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Autore: Light Rain    06/08/2012    3 recensioni
"Cercavo con tutta me stessa si rimanere aggrappata a quelle realtà che mi sembrava ancora di possedere. Ma non mi ero ancora resa conto che erano già diventate irraggiungibili". Questa è la storia di Annie Cresta, prima, durante e dopo i suoi Hunger Games
_SOSPESA_
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Percepisco un calore nuovo sulla mia pelle. Apro lentamente gli occhi e vengo immediatamente accecata da un raggio di sole che batte sulla mia finestra. Mi giro nell’altro lato. Oggi ho dormito di più, ma non troppo. Mi trascino in cucina dove sorprendentemente trovo mio padre.
—Buongiorno tesoro— mi dice lui.
—Buongiorno— rispondo con un sorriso.
Di solito a quest’ora è già a pesca, ma oggi non si lavora. Oggi si cerca la fortuna.
Cerco di scacciare i pensieri negativi e mi concentro su mio padre che mangia una fetta di pane con una confettura fatta con le nostre bacche. Questa scena mi riporta alla mente immagini che mi sembrava di aver dimenticato. Immagini di una famiglia felice che faceva colazione insieme. Mi arresto di colpo. Tutto ciò non mi fa bene.
Mi siedo a tavola e afferro una fetta di pane. Nessuno parla.
Io e mio padre non comunichiamo molto, il minimo indispensabile. Nel nostro rapporto è come se si fosse rotto qualcosa. Ma questo non mi impedisce di volergli bene come prima, se non di più. Noi ci confortiamo a vicenda con la sola presenza dell’ altro. E questo basta a entrambi.
Mi alzo, mi devo cambiare per il grande evento.
—Sul mio letto c’è un vestito. Me lo ha portato tua zia, l’ha fatto per te.— mi dice mio padre. Lo ringrazio e mi avvio verso la sua camera. Lì trovo un vestito color turchese a mezze maniche con un piccolo fiocco nel dietro. Semplice, essenziale e molto bello. Lo adoro anche se l’occasione per cui dovrò indossarlo non è delle più felici.
Vedo anche delle forcine accanto al vestito, le prendo e le analizzo: mi sembra di averle già viste.
—Erano di tua madre— mi dice mio padre facendomi sobbalzare — le ho ritrovate poco tempo fa e ho pensato che le avresti volute— annuisco. 
è strano passarmele tra le dita, mi riportano indietro di qualche anno dove la mia sola preoccupazione era di selezionare per colore le conchiglie che trovavo sulla spiaggia. Ora è diverso. Ho dovuto crescere in fretta lasciandomi alle spalle il mondo di quando ero bambina. Apparte credo che solo la gente di Capitol City si può permettere di rimanere piccoli a lungo. Tutti coloro che abitano nei Distretti a dodici anni rischiano di andare al macello ogni anno. è una cosa disgustosa.
Mi lavo e mi spazzolo i lunghi capelli aggrovigliati, farlo è sempre un’impresa. Vado fuori per asciugarli un po’, c’è ancora tempo; dopo una mezzora sono soddisfatta, mi infilo nel vestito e cerco di acconciare nel migliore dei modi i capelli. Li lego formado una crocchia un po’ scompigliata cercando di appuntare le ciocche ribelli con le forcine di mia madre. Sono molto eleganti e il risultato finale mi sembra abbastanza soddisfacente.
Sono pronta. Raggiungo mio padre in cucina, lui mi aspetta seduto al tavolo. Manca ancora un bel po’ : faremo un pranzo veloce e poi ci avvieremo in piazza. Aspettiamo in silenzio, ogni tanto esco a prendere una boccata d’aria, queste mura mi soffocano. Poi dopo tre uscite in meno di cinque minuti mi barrico nel magazzino: per me fare una rete è impegnativo quanto dormire, ma distrae abbastanza. Dopo averne intrecciate tre mi costringo a tornare a casa.
Mio padre ha già preparato il pranzo. Non sono stata molto di aiuto, di solito cucino io, ma penso che capirà.
Ci sediamo e iniziamo a mangiare, ha fatto uno stufato di pesce con delle patate. è buono, ma non come quello che faceva mia madre. Quello che faccio io, a mio parere, è anche più buono ma non avrà mai lo stesso gusto.
All’una dobbiamo trovarci nella piazza centrale che è molto distante da dove abitiamo noi, così partiamo in lauto anticipo. Passiamo da mia cugina, almeno andiamo in compagnia. 
Mio padre bussa alla loro porta. Ci apre mia zia Leslie, bellissima come al solito, ma nel suo abito color giallo pastello lo sembra ancor di più.
—Forza andiamo. Sono già arrivati!— urla mia zia dentro casa, percepisco una flebile risposta di assenso. Poco dopo escono anche mio zio Drew e mia cugina Riza: anche lei indossa un vestito identico al mio, varia solo per il colore, infatti il suo è di un verde più intenso.
—Ciao— la saluto.
—Ciao— mi risponde. Leggo perfettamente nei suoi occhi la paura, e questo non fa altro che aumentere la mia. 
Camminiamo silenziosi. Anche se sia i miei zii sia mio padre sono visibilmente tranquilli: non sono preoccupati per le loro figlie. Una volta arrivati in piazza la troviamo già abbastanza piena: è molto grande, dopotutto serve per ospitare tutti i ragazzi del distretto e noi siamo molto numerosi. Dobbiamo andare a registrarci, saluto mio padre, lui mi abbraccia forte e mi stampa un bacio in fronte. Non penso sia molto piacevole per un padre sapere che la figlia il prossimo anno potrebbe non avere tanta fortuna. 
Cerco di non pensarci troppo, finirei per non riuscire più a vivere serenamente. Tutto ciò che mi interessa ora è trovare il mio migliore amico tra la folla. Ma non è affatto facile c’è un sacco di gente.
Io e Riza restiamo sempre accanto, anche dopo la registrazione, quando ci mettono in fondo a tutti essendo solo dodicenni facciamo in modo di non staccarci più l’una dall’altra. Solo quando mi fermo ho modo di scrutare più attentamente la piazza : è stracolma, piena di adulti infondo alla piazza, di ragazzi spaventati, di pacificatori con le armi puntate e di scommettitori. Quelli non mancano mai, ogni anno si piazzano in prima fila per assistere alla mietitura, trepidanti di sapere se hanno ricavato un po’ di soldi. Tutto questo mi disgusta.
Sposto lo sguardo sul lato della piazza adiacente al mio, dove spero di trovare il mio amico Lian.
Ma non lo vedo, però individuo un’altra faccia, file più avanti alla mia : Finnick se ne sta composto tra i suoi coetanei, ha lo sguardo rilassato; sembra molto più tranquillo lui che rischia la vita che io che sono al sicuro.
—Lo hai trovato?— mi chiede agitatissima mia cugina.
—Sì. Sembra tranquillo— le rispondo.
—Dov’ è?— mi chide ansisosa.
—Prima della metà della piazza— le indico —più o meno dove c’è il sarto—.
Mia cugina inizia a scrutare la folla, poi mi tira una gomitata — Non Finnick!— grida —sto cercando Lian!—.
Giusto! Lian!
La guado imbarazzata e contino la mia ricerca. Non c’è verso, non lo trovo.
—Eccolo!— mi dice Riza indicandomi un gruppo di ragazzi abbastanza vicino a noi. Mi ci vogliono svariati secondi per individuarlo: se ne sta immobile con lo sguardo perso nel vuoto, il corpo rigido e in volto una maschera di paura. Sto male. Sto male per Lian e questa volta non posso fare veramente niente, se non sperare.
Afferro la mano di mia cugina, lei la stringe forte.
Sobbalzo quando una voce mi riporta alla realtà: il nostro sindaco deve leggere il solito discorso ogni anno.
Del mondo disastrato, di come è nato Panem, dei distretti, della rivolta guidata dal tredici e della caduta di quest’ultimo ed infine del Trattato del Tradimento che ci ha portati esattamente qui. Ad aspettare gli Hunger Games. 
“Un reality show eccitante e pieno di azione” è così che li considerano gli abitanti di Capitol City.
Io li ritengo solamente una cosa mostruosa e priva di senso.
—è il momento del pentimento ed è il momento del ringrazziamento— intona il sindaco.
E prende a leggere la lunga lista dei vincitori provenienti dal nostro distretto.
Se ne stanno in fondo al palco e quando viene letto il loro nome fanno un passo avanti e salutano divertiti la folla, noi li dobbiamo applaudire, è obbligatorio. Io ne farei volentieri a meno.
Dopo una lunga passerella dei nostri vincitori il sindaco presenta l’ accompagnatrice del Distretto 4: Cloud Derting eccitatissiama abitante di Capitol City. Ogni anno si veste sempre in modo assurdo, ma rimanendo sempre sulla stesse tomalità che variano dal vedre al blu, penso per richiamare il nostro distretto.
Quest’anno indossa un vestito blu abbastanza sobrio per il suo solito, ma non è questo che mi fa sorridere, bensì una parrucca gigante color azzurro cielo a cui sono appesi dei pesci grigliati, mi sembra una cosa ridicola.
Anche perchè non so se sia di buon auspicio, sembra che ci stia dicendo che i nostro tributi quest’anno finiranno abbrustoliti.
—Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!— squittisce Cloud con la voce più acuta che abbia mai sentito.
—Cominciamo con le signiore— esclama lei.
Si dirige a grandi passi verso la boccia con i nomi delle ragazze. Ci infila la mano e inizia a menscolare, dopo vari secondi di tensione estrae una striscia di carta. Per un momento penso al nome scritto in quel foglietto: potrebbe essere il mio.
Ritorna al microfono ma non fa in tempo a fiatare che svariate file davanti alla mia si fa largo verso il palco una ragazza.
—Mi offro volontaria come tributo— urla la ragzza che sale immediatamente le scalette e si posiziona accanto alla nostra accompagnatrice. Ora che la vedo bene non mi sembra una faccia nuova : capelli lunghi color miele, pelle dorata e decisamente bella. Ma il suo aspetto mi interessa il giusto, se si è offerta volontaria significa che è letale e ne va fiera.
—Come ti chiami tesoro?— le chiede una Cloude eccitatissima.
—Sousette Grey— risponde la ragazza sfoderando un sorriso che a prima vista può sembrare innocente, ma nei suoi occhi si vede tutta la ferocia che il suo bel faccino nasconde.
—Bene bene! Facciamo un bell’applauso al nostro primo tributo!— esclama la donna della capitale.
Parte un applauso fortissimo seguito la urla di incoraggiamento, la acclamano come fosse la loro eroina. Ma io non ci trovo niente di eroico nell’offrirsi volontaria per andare ad uccidere dei ragazzi in un’arena.
Dopo l’ovazione Cloude si schiarisce la voce e dice —Adesso il tributo maschile!—.
Si dirige verso l’altra boccia e ne estrae un pezzettino di carta. 
Mi si blocca il respiro. Ho la nausea.
Si posiziona davanti al microfono.
Ti prego. Ti prego. Fa che non sia Lian e che...
—Finnick Odair— esclama la donna.
Non sento più niente. Se non un pugnale che mi si rigira nel petto.
Riza mi strattona, ne sono sicura. Ma non le presto molta attenzione.
Lo sto cercando. Ma non lo trovo. Perchè? Perchè proprio lui?
Poi lo vedo, esce dalla sua file e sale sul palco.
No! Non è vero! Non può essere vero!
La gente applaude. Lui stringe la mano all’altro tributo. Parte l’inno. Saluta il pubblico. Scompare dietro una porta.
Scompare.
Per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono al capitolo cinque! Non credevo di arrivare così lontano.
Ringrazio quelli che mi seguno e mi raccomando recensite!
Al prossimo capitolo
Light Rain
  
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