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Autore: Abigaille_Abbie    03/08/2012    3 recensioni
-Dici che non ti piacciono tante cose di me. Dimmene una. Dimmi una cosa che odi di me.
Ci pensai un attimo, il suo viso vicino al mio, irritata dal fatto che non si spostasse. Irritata dal fatto di non volere che si spostasse.
-Il profumo della tua pelle- dissi ad un tratto, guardandolo con la mascella contratta. Rispose con uno sguardo ferito, irrigendosi.
-Perché?
-Perchè mi fa venire voglia di toccarti.
Lo colsi di sorpresa. Fece un passo avanti, prendendomi una mano e portandosela al viso.
-Fai pure- mormorò, chiudendo piano gli occhi quando le mie dita si posarono sulla sua guancia.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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SAVHANNA

 
«SAV! TI SUONA IL TELEFONO!».

«E RISPONDI!» urlai di rimando a Cristian, senza smettere di leggere il libro che avevo in mano, talmente consumato da avere alcune pagine staccate dalla rilegatura, stesa sul letto e ancora in pigiama. Avevo quasi finito il capitolo, e non avevo intenzione di alzarmi.

«Ma è il tuo! Vieni a prenderlo!» sbraitò il mio coinquilino, probabilmente steso sul divano a non fare niente. Gli risposi di portarmelo in camera, alzando gli occhi al cielo, e mentre i passi di Cris si avvicinavano sentii la suoneria rimbombare per la casa, i Linkin Park leggermente distorti da quella scatoletta metallica. Entrò tenendo il cellulare a distanza, come se fosse una bomba a mano estremamente pericolosa. Lo guardò con disgusto.

«Non puoi cambiare suoneria? È terribile questa canzone!» brontolò, mentre il telefono continuava a squillare.

«Ma ti pare? Piuttosto, rispondi! Ho quasi finito il capitolo» continuai ridendo, mentre con uno sguardo spaventato si portava il telefono all’orecchio, senza guardare chi stesse chiamando. Mentre lui partiva con un semplice ‘Pronto?’ io tornai al mio libro, e ai tre cognomi di Catherine.

«Cristian. Tu?» sentii dire con tono diffidente a Cris. Con un sospiro chiusi il libro, voltandomi verso di lui e guardandolo interrogativa; non sapevo davvero chi avrebbe potuto chiamarmi, dato che Ella sarebbe tornata dalla Svizzera lunedì, ed era solamente sabato quel giorno, e non c’erano molte altre persone che avrei voluto sentire. Poteva tranquillamente essere Cris a gestire la situazione.

«Ah» disse brusco questo, per poi ascoltare un altro attimo, con l’impressione di desiderare fare ben altro. Irrigidì le spalle e si voltò verso di me.

«Si. Aspetta» sputò, e, tappando il microfono del cellulare, mi guardò.

«Che c’è?» domandai interrogativa.

«C’è Styles giù. Avete un appuntamento, dice». Lo guardai un attimo con sguardo vuoto, poi, improvvisamente, realizzai.

«Merda!» mimai con la bocca, saltando in piedi. Mi affacciai dal balcone in camera mia, vedendo una familiare testa riccioluta vicino ad un’Audi metallizzata, il telefono all’orecchio. Con un’aria da criminale colto sul fatto, (o peggio, da animale beccato dai fanali di una macchina ad attraversare la tangenziale) mi voltai verso Cristian.

«Digli che sono giù fra cinque minuti!» mormorai concitata. Mi squadrò dalla testa ai piedi, soffermandosi sul mio pigiama e sui capelli legati in un ciuffo alla casalinga. Alzò un sopracciglio.

«E’ giù fra cinque minuti» ghignò beffardo, prima di attaccargli e buttare il telefono sul letto.

Io, intanto, ero partita in bagno, e tentavo di vestirmi, pettinarmi e lavarmi i denti allo stesso momento. Mi guardai un attimo allo specchio sospirando desolata e scesi di corsa le scale, salutando prima Cris con una stretta sul braccio. Mi fermò mentre stavo per imboccare la rampa.

«Avete un appuntamento quindi». Non sembrava affatto felice. Ma che gli importava?

«Più o meno.. Un’uscita da amici, ecco» specificai, inclinando la testa di lato.

Lui rise amaro. «Certo. Scommetto che è da amico che ti ha chiesto di uscire, vero?». Lo fulminai con lo sguardo.

«Ah-ah, bella battuta. Divertiti oggi. Ti ho lasciato le lasagne nel forno, mangia quelle» conclusi con una linguaccia.

«Non torni per cena?» chiese sconvolto. Alzai gli occhi al cielo, cercando di non scocciarmi troppo.

«Sono solo le sei Cris. Quanto vuoi che ci stia, due ore e mezza?» sbottai infastidita. «Fai qualcosa stasera» conclusi, scendendo le scale e chiudendo la porta con un tonfo.

Harry era in fondo alla strada, le mani in tasca, appoggiato alla macchina con la testa china. Quando lo vidi mi venne un tuffo al cuore.

 
«Ne vuoi parlare?». Una voce, roca e familiare, mi fece riemergere dal mio torpore, aprendo uno sprazzo di lucidità nella nebbia bianca della barriera che mi avvolgeva, come in un bozzolo, separandomi dall’esterno. Un divano bianco, due mani lunghe e affusolate che si districavano dalla loro posizione abituale per avvicinarsi a me, al mio viso, un ricciolo castano nella mia visuale.

Harry.

Provai a rispondere ma, non trovando la bocca, tacqui, affondando in quell’annebbiamento in cui ero caduta da quando la mia faccia aveva iniziato a gonfiare e bruciare terribilmente.



 

HARRY

Ero seduto su quel divano insieme a lei da un’infinità e, sebbene solitamente fossi abbastanza paziente, quella volta non riuscivo a stare fermo. Nell’ultima mezz’ora avevo aperto la bocca almeno dieci volte, pronto a prendere la parola e dire qualcosa, qualsiasi cosa per spezzare quel silenzio in cui si era avvolta da quando la rabbia (e il mio pugno) avevano preso il sopravvento sulla razionalità, ma poi l’avevo richiusa altrettante volte, sconsolato.

Non sapevo come approcciarmi a lei. Non sapevo come si riscuoteva una persona in stato di shock dopo essere stata aggredita nella sua stessa casa, picchiata e… Dovevo calmarmi. Rischiavo di non rispondere nuovamente delle mie azioni, di perdere il controllo. Come era già successo. Ma dovevo farlo per lei, aveva bisogno di me. Ha bisogno di me. Ripetei questa frase nella mia mente nove volte, accompagnandola da profondi respiri, chiudendo e riaprendo i pugni; dovevo convincermi che avesse bisogno di me. Avrei potuto picchiare quel bastardo in un altro momento, e non da solo. I ragazzi mi avrebbero potuto accompagnare, anche se avrei dovuto essere io a farlo. Per tutto quello che mi aveva fatto.

No.

Per tutto quello che le aveva fatto.

Perché se in tanti anni di rancore, di rabbia e di dolore, ogni volta, trovandomelo davanti, non lo avevo preso a pugni, era perché sapevo di essere più forte, superiore (anni di autoconvinzione). Ma quando quella sera avevo visto le lacrime sul suo viso (lei! Che non piangeva mai!), il labbro gonfio, lo zigomo arrossato, il sangue sul mento e sulla bocca, avevo perso la testa.

«Ne vuoi parlare?» dissi, senza nemmeno accorgermene, il tono a stento  calmo, incapace anche di raggiungere quell’apparente tranquillità con cui solitamente si doveva parlare alle persone sotto shock. Tutto questo l’avevo letto una volta su uno dei tanti volantini antipanico (solitamente quello successivo ad una caduta in acqua) che Zayn lasciava continuamente sparsi per casa. Se la persona stava tanto in silenzio, c’era scritto, non era un buon segno. O almeno, non lo era per Annie. Dopo che l’avevo portata a casa (la mia casa, fortunatamente sgombra dagli altri quattro) non aveva proferito parola, non si era mossa. Ma ogni volta che avevo provato ad avvicinarmi, ogni singola volta, si era irrigidita, o spostata impercettibilmente, semplicemente impedendomi il contatto con lei.

Non potevo più accettare quella situazione, non ce la facevo.

Presi un respiro e decisi di osare, anche a costo di beccarmi uno schiaffo in faccia, o di scatenare una reazione di pianto (che ritenevo improbabile comunque), o di farla sprofondare nuovamente nel silenzio. Mi girai verso di lei, passandomi una mano tremante fra i capelli per cercare di calmarmi, e allungando l’altra verso la sua, sfiorando con leggerezza le sue dita.

Come previsto si irrigidì, ritraendo la mano, ma io la afferrai prontamente con entrambe le mani. Cercai di essere abbastanza deciso, ma non rude. Non volevo ricordarle lui. Alzai lo sguardo verso di lei, che lo aveva improvvisamente rivolto verso un punto imprecisato dietro di me. Sembrava lucida.

«Savhanna. Annie. Sono io. Sono Harry» dissi, cercando di stabilire un contato visivo con lei. Non rispondeva, così le presi anche l’altra mano, racchiudendola insieme all’altra nella stretta delle mie. Le tenni salda e, visto che non si ribellava, dopo un attimo di esitazione intrecciai le mie dita alle sue. Il cuore mi batteva. Forse non avrei retto se avesse rifiutato anche quel contatto. Io non intrecciavo le dita delle mani a nessuno.

Ma non lo fece. Puntò lo sguardo sulle nostre mani intrecciate, e dopo un attimo alzò gli occhi su di me, lucidi, consapevoli, guardandomi. Rimasi fulminato. Forse la brillantezza del suo sguardo, quella dura consapevolezza nei suoi occhi, la luce dura ma non afflitta che le illuminava il viso, mi disarmarono. Mi sgretolai. Avrei voluto baciarla. Baciarle il labbro arrossato, con delicatezza, senza farle male, senza spaventarla. Avrei voluto poterle mettere le mani sulla vita e stringerla a me, farle sentire che c’ero, che ero lì per lei, che lei era lì con me.

Mi pestai un piede per controllarmi.

«Stai bene?». Che domanda cretina. Perché diavolo le avevo chiesto una cosa così banale, così scontata? Mi avrebbe allontanato di nuovo, si sarebbe rifugiata nel suo silenzio, e non sarei più riuscito a smuoverla dalla sua posizione. Stavo per dire qualcos’altro, per riparare al danno che sicuramente avevo fatto, quando aprì la bocca, come per prepararsi ad articolare una frase.

«Ho paura» sussurrò con voce chiara, abbastanza calma, controllata. Sembrava stesse perdendo nuovamente coscienza di sé.

Le strinsi ancora di più le mani, avvicinandomi a lei sul divano. «Di che cosa?» domandai ansioso. Sperai che non fosse troppo tardi, sperai di non averla persa.

«Di essere toccata» rispose a voce più alta. La voce le si spezzò improvvisamente sull’ultima parola della frase, facendola tacere senza respiro. Annaspò qualche attimo, guardandomi, e infine mi crollò addosso, il corpo completamente scosso da singhiozzi violenti.

Grazie. Grazie Dio grazie.

La sua fronte premuta sul mio petto, le nostre mani intrecciate. Iniziai a tremare, rischiando di crollare, di spezzarmi. Volevo solamente stringerla di più a me, mentre iniziavo a singhiozzare anch’io, forse per il sollievo di non averla persa, di aver avuto una qualche reazione da lei, forse per la rabbia verso di lui, forse per la mia completa inutilità in tutto quello. Sapevo che non stava piangendo, nonostante il suo corpo fosse scosso da singhiozzi, rotti e violenti. Tenendo una mano intrecciata alla sua, mi aiutai con l’altra per avvicinarla a me, farle adagiare la testa fra il mio collo e la mia spalla; dopo un attimo di esitazione mi decisi a farla sedere sopra le mie gambe, il petto rivolto verso il mio; affondai il viso nei suoi capelli, tentando di calmarmi.

Chiusi gli occhi, ma quasi non sobbalzai quando sentii le sue gambe avvolgersi intorno alla mia vita, il suo bacino contro i miei fianchi. Mi lasciai sfuggire un gemito soffocato, ed immersi ancora di più il viso nei suoi capelli, annusandoli, placando il tumulto ad ogni respiro, ogni profumo, ogni singhiozzo. Fu la prima di noi due a smettere di essere spezzata da violenti scossoni, e, con lo scopo di tranquillizzarmi (e no, non mi era sfuggito il modo in cui i ruoli si erano ribaltati fra noi), iniziò ad espirare sulla pelle del mio collo, facendo respiri lenti e profondi, ogni volta avvicinandosi a me con il bacino, premendomelo contro.

Non capivo se si rendeva conto dell’effetto che mi faceva. Placando i miei singhiozzi aveva iniziato a farmi tremare, ogni volta di più, ogni respiro di più, ogni movimento di più. Dovevo baciarla. Dovevo, ma non potevo. Strinsi i pugni, cercando di trattenermi, ma incontrai le sue mani, racchiuse fra le dita della mia. Sussultai mentre con lentezza esasperante mi portava le braccia sopra la testa, sollevandole. Si allontanò un istante dal mio collo, le mani in alto sopra di noi, e mi fissò; ero al limite della sopportazione. Non c’era espressione giocosa, né maliziosa, nel suo viso un po’ gonfio per le botte, nel suo labbro spaccato, nel suo zigomo violaceo. Allungai il viso e posai le labbra sulla sua guancia danneggiata, dolcemente, attento a non farle male. Sussultò quando la toccai, ma non si allontanò. Proseguii, delicatamente, coprendo di soffici baci tutto il livido sulla parte sinistra del suo viso; la sentivo respirare nel mio orecchio, respiri brevi ma profondi, che ogni volta mi solleticavano la pelle, spingendomi a baciarla di più, a stringerla di più, a volerla di più. La spinsi ancora di più contro di me, assecondando le sue mosse con movimenti del bacino, mentre lei abbassava le braccia, per portare anche l’altra mia mano sul suo fianco; mi circondò il collo con le dita. Mi chiesi se da lì riusciva a sentire le pulsazioni accelerate del mio cuore. Le mie labbra intanto, armate di volontà
propria, continuarono a seguire i contorni del suo viso, passando, delicate ma bramose, sulla curva della mascella, fino ad arrivare alla parte di pelle sotto l’orecchio, più sensibile. Quando sentì il mio respiro sfiorarla, si irrigidì.

Scosse lentamente la testa. «No» mormorò decisa. Le diedi un altro bacio, la scia umida che avevo lasciato sulla sua pelle ben visibile, consapevole che non era la cosa giusta da fare. «Harry. Basta» disse a voce un po’ più alta.

«Non vuoi» le dissi, consapevole di come la mia frase fosse un’affermazione. Era giustificata, era pienamente giustificata. Ma allora perché faceva male?

«Non voglio essere toccata». Lasciai cadere le braccia sul divano, togliendole dai suoi fianchi. Lei tolse le mani dal mio collo, districandosi dall’elaborata posizione di gambe in cui ci eravamo inconsciamente uniti, e si sedette accanto a me sul divano, meno distante della volta precedente, ma abbastanza da non toccarmi.

Sospirai tremando, ed affondai la faccia fra il divano e il suo braccio, attento a non far sfiorare le nostre pelli.











*Hogwarts*

Beeene, lo so che è passato un tempo infinito dall'ultima volta che ho
aggiornato, ma sono stata in Svizzera, in un college, e non ho potuto scrivere il capitolo.
Questo capitolo 7 è stato un vero e proprio supplizio,
sia per quanto riguarda la montatura (ho ancora un saacco di pezzi dell'appuntamento
sparsi qua e là nel computer, e nei prossimi capitoli li metterò sicuramente)
sia per quanto riguarda il come scriverlo.. Ero indecisa se usare il flashback o no.
Comuqnue, spero che abbiate intuito, più o meno, cos'è successo durante
l'appuntamento di Savhanna e Harry.. Qualcuna ha anche capito
cosa ha fatto di tatnto grave Harry?
Questo ed altro nel prossimo capitolo, che vi chiarirà decisamente le idee!
Lo so che questo capitolo è esageratamente
luuuuuuungo, troppo troppo lungo.. Me ne rendo
conto e cercherò di scorciare i prossimi, per farli più corti..
Ah! Dai prossimi capitoli (non so se l'otto o il nove)
il rating diventerà Arancione , perchè
Annie e Harry hanno bisogno di esprimersi ^^
Detto questo, i ringraziamenti!
Ringrazio TUTTE le persone che hanno messo
questa storia fra le preferite, le ricordate e le seguite: vi adoro!
Ringrazio i lettori silenziosi, perchè le letture di questi capitoli
sono molto massicce ^^
Vorrei ringraziare particolarmente quelli che hanno recensito la mia storia:
non solo avete sempre espresso opinioni positive, ma mi avete
scritto anche delle bellissime cose!!
Ma soprattutto volevo ringraziare, ancora una volta,
la mia  cara SARA, che si è dovuta leggere tutti i pezzi scollegati
di questo capitolo, che mi ha aiutato a metterli insieme,
che mi da le idee per continuare, perchè da sola io mi fermerei .-.
Io sono la mano, che scrive, ma lei è la mente..Mi da le idee e mi appoggia
in quello che s viluppo di mia volontà, ricordandomi sempre
il tema! Quidni grazie Sara ti voglio bene!
E, Sara, scusa se al pigiama party ti h fatto rimanere sveglia fino
alle quattro e mezzo, ti ho spalmato del dentifricio nei capelli
e non ti ho fatto più dormire fino alle sei!

Ti adoro!
Vi adoro tutti!
Se vi piace questa roba di coso, se non vi piace, vi fa schifo, lasciatemi
una piiicccola recensione, vi adoro!

  
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