Dopo essere saliti
per una lunga scalinata, ci ritroviamo di fronte a una grande porta riccamente
decorata a motivi vegetali, davanti alla quale stazionano
due bodyguards.
Somigliano vagamente a quell’antipatico che ho incontrato all’ascensore: hanno
gli stessi segni dipinti in faccia ed entrambi brandiscono una lancia.
«Ehilà, ragazzi»
dice Liam. «Devo vedere mia madre.»
Loro s’inchinano.
«E lei?» chiede uno dei due.
«Mi accompagna.»
I due si scambiano
uno sguardo eloquente, poi aprono la porta. Possibile che queste fate mi devono
sempre credere o una criminale o una prostituta?
Calma e sangue
freddo. Sono a un passo dal completamento della missione.
Liam entra, e io lo seguo. Cerco di mantenere un’espressione
imperturbabile, ma sono un po’ intimidita: come sarà questa regina? A giudicare
da com’è cresciuto il figlio…
C’inoltriamo in una
grande sala circolare a cielo aperto. Dev’essere il punto più alto del palazzo,
perché sopra di noi ci sono solo la chioma della quercia e la luce dell’alba
che vi filtra attraverso. La sala è delimitata non da
pareti in legno ma da liane cui s’intrecciano
rampicanti di ogni tipo. Il pavimento è talmente disseminato di fiori da non
lasciarsi nemmeno intravedere.
Mentre mi guardo
intorno a bocca aperta, Liam si dirige sicuro dritto davanti a sé. Incespicando
un po’, lo tallono; e finalmente vedo la regina Titania.
È seduta mollemente
su un trono d’ambra, con una gamba adagiata su un bracciolo. Indossa una lunga veste
cangiante che le lascia scoperte le braccia e un mantello intessuto di fiori.
Sembra giovanissima e tuttavia senza età: ha lunghi capelli biondi così chiari
che paiono d’argento, e occhi luminosi color oro scuro. Sulla testa porta una
sottilissima corona.
All’approssimarsi
del figlio, Titania gira la testa con indifferenza e lo guarda.
«Salve, madre»
inizia Liam. «Ti trovo in ottima forma. Com’è andato
il… ehm… qualsiasi cosa tu abbia fatto ultimamente?»
Lei sospira. «Sai,
Liam, dovresti interessarti di più a quello che faccio, dal
momento che disgraziatamente sei mio figlio e il principe di Faerie, e
non solo quando ti serve un favore.»
«Madre, così mi
offendi. Sai che non vivo che per la luce dei tuoi occhi e che, ehm, la mia somma
gioia è accontentare ogni…»
«Oh, finiscila» lo
interrompe la regina. «Queste litanie lasciale a tuo padre.»
«Non mettermi in
mezzo» interviene un’altra voce, e sia io che Liam
sussultiamo.
Poi lui dice: «Oh, sei tu, padre. Non ti avevo visto.»
«Guarda che sono di
fronte a te» ribatte Oberon seccamente. In effetti non
mi spiego perché io non l’abbia notato prima. Occupa un trono gemello accanto
alla regina e anche lui è vestito maestosamente, con un mantello porpora e una
corona decisamente più vistosa di quella di Titania
che gli cinge la fronte. Eppure accanto alla moglie passa del
tutto inosservato.
Dalla sua
espressione indispettita sul volto un po’ da satiro
direi che ne è consapevole.
«Allora, che vuoi?»
domanda Titania. «Hai messo incinta un’altra fatina sprovveduta?» Poi il suo
sguardo cade su di me. «Non sarà quella, vero? Ti ho detto di non portare le tue sgualdrinelle
nella sala del trono.»
Questo è troppo.
Fumante di rabbia, faccio un passo in avanti. «Scusate tanto, signora, ma solo
perché siete la regina non significa che potete
trattare la gente come vi pare. Quindi fareste meglio a chiedermi chi sono,
prima d’insultarmi.»
Lei mi guarda
stupefatta. Mi sa che l’aiuto me lo dovrò sudare per bene. E va be’, ormai siamo in ballo, e balliamo.
«Mi chiamo Alisea e
sono umana» continuo. «Per sbaglio ho mangiato il
frutto Waka-Waka e sono rimpicciolita. Mi hanno detto che l’unico modo per
tornare normale era venire da voi e chiedervi un rimedio. Mi potete aiutare?»
Dopo una lunga
pausa, lei replica gelida: «E perché dovrei aiutare una mortale insolente come
te?»
«Dai, madre»
interviene Liam. «Cosa ti costa?»
«Sì, Titania, non
fare l’egocentrica come al solito» afferma Oberon.
«Tu sta’ zitto» sbotta lei. «Non mi venire a
fare lezioni di morale dopo la storia dell’asino. Che, per inciso, era
comunque più bello di te.»
«Così impari, tu e il tuo trovatello indiano» ribatte lui
immediatamente. Poi sospira. «Vai ancora a rivangare
queste cose? È successo secoli fa!»
«Sì, e siamo ancora
lo zimbello dei mortali per questo!» esplode lei.
«Oh, cosa ne sapevo
io che quello scrittore stava origliando?» protesta Oberon.
Di fronte a questo
battibecco, guardo Liam, incerta. Lui alza le spalle con aria rassegnata.
«Madre, padre» li
richiama poi. «Noi stiamo aspettando.»
«E va bene!» sbuffa
Titania. «Cos’è che vuoi?» mi chiede. «Un paio d’ali o la pozione per tornare
della tua grandezza?»
«Come, un paio
d’ali?»
«Puoi diventare una
fata, se lo vuoi» mi spiega Liam, e poi ammicca.
«Ehm… no, grazie»
rispondo. Se le fate sono tutte così scoppiate, non ci tengo. «Finiamola con queste scempiaggini alla Frodo Baggins.
Voglio solo tornare normale.»
«D’accordo» dice
Titania sbrigativamente. «Dov’è Puck quando serve?» mormora poi, fra sé. «Puck! Dove diavolo sei finito? Puck!»
Con un forte
schiocco, un folletto dalla faccia dispettosa compare a mezz’aria. «Sì,
maestà?»
«Puck, portami la
boccetta con la pozione viola dalla stanza dei rimedi» ordina la regina.
«Quella con
l’estratto del fiore Waka-Waka, maestà?»
«Esatto.»
Lui annuisce e
scompare.
«Di nuovo
Waka-Waka?» chiedo con sgomento.
«Mai sentito
parlare di omeopatia?» replica Titania, tagliente.
Dio mio, che
antipatia. Ma come ha fatto Oberon a sposarla? E
soprattutto a starci assieme per l’eternità?
Poi Puck ricompare
e mi distrae dai miei pensieri velenosi. Porge una boccetta alla regina dei
ghiacci, che la stappa e l’annusa.
«È questa»
dichiara, e me la tende. Allungo una mano e l’afferro
tremante, quasi incredula di esserci davvero riuscita. Ho recuperato il
rimedio. Tornerò normale.
«Ora sparite»
ingiunge Titania. «È quasi ora d’incominciare le udienze.»
«Grazie, Vostra
Maestà» le dico, nonostante l’antipatia.
«Bah» fa lei. Non
credo se la sia bevuta.
Io e Liam usciamo
dalla sala del trono e, una volta che la porta si è chiusa alle nostre spalle,
do libero sfogo al mio entusiasmo. «Oh mio Dio! Ce l’ho
fatta! Yeah!» Mi metto a
saltellare come un’invasata.
«Okay» fa Liam,
osservandomi perplesso. «Ehm, stai bene?»
«Grazie!» lo investo, esaltatissima. «È tutto merito tuo!» Non resisto e
gli getto le braccia al collo anche se è uno sfrenato
libertino. Molto stranamente, non ne approfitta: devo averlo sconcertato
parecchio con i miei strilli isterici.
Rimane rigido come
un baccalà finché non lo mollo. «Scusa» dico ansante,
ancora infervorata. «È che sono davvero contenta. Ce l’ho fatta! Tornerò normale!»
La sua faccia mi
ricorda da vicino Edward Mani di Forbice, perciò gli
chiedo, un po’ preoccupata: «Tutto bene?»
«Ehm…» Sembra incerto su cosa dire. «È che io…»
«Che c’è?»
«Io non… non ho mai…»
«Che cosa?»
«Non ho mai… ricevuto… ricevuto un abbraccio.»
«Come scusa?!»
«Nessuno mi ha mai abbracciato.»
«Mai?» ripeto, scioccata. «In tutta la vita?
Neanche i tuoi?»
«Mai» conferma, con aria smarrita. «E poi li hai visti, i miei.»
Non posso dargli tutti i torti. Non mi hanno dato proprio
l’impressione di genitori amorevoli. Poveraccio! Dev’essere parecchio
complessato. Chissà, forse la sua carenza d’affetto
potrebbe spiegare la sua satiriasi.
«Che cosa bisogna fare?» chiede titubante, aggravando la
mia preoccupazione. Esisteranno psicoanalisti tra le fate?
«Non è difficile» spiego, intenerita. «Devi mettere le
braccia intorno a me, come faccio io.» Poiché non
accenna a muoversi, gli prendo le mani e le sposto sulla mia schiena. «Visto? Non c’è niente di complicato.»
La sua aria disorientata mi commuove. Sotto sotto è un ingenuo. Poveretto, dopotutto
ha avuto un’infanzia difficile.
E poi… mi tocca il sedere.
«Ma che diavolo fai?!» strillo,
balzando via come un cobra.
«Scusa, sono ancora inesperto» sghignazza, e
improvvisamente capisco.
«Mi hai ingannato!»
strepito, inviperita. Gli pesto un piede con tutta la forza che ho.
«Ahia! E dai, te la prendi troppo.»
Per tutta risposta, gli centro la faccia con una sberla. E adesso datemi pure l’ergastolo!
«Che violenza!» esclama lui divertito, massaggiandosi la
guancia. «Di’ la verità, ti piaccio.»
«Se non la pianti, ti avverto: finirò in prigione per
omicidio, stavolta!»
«È colpa tua» sogghigna. «Mi hai offerto il tuo sedere su
un piatto d’argento.»
«Brutto maniaco!» grido, indignata. «Mi hai fatto pietà!»
«La pietà è un’arma micidiale, non sottovalutarla.»
«Appunto! Sei solo pietoso!»
Liam continua a ridere, per nulla offeso. «Io ottengo
sempre ciò che voglio.»
«Sei peggio di Roger il coniglio!»
«Non lo conosco, ma dev’essere un’offesa pesante, eh?»
Sento la bile invadermi il cervello e togliermi la facoltà
di parola, così apro e chiudo la bocca parecchie volte, come un pesce, senza
che mi venga in mente nulla di davvero terribile da dire.
«Allora» fa lui, «vuoi rimanere qui a pensare a come
insultarmi, oppure ti riaccompagno dove hai lasciato i
vestiti? Non vorrai bere quella roba qui e rovinarmi il palazzo.»
«Forse dovrei, così potrei spiaccicarti con un dito»
sibilo.
«Raffredda i bollenti spiriti e seguimi.»
Che odio! Ma mi ha fregato. Non mi
resta che andargli dietro.