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Autore: RomanticGiuls    05/08/2012    2 recensioni
"Ho paura!" dico in un sussurro, continuando ad accarezzare il mio ventre.
Il ragazzo accanto a me si sporge per accarezzarmi il viso rigato dalle lacrime. "Non devi averne, Ginny. Io sarò vicino a te!"
"Me lo prometti?" chiedo in un sussurro.
"Ci sarò sempre, per te e per il nostro bambino!" mi promette stringendomi tra le sue braccia. ***
Peccato che il destino metta a dura prova anche i cuori più sinceri. L'amore di quel ragazzo non basterà, nemmeno il dolore delle amiche. Ginny si ritroverà senza il suo bambino, sola e disperata. Ma anche qui il destino cambierà le carte rimescolandole e mettendo a dura prova l'amore dei due ragazzi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perdonami...


Tutto bianco, odore neutro di chissà quale disinfettante. Il medico mi passa accanto senza degnarmi di uno sguardo, entra nella sala in cui mezz’ora fa hanno portato Ginny.
Un altro medico, più vecchio, esce dalla stanza e si ferma davanti a me. Non ho nemmeno la forza per parlare.
“Lei è il padre del bambino?” chiede con voce severa, ma con uno sguardo dolce.
“Si, sono io.” Concludo appoggiando la testa tra le mie mani.
“Indurremo il parto, dato che il bambino non sembra avere subito danni. Virginia si è voltata e ha fatto in qualche modo scudo con il proprio corpo. Dobbiamo anche contare che il tassista ha rallentato abbastanza da evitare uno scontro mortale.”
“E lei, lei come sta?”
“Per ora non lo sappiamo, ma il mio collega sta facendo nascere il bambino in questo momento. Lei è in stato di incoscienza, dovremmo sperare nel meglio.”
Mi fa un cenno con il capo prima di allontanarsi lungo il corridoio, per poi entrare in un'altra stanza.
La porta alla fine del lungo tunnel bianco pieno di luci al neon si spalanca mentre Esme, la nonna di Ginny entra quasi correndo, i capelli disordinati davanti al volto, ma nonostante questo, ancora piena di eleganza.
Mi lancia uno sguardo di disprezzo mentre si getta a capofitto verso l’ufficio del dottore, in cui è appena entrato.
Ne esce dopo un po’ con volto dilaniato dal dolore che sta provando. Ha perso una figlia e ora rischia di perdere una nipote, è una donna forte, questo lo si capisce dal suo sguardo fiero, che si posa ancora una volta su di me.
Si siede nella seggiolina di plastica accanto alla mia.
“Zayn… io penso… che dovremmo pensare all’opzione dell’adozione.”
La sua voce esce atona, senza un minimo di sentimento, come se quella frase facesse parte di un discorso preparato a casa davanti ad uno specchio.
“Cosa?”
“E’ la cosa giusta da fare. Così quando Ginny si riprenderà non ci saranno altri problemi.” Fa una pausa. “E se lei non si dovesse svegliare” , la sua voce è colta da un fremito, “be tu non avrai più nessun problema. Ho già i moduli qui con me.”
Confermato, questo discorso era stato programmato. “Io non intendo firmare proprio niente.”
“Tu lo farai invece. Io sono una donna potente, potrei rovinarti la vita con una telefonata.”
Io non demordo. “La tua o quella della tua famiglia. Tua sorella sta cercando lavoro giusto?”
In quell’istante mi rendo conto che ne va del futuro della mia famiglia. Scommetto che volendo farebbe chiudere la ditta di mio padre in una frazione di secondo.
Continuo a fissare il foglio che mi tende, non so cosa fare, ma in quello stesso istante una donna esce dalla sala operatoria.
In braccio ha un fagotto avvolto in un asciugamano azzurro. Senza rendermene conto, come se il cervello agisse per conto proprio mi alzo e vado verso lei. L’esserino che tiene tra le braccia è ciò che più si avvicina ad un angelo probabilmente.
Ma la paura mi coglie all’improvviso. Cosa farò se Ginny non si sveglierà? Cosa farò io da solo con una responsabilità di questo genere sulle spalle?
Mi volto a guardare Esme, che mi sta alle spalle ancora con il foglio in mano. Glielo prendo dalle mani per poi accettare la penna che mi da. “Si chiamerà Dan.”
Firmo e con la mia testa non riesco a non pensare a Ginny, ma questo bambino forse potrà avere una vita migliore.
“Virginia non lo dovrà sapere. Capito?” chiede con voce severa mentre l’infermiera sparisce con quello che fino a cinque minuti fa era mio figlio.
Faccio un cenno di assenso, mentre cerco di chiarire le mille idee che mi frullano in testa.
 
Le settimane successive le passo accanto al letto di Ginny, aspettando di veder nuovamente i suoi occhi. Mi addormento accanto a lei, con la testa appoggiata al suo braccio.
Non so quanto tempo sia passato ma la luce rossa del tramonto illumina ormai la stanza in cui, oltre a Ginny non c’è nessuno.
Sento qualcosa passarmi sui capelli corti, una mano. Solo in quell’istante rielaboro i miei pensieri e alzando lo sguardo ho la sorpresa più bella della mia vita. Gli occhi di Ginny mi guardano come se non avessero mai smesso di farlo. Mi sollevo per poi stringerla tra le mie braccia. “Non ci credo… Dottore!” urlo andando ad aprire la porta.
Quando torno accanto a lei la gioia nei suoi occhi si è spenta e la sua mano va a fermarsi sul suo ventre, ormai vuoto.
Il suo sguardo mi cerca, quasi sperando di trovare una risposta, ma dopo aver cercato di non guardarla negli occhi, poso il mio sguardo su di lei, ma le parole non mi vengono.
Cerco di mantenere la calma ma non riesco. In quell’istante il medico che avevo incontrato quel giorno nel corridoio compare nella stanza avvicinandosi velocemente a lei.
Ginny continua a guardarmi.
“NO!” urla strazianti riempiono la stanza bianca dell’ospedale.
Non riesco ad ascoltarla. La sua voce, che io adoro, mi entra nelle orecchie come spilli. Ma rimango li immobile a fissarla mentre cerca di liberarsi dai tubi che le entrano nelle sue braccia, i suoi capelli le cadono sulle spalle disordinati mentre la sua fronte è coperta di sudore.
“Vai via! Non ti voglio vedere mai più!” La sua voce risuona roca mentre i medici cercano di calmarla. Nessuno parla, si limitano a tirarla per le braccia cercando di riportarla sul letto. Probabilmente Esme li ha costretti a non dirle nulla e se lo facessi io non so cosa potrebbe succedere. Due braccia delicate ma che diventano più forti si stringono intorno a me.
“E’ meglio che esci!” mi dice un infermiera tirandomi verso la porta.
Accorre anche Esme, probabilmente avvertita dai medici.
Non entra, rimane ferma sulla porta mentre l’infermiera mi porta fuori dalla stanza per poi richiudersi la porta alle spalle.
“Un giorno mi ringrazierai ragazzo mio!” mi urla lei mentre a tutta velocità corro verso l’uscita. Ginny perdonami.
   
 
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