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Autore: Leyla    03/08/2012    2 recensioni
Racconto semi-demenziale, sorta d'incrocio tra Pollicina, Alice nel Paese delle Meraviglie e Sogno di una notte di mezza estate.
Perché le fate non sono proprio quegli esserini adorabili che c'immaginiamo noi!
Un commento è sempre ben accetto! ;)
Genere: Demenziale, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo essere saliti per una lunga scalinata, ci ritroviamo di fronte a una grande porta riccamente decorata a motivi vegetali, davanti alla quale stazionano due bodyguards

Dopo essere saliti per una lunga scalinata, ci ritroviamo di fronte a una grande porta riccamente decorata a motivi vegetali, davanti alla quale stazionano due bodyguards. Somigliano vagamente a quell’antipatico che ho incontrato all’ascensore: hanno gli stessi segni dipinti in faccia ed entrambi brandiscono una lancia.

«Ehilà, ragazzi» dice Liam. «Devo vedere mia madre.»

Loro s’inchinano. «E lei?» chiede uno dei due.

«Mi accompagna.»

I due si scambiano uno sguardo eloquente, poi aprono la porta. Possibile che queste fate mi devono sempre credere o una criminale o una prostituta?

Calma e sangue freddo. Sono a un passo dal completamento della missione.

Liam entra, e io lo seguo. Cerco di mantenere un’espressione imperturbabile, ma sono un po’ intimidita: come sarà questa regina? A giudicare da com’è cresciuto il figlio…

C’inoltriamo in una grande sala circolare a cielo aperto. Dev’essere il punto più alto del palazzo, perché sopra di noi ci sono solo la chioma della quercia e la luce dell’alba che vi filtra attraverso. La sala è delimitata non da pareti in legno ma da liane cui s’intrecciano rampicanti di ogni tipo. Il pavimento è talmente disseminato di fiori da non lasciarsi nemmeno intravedere.

Mentre mi guardo intorno a bocca aperta, Liam si dirige sicuro dritto davanti a sé. Incespicando un po’, lo tallono; e finalmente vedo la regina Titania.

È seduta mollemente su un trono d’ambra, con una gamba adagiata su un bracciolo. Indossa una lunga veste cangiante che le lascia scoperte le braccia e un mantello intessuto di fiori. Sembra giovanissima e tuttavia senza età: ha lunghi capelli biondi così chiari che paiono d’argento, e occhi luminosi color oro scuro. Sulla testa porta una sottilissima corona.

All’approssimarsi del figlio, Titania gira la testa con indifferenza e lo guarda.

«Salve, madre» inizia Liam. «Ti trovo in ottima forma. Com’è andato il… ehm… qualsiasi cosa tu abbia fatto ultimamente?»

Lei sospira. «Sai, Liam, dovresti interessarti di più a quello che faccio, dal momento che disgraziatamente sei mio figlio e il principe di Faerie, e non solo quando ti serve un favore.»

«Madre, così mi offendi. Sai che non vivo che per la luce dei tuoi occhi e che, ehm, la mia somma gioia è accontentare ogni…»

«Oh, finiscila» lo interrompe la regina. «Queste litanie lasciale a tuo padre.»

«Non mettermi in mezzo» interviene un’altra voce, e sia io che Liam sussultiamo.

Poi lui dice: «Oh, sei tu, padre. Non ti avevo visto.»

«Guarda che sono di fronte a te» ribatte Oberon seccamente. In effetti non mi spiego perché io non l’abbia notato prima. Occupa un trono gemello accanto alla regina e anche lui è vestito maestosamente, con un mantello porpora e una corona decisamente più vistosa di quella di Titania che gli cinge la fronte. Eppure accanto alla moglie passa del tutto inosservato.

Dalla sua espressione indispettita sul volto un po’ da satiro direi che ne è consapevole.

«Allora, che vuoi?» domanda Titania. «Hai messo incinta un’altra fatina sprovveduta?» Poi il suo sguardo cade su di me. «Non sarà quella, vero? Ti ho detto di non portare le tue sgualdrinelle nella sala del trono.»

Questo è troppo. Fumante di rabbia, faccio un passo in avanti. «Scusate tanto, signora, ma solo perché siete la regina non significa che potete trattare la gente come vi pare. Quindi fareste meglio a chiedermi chi sono, prima d’insultarmi.»

Lei mi guarda stupefatta. Mi sa che l’aiuto me lo dovrò sudare per bene. E va be’, ormai siamo in ballo, e balliamo.

«Mi chiamo Alisea e sono umana» continuo. «Per sbaglio ho mangiato il frutto Waka-Waka e sono rimpicciolita. Mi hanno detto che l’unico modo per tornare normale era venire da voi e chiedervi un rimedio. Mi potete aiutare?»

Dopo una lunga pausa, lei replica gelida: «E perché dovrei aiutare una mortale insolente come te?»

«Dai, madre» interviene Liam. «Cosa ti costa?»

«Sì, Titania, non fare l’egocentrica come al solito» afferma Oberon.

«Tu sta’ zitto» sbotta lei. «Non mi venire a fare lezioni di morale dopo la storia dell’asino. Che, per inciso, era comunque più bello di te.»

«Così impari, tu e il tuo trovatello indiano» ribatte lui immediatamente. Poi sospira. «Vai ancora a rivangare queste cose? È successo secoli fa!»

«Sì, e siamo ancora lo zimbello dei mortali per questo!» esplode lei.

«Oh, cosa ne sapevo io che quello scrittore stava origliando?» protesta Oberon.

Di fronte a questo battibecco, guardo Liam, incerta. Lui alza le spalle con aria rassegnata.

«Madre, padre» li richiama poi. «Noi stiamo aspettando.»

«E va bene!» sbuffa Titania. «Cos’è che vuoi?» mi chiede. «Un paio d’ali o la pozione per tornare della tua grandezza?»

«Come, un paio d’ali?»

«Puoi diventare una fata, se lo vuoi» mi spiega Liam, e poi ammicca.

«Ehm… no, grazie» rispondo. Se le fate sono tutte così scoppiate, non ci tengo. «Finiamola con queste scempiaggini alla Frodo Baggins. Voglio solo tornare normale.»

«D’accordo» dice Titania sbrigativamente. «Dov’è Puck quando serve?» mormora poi, fra sé. «Puck! Dove diavolo sei finito? Puck!»

Con un forte schiocco, un folletto dalla faccia dispettosa compare a mezz’aria. «Sì, maestà?»

«Puck, portami la boccetta con la pozione viola dalla stanza dei rimedi» ordina la regina.

«Quella con l’estratto del fiore Waka-Waka, maestà?»

«Esatto.»

Lui annuisce e scompare.

«Di nuovo Waka-Waka?» chiedo con sgomento.

«Mai sentito parlare di omeopatia?» replica Titania, tagliente.

Dio mio, che antipatia. Ma come ha fatto Oberon a sposarla? E soprattutto a starci assieme per l’eternità?

Poi Puck ricompare e mi distrae dai miei pensieri velenosi. Porge una boccetta alla regina dei ghiacci, che la stappa e l’annusa.

«È questa» dichiara, e me la tende. Allungo una mano e l’afferro tremante, quasi incredula di esserci davvero riuscita. Ho recuperato il rimedio. Tornerò normale.

«Ora sparite» ingiunge Titania. «È quasi ora d’incominciare le udienze.»

«Grazie, Vostra Maestà» le dico, nonostante l’antipatia.

«Bah» fa lei. Non credo se la sia bevuta.

Io e Liam usciamo dalla sala del trono e, una volta che la porta si è chiusa alle nostre spalle, do libero sfogo al mio entusiasmo. «Oh mio Dio! Ce l’ho fatta! Yeah!» Mi metto a saltellare come un’invasata.

«Okay» fa Liam, osservandomi perplesso. «Ehm, stai bene?»

«Grazie!» lo investo, esaltatissima. «È tutto merito tuo!» Non resisto e gli getto le braccia al collo anche se è uno sfrenato libertino. Molto stranamente, non ne approfitta: devo averlo sconcertato parecchio con i miei strilli isterici.

Rimane rigido come un baccalà finché non lo mollo. «Scusa» dico ansante, ancora infervorata. «È che sono davvero contenta. Ce l’ho fatta! Tornerò normale!»

La sua faccia mi ricorda da vicino Edward Mani di Forbice, perciò gli chiedo, un po’ preoccupata: «Tutto bene?»

«Ehm…» Sembra incerto su cosa dire. «È che io…»

«Che c’è?»

«Io non… non ho mai…»

«Che cosa?»

«Non ho mai… ricevuto… ricevuto un abbraccio.»

«Come scusa?!»

«Nessuno mi ha mai abbracciato.»

«Mai?» ripeto, scioccata. «In tutta la vita? Neanche i tuoi?»

«Mai» conferma, con aria smarrita. «E poi li hai visti, i miei.»

Non posso dargli tutti i torti. Non mi hanno dato proprio l’impressione di genitori amorevoli. Poveraccio! Dev’essere parecchio complessato. Chissà, forse la sua carenza d’affetto potrebbe spiegare la sua satiriasi.

«Che cosa bisogna fare?» chiede titubante, aggravando la mia preoccupazione. Esisteranno psicoanalisti tra le fate?

«Non è difficile» spiego, intenerita. «Devi mettere le braccia intorno a me, come faccio io.» Poiché non accenna a muoversi, gli prendo le mani e le sposto sulla mia schiena. «Visto? Non c’è niente di complicato.»

La sua aria disorientata mi commuove. Sotto sotto è un ingenuo. Poveretto, dopotutto ha avuto un’infanzia difficile.

E poi… mi tocca il sedere.

«Ma che diavolo fai?!» strillo, balzando via come un cobra.

«Scusa, sono ancora inesperto» sghignazza, e improvvisamente capisco.

«Mi hai ingannato!» strepito, inviperita. Gli pesto un piede con tutta la forza che ho.

«Ahia! E dai, te la prendi troppo.»

Per tutta risposta, gli centro la faccia con una sberla. E adesso datemi pure l’ergastolo!

«Che violenza!» esclama lui divertito, massaggiandosi la guancia. «Di’ la verità, ti piaccio.»

«Se non la pianti, ti avverto: finirò in prigione per omicidio, stavolta!»

«È colpa tua» sogghigna. «Mi hai offerto il tuo sedere su un piatto d’argento.»

«Brutto maniaco!» grido, indignata. «Mi hai fatto pietà!»

«La pietà è un’arma micidiale, non sottovalutarla.»

«Appunto! Sei solo pietoso!»

Liam continua a ridere, per nulla offeso. «Io ottengo sempre ciò che voglio.»

«Sei peggio di Roger il coniglio!»

«Non lo conosco, ma dev’essere un’offesa pesante, eh?»

Sento la bile invadermi il cervello e togliermi la facoltà di parola, così apro e chiudo la bocca parecchie volte, come un pesce, senza che mi venga in mente nulla di davvero terribile da dire.

«Allora» fa lui, «vuoi rimanere qui a pensare a come insultarmi, oppure ti riaccompagno dove hai lasciato i vestiti? Non vorrai bere quella roba qui e rovinarmi il palazzo.»

«Forse dovrei, così potrei spiaccicarti con un dito» sibilo.

«Raffredda i bollenti spiriti e seguimi.»

Che odio! Ma mi ha fregato. Non mi resta che andargli dietro.

   
 
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