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Autore: Bethesda    07/08/2012    4 recensioni
"Colui che mi presentò davanti Mrs. Hudson non era, tuttavia, uno dei soliti criminali che frequentavano la casa: costui era un giovane, alto quasi quanto il sottoscritto, dal volto incantevole e fanciullesco e dalla pelle rosea. Un naso all'insù separava due grandi occhi azzurri, ornati da una corona di ciglia bionde come i capelli.
Era vestito con una giacca di velluto color terra, ornata da un’appariscente camelia bianca che sembrava soffrire l’ora ormai tarda del pomeriggio. Una cravatta di fine seta nera, fissata da una perla lucente, denotava la sua ricchezza, come il cappotto appoggiato al braccio e il cilindro dalla fodera sanguigna."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Diario di un Consulente Criminale'
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Se c’era un qualcosa che mi dilettava – e lo fa ancora adesso, enormemente – era vedere Holmes alle prese con i suoi uomini.
Quando iniziai a far parte del mestiere come suo braccio destro, non ero l’unico facente parte dell’organizzazione: inizialmente questa era composta da pochi ma fidati uomini, di cui Holmes si serviva come emissari o direttamente protagonisti delle attività criminali che gli venivano proposte. Con il tempo la sua fama nel sottosuolo Londinese crebbe e le sue fila si ingrossarono, toccando ogni angolo della city e – negli Anni D’Oro – anche alcune altre città dell’Inghilterra. Non di rado l’estero presentò casi di grande interesse e guadagno, che gli procurarono alleati e nemici d’Oltremanica.
Ma erano pochi quelli che avevano la “fortuna” di incontrarlo personalmente, e che ricevevano da lui incarichi da smistare presso gli altri membri.
 
I primi che incontrai furono le sue spie, le uniche capaci di passare completamente inosservate agli occhi di poliziotti e cittadini, che ormai li vedevano come facenti parte del paesaggio urbano.
Holmes li chiamava “Irregolari”: erano ragazzini che andavano dai sei ai quindici anni, poveri e spesso orfani, sfuggiti alle Work Houses e dediti a furtarelli dalle tasche dei cittadini o dai banchi dei mercati; spesso il mio amico li impiegava, in cambio di uno scellino a testa e di una ghinea come premio, per raccogliere informazioni su luoghi, oggetti e soprattutto persone.
Uno di questi ragazzi, Wiggins, passò tutta la sua giovinezza fra gli Irregolari, finché non divenne abbastanza grande e decise di seguire le orme di Holmes: lo vidi scassinare una cassaforte in meno di mezzo minuto e lo so essere uno dei ladri più abili di Londra ancora adesso che il suo mentore ha abbandonato le scene.
Holmes mi accuserebbe di sentimentalismo – ad onor del vero lo ha fatto più volte e lo fa tutt’ora appena gliene si presenta l’occasione – ma spesso ho identificato il giovane Wiggins come il figlio che il mio compagno non ha mai avuto, e lui stesso se ne rende conto, nonostante si rifiuti di ammetterlo. Fatto sta che ogni volta che costui viene a trovarci riconosco in Holmes uno sguardo orgoglioso che solo un osservatore come il sottoscritto può riconoscere in lui.
Ma gli Irregolari sono solo la parte più superficiale dell’organizzazione – sebbene una delle più funzionali ed efficienti.
 
Fu in uno dei primi casi che seguii che conobbi altri due uomini al servizio di Holmes.
Ricordo perfettamente il giorno in cui fui costretto ad alzare gli occhi dal libro che stavo leggendo per tentare di capire quale fosse l’origine della cagnara che proveniva dabbasso.
Alzai gli occhi su Holmes in cerca di spiegazioni ma l’unica reazione che ebbe fu un leggero tremolio del sopracciglio destro.
Le mie domande ebbero comunque risposta quasi immediatamente, quando due sconosciuti, battibeccando come gatti nella stagione degli amori, entrarono nel nostro salotto di Baker street dopo che il mio amico diede loro il permesso di entrare.
 
La prima cosa che mi colpii fu il contrasto che vi era fra i due nuovi arrivati: il primo era alto, ben piantato, di un pallore tale che intuii facilmente che fosse suo compito muoversi nell’ombra della città, lontano da occhi indiscreti; anche i capelli, di un biondo chiarissimo, sembravano sintomo di una repulsione verso il sole. Gli occhi, di un azzurro glaciale, fissavano irati quelli dell’uomo che lo affiancava.
Più basso di circa mezzo piede rispetto al compagno, lo associai immediatamente ad un furetto o ad un topo, complici gli occhi piccoli e scuri ed i tratti affilati del volto giallastro. I capelli scuri e corti che uscivano da sotto la bombetta aiutavano ad acuire le differenze fra i due.
 
«--da strapazzo!»
 
«Ritira quello che hai detto, incapace!»
 
Lanciai ad Holmes un’occhiata interrogativa ma ciò che ottenni fu uno sguardo annoiato diretto ai nuovi arrivati.
 
«La tua presenza non è richiesta, Lestrade», ringhiò il biondo.
 
«Perché non vai a consolare l’uomo della tua banda che hanno arrestato? Deve essere davvero un incapace se è riuscito a farsi cogliere con le mani nel sacco per una retata annunciata due giorni prima».
 
Se Holmes non avesse richiamato la loro attenzione immagino che sarebbero presto passati alle mani, ma la voce imperiosa del mio collega sembrò placarli momentaneamente.
 
«Avrei dovuto sapere che sarebbe finita così, signori, ma siete a conoscenza del fatto che pretenda da voi un minimo di disciplina ed autocontrollo, a dispetto delle vostre divergenze personali».
 
I due ruotarono gli occhi contemporaneamente verso il pavimento, come due scolaretti davanti al maestro scoperti a litigare per futili questioni.
 
Notando che il loro atteggiamento era mutato, Holmes sembrò ritenere opportuno introdurmi a loro.
 
«Dottor Watson, le presento Gregson e Lestrade, due dei miei principali accoliti, nonché capibanda di una certa fama. Controllano rispettivamente le zone di Whitechapel e Shoreditch».
 
I due sembrarono accorgersi del sottoscritto e mi scrutarono con sospetto. Non che potessi biasimarli: in un ambiente del genere – come imparai con il tempo – ogni nuovo arrivato era spesso tenuto sotto controllo per mesi, temendo che potesse trattarsi di un poliziotto sotto copertura. Vi furono diverse occasioni in cui ciò accadde ma grazie ai sistemi ideati dal mio amico, tali che nessuno a parte pochi membri potessero contattarlo, lui riuscì sempre a risultare un cittadino dalla fedina penale immacolata.
 
Borbottarono un “piacere” simultaneo ma tutt’altro che sentito, dopodiché tornarono a prestare attenzione ad Holmes.
 
«Perché ci ha convocati», domandò Lestrade. «In questi giorni nella mia zona ci sono alcuni nuovi che tentano di fare il bello ed il cattivo tempo, e la cosa sta tarpando le ali ai miei uomini. Non ho tempo da perdere in sciocchezze».
 
«Strano, generalmente è il tuo passatempo preferito», bisbigliò Gregson con nonchalance.
 
Holmes lo fulminò con lo sguardo, zittendolo definitivamente e strappando un ghigno vittorioso all’altro.
 
«È il motivo per cui vi ho convocati. Ora, gradirei che mi ascoltaste senza ulteriori perdite di tempo: sia voi che io abbiamo degli affari da portare a termine. Mi è giunta voce--»
 
«Da chi», domandò con impeto il più alto, oscurando Lestrade che scosse la testa con disappunto. Holmes lo ignorò.
 
«Mi è giunta voce che non solo il territorio di Gregson, ma anche quello di Lestrade sia ormai ambito da membri esterni all’organizzazione. Un esempio è la retata che ha mandato in prigione uno dei suoi uomini».
 
L’espressione stupita del capo banda scomparve rapidamente.
 
«Come è possibile che lei sappia queste cose? I furti che stiamo commettendo in questi giorni non sono legati a lei ed al suo lavoro».
 
Holmes alzò una mano per placarlo, andando a sedersi sulla poltrona di vimini e accendendosi una sigaretta che da qualche minuto si stava rigirando fra le dita sottili.
 
«Non si allarmi. Ho i miei informatori e non può accadere nulla nel vasto sottobosco criminale londinese senza che io ne venga a conoscenza».
 
Ruotai gli occhi di fronte alla sua ennesima dimostrazione di mancanza di modestia, riuscendo a non farmi notare.
 
I due uomini sbuffarono all’unisono e ritenni che, nonostante il loro apparente odio, fossero estremamente simili.
 
«Qualcuno ha “cantato”, signori, e mi dispiace deludere la vostra cieca fiducia nella morale criminale ma è stato proprio un vostro collega ad avvertire la polizia».
 
Il silenzio calò nella stanza e Lestrade e Gregson si scambiarono uno sguardo allibito che presto divenne di sospetto. Bastarono le parole di Holmes a far sì che smettessero di analizzarsi unicamente con occhi perforanti.
 
«In questo caso debbo proporvi un qualcosa che so scatenerà un diverbio fra le vostre fazioni, ma sono costretto ad informarvi che la collaborazione sarà alla base di questa impresa».
 
La fronte di Gregson venne solcata da rughe.
 
«Non si è mai parlato di impresa».
 
«Sarà necessaria: abbiamo a che fare con un gruppo organizzato e compatto, comandato da una mente se non eccelsa, perlomeno al di sopra della media. Con le dovute informazioni e precauzioni sarò in grado di individuarla».
 
L’uomo fece una smorfia ma Lestrade intervenne prima  che costui potesse parlare.
 
 «Non si tratta di uno di quei furtarelli di cui solitamente siamo complici, Mr Holmes. Qui si tratta di tradimento, invasione territoriale e, a quanto pare, guerra intestina. Un qualcosa che potrebbe sporcare il candore dei suoi guanti. Non credo che lei possa abbassarsi al nostro livello».
 
Pronunciò quelle parole con un disprezzo mal celato, che mostrò facilmente quanto ritenesse Holmes un teorico, un uomo dedito unicamente allo stare seduto a rimuginare su piani da fare portare avanti dai propri galoppini, lontano dalla strada e dai rischi a cui incorrevano tutti coloro che sfidavano la legge. Questo rapporto fra il mio amico e i suoi uomini più fidati durò per anni, finché non fu Lestrade stesso a confessarmi che, dopo aver visto Holmes sul campo in un’avventura – che ho già narrato nelle pagine passate di uno dei miei taccuini -, i suoi pregiudizi erano crollati. Non di meno sia lui che Gregson mantennero sempre una loro dipendenza come capi banda, e Holmes se ne servì unicamente in occasioni estremamente necessarie.
Tuttavia Holmes preferì ignorare il criminale.
 
«Non vi sto costringendo. Non vi è alcunché di vincolante fra noi ma io so per certo che i fatti avvenuti pochi giorni fa si ripeteranno e con maggior intensità. Vi ritroverete entrambi senza uomini e questo perché, invece che pensare che questo accordo sia vantaggioso maggiormente per voi che per il sottoscritto, preferite mostrare la vostra inettitudine e crogiolarvi nell’idea che si tratti unicamente di un fatto singolo, che non si ripeterà. Non ho forse ragione? Dalle vostre espressioni posso confermare di aver colto i vostri pensieri. Bene, signori. Se dunque questa è la vostra volontà, così sia. Non vi tratterrò oltre», e, pronunciato ciò, si diresse alla finestra, dando loro la schiena.
 
Avevo già avuto prova dell’abilità persuasiva del mio amico e ciò che accadde non mi stupì eccessivamente.
Ci fu uno scambio remissivo di sguardi, qualche parola sussurrata, ed infine la caduta di ogni reticenza.
 
«Cosa dobbiamo fare?»
 

________________________
 

 
«Vedi, mio caro amico, sono circa due settimane che i vicoli londinesi brulicano di nuova vita. Non vi avrei dato peso se ciò non fosse andato ad interferire con i miei affari. Quei due uomini sono tenaci e competenti nella loro idiozia ma tendono all’affidarsi eccessivamente alle proprie misere capacità. Non di meno, sotto la mia guida tendono a migliorare, a meno che non tentino di apportare modifiche ai piani prestabiliti. L’ultima volta che ciò è successo la missione a loro affidata si è conclusa con una rocambolesca cattura di un membro della banda di Gregson da parte di Lestrade e viceversa. Alquanto imbarazzante.
Tuttavia, ora che ho affidato loro determinate ricerche, posso ritenermi quasi certo che presto otterremo indizi tali che mi permetteranno di risolvere il tutto. Non permetterò che l’incolumità e il mestiere mio e dei miei associati si incrini per mano di un novellino talentuoso».
 
«Come fai ad essere sicuro che sia tento intelligente?»
 
«Perché ha insinuato il dubbio fra due bande che, a modo loro, si sopportano e spalleggiano. Vuole rivoltare i vecchi piani e una gerarchia che oramai da anni domina i diversi quartieri. La giusta domanda è se costui è a conoscenza del sottoscritto o crede davvero di poter agire indisturbato?»
 
Si accoccolò sulla poltrona, la pipa tra i denti e le ginocchia al petto. Intesi il segnale e presi uno dei miei libri per lasciarlo pensare indisturbato.
 
Fu costretto comunque ad abbandonare i suoi progetti, perché la porta del salotto si aprì, sbattendo contro la parete e provocando un rumore sordo, coprendo per un istante le urla della signora Hudson che, dall’ultimo gradino delle scale, cercava di raggiungere la banda di ragazzini che si era intrufolata nel nostro appartamento.
 
Scrutai quella massa informe di bambini sporchi e più rumorosi del solito, riconoscendo una parte degli Irregolari di Baker Street, più precisamente i cinque ragazzi più grandi, il capobanda Wiggins, e un piccoletto che, con mio grande orrore, vidi coperto di sangue.
 
Mi alzai subito dalla poltrona per avvicinarmi a lui, inginocchiandomi ai suoi piedi e notando che era retto da due dei suoi compagni.
 
«Per l’amor del Cielo, cos’è accaduto», domandai preoccupato, controllando quel bambino di non più di sette anni e trovandolo ferito e dolorante oltre che semisvenuto.
 
«Sono dei bastardi, Dottore!», si fece avanti Wiggins, «No, Mr Holmes, non mi guardi così. Sono dei bastardi: lo hanno picchiato senza motivo! Stava aspettando uno dei nostri e lo hanno picchiato. Poi siamo arrivati noi, che se non arrivavamo avrebbero continuato a picchiarlo. Bastardi, signore! Non stava facendo niente! Se non arrivavamo noi lo uccidevano!»
 
Holmes mi si affiancò, lasciando che facessi sdraiare il piccolo sul divano, osservandolo con cipiglio corrucciato mentre io cercavo di pulirli le ferite e lenire il dolore, con gli strumenti recuperati dalla mia vecchia valigetta medica.
Quando lo informai delle sue condizioni sia lui che i ragazzini, che si erano assiepati dietro allo schienale del divano per poter vedere ciò che stava succedendo, sospirarono di sollievo. Fortunatamente erano solo ferite superficiali e graffi, ma solo un mostro avrebbe potuto infliggerne tanti ad un bambino.
 
A quel punto sembrò che i rappresentanti degli Irregolari non potessero più trattenersi e cominciarono a parlare tutti insieme, confusamente e ad alta voce.
 
«Silenzio».
 
La voce stentorea di Holmes e il suo ordine mi ricordarono un vecchio generale del mio reggimento, capace di far risuonare i suoi comandi al di sopra delle lamentele dei suoi uomini senza però alzare il tono. Il risultato fu lo stesso: i sei ragazzi si irrigidirono in una posa vagamente militaresca, risultando così dei soldati goffi.
 
«Parli uno solo di voi, il più informato ed attendibile. Signora Hudson, vedo che ci ha raggiunti. La prego di portare qualche fetta della torta che ci ha gentilmente preparato oggi per pranzo. E non si dimentichi un tè per il piccolo. Sembra che si stia riprendendo e avrà bisogno di forze. Sarebbe eccessivamente gentile se vi aggiungesse anche un goccio di brandy. Bene», riprese dopo che la donna ebbe smesso di osservare con aria preoccupata il ferito e andò a portare a termine il proprio compito. «Ora, uno di voi mi racconti con calma ciò che è successo».
 
Riassumerò quello che ci raccontò Dean, il braccio destro di Wiggins, omettendo le ripetizioni e le frasi non inerenti a ciò che era accaduto, che spesso spingevano Holmes a riportarlo sulla retta via.
Nicholas – questo era il nome del bambino – si trovava fuori da uno dei banchi dei pegni in cui molti di loro erano soliti andare a rivendere la merce rubata; un luogo sicuro, presso cui Holmes stesso aveva messo una buona parola affinché il proprietario non scacciasse via quei piccoli furfanti.
Stava aspettando proprio gli altri membri degli Irregolari quando questi comparvero da infondo alla strada, dirigendosi verso di lui. Se non ci fossero stati probabilmente non sarebbe sopravvissuto affatto, dato che in quel momento due uomini, di circa venti-venticinque anni, lo avvicinarono. Inaspettatamente cominciarono a spintonarlo, passando ben presto a maniere più forti. Il banco dei pegni si trovava in una via laterale, ben nascosta agli occhi della gente, e gli unici che si trovavano in quella stradina al momento erano due ubriaconi, riversi in un rigagnolo di acqua sporca che gocciolava dalle grondaie.
Wiggins e i suoi cinque compagni, vedendo la situazione in cui il ragazzino si era andato a cacciare, accorsero in suo aiuto e riuscirono a metterli in fuga perché, come mi disse fiero Dean: «Da soli ci possono fare del male, ma quando siamo tanti siamo noi a comandare».
 
Se la situazione non fosse stata grave sarei scoppiato a ridere, ma era difficile immaginare quei sei in una lotta sì impari dal punto di vista numerico, ma contro due prestanti giovani a cui sarebbero bastate poche batoste ben assestate per buttarli a terra.
Holmes sembrò cogliere il mio stesso pensiero e quando il racconto fu terminato rimase fermo immobile, lo sguardo oltre il divano, verso i ragazzi. Non sembrava però vederli in alcun modo, tanto era perso nelle proprie elucubrazioni.
Dopo un po’ si scosse e li guardò uno ad uno.
 
«I due aggressori. Hanno forse detto qualcosa?»
 
I cinque si guardarono, mentre Wiggins rimase serio, un ciuffo castano-rossiccio sugli occhi. Prima di parlare se lo tolse da davanti e poi, con tutta la serietà del caso, parlò.
 
«Li ho sentiti che dicevano “Ora andate pure dal vostro signor Holmes”».
 
Io mi irrigidii; Holmes non fece nulla, se non serrare la mandibola in uno spasmo; i ragazzini sembrarono cercare tutti di concentrare lo sguardo su qualunque cosa che non fosse gli occhi del mio amico.
 
In quel momento la signora Hudson decise di ritornare nella stanza, un vassoio grondante cibo e vivande fra le mani.
 

 
 ________________
 
 

Presto il bambino si riprese, risultando solo ammaccato e spaventato, ma comunque affamato e desideroso di rendersi utile. Mi resi conto di quanto la vita in strada li avesse resi tutti maturi, persino alla tenera età di sette anni.
 
Dopo qualche ora il nostro salotto fu nuovamente libero e i ragazzini sistemati, satolli e ognuno di loro con due scellini a testa in tasca, più una ghinea per il malcapitato.
 
Holmes tuttavia sembrava immerso nei propri pensieri e il fumo che appestava la stanza lo dimostrava.
Lanciai una veloce occhiata fuori dalla finestra, notando la pioggia che aveva incominciato a rigare i vetri, velando la luce dei lampioni che rischiaravano la strada.
 
«Holmes, cosa ne pensi? Perché mai avrebbero voluto far del male a un bambino? Cosa c’entra lui con te?»
 
Tacque, lasciandomi intendere che sarebbe stato inutile domandare alcunché, così mi avvicinai alla finestra e guardai fuori, appoggiando con stanchezza la fronte al vetro.
Forse sarebbe stato il caso di andare a dormire: quando il mio amico decideva di spendere le sue energie e il suo sonno per concentrare la sua attività celebrale, la mia presenza risultava sempre inopportuna.
Mi avvicinai alla posta che dava sul pianerottolo, quando la voce di Holmes mi fermò.
 
«Avrebbero potuto ucciderlo. Eppure hanno voluto non lo hanno fatto. E non solo. Sono scappati quando sei ragazzini, avversari estremamente semplici da atterrare anche se si è  in inferiorità numerica, sono accorsi in aiuto del compagno. Perché, Watson», domandò senza alzare gli occhi dal fuoco che ardeva di fronte alla poltrona.
 
Presi posto di fronte a lui, affondando nel morbido cuscino.
 
«Pensavano di non farcela. Magari temevano l’arrivo della polizia».
 
Bastò uno sbuffo a mandare in fumo la mia ipotesi.
 
«Dimmi dunque il perché, Holmes. Senza giri di parole». Mi fu difficile nascondere un certo astio, ma Holmes sembrò non darmi alcun peso.
 
«Volevano avvertirmi. Semplicemente. Prendersela anche con gli altri non sarebbe servito: bastava che ne colpissero uno, di modo che gli venissero in contatto con il sottoscritto».
 
Aprii la bocca per parlare quando un pensiero mi attraversò la mente e sgranai gli occhi, abbrancando con le mani i braccioli della poltrona e protendendomi in avanti.
 
«Ma ciò indica che la tua identità è minacciata da qualcuno che non sdegna il picchiare un innocente pur di arrivare a te! Holmes, tutte le tue precauzioni e coperture, sotto questa prospettiva, sembrano essere andate in fumo! E se la polizia--»
 
«Costui non è dalla parte della legge».
 
«Ma gli uomini di Gregson--»
 
«Un avvertimento anche quello. La giusta domanda è: quando si presenterà a me?»
 
Sollevai un sopracciglio.
 
«Pensi che ti contatterà?»
 
«O lo farà, o le sue azioni sono completamente insensate e ad opera di un folle, che sta semplicemente tentando di irritarmi».
 
Avrei dovuto immaginare che le sue previsioni si sarebbero realizzate, come al solito.
 

____________
 

Pochi giorni dopo ero appena tornato dal lavoro, un piccolo impiego in un ambulatorio poco lontano da Baker street, quello che mi permetteva di non dipendere completamente dai frutti dell’illegalità miei e del mio amico e di conservare comunque un seppur debole alibi di fronte agli introiti dei vari casi.
Holmes non risultava essere in casa e decisi così di godermi un po’ di meritato riposo, asciugandomi le ossa dalla nebbia e dall’umidità che regnavano dalla mattina sulla città, soffocandola sotto una cappa densa e pesante.
In lontananza si sentiva il rombare dei tuoni e sperai – per il bene della mia ferita – che al più presto il cielo si squarciasse per lasciare che la pioggia lavasse via il grigiore di quella giornata.
 
Mi stupii di sentire il campanello. Per onore del vero, quel suono mi scocciò in egual modo: sapevo che non poteva trattarsi di Holmes, e ciò che mi si prospettava davanti poteva essere solo un cliente che avrei dovuto far attendere.
Colui che mi presentò davanti Mrs Hudson non fu tuttavia uno dei soliti criminali che frequentavano la casa: costui era un giovane, alto quasi quanto il sottoscritto, dal volto incantevole e fanciullesco e dalla pelle rosea. Un naso all’insù separava due grandi occhi azzurri, ormati da una corona di ciglia bionde come i capelli.
Era vestito con una giacca di velluto color terra, ornata da un’appariscente camelia bianca che sembrava soffrire l’ora ormai tarda del pomeriggio. Una cravatta di fine seta nera, fissata da una perla lucente, denotava la sua ricchezza, come il cappotto appoggiato al braccio e il cilindro dalla fodera sanguigna.
 
Rimasi piuttosto sorpreso e dovetti risvegliarmi dai miei pensieri prima di poter chiedere al nuovo venuto che cosa desiderasse.
 
«Mr Sherlock Holmes, se non le dispiace. Sono un suo vecchio amico».
 
Trovai difficile definire “vecchio amico” quell’uomo, tanto sembrava dimostrare non più di venticinque anni. Inoltre, l’idea che Holmes potesse possedere delle amicizie, peraltro durature, mi suonava alquanto strano.
 
«Purtroppo non è in casa in questo istante. Gli dirò che è passato, se desidera. In caso, non dubito che presto la ricontatterà».
 
Mi resi conto di essere stato scortese, ma c’era qualcosa in quell’uomo che mi infastidiva: forse era lo stile moderno dei suoi abiti, forse il fatto che il suo comportamento risultasse irrisorio senza che facesse alcunché; ciò che desideravo in quel momento era solo il vederlo fuori da Baker street al più presto.
 
Costui piegò il capo da un lato, scrutandomi con un sorrisino stampato sulle labbra che trasmetteva tutt’altro che simpatia. Sembrava quasi che stesse tentando di avvelenarmi.
Un brivido mi scosse.
 
«Lei deve essere il nuovo».
 
Lo fissai con aria interrogativa.
 
«Il nuovo», ripetei incerto, sempre più desideroso che si allontanasse.
 
Costui ghignò.
 
«Il giocattolino di turno. Oh, sembra piuttosto confuso. Immagino che apprezzi la sua arte recitativa».
 
Mi sentivo irritato e messo alle strette senza saperne il motivo.
 
Il suono della porta che si apriva cigolando fu la mia ancora di salvezza.
 
«Watson, Mrs Hudson mi ha informato che--»
 
Holmes si bloccò sulla porta, i guanti in mano e la bocca ancora semi aperta nell’atto di terminare la frase.
Il giovane si voltò, spostando la sua attenzione dal sottoscritto al mio amico, accogliendolo con un sorriso privo di benevolenza.
 
«Sherlock, quanto tempo».
 
Mi aspettai un atto di riconciliazione, un abbraccio, un sorriso. Ciò che Holmes fece non risultò affatto un benvenuto ad un vecchio amico.
Un ringhio uscì dalle sue labbra, e vidi i suoi occhi luccicare come spade.
 
«Victor, cosa ci fai qui?»
   
 
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