, sempre con il lembo sinistro sopra quello destro, è fissato da un'ampia cintura annodata sul retro chiamata obi. Esistono diversi stili di kimono per le varie occasioni, dalle più formali alle più familiari. Il livello di formalità di un kimono da donna è dato dalla sua forma (principalmente la lunghezza delle maniche), dal disegno, dal tessuto e anche dal colore. I kimono da uomo si presentano invece generalmente in un'unica forma e sono di colori spenti. Il loro grado di formalità è dato dal colore degli accessori, dal tipo di tessuto e dal numero (o dall'assenza) di mon (cimiero di famiglia). La seta è la stoffa più ricercata e più formale, il cotone è più familiare. oggi sono disponibili anche kimono in poliestere, considerati ancora più informali.

Kinoko: creatura misteriosa di montagna dall’aspetto indefinito, ma spesso rappresentato come un bambino di tre o quattro anni. È spesso immaginato vestito di foglie d’albero, da cui appunto il suo nome: kinoko significa infatti bambino (ko) dell’albero (kino).

Kinu: giacca del (vd.) kinubakama.

Kinubakama: abito tradizionale dei clan più potenti dell’epoca Yamato. Può esser considerato il primo tentativo nella realtà giapponese di distinguere il vestiario in base al rango di appartenenza. Tale abbigliamento, per gli uomini, era costituito da una giacca chiamata kinu fermata da dei lacci poco sotto il gomito e stretta in vita da una cintura chiamata shizuri, e da un primitivo tipo di hakama stretti sotto al ginocchio da dei lacci. Per le donne l’abbigliamento era costituito dal kinu, mentre gli hakama erano sostituiti da una lunga donna anche a pieghe chiamata mo. Comune a entrambi i sessi era l’uso di collane e bracciali in pietre preziose semilavorate, ossa e zanne di animali come lupi o cinghiali.

Kirin: creatura mitologica di origine cinese simile ad una chimera. È spesso rappresentato come un mostro il cui corpo è completamente circondato da fiamme. Animale fantastico, è dotato di testa di drago, corpo di cervo e a volte e descritto come in possesso di ali. Secondo la leggenda nasce dall'unione di un drago con una mucca, e appare solo ogni mille anni circa, quando nel mondo sta per avvenire un cambiamento epocale o quando nasce un personaggio di importanza straordinaria. Fin dai tempi antichi, quando in Cina qualcuno avvistava o catturava un Kirin la notizia era accolta come un fausto evento, tanto che si decideva di cambiare perfino il nome dell'epoca storica. In Giappone la leggenda del Kirin è stata tramandata fin dai tempi antichi, ma non esiste praticamente nessun racconto in cui qualcuno dichiara di averlo visto realmente. Nel nono anno dell'era dell'imperatore Tenmu furono ritrovate ossa di un Kirin nei pressi del monte Katsuragi, anche se secondo molti erano semplicemente le ossa di un cervo di dimensioni enormi, o qualcosa di simile. Anche nel libro intitolato Engishiki il Kirin è descritto come un animale foriero di buona sorte. Successivamente fu un animale realmente esistente a essere chiamato Kirin, ovvero la giraffa, probabilmente perchè il suo aspetto ricorda molto le descrizioni della creatura mitologica. Comunque sia, pare proprio che questa bestia misteriosa non proliferasse in Giappone.

Kita: letteralmente, Nord

Nella storia, è il più settentrionale dei cinque regni inuyoukai di Honshu, posto sotto il controllo del Clan di Kumamoto, (vd. Honshu)

Kizashi: scala di legno di circa cinque-sei gradini con altri corrimani.

Kodama: letteralmente, il kodama è l’amina di un albero molto antico , spesso oggetto di venerazione e la cui custodia è tramandata di padre in figlio.

Kogo:titolo dell’imperatrice. Vd. chugu

Komon: letteralmente "bel motivo", è un kimono con un piccolo motivo decorativo ripetuto su tutta la superficie dell'abito e abbastanza informale.

Koshi-ate: gambali

Koshihimo: cintura di mussolina o seta impiegata per stringere nagajuban e kimono, nel qual caso sono necessari in numero che varia da tre a cinque.

Kosode: prima forma di kimono impiegata in Giappone, nato essenzialmente come un capo d'abbigliamento indossato sotto gli abiti, ed era largamente diffuso tra gli strati inferiori della società del periodo Ahikaga (1932-1568).  Gradualmente sarà adottato anche dai ceti più elevati, ma come indumento esterno e nel tardo XVI sec, diverrà il vestito d'uso quotidiano, sia maschile che femminile.

Kote: maniche e spallacci

Ku: pantaloni stretti e lunghi fono alle caviglie, solitamente di seta, che compongono la parte inferiore di un hanfu cinese maschile.

Kugutsu: simulacro utilizzato da Naraku per muoversi e attaccare senza rischiare nulla.

Kun: uno dei suffissi più diffusi, utilizzato tra ragazzi e amici per indicare una certa forma di rispetto, o da un adulto verso una persona molto più giovane come segno di confidenza. Può essere rivolto da un ragazzo anche alle ragazze ma questo caso è più raro. È utilizzato anche in ambito lavorativo.

Kurigata: asola di corno o di metallo, raramente di legno, della katana disposta sul lato esterno (omote; quello posteriore, verso il corpo di chi porta l'arma, si chiama "ura") della guaina, entro cui passa il sageo

Kuroinuyoukai: letterlamente, demone cane (inuyoukai) nero (kuro).

Nella storia, i Clan di inuyoukai si distinguono per il colore della pelliccia una volta trasformati: nero (kuro) per il Clan di Shin e Morigawa; argento (ginka) per il Clan di Sesshomaru; oro (kinka) per quello di Yezo; rosso (aka) per il Clan di Kumamoto.

Kuroshoin: letteralmente “studio” (shoin) “nero” (kuro), nome derivato dalle lacche scure che decorano le pareti della stanza. Uno dei più famosi gabinetti giapponesi con questo nome è quello del castello di Nijo, una delle poche fortificazioni del Giappone. É inoltre famoso per i suoi caratteristici “pavimenti dell’usignolo” tatami creati con speciali morsetti canori ideati per riprodurre il suono del canto di un uccello nel momento in cui vengono calpestati.

Kusarigama: arma derivata dal falcetto utilizzato dai contadini per mietere il grano. L’impiego come arma era noto già dall'antichità ma dal XV secolo fu consolidato l'utilizzo di una forma modificata aggiungendo, ad un estremo del manico in legno, una lunga catena con un peso di piombo ad un estremo. La lama divenne a due tagli per rendere il tutto più efficace. L'utilizzo di un'arma siffatta è alquanto vario: la lama doppiamente affilata può essere usata di taglio o di punta, il manico ed il peso per stordire, la catena per bloccare o sbilanciare. Tale varietà di utilizzo poteva essere afficace contro qualsiasi altra arma ma, per ovvi motivi, il kusarigama rimase sempre un'arma individuale, estranea alle dotazione degli eserciti.

Kushinada-hime: moglie umana del dio Susanoo dopo che questi fu scacciato dal cielo. Ultima di tre sorelle, è condannata ad essere sacrificata al drago a otto testo Yamata-no-Orochi. Susanoo la incontra mentre si sta recando al sacrificio e, impietosito dalla sua sorte e colpito dalla sua bellezza, di offre di salvarla in cambio della sua mano. Trasformatala dunque in un pettine che tiene sempre con sè, Susanoo fa costruire davanti alla casa di Kushinada-hime un recinto con otto porte, e davanti ad ogni porta fa collocare un tavolo con una botte di sake. Il drago Yamata-no-Orochi, venuto a reclamare la sua vittima, viene attratto dal sake e Susanoo approfitta dello stodimento del drago per affrontarlo in una dura battaglia che colora di rosso le acque del fiume Hi. Alla fine, Susanoo riesce a uccidere il drago e a impadronirsi della spada Ama-no-Murakumo-no-Tsurugi che dona alla sorella Amaterasu con il nome di spada Kusanagi.

Kyuden: castello

Kyusu: teiera

L

 

M

Maccha: tè verde facente parte della produzione dei tè verde che viene fatta in Giappone, dove vengono coltivati tè verdi di altissima qualità. Basti ricordare che i tè verdi giapponesi hanno caratteristiche uniche come favorire la digestione, essere ricchi di vitamina C e avere effetti tonificanti. Nella grande categoria dei tè verdi giapponesi, il maccha fa parte di quei tè detti ‘tè d’ombra, tè che i coltivatori giapponesi fanno crescere appunto nell’oscurità (metodo ‘kabuse’). I tè così coltivati saranno più ricchi di vitamine, clorofilla e sali minerali, e assumeranno un profumo e un sapore erbaceo, note caratteristiche proprio del maccha. Per realizzare il maccha le foglie del tè vengono essiccate e poi schiacciate con uno stampo di pietra fino a ridurle in una polvere finissima. Questo è il tè che viene usato per la cerimonia del tè, rito religioso che risale al XII secolo, dove la polvere del tè maccha viene mescolata all’acqua calda con una piccola frusta di bambù, dando origine ad una bevanda dove la polvere di tè è sospesa nell’acqua, e non infusa.

Mado: finestra

Mantra: deriva dalla combinazione delle due parole sanscrite manas (mente) e trayati (liberare). Il mantra si può quindi considerare come un suono in grado di liberare la mente dai pensieri. Sostanzialmente consiste in una formula (una o più sillabe, o lettere o frasi), generalmente in Sanscrito, che vengono ripetute per un certo numero di volte al fine di ottenere un determinato effetto, principalmente a livello mentale, ma anche, seppur in maniera ridotta, a livello fisico ed energetico. Esistono moltissimi mantra per gli scopi più diversi; la maggior parte sono in sanscrito, ma ne esistono anche in altre lingue. Il loro uso varia a seconda delle scuole spirituali o delle filosofie. Vengono principalmente utilizzati come amplificatori spirituali, parole e vibrazioni che inducono nei devoti una graduale concentrazione. I mantra vengono utilizzati anche per accumulare ricchezza, evitare pericoli, o eliminare nemici. I mantra sono considerati come suoni vibrazionali, a causa della grande enfasi che si pone alla loro corretta pronuncia ( grazie allo sviluppo della scienza fonetica, in India, migliaia di anni fa ). Il loro scopo è liberare la mente dalla realtà illusoria e dalle inclinazioni materiali. Il processo di ripetizione di un Mantra è definito cantilena.

Menuki: piccoli scudetti di metallo con figure in rilievo fissati sul samegawa (rivestimento di pelle di razza dell’elsa della katana) sotto la nastratura di nastro di seta (tsukamaki) che fascia l’impugnatura di legno (di solito magnolia) della spada.

Michiyuki: particolare tipo di haori, differisce da quest’ultima per la maggior lunghezza e la chiusura del collo squadrata, effettuata con appositi lacci. Utilizzato soprattutto dalle donne, è indossata sopra il kimono anche da medici e farmacisti come primitivo camice.

Miko: giovani donne che lavorano presso i templi shintoisti. Erano spesso le figlie dei sacerdoti incaricati di prendersi cura di uno dei templi. I ruoli della miko includevano l'esibizione in danze cerimoniali (miko-mai) e l'assistere i sacerdoti in varie funzioni, soprattutto nei matrimoni. É piuttosto difficile dare una definizione precisa dell'equivalente occidentale alla parola giapponese "miko", comunque "Vergini dell'altare" è quella usata più di frequente. Altri termini sono stati usati come succedanei, quali profetesse, medium, sacerdotesse, suore, streghe. C'è da sottolineare che, malgrado lo scintoismo comprenda sacerdoti donna, esse non sono miko. É anche importante notare che le miko non hanno lo stesso grado di autorità di un sacerdote, per quanto possano ricoprire gli incarichi di un chierico anziano se non c'è disponibile alcun sacerdote. Le uniche eccezioni a questa norma avvenivano in antichità, quando le profezie rivelate dalle miko erano considerate come ispirate dalla stessa voce del kami (la divinità). Teoricamente, requisito iniziale per essere miko era quello di essere vergine, però storicamente vennero fatte eccezioni a questa regola, in favore di donne dotate di grande carattere. É probabilmente vero che, quando una donna che stava servendo ad un tempio si sposava, abbandonava il suo ruolo di miko per occuparsi del marito e della nuova famiglia. Questa regola è stata pressoché completamente rimossa nei tempi moderni, anche se la maggior parte delle miko ancora oggi, quando si sposa, lascia il servizio al tempio o il corso di apprendimento per diventare sacerdotessa. Il costume tradizionale, o veste, di una miko è chiamato chihaya e consiste di un hakama rosso, che può essere sia in foggia di pantaloni che di gonna, della tunica bianca del kimono con grandi maniche, spesso orlate di rosso ed è associato ai tipici calzari giapponesi, i tabi. Per le miko è anche comune portare nastri e fiocchi ai capelli, o altri ornamenti, comunque colorati di rosso o di bianco.

Miso: condimento derivato dai semi della soia gialla, di origine giapponese, cui spesso vengono aggiunti altri cereali come orzo (Mugi Miso) o riso (Kome Miso). Ha un gusto molto deciso e molto salato, che può comunque variare a seconda della stagionatura, della composizione e, ovviamente, della qualità del prodotto

Mizuchi: divinità giapponese delle acque in forma di dragone. Raffigurato come un essere serprentiforme con corna, quattro zampe e un veleno mortale per l’uomo, è uno spirito dell’acqua come denota il suo stesso nome formato da mizu che significa acqua e chi che indica uno spirito acquatico. Inoltre, la leggenda vuole che nel caso in cui possa nutrirsi di iris, il mizuchi sia capace di creare miraggi estremamente verosimili che emana dalla bocca.

Mizura: tradizionale acconciatura maschile del periodo Yamato, consisteva in due nodi di capelli ai lati delle tempie.

Momo: pesco

Momo no sekku: letteralmente festa del pesco, è il periodo di fioritura dell’albero che va dal tre di marzo, in concomitanza con l’hima metsuri. Indica il periodo in cui tradizionalmente si raccoglievano erbe medicinali nei campi con lo scopo di purificare l’anima e proteggersi dai mali.

Moya: stanza interna del shinden, solitamente adibita a stanza d’udienza o di ritrovo, o ancora ad appartamento privato del signore del castello. Può essere divisa in due parti, moya e moya nurigome, che presenta la struttura in pietra anzicchè in legno e non ha aperture verso l’esterno.

Mushi no tareginu: designa un particolare abbigliamento femminile in uso nel periodo Heian durante spostamenti brevi o lunghi. Consiste in un particolare kimono hitoe protetto da una veste uchie ; tutta la persona, poi, è nascosta dietro un lungo velo di canapa di un largo cappello di paglia, fissato al corpo con un particolare obi che ne impedisce la perdita.

 

N

Nagajuban: sottoveste di seta o di lana che si indossa sotto il kimono. Non viene ripiegato in vita come il kimono ed è legato con un koshihimo (cintura).

Naginata: sorta di alabarda costituita da un'asta in legno, soliamente laccata, lunga circa 150 cm, su cui è innestata una lama ricurva, di forma analoga al wakizashi ma più spessa e con una forte curvatura verso la punta. Altra sorta di alabarda fu il nagamaki, in cui le proporazioni fra lama e asta erano, rispetto al naginata, circa uguali. Queste armi furono utilizzate ampiamente soprattutto prima dell'avvento delle armi da fuoco, sia da cavallo che a piedi (frequentissimo è trovarle rappresentate, ad esempio, in stampe raffiguranti episodi di battaglie nel periodo delle guerre con i mongoli). In particolare, se utilizzate da un fante potevano essere utili contro un cavaliere avvalendosi sia della lunghezza sia della possibilità di atterrare il nemico tagliando le gambe del cavallo che lo sosteneva. Il naginata utilizza la lama prevalentemente di taglio mentre l'asta può essere utilizzata per colpire (frequente era l'adozione di un pomolo di metallo all'estremità dell'asta per rafforzare il colpo). La lunghezza dell'arma e l'impugnatura lunga consentono una potenza non indifferente soprattutto se il guerriero era dotato di fluidità e destrezza nei movimenti. Per tale motivo il naginata divenne con il tempo l'arma dedicata alle donne appartenenti alle famiglie samurai. Il progressivo abbandono del naginata nel periodo Tokugawa ne fece strumento di educazione per le nobili guerriere più che arma di offesa.

Nàn: sud in cinese

Natto: soia fermentata.

Nee-san: sorella maggiore. Un altro termine corrispondente è aneki, “nobile sorella maggiore”. É molto importante ricordarsi che in Giappone, fin dall’antichità, l’età è stato un forte fattore sociale, tanto che ogni grado di parentela assume kanji differenti in base a chi lo pronuncia.

Nekomata: creatura soprannaturale della mitologia giapponese evolutasi da un gatto e caratterizzata dalla presenza di una coda biforcuta o addirittura di una seconda coda e dalla capacità di camminare sulle zampe posteriori. Come per il "cugino" bakeneko e la kitsune, la trasformazione avviene solitamente quando il gatto raggiunge un'età avanzata (10 anni, secondo alcuni racconti), per questo motivo, fino al XVII secolo ai gatti spesso veniva mozzata la coda, secondo la credenza che questo avrebbe impedito la loro trasformazione in nekomata, tale pratica potrebbe col tempo aver contribuito alla nascita del bobtail giapponese, una razza di gatti privi di coda.

In Inuyasha, il personaggio di Kirara è un tipico esempio di nekomata, anche se privato dei suoi tratti negativi.

Nigatsu: febbraio

La storia parte, a livello cronologico, a fine Ottobre. Alessandra trascorre circa due mesi con Rin,Jacken e Sesshomaru, o solo con il demone, lontana dal palazzo, e poi devono passare altri due mesi circa prima che Inuyasha arrivi al castello del fratello, dove trascorrerà un mese. Ormai, siamo a fine Febbraio,alcune settimane dopo il capitolo “Principe”.

Nihon: nome originale nipponico del Giappone, formato d due ideogrammi, di cui il primo, ni, significa Sole, e il secondo, hon, origine, cosicché letteralmente il termine significa origine del sole, per poi esser tradotto con “Paese del Sol levante”, come è conosciuto anche in Occidente.

Calcolando approssimativamente l’età di Sesshomaru attorno ai quattrocento anni, suo padre, stando al terzo film, poteva già fregiarsi del titolo di Dominatore del mondo nel periodo Heian (794-1185), quando cioè era all’acme del suo potere. Benché in tale periodo il governo giapponese costituisse un sistema di ispirazione cinese e testimonianze di rapporti con l’impero Celeste risalgano addirittura al 239, a lungo il Giappone si chiuse agli stranieri, considerando il suo arcipelago come l’unica realtà esistente. Di conseguenza, la definizione di “Dominatore del mondo” va intesa in modo relativo, restringendo il termine “mondo” al solo Giappone , altrimenti detto, Inutaisho dominava tutti i demoni del Giappone.

Niisan: fratello maggiore, dalla lettura del kanji corrispondente che rappresenta la raffigurazione stilizzata di una persona con una testa molto grande.

Nikko: situata sul fiume Daiya nell’isola di Honshu, al confine con la regione centrale e quella settentrionale di cui fa parte, è un rinnovato centro buddista-schintoista, dal momento che, oltre 1200 anni fa, il venerabile sacerdote buddhista Shodo Shonin, in cammino per il monte Nantai, vi fondò il primo tempio della città. Secoli più tardi Tokugawa Ieyasu lo scelse come luogo del proprio mausoleo. Con questo santuario, eretto nel 1634 e detto Tosho-gu, il clan Tokugawa voleva mostrare ai rivale la propria ricchezza e il proprio potere. Da allora Nikko, che significa “i raggi del sole”, è diventato sinonimo giapponese di speldore.

Ningen: essere umano

Nioi-bukuro: sacchettimi d’incenso preparati con ingredienti naturali, come le polveri di legno al naturale, non lavorate tali sacchettini, preziosamente decorati, sono utilizzati per profumare la casa, i vestiti, per essere portati addosso, anche nelle maniche del kimono.

Nishi: letteralmente, Ovest.

Nella storia, costituisce uno e il più vasto dei regni di Honshu, dominato da Sesshomaru, che lo ha ricevuto in eredità da suo padre. (vd. Honshu)

Nishikigoi: specifica varietà giapponese di carpe, caratterizzate da una colorazione brillante e policroma.

Noka: tradizionale casa rurale giapponese in opposizione al minka, formata da un solo ambiente regolare comprensivo di cucina in muratura nel domo ed engawa e da un ambiente più piccolo dotato di rudimentale vasca da bagno in legno.

Norito: preghiere prefissate da pronunciarsi in diverse e particolari occasioni

O

Obi: equivalente giapponese della fusciacca o della cintura, usata per il kimono o per la yukata. Sono generalmente usati in modi differenti a seconda dell'occasione e i modelli da donna sono generalmente più intricati. Di vario materiale e lunghezza, come per il kimono, variano nel loro utilizzo in base all’occasione in cui vanno indossati, spesso con lo scopo di creare un piacevole contrasto con il kimono stesso. Esistono centinaia di modi diversi di annodare l'obi, alcuni molto complessi e vistosi. In linea generale il fiocco più diffuso è il Taiko-musubi, o fiocco a tamburo. Il suo nome deriva dal Taiko-bashi, o Ponte a tamburo, un famoso ponte di Kyoto che fu inaugurato nel XIX secolo. Le geishe invitate ad assistere all'occasione inventarono questo tipo di fiocco, che ricorda la forma bombata del ponte, da cui il nome... Il Taiko musubi è dunque il tipo più usato per il kitsuke "di tutti i giorni", e praticamente è il fiocco usato dalle donne sposate in qualsiasi occasione. Le ragazze nubili invece possono sbizzarrirsi, nelle occasioni speciali, con fiocchi "a rosa" (bara no hana), "ad anatra mandarina" (oshidori), "a fenice" (Houoh), "a crisantemo" (itogiku), "ad ali d'aquila" (washikusa) e via dicendo...

Oden: sorta di spezzatino, consiste in una ciotola calda di crocchette fritte di pesce e verdure varie

Ofuro: bagna caldissimo che si fa in vasche di legno di hinoki, cipresso giapponese.

Oiran: cortigiana di rango più elevato, ben diversa dalla yotaka (“falco della notte”), prostituta d’infimo ordine. Loro caratteristica sono i geta con la suola divisa in tre parti, portati sempre, in qualsiasi stagione, senza tabi, e l’obi annodato sul petto, come è consuetudine per tutte le prostitute.

O-Kuni-Nushi: divinità shintoista della stregoneria e della medicina

Oni: creature mitologiche del folklore giapponese, simili ai demoni e agli orchi occidentali. I ritratti degli oni variano notevolmente tra loro, ma normalmente li ritraggono come creature giganti e mostruose, con artigli taglienti, capelli selvaggi e due lunghe corna che crescono dalla loro testa. Sono fondamentalmente umanoidi, ma occasionalmente sono ritratti con caratteristiche innaturali, come molti occhi o dita delle mani e dei piedi extra. La loro pelle può essere di colori diversi, ma quelli più comuni sono il rosso, blu, nero, rosa e verde. Il loro aspetto feroce viene spesso accentuato dalla pelle di tigre che tendono ad indossare e dalla mazza ferrata da loro favorita, detta kanabō. Nelle prime leggende gli oni come per esempio la ragazza del pozzo erano creature benevolenti ritenute capaci di tenere alla larga spiriti maligni malvagi e malevoli e di punire i malfattori. Durante l'era Heian il Buddhismo giapponese, che aveva già importato una parte della demonologia indiana (rappresentata da figure come i kuhanda, gaki e altri) incorporò queste credenze chiamando queste creature aka-oni ("oni rosso") e ao-oni ("oni blu") e facendone i guardiani dell'inferno o torturatori delle anime dannate. Alcune di queste creature erano riconosciute come incarnazioni di spiriti shinto. Con il passare del tempo la forte associazione degli oni con il male contagiò il modo in cui venivano percepite queste creature e vennero ad essere considerate come portatori o agenti delle calamità. I racconti popolari e teatrali iniziarono a descriverli come bruti stupidi e sadici, felici di distruggere. Si disse che gli stranieri ed i barbari fossero oni. Oggigiorno sono variamente descritti come spiriti dei morti, della terra, degli antenati, della vendetta, della pestilenza o della carestia. Non importa quale sia la loro essenza, gli oni odierni sono qualcosa da evitare e da tenere a bada.

Onigiri: involtini a base di riso e alghe crude, solitamente di forma triangolare. Possono essere di solo riso oppure ripieni di pesce o carne. Molto diffusa e' la versione con all'interno l'umeboshi una tipica prugna giapponese seccata con il sale, dal sapore aspro.

Oniisan: letteralmente, signor fratello maggiore, indicando una particolare forma di rispetto e assieme affetto.

Onmyoji: una delle classificazioni dei funzionari appartenenti all'Ufficio di presidenza del sistema antico del Giappone. Le persone con questo titolo sono stati i professionisti del onmyōdō. La loro responsabilità giudice variava da compiti come tenere traccia del calendario ai doveri mistica, come la divinazione e la protezione del capitale da spiriti malvagi. Potevano divina influenze di buon auspicio, o nociva in terra, e sono stati fondamentali per lo spostamento di capitali.. Si dice che uno Onmyoji potrebbe anche convocare e controllo shikigami. Onmyoji famosi includono Kamo no Yasunori e Abe Seimei (921-1005). Dopo la morte di Seimei è l’imperatore aveva un santuario eretto nella sua casa di Kyoto. Onmyoji aveva peso politico durante il periodo Heian, ma in tempi più tardi, quando la corte imperiale cadde in declino, il loro patrocinio era stato perso completamente. In tempi moderni Onmyoji Giappone sono definiti come una sorta di sacerdote shintoista e anche se ci sono molti che affermano di essere medium e spiritisti, i Onmyoji continua ad essere una figura occulta Hallmark.

Ookami: youkai animale che può assumere sembianze umane corrisponde al lupo del Giappone, ora estinto.

Oribenishiki: dolcetto fatto con marmellata di soia e pasta di castagne, rivestito di zucchero di canna non raffinato.

Oshiire: porte scorrevoli degli armadi a muro.

Okasama: letteralmente signora madre, nel giapponese antico è la formula tradizionale di deferenza con cui ci si rivolge al proprio genitore. Nel giapponese moderno, invece, designa la madre altrui.

Otosama: letteralmente signor padre, nel giapponese antico è la formula tradizionale di deferenza con cui ci si rivolge al proprio genitore. Nel giapponese moderno, invece, designa il padre altrui.

Ototo: fratello minore

Oujisama: termine che designa la carica di principe

Oyakata-sama: termine che significa "potente signore", utilizzato dai soldati per rivolgersi al loro comandante.

 

P

Pei: ornamento solitamente di giada applicato alla cintura e alla vita degli hanfu cinesi.

Prana: termine sanscrito che significa letteralmente soffio vitale, respiro o energia cosmica. Secondo la fisiologia induista, tutti gli esseri viventi attraverso la respirazione creano un interscambio tra il mondo esterno e quello interno, individuale. Tale comunicazione, che avviene attraverso il prāṇa, è una comunione tra un essere e l'ambiente che lo circonda: grazie alla respirazione si assimila energia vitale. Per alcune culture asiatiche il respiro assume un ruolo fondamentale: respirare in modo adeguato, potenzia gli effetti terapeutici e armonizzanti dell'energia cosmica contenuta nell'aria. Il prāṇa raccolto all'atto del respiro, viene assimilato dai chakra, attraverso i canali di scorrimento delle energie detti nadi.

 

 

Q

R

Ramen: Zuppa con carne, spaghetti di grano, uova e alghe crude. Tutti vengono serviti in brodo ed è buona norma sorbirli in maniera rumorosa per dimostrare gradimento. I Ramen sono spaghetti cinesi all'uovo e oltre che in brodo si servono asciutti conditi con verdure.

Ramma: decorazione a traforo posta sopra i pannelli scorrevoli che sostituiscono le pareti divisorie della casa.

: ali del palazzo, formate da corridoi coperti e talvolta costeggianti delle stanze secondarie.

Rokugatsu:

Ryo: antica moneta d’oro

Ryokan: tradizionale albergo giapponese

 

S

Sageo: lungo nastro utilizzato per fissare l’arma alla cintura. Intrecciato anticamente con fili di cotone o di seta, nel qual caso era più pregiato, il sageo riceveva una colorazione naturale monocormatica i bicromatica, con talvolta un colore dominante, ricami laterali e anche frangiature, e variava la sua lunghezza in dipendenza dal tipo di lama che accompagnava, cioé il tanto (90 cm), il wakizashi (110 cm), la katana (180 cm) e il tachi (220 cm). Inoltre, il sageo, oltre a fissare l’arma all’obi, veniva anche impiegato per ripiegare le maniche dei kimono, tradizionalmente molto ampie e che potevano ostacolare i movimenti durante le attività quotidiane, nei duelli e nelle arti marziali.

Saimyosho: letteralmente il nome significa "vittoria assoluta". Sono le api infernali utilizzate da Naraku, dotate di un potente veleno.

Sakazuki: nome delle tazzine usate per servire e gustare il sake

Sake: nome di un liquore incolore, con una gradazione alcolica dai 15 ai 17 gradi. Nelle antichissime cronache del Giappone veniva indicato come “la bevanda degli dei”. Si ottiene mescolando riso cotto al vapore con una muffa simile al lievito; si lascia riposare e poi si raffina. Esistono due tipi di sakè: quello dolce e quello secco, comunque entrambi, secondo la tradizione, vendono serviti caldi.

Sama: suffisso che indica reverenza e rispetto

San: suffisso onorifico d’uso comune, equivalente a “signore”, “signorino”

Sashinuki hakama: tipo di hakama che viene indossata in un modo tale da risultare gonfia sulla gamba ed esporre il piede. Per ottenere questo effetto questo tipo di hakama è più lunga e vengono fissate e strette delle corde negli orli delle caviglie; ciò crea un effetto a palloncino. Questo tipo di hakama era molto popolare nel periodo Heian.

Satsuki: letteralmente mese dei germogli di riso, è l’antico nome nel calendario lunare giapponese di Gogatsu, che corrisponde circa al maggio occidentale.

Saya: termine giapponese che indica il fodero della katana o della wakizashi. Tradizionalmente è costruito in legno di magnolia giapponese ed è verniciato con lacca Urushi, una lacca di origine naturale. La laccatura del saya spesso include decorazioni particolari con polveri d'oro, mica, abalone, same o altri materiali applicati a strati o inclusi nella lacca che formano disegni in rilievo di rara eleganza (makie). Lo shira - saya, (letteralmente "fodero bianco"), è invece realizzato senza decorazioni, il legno è lasciato al naturale. Lo Shirasaya ha lo scopo di preservare e custodire la lama, non viene usato nell'utilizzo pratico della spada. L'imboccatura del saya si chiama koiguchi, (letteralmente bocca di carpa), mentre la parte terminale è chiamata kojiri. L'anello dove viene legato il sageo invece viene denominato Kurigata. Tali finiture, nella montatura di tipo Buke-zukuri, sono tradizionalmente costruite in corno o ebano, più raramente in metallo. Il saya può avere delle tasche laterali per contenere il kogatana (piccolo coltellino tuttofare) o il kogai (piccolo attrezzo per sistemare l'acconciatura da samurai), o essere munito di un piccolo gancio (sakazuno) utilizzato soprattutto nei wakizashi per trattenere il fodero nell'obi. Tale necessità era dovuta al fatto di dover estrarre il wakizashi spesso e volentieri con un unica mano poiché la prima spada ad essere estratta era la katana e la mano destra era quindi occupata da quest'ultima.

Seiza: posizione formale di seduta. Per mettersi correttamente in questa posizione bisogna prima piegare la gamba sinistra ruotando leggermente a destra col busto, quindi seguire con la gamba destra; gli alluci restano a contatto o si incrociano mentre i talloni, rivolti verso l'esterno, formano un incavo in cui ci si siede; la schiena è dritta e la testa eretta, le spalle sono rilassate e le mani sono appoggiate sulle cosce coi palmi in basso e le dita rivolte verso l'interno, le ginocchia sono aperte in modo naturale - generalmente distanziate da due pugni - e determinano la stabilità della postura. Il praticante deve tenere la colonna vertebrale diritta per potere respirare in modo corretto.

Sengoku Jidai: periodo storico che comprese quasi tutto il sedicesimo secolo, caratterizzato da accese lotte tra i samurai per la gestione del potere. In quell’era il Giappone era diviso in tanti piccoli regni in perenne contrasto fra loro.

Verso la metà del 1400, il Giappone si trovava a fronteggiare la più grande crisi politica della sua storia. Fino ad allora, il Giappone era stato facilmente amministrato dallo Shogun (il generale più forte, consigliere supremo dell'imperatore, ma spesso anche più potente di quest'ultimo), che a sua volta delegava a circa 260 Daimyo (signorotti locali), il controllo regionale dello stato. I Daimyo possedevano un proprio esercito, spesso formato da migliaia di uomini, per la maggior parte contadini reclutati nelle campagne. Con l'inizio della guerra di Onin (1467-1477), ebbe inizio quella che in Giappone, è comunemente chiamata "Era Sengoku", o "periodo degli stati combattenti". Durante questo periodo, le continue rivolte dei Daimyo minarono il potere amministrativo del Giappone, fino allora detenuto dallo Shogunato Ashikaga e ogni Daimyo fondò un proprio stato, in guerra con quelli confinanti.

La guerra di Onin (1467-1477)

Originariamente, la guerra di Onin non era altro che un conflitto locale tra i due più potenti Daimyo, gli Hosokawa e gli Yamana. Ben presto però, il conflitto si estese anche alle regioni circostanti, quando lo Shogun Ashikaga Yoshimasa, d’accordo con Hosokawa, decise di cedere il potere al proprio figlio minore, Yoshimi. Gli Yamana però, d’accordo con la moglie di Yoshimasa, volevano invece che il potere passasse nelle mani del fratello di Yoshimasa, Yoshihisa. Contemporaneamente, Hosokawa cercava di interferire nel conflitto tra due membri della famiglia Hatakeyama, e Yamana chiese allo Shogun il permesso di punire la famiglia Hosokawa. Lo Shogun, rigettò la proposta, e Hosokawa prese il figlio Yoshimi, e si barricò nel palazzo dello Shogun, situato a Kyoto, la capitale dell'impero. Lo Shogun Yoshimasa capì subito che una guerra nella capitale avrebbe paralizzato il suo controllo sul resto dell'impero, lasciandolo senza potere nelle regioni più esterne, ma non potè farci nulla. La guerra scoppiò nel 1467 e nel giro di pochi mesi devastò la città di Kyoto, facendo estendere la guerra civile anche nella periferia della città. Nel settembre 1467, Yamana si alleò con un altro potente Daimyo, Ouchi Masahiro, allargando il conflitto. Alla fine del 1467, non c'era ancora un chiaro vincitore, e le due fazioni stavano ancora combattendosi. Nei primi mesi del 1468 Yoshimi tradì Hosokawa e si alleò con Yamana (che invece supportava Yoshihisa). Lo Shogun dichiarò allora Yoshimi un ribelle, e la guerra si trasformò in un conflitto tra lo Shogun (supportato da Hosokawa), e suo fratello (supportato da Yamana). Nel 1473 sia Hosokawa, quarantatreenne, che Yamana, settantenne, morirono, e il conflitto andò rapidamente spegnendosi, poichè Yoshimasa riuscì a riprendere il controllo delle province che si erano ribellate. Nel 1477 anche Ouchi Masahiro ritornò agli ordini di Yoshimasa. Il conflitto produsse migliaia di morti; in un attacco di Ouchi ad Hosokawa, fortificato nel monastero Shokokuji, viene riportato che Ouchi collezionò oltre 8 carri di teste mozzate ai nemici. Il conflitto lasciò inoltre devastata la città di Kyoto.

Gli stati combattenti

Dopo la guerra di Onin, gli Ashikaga persero rapidamente il loro potere, diventanto burattini agli ordini della famiglia Hosokawa. Quando il figlio di Yoshimi, Yoshitane, divenne Shogun nel 1490, il reggente della famiglia Hosokawa lo fece deporre nel giro di soli 3 anni, e dichiarò Shogun un altro Ashikaga, Yoshizumi, iniziando un nuovo conflitto. Nel 1499 Yoshitane arrivò a Yamagichi, dove risiedevano gli Ouchi, e ne ottenne il supporto militare. Nel 1507, il reggente degli Hosokawa, Matsumoto, venne assassinato, e nel 1508 Yoshizuni fu costretto alla fuga. Gli Ouchi restituirono allora lo Shogunato a Yoshitane. Con la morte di Matsumoto, i suoi due figli adottivi, Takakuni e Sumimoto iniziarono una guerra interna per la successione, e la famiglia perse lentamente il proprio potere. Durante i successivi 50 anni, molti dei Daimyo, tra i quali i gli Shimazu, i Takeda, Imagawa, e i Mori approfittarono del periodo di crisi, per stabilire dei propri domini indipendenti o consolidarli. Le guerre si moltiplicarono, e alla fine del 1550, dei circa 260 Daimyo, solo una dozzina erano ancora al potere. Tra le centinaia di piccole guerre che si combatterono, si ricordano principalmente la guerra tra gli Ouchi e i Mori, conclusa nel 1551 con la vittoria di questi ultimi, quella tra il clan Takeda e quello Uesugi, quelle Yeyasu Tokugawa, che unificò sotto il suo dominio la parte ovest del Giappone, e le guerre di Oda Nobunaga.

Oda Nobunaga (1534-1582)

Nato nel 1534 nella piccola provincia di Owari, nel 1560 consolidò sotto il suo dominio tutti i piccoli clan della regione. In questo periodo si alleò con Yeyasu Tokugawa, e Toyotomi Hideyoshi che lo serviranno fedelmente fino alla morte. Vincendo nel 1567 la decisiva battaglia di Okehazama, in cui sconfisse un esercito 10 volte superiore al suo, potè estendere i suoi domini oltre la regione di Owari. Nel 1568 marciò su Kyoto e la conquistò, facendo eleggere come Shogun Ashikaga Yoshiaki, in realtà un burattino nelle sue mani. Nel 1571-72 assoggettò le regioni dominate dai clan Asai e Asakura, nel 1574 quelle dei Nagashimi, e nel periodo 1575-1580 quelle dei Takeda. Dal 1575 al 1582 fu impegnato in feroci battaglie con i Mori. Nel 1582, quando ormai sembrava vicina anche la fine dei Mori, fu assassinato da uno dei suoi generali. Nobunaga, che insieme a Yeyasu Tokugawa e Toyotomi Hideyoshi è tra gli eroi più famosi del Giappone, è passato alla storia per la sua incredibile abilità militare, per le sue aperture agli occidentali (in particolare al Cristianesimo), ma anche per la sua grande ferocia e mancanza di pietà.

La fine dell'era Sengoku

Dopo la morte di Nobunaga, Tokugawa e Hideyoshi si spartirono le regioni che Oda aveva unificato, ingaggiando una nuova guerra civile. Nel 1590 i due strinsero un accordo di pace e sconfissero insieme le orde di invasori provenienti dalla Korea (nella battaglia di Odawara). La pace tra le due fazioni permise a Tokugawa di diventare Shogun nel 1603. Morì nel 1613. Grazie al decisivo contributo di Hideyoshi (morto nel 1598 e autore di alcune leggi innovative), il suo shogunato fu uno dei più profilici e pacifici, permettendo al suo clan di restare al potere fino al 1868.

Nel manga non viene mai indicato un anno preciso, ma leggendo alcuni capitoli, si intuisce che Inuyasha dovrebbe essere ambientato all'incirca nel 1500 e il 1550 (quando cioè Nobunaga inizia a diventare un generale famoso e cominciano a comparire le prime armi da fuoco, importate dai portoghesi)

Sensei: termine giapponese che significa "maestro". Oltre a indicare i docenti scolastici, viene adoperato anche all'interno delle arti e tecniche tradizionali, dove il maestro spesso non viene visto come il semplice insegnante di nozioni, ma anche come un individuo dotato di autorità ed esperienza, ovvero un "maestro di vita". Il termine è adoperato anche per quelle personalità che, in ambito artistico, hanno raggiunto un notevole livello di eccellenza e popolarità: grandi registi, scrittori, artisti o fumettisti vengono quindi chiamati sensei.

Shikigami: tipo di spiriti (kami) che possono essere evocati da un onmyōji, similmente agli spiriti familiari della stregoneria occidentale. Gli shikigami sono invisibili alla maggioranza delle persone, ma secondo gli onmyōji dell'epoca Heian di cui si dice fossero in grado di utilizzarli, avrebbero in genere l'aspetto di piccoli oni. Sebbene invisibili, gli shikigami potrebbero, su ordine dell'onmyōji, assumere forme umane o animali, possedere o stregare le persone, e anche causare dolore fisico o morte.

In “Inuyasha” uno shikigami in forma di serpente è usato dalla sacerdotessa nera Tsubaki per cercare di uccidere Kikyo prima e Kagome poi. Kikyo stessa crea tre shikigami quando viene avvelenata e ha bisogno di guadagnare tempo per rimettersi; due di essi, Kochō e Asuka, sono sufficientemente potenti da creare barriere, mentre il terzo, Hijiri ha le sembianze della sacerdotessa e parte del suo potere. Inoltre, Kururugi, personaggio del videogioco Inuyasha: The Cursed Mask li usa come armi, per curarlo e per difenderlo.

Shinigami: personificazione della morte nella mitologia giapponese, l'equivalente al "mietitore di anime" (psicopompo) occidentale. La mitologia degli shinigami è piuttosto recente, in quanto non sembra esistesse prima dell'epoca Meiji; molto probabilmente si tratta di un mito importato dall'Europa. La figura fu adottata molto rapidamente in Giappone, e compare ad esempio nell'opera rakugo Shinigami (probabilmente basato sull'opera italiana Crispino e la Comare, a sua volta basata sul racconto Der Gevatter Tod dei fratelli Grimm) e nel Ehon Hyaku Monogatari (Libro di immagini di cento storie) di Shunsen Takehara. Secondo altri però il mito potrebbe essere stato importato dalla Cina; secondo il critico letterario Masao Azuma, «In origine non c'era alcun culto della morte in Giappone. In Cina, ci sono figure simili al mietitore di anime, chiamate "Somujo" o "Koshinin", il cui compito è portare gli spiriti al "Meifu" (la Terra dei Morti)». Con shinigami non si indica solo la divinità principale della morte ma anche quelle secondarie.

Shakujo: bastone che portano i monaci buddisti erranti, caratterizzato da degli anelli sulla sommità. Era usato come arma di difesa personale e per gli esorcismi, si diceva, infatti, che il tintinnare degli anelli allontanasse i demoni.

Shihandai: istruttore e maestro di bonzi combattenti, dotati di potente energia spirituale

Shingetsu: novilunio. È la notte in cui Inuyasha perde la sua aura demoniaca e diviene un semplice essere umano.

Shinden: corpo centrale del palazzo Heian, costruito con la presenza anche di elementi in muratura.

Shinobue: tradizionale fluato traverso giapponese ricavato dal bambù con sette fori, caratterizzato da un suono dal tono alto.

Shitagi: sottokimono da lavoro femminile impiegato dal periodo Kamakura al periodo Azuchi-Momoyama.

Shogun: supremo capo politico-militare, teoricamente sottomesso all'imperatore, ma praticamente indipendente e investito di pieni poteri. Il termine è l'abbreviazione di Sei-I-Tai-Shogun, che significa letteralmente generalissimo inviato contro i barbari e indica coloro che in origine dirigevano le operazioni contro gli Ainu, abitanti del nord dell’Honshu, e che solo più tardi designò i dittatori militari che governarono il paese dal 1192 al 1868. Nell’Epoca Heinan (Heinan Jidai – 794-1185) la dignità di Shogun veniva attribuita all’imperatore. Nel 1192 il generale Yoritomo Minamoto, però, si fregiò di tal titolo, assicurandolo a tutta la sua discendenza. Da allora gli Shogun non seguirono più il volere dell’imperatore, che assunse soltanto una carica pressoché divina e religiosa. Questi dittatori feudali avevano in mano tutto il potere politico del paese e divennero persino più potenti dell’imperatore stesso. Prima della loro caduta, nel 1868 con l’avvento del governo Meiji, si susseguirono ben tre dinastie di Shogun: i Minamoto, gli Ashikaga ed i Tokugawa, i più duraturi.

Shogi: scacchi giapponesi

Shoji: porta scorrevole che separa l’interno dall’esterno della casa, costituita da un graticcio di legno rivestito con carta di riso.

Sofu: nonno, composto di so che significa antenato e fu che significa padre.

Sozu: canna di bambù basculante, collegata attraverso un perno ad un paletto piantato nel terreno. Raccoglie un getto d'acqua proveniente dall'alto fino a riempirsi e per il peso ruota verso il basso, gettando l'acqua appena introdotta in una pozza sottostante, per poi tornare nuovamente ad accumularne altra producendo un suono secco ripetendo l'azione

Sukiwatadono: piccoli ponti che nei palezzi di età Heian costituivano il collegamento più diffuso fra il shinden e i padiglioni privati.

Sukiyaki: piatto della cucina giapponese nello stile nabemono ("una-una pentola"). Consiste di sottili fettine di manzo, tofu, ito konnyaku (una specie di spaghetti), negi (cippolletta), cavolo cinese, e funghi enoki tra gli altri ingredienti. Generalmente viene preparato nei giorni più freddi dell'anno ed è un piatto comune per le feste di capodanno (bonenkai). Gli ingredienti sono lentamente bolliti in una bassa pentola di ferro, in una miscela di salsa di soia, zucchero e mirin. Prima di essere mangiati vengono immersi in una piccola ciotola di uova sbattute.

Sumi-e: stile pittorico monocromatico dell'Estremo Oriente che utilizza solo inchiostro nero, il sumi, in varie concentrazioni. Questa tecnica nacque in Cina durante la dinastia Tang (618-907), consolidandosi con la dinastia Song (960-1279). Fu introdotta in Giappone a metà del XIV secolo da alcuni monaci buddisti zen, crescendo in popolarità fino al suo periodo di massimo splendore, nell'era Muromachi (1338-1573). Come nell'arte della calligrafia, l'artista prepara il proprio inchiostro (il sumi) polverizzando delle barrette contro un'apposita pietra (suzuri), oppure può utilizzarne di pronti. I pennelli sono simili a quelli per la calligrafia, fatti di bambù con peli di capra, bue, cavallo, pecora, coniglio, martora, tasso, cervo, cinghiale o lupo. La punta del pennello è assottigliata, caratteristica indispensabile allo stile sumi-e. Ogni pennello produce degli effetti diversi: quelli piccoli di peli di lupo possono fare linee sottili, quasi come quelle delle biro; quelli di pecora, del tipo chiamato grande nuvola, assorbono acqua ed inchiostro in grande quantità, lasciando sulla carta una traccia di inchiostro con una miriade di sfumature che vanno, gradualmente, dal grigio al nero. Le linee tracciate non possono più essere cancellate o modificate: questa tecnica infatti richiede concentrazione, pratica e un grande talento. Il sumi-e predilige la raffigurazione dei Quattro Nobili (detti anche i Quattro Amici), che comprendono quattro specie di piante, rappresentanti ognuna una stagione: le orchidee , la primavera; l'ume, cioè il pruno asiatico, per l'estate; i crisantemi, l'autunno; il bambù, l'inverno. Queste piante rappresentano inoltre le virtù del junzi confuciano, cioè l'uomo ideale. Infine, il sumi-e era utilizzato anche per decorare paraventi, ventagli e accessori di ogni tipo, per illustrare poesie, storie a rotoli e come tecnica pittorica vera e propria.

Sune-ate: schinieri

Sunoko: veranda all’aperto di un palazzo, con i corrimani posizionati fuori del hisash. Veniva impiegata per passeggiate passaggio e inoltre poteva venir trasformata in una stanza di ricezione disponendo in modo appropriato gli schermi della carta o del bambù. Forniva, inoltre, un posto conveniente da cui guardare le cerimonie che avvenivano nel giardino.

Suruga: insenatura dell'Oceano Pacifico nella costa meridionale dell'isola di Honshu, limitata a est dalla penisola di Izu.

T

Tabane-gani: acconciatura femminile di carattere popolare diffusa fra il periodo Kamakura e il periodo Azuchi-Momoyama; consiste in un nodo di capelli fermato sulla nuca con un nastro, per facilitare lo svolgimento di lavori manuali.

Taijiya: sterminatore di demoni (tai indica un demone di grande potere)

Taiyoukai: demone superiore.

Tamago-yaki: frittata di uova sottile e rettangolare, tagliata a fette e servita dapprima sul piatto da portata comune.

Tamarinoma: anticamera

Tansu: significa (approssimativamente) "scatola", quasi a cogliere l'essenza di un cassettone/credenza/armadio: accogliere in se delle cose e separarle dall'esterno. Lo stile dei Tansu giapponesi è immutato da molti secoli ed è caratterizzato da alcuni elementi: realizzazione in tutto artigianale (anche le parti metalliche), legni pregiati ma leggeri per facilitare il trasporto, linee essenziali ma "movimentate" dalla metalleria quasi decorativa, in ferro brunito, dall'assenza di gambe (che inoltre rovinerebbero i tatami), dalle maniglie ai lati per il trasporto e dal gran numero di cassetti, sportelli.Inoltre spesso sono modulari. Ve ne sono vari tipi, tra i quali: chopa/choba tansu, cassettone da viaggio usato spesso fai mercanti per trasportare i documenti e oggetti preziosi (spesso avevano anche dei piccoli scompartimenti segreti); kaidan tansu, il tipico mobile-scala, utilizzato appunto sia come mobile a scomparti e cassetti che come scala (alquanto ingegnosamente nella assoluta semplicità); isho tansu per riporre i vestiti e quindi con ampi cassetti spesso sono molto decorati nella parte esterna; todana, grandi tansu per riporre i futon

Tatami: una tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari affiancati fatti con paglia di riso intrecciata e pressata. Puo' anche avere diversi spessori che mediamente raggiungono i 6 cm. Le dimensioni non sono fisse variando da zona a zona. Orientativamente il tatami è lo spazio occupato da una persona sdraiata. Le misure più frequenti sono 90 cm. x 180 cm. oppure 85 cm. x 180 cm. Vi sono anche i mezzi tatami di 90x90 oppure 85x85. La stanza con pavimento di questo tipo viene designata washitsu, mentre quando si parla di una stanza all'occidentale si usa la parola yoshitsu. Il tatami è utilizzato come unità di misura degli ambienti, così se si dice che una stanza e di dieci tatami, o di quattro, l'interlocutore ha ben chiara la dimensione. I margini sono squadrati e i due lati più lunghi sono orlati con una fettuccia larga di lino nero o cotone; quelli delle case nobiliari hanno, intessuti nella fettuccia, dei motivi ornamentali in bianco e nero. In Giappone il tatami accompagna tutta la vita familiare: il sonno, i pasti, l'amore e anche la morte. Sul tatami è doveroso camminare senza suole (scarpe, zoori, zoccoli, ciabatte, ecc) ma solo con calze o a piedi nudi. La calza tradizionale da usare sul tatami si chiama tabi, ha la particolarità di essere di colore bianco e con l'infradito, così da consentire, usciti dalla stanza, l'uso di sandali di tale foggia.

Tessan: un ventaglio da combattimento giapponesi. Lungo tipicamente circa 35 cm, ne esistono di due tipi: menhari-gata, di seta o di washi (una carta molto resistente), decorato, a volte anche con lamine di oro o argento, o trattato con petrolio. Ha le stecche fatte o rinforzate con ferro (a volte tutte, in genere 8 o 10, a volte solo quelle esterne); tenarashi-gata, oggetti completamente in ferro a forma di ventaglio chiuso. I tenarashi-gata erano i più popolari tra i samurai, i quali li usavano anche contro gli avversari di rango inferiore, perché usare la spada contro questi era considerato disdicevole. L'etichetta del tempo vietava di portare armi all'interno di abitazioni e castelli, per cui i tessen venivano indossati dai samurai come parte dell'abbigliamento, come era usanza fare con i ventagli normali, che avevano un ruolo nell'etichetta giapponese. Venivano portati sia infilati nell'obi (la cintura) o tenuti in mano e potevano essere utilizzati come difesa improvvisata. I tessen venivano costruiti principalmente con la forma di altri tre tipi di ventaglio: sensu-gata, il ventaglio comune; maiohgi-gata, i tradizionali ventagli degli spettacoli giapponesi; bessen-gata, i ventagli usati per dirigere le truppe militari in guerra.

Tokkuri: nome della particolare bottiglietta in ceramica impiegata per riscaldare, raffreddare e servire il sake.

Tokonoma: significa letteralmente spazio e tempo (ma) del (no) giaciglio (toko), un concetto di spazio temporalità vago, che riposa su se stesso. “Toko” significa altresì un piccola area verde destinata alla semina, alla coltivazione. Se si considera che l’antenato del tokonoma era l’altare buddista (butsudan), formato da un rotolo appeso davanti al quale, su un ripiano di legno sopraelevato,venivano posti un braciere per l’incenso e un’offerta floreale, si comprende come il tokonoma possa essere considerato anche il luogo della coltivazione di sé, uno spazio “consacrato” dove non è permesso camminare o sedere. Spazio caratteristico dell’architettura giapponese, senza uguali in altri paesi. Si tratta di una nicchia, di un’alcova, ricavata in una parete della stanza principale della casa, di dimensioni varie a seconda degli stili; generalmente è profonda mezzo metro e larga 180 cm, le dimensioni di un tatami. Vi viene appeso un rotolo con un dipinto, generalmente legato alla stagione, o una calligrafia, e vi è collocata una composizione di ikebana o un bonsai, talvolta un oggetto di particolare bellezza o valore. Il pavimento del tokonoma (jodan) è rialzato rispetto al pavimento della stanza, per permettere una giusta visione dello spazio e di ciò che vi è contenuto a chi sia seduto nella tradizionale posizione giapponese (seiza) sui tatami della stanza stessa. La soglia può essere grezza o rifinita con cura, ma anche quando è ben squadrata può conservare qualche superficie naturale nelle curvature del tronco da cui è stata sbozzata e che era stato scelto proprio per questa caratteristica. Il pavimento del tokonoma è quasi sempre lucido; spesso se è spazioso viene ricoperto da un tatami, orlato in genere da una fettuccia bianca. Nelle case dei notabili i tatami erano orlati di fettuccia nera. Il pilastro della parete di sinistra è un tronco d’albero, semplicemente scortecciato, detto tokobashira. E’ quasi sempre un ramo d’albero al naturale o privato solo della corteccia ed è molto più apprezzato se è contorto o con venature elaborate, o se presenta nodi o protuberanze. Nel punto in cui la trave superiore si unisce al tokobashira sono usati chiodi con la capocchia ornamentale, spesso in metallo minuziosamente cesellato in varie forme tratte dal mondo naturale o dal repertorio tradizionale. Talvolta di fianco al tokonoma si può trovare un’altra nicchia detta chigaidana che contiene uno o più ripiani alternati e generalmente sormontati da un ripiano continuo chiuso da sportelli scorrevoli. Spesso il tramezzo che separa i due spazi ha un’apertura ornamentale che si presenta come una finestrella, chiusa o meno da una grata, spesso di bambù. La nascita e l’ evoluzione del tokonoma sono strettamente correlate all’uso di esporre un rotolo dipinto o una calligrafia, che a differenza di quanto avveniva in Cina, in Giappone erano montati su tessuti pregiati secondo una precisa tecnica detta hyo-so o hyo-gu. A sottolineare l’intimo legame estetico e funzionale tra lo spazio e l’opera appesa è significativo un dettaglio costruttivo La parte superiore del tokonoma, a 50 cm. circa dal soffitto, è attraversata da una trave ben rifinita, che nasconde agli occhi di chi è seduto il chiodo cui è appeso il rotolo.

Torii: tradizionale cancello di ingresso giapponese che porta ad un jinja (santuario o tempio shintoista). É formato da due colonne di supporto verticali e due pali orizzontali sulla cima e frequentemente viene dipinto in colore vermiglio. Su alcuni Torii viene piazzata una tavoletta con delle scritte sui pali orizzontali. Tradizionalmente sono fatti di pietra o legno. In tempi recenti i costruttori hanno iniziato ad usare anche l'acciaio o l'acciaio inossidabile. Come suggerito dai kanji (che significano: tori = "uccello", i = luogo), un torii è progettato perché gli uccelli vi si posino per riposare. Questo perché lo shintoismo considera gli uccelli come messaggeri degli dei.

Tsuchigumo: creatura leggendaria della mitologia giapponese, descritto come un ragno intelligente e dalle dimensioni enormi. Sembra che gli tsuchigumo mitologici siano basati su un'antica popolazione dalle abitudini cavernicole che abitò in passato alcune regioni montuose del Giappone; dal punto di vista dei giapponesi i loro arti erano sproporzionatamente lunghi rispetto al corpo e il loro carattere violento, suggerendo l'associazione mitica con i ragni. Questa interpretazione tradizionale è però contestata da alcuni studiosi. Il mito più noto che ha per protagonista uno tsuchigumo è quello associato all'eroe epico Minamoto no Yorimitsu, meglio conosciuto come Minamoto no Raikō. Del mito esistono più versioni: in alcune il demone si presenta con le sembianze di una splendida donna che seduce l'eroe, in altre come un ragazzo che entra al suo servizio, in altre come un monaco buddhista. In ogni caso, l'eroe non si accorge della vera natura della creatura, mentre la sua salute peggiora sempre più rapidamente; divenuto ormai sospettoso dell'ospite, lo attacca all'improvviso, e mentre la creatura fugge le illusioni da lei create si dissolvono, rivelando una tela di ragno intorno a Raikō, che con l'aiuto dei suoi uomini si libera e parte all'inseguimento. La scia di sangue della creatura ferita li conduce ad una grotta. Secondo alcune versioni gli uomini trovano il ragno già morto a causa del colpo infertogli da Raikō, secondo altre nella tana della creatura ha luogo un'ultima battaglia che vede l'eroe e i suoi compagni emergere vittoriosi. L'associazione tradizionale degli tsuchigumo con una popolazione realmente esistita ha condotto alcuni a speculare che il demone del mito possa rappresentare un gruppo di banditi che l'eroe avrebbe affrontato e sconfitto.

Tsukesage: tipo di kimono molto popolare perché estremamente versatile: può adattarsi ad una cerimonia del tè, ad una riunione informale, ad una festa elegante, ad una passeggiata. Basta cambiare gli accessori, cioè l'obi, obiage ed obijime, e magari aggiungere un date-eri.Iil motivo nello tsukesage "tende" verso l'alto (spesso sono fiori a stelo lungo, comunque con un andamento di linee più verticale), per incontrarsi a livello delle spalle, anzi della spalla destra per l'esattezza, ed ha una distribuzione grosso modo diagonale, ma (almeno in teoria) non "passa" sopra le cuciture. Talvolta un piccolo motivo è disegnato anche sulla manica sinistra, ma più spesso è solo a destra.

Tsuridono: padiglioni aperti, solitamente collocati sui lati sud del palazzo, ad una delle estremità dei rì e dotati di particolari palafitte che permettono loro di affacciarsi direttamente sull’acqua di un lago.

U

Uchie: kimono di protezione utilizzato durante i viaggi specialmente assieme al nushi no tareginu

Usumono: indica un tessuto sfoderato leggero e trasparente, o in lino e canapa, impiegato dal 10 di Giugno fino a fine Settembre, con il kimono che diventa usumono solo per luglio e Agosto. (vd. Kimono)

 

V

 

W

Wagashi: dolci giapponesi a base di farina di riso, cereali e crema di fagioli rossi di soia. La forma varia in base alla stagione, così come i colori, e sono veramente belli da vedere. Vengono serviti insieme al tè verde per smorzarne il sapore molto dolciastro e vengono considerati come un dono di lusso. Ne esistono molte varianti, sia per ingredienti usati che per le miriadi di forme che vengono scelte per confezionare questi splendidi dolcetti.

Washi: particolare tipo di carta trattata con molta attenzione e impiegata ancora oggi, in Giappone, in svariato modo, dall’origami, alle lampade ai pannelli per le porte e le fusume, a semplice carta da regalo o incarto.

X

Xi: ovest in cinese

Y

Yaouguai: termine cinese che significa in genere "demone". Spiriti animali Yaoguai sono per lo più malevoli che hanno acquisito poteri magici attraverso la pratica del Taoismo. I demoni sono solitamente denominati guai (letteralmente, "freak") o mo (letteralmente, "demone") in cinese. Il loro obiettivo più grande è raggiungere l'immortalità e quindi deificazione. In giapponese, yaoguai sono conosciuti come youkai (in realtà, il termine è un prestito linguistico dal cinese).

Yari: arma d'asta tipica della fanteria, era costituito da una lama diritta con punta e due tagli innestata su un'asta in legno tramite un codolo della lama. La lunghezza di lama e asta variavano in base al modello ed all'utilizzo (dai due metri fino ad oltre tre metri e più). Una tale arma, in cui la lama non risultava particolarmente costosa nella fabbricazione (comparata al costo di una spada) ha consentito una produzione di massa di lance ad uso di eserciti di fanti. Tale opportunità ha fatto sì che la lancia sia stata adottata come arma principale della fanteria e drappelli di lancieri continuarono ad esistere anche dopo l'avvento delle armi da fuoco (mai diffuse, nel Giappone medievale, in modo massiccio come in occidente). L'arte del combattere con lo yari (sojutsu) è presente in diverse scuole fin dal 1400. La lancia (mai scagliata verso il nemico come erano soliti fare gli eserciti antichi occidentali) colpisce prevalentemente di punta; il guerriero si esercitava ad eseguire attacchi ripetuti in cui la lancia, tenuta saldamente con la mano destra (arretrata rispetto la sinistra), scorre all'interno della mano sinistra a produrre un affondo di temibile efficacia. Alcune variazioni nella forma della lama prevedono l'adozione di appendici laterali, anch'esse affilate, atte a tagliare, o, in caso di utilizzo contro un nemico a cavallo, afferrare e sbilanciare il cavaliere. Nello stesso esercito potevano essere utilizzate lance di lunghezza differente in relazione alla posizione ed ai compiti del fante.

Yasha: temine sanscrito che definisce uno spirito divino appartenente alla mitologia indiana. Normalmente, viene utilizzato per indicare gli youkai femmine, in opposizione a youko, che invece designa il demone maschio.

Yezo: antico nome dell’isola di Hokkaido, la più settentrionale dell’arcipelago giapponese. Abitata fin da circa 20.000 anni fa, dopo il XII sec. l’isola costituiva la sola patria della popolazione indigena locale, gli Ainu. I giapponesi la scoprirono nel 659, ma la considerarono troppo lontana, inospitale e fredda. Per secoli l’isola fu abitata solo da Ainu, da rifugiati politici e da criminali in fuga dal Giappone. Alla fine del 1860, tuttavia, il nuovo governo Meiji decise di annettere ufficialmente l’isola all’impero con il nome di Hokkaido, “strada marittima del Nord”.

Nella storia Yezo è soggetta al clan di inuyoukai cui appartengono Kyoko e suo fratello Hidesuke. Con i regni di Shikoku e Kyushu a Sud costituisce la triade di regni demoniaci della Famiglia inuyoukai esterni ad Honshu. (vd. Honshu).

Yogi: largo kimono di cotone, imbottito in inverno per ottenere maggior calore, utilizzato da uomini e donne per dormire come pigiama; sovente faceva parte del corredo nuziale, nel qual caso veniva decorato con tecnica tsutsugaki in indaco.

Yogin: colui che pratica il cammino dello yoga.

Yoroi: pettorale dell’armatura.

Yotaka: letteralmente falco della notte, indica la prostituta di infimo livello.

Youkai: letteralmente "apparizione", "spirito", o "demone", sono una classe di obake o obakemono, creature della mitologia giapponese. Ci sono molte tipologie di youkai: si va dal malvagio oni  alle ingannatrici kitsune e la signora della neve yuki-onna; alcuni posseggono parti animali e parti umane, ad esempio il kappa e il tengu. Gli youkai spesso hanno poteri soprannaturali; sono quasi sempre considerati pericolosi per gli esseri umani, e le loro azioni hanno ragioni oscure. Alcune storie moderne raccontano di youkai che si mescolano agli esseri umani, generando gli hanyou; nella tradizione solo le kitsune ne erano capaci. Alcuni youkai semplicemente evitano gli esseri umani, e abitano aree selvagge molto lontano dagli insediamenti umani; altri invece scelgono di vivere vicino ad essi, attratti dal calore delle case o dai fuochi. Gli youkai sono tradizionalmente associati al fuoco, la direzione nord-est, e l'estate, quando il mondo degli spiriti è vicino a quello umano. Youkai, come gli altri obake, sono spesso rappresentati con tratti tra il grottesco e il terrificante. C'è un'ampia varietà di nella mitologia giapponese: youkai è un termine vago che può arrivare a comprendere virtualmente tutti i mostri e gli esseri sovrannaturali, perfino creature della mitologia occidentale. Molti youkai erano inzialmente esseri umani, trasformati in qualcosa di grottesco e orrendo spesso da qualche stato emotivo.

Youki: energia spirituale che scaturisce dagli youkai.

Yukata: kimono informale foderato generalmente in cotone, lino o canapa. Gli yukata sono indossati in occasioni all'aperto da uomini e donne di ogni età. Sono inoltre indossati alle terme, dove spesso vengono anche offerti agli ospiti degli stabilimenti termali.

Z

Zabuton: cuscino che si usa al posto delle sedie.

Zafu: è un cuscino che viene usato da secoli nella meditazione zen; il termine tradotto alla lettera dal giapponese significa "sedile cucito". E' tondo e compatto, imbottito di pula di grano saraceno conferisce la consistenza necessaria che permette di sedere sollevati per poggiare le ginocchia a terra e raddrizzare la colonna vertebrale, inoltre questo materiale ha spiccate proprietà antinfiammatorie facilitano la circolazione e l’attenuazione delle tensioni muscolari.

 

  
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