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Autore: pescioletta    07/08/2012    3 recensioni
Una nuova minaccia, un nuovo destino...
Questa storia è ambientata subito dopo l'ultima puntata della 5 serie di Angel, ma ha radici che affondano molto prima che i nostri eroi mettessero piede a Sunnydale o, per meglio dire, sulla terra... Riusciranno Buffy, Angel, Spike e gli altri a sconfiggere questa nuova minaccia e a riprendersi finalmente le loro vite?
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Angel, Buffy Anne Summers, William Spike
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3





1996, in un palazzo disabitato di Londra

“Ti dico che non ne so niente!”

Il demone alzò gli occhi al cielo, ritornando poco convinto sui suoi passi.

“Puoi credermi” aggiunse l’uomo, tentando di calmarlo, ma l’essere aveva già afferrato dal muro una piccola chiave e ora si stava avvicinando senza dire una sola parola ad una cassa da cui uscivano dei suoni allarmanti.

“S-senti…” balbettò l’uomo “i-io non lo so che fine ha fatto il tuo oggetto magico. Solo il telepate lo sa… Se abbiamo fallito è stato solo perché lui si è rifiutato di darci le informazioni che ci servivano al momento opportuno, tutto qui. Possiamo ritentare! Il mio più grande desiderio è servirti, lo sai. Ci serve solo un altro po' di tempo per trovarlo e per organizzarci meglio…”

Il demone si voltò sorridendo, a due passi dalla scatola.

“P-potremmo anche metterci al lavoro subito se vuoi. Mi sembra una buona idea… sì…. chiamerò gli altri e…”

“Silenzio!”

L’uomo deglutì a fatica, incontrando lo sguardo impassibile del demone. Il tono con cui aveva pronunciato quell’unica parola avrebbe zittito anche l’essere più coraggioso del mondo, e non era esattamente il coraggio la caratteristica per cui Joy Tompson, ex-militare al servizio dello stato, aveva deciso di diventare un suo suddito. E nemmeno quella per la quale era stato scelto.
Povero patetico idiota!
Tutto tremante, supplicante, impaurito.
Immobile sotto lo sguardo di ghiaccio di un demone che esisteva da prima che il mondo fosse stato creato, ed ora… pretendeva persino di fare il saccente e di ideare strategie di combattimento… Povero stupido…
Voleva solo vivere…
Non sapeva ancora che il suo più grande desiderio sarebbe stato esaudito molto presto…

Il rumore del lucchetto che scattava fu accompagnato dal singhiozzo disperato dell’uomo che si prostrò a terra, in un ultimo disperato tentativo di salvarsi. Il demone immerse una fiala nella scatola maleodorante e la ritrasse, dirigendosi verso il militare in ginocchio.

“T-ti… ti prego…” supplicò lui

“Silenzio” ripeté il demone inginocchiandosi di fronte a lui “Non hai nulla da temere” disse, con il tono più calmo che orecchio umano potesse immaginare.
Joy si ritrasse istintivamente verso il muro, fino ad incontrarne la solida resistenza dietro le spalle e la crudele consapevolezza di non avere più alcuna via di fuga.

“T-ti prego… non farmi del male…” continuava a ripetere. Il demone allungò un dito in direzione della sua bocca e lo appoggiò delicatamente sulle labbra.

“schh…” disse avvicinandosi “E’ tutto a posto…”

Alcuni piccoli sbuffi di fumo cominciarono pian piano ad uscire dalla fialetta nella mano del demone e ad avvolgersi intorno al profilo dell’uomo che si sentì soffocare. Un braccio, stracciata inaspettatamente la manica della maglia, si artigliò intorno alla spalla del demone, cominciando gradatamente a mutare. Gli occhi dell’uomo, sbarrati, si puntarono in quelli del mostro di fronte a lui mentre tutto il suo corpo sembrava rivoluzionarsi dall’interno, in preda a violenti spasmi.

“Non avevi detto che il tuo più grande desiderio era quello di servirmi?” chiese con tono ironico l'immortale, mentre Joy si portava le mani al petto stringendolo come in una morsa nell'inutile tentativo di respirare
“Ora sarai accontentato…” bisbigliò avvicinandosi al suo orecchio “Farò di te un demone”

******

Los Angeles, 16 maggio 2004

La notte sembrava grigia e malata, sotto la luce fioca del crepuscolo. La polvere, compagna silenziosa di tutte le battaglie che avevano affrontato, saliva densa e rossastra in vortici turbinosi verso il cielo azzurro. La terra, riscaldata a tratti dal sole tiepido, appariva fredda e desolata, landa di ruderi, su cui giacevano senza vita alcuni corpi simili a bambole di pezza.
Tra le case diroccate, le scale antincendio abbattute, le pareti sfondate, i bidoni bruciati, tutto portava la triste testimonianza della tragedia appena conclusa.

Il demone mosse appena le palpebre, riprendendo lentamente coscienza.

Sotto la schiena, i frammenti irregolari del muro appena crollato gli provocarono un leggero fastidio, ma era ben poca cosa rispetto al dolore che sentiva in tutto il resto del corpo. Eppure questo era un bene, perché significava che era vivo… ancora una volta… al contrario di molti altri. Anche se non apriva gli occhi poteva percepirlo. Non si ricordava esattamente come fosse successo, né quando. Solo le gocce della pioggia, un fracasso assordante e le sue stesse urla di battaglia.

E poi, di colpo, più nulla.

Aprì gli occhi, richiudendoli immediatamente.

Nei polmoni, il sangue accumulato durante lo scontro lottava per uscire, provocandogli uno strano senso di nausea.

Distese le dita sui calcinacci polverosi, tra un detrito e l’altro, e allungò una mano in cerca di qualcosa su cui far presa.

Voleva alzarsi.

Voleva ma non poteva.

Si voltò su un fianco, tossendo, facendo forza sulla spalla sinistra per riuscire a rimettersi in piedi e artigliò con l’altra mano la ferita ancora aperta che si trovava sul del torace, all'altezza del cuore. Un dolore lancinante lo piegò in due mentre un fiotto di sangue gli giungeva alle labbra, incontrollabile.
Spike ricadde a terra senza forze, richiudendo gli occhi e reprimendo un gemito. Cercando di respirare, anche se a fatica, per liberare i polmoni dal sangue che vi si era accumulato e aspettò qualche minuto che il suo corpo reagisse a tutte le ferite dello scontro e di quello che, probabilmente, era accaduto subito dopo.
Il vento, unico compagno di quel paesaggio da apocalisse, gli sferzava leggermente il volto scompigliandogli i capelli biondi come in una sorta di muta carezza. Il demone dentro di lui invece gridava furioso, ordinandogli di nutrirsi di qualunque cosa si trovasse sotto tiro per poter riprendere le forze e risanarsi dalle ferite della battaglia.

Il vampiro distese i lineamenti, ordinandogli di tacere.

Strinse un po’ più forte la mano intorno al torace e si concentrò sulla carezza del vento, desiderando che non finisse mai, mentre gli sollevava la giacca di pelle e gli riportava alla mente una donna, forte e bionda, che avanzava verso di lui con un sorriso di ammirazione sul volto e le braccia leggermente aperte. Se si concentrava abbastanza, poteva persino sentire il suo profumo e la sua voce dolce pronunciare alcune belle parole. Parole in cui non aveva creduto, un tempo. Parole in cui adesso voleva credere, per dimenticare il dolore di ora e di quello che sarebbe venuto dopo.

"Ti amo…"

Solo un sussurro.

Ma i minuti passavano lenti

E nessuna ragazza faceva udire i propri passi nella landa desolata che era stata la statale ovest di Los Angeles.

Forse, pensò Spike, forse nemmeno sapeva che fosse successo…

Lentamente aprì gli occhi e tentò nuovamente di alzarsi. Rilassò i muscoli, abandonando i sogni e ritornando dolorosamente alla realtà e imprecò flebilmente nello sforzo di trovare qualcosa sulla quale appoggiarsi per raggiungere almeno la posizione eretta. Gli addominali contratti, gli occhi stretti, le braccia tese, e… la sua mano…
Spike rabbrividì quando si rese conto che la sua mano era appoggiata su qualcosa di morbido, di organico.

Dimenticando ciò a cui stava pensando, riaprì gli occhi e si costrinse a guardare.

Sotto la polvere, a pochi centimetri da lui, un’altra mano giaceva immobile. La lunga manica di pelle tirata fin sopra le nocche, il tessuto strappato e impolverato, la fluida viscosità del sangue ad insinuarsi in mezzo alle sue dita. Quella mano apparteneva a qualcuno. La strinse un po’ più forte, e ricordò in un lampo un’altra mano, ferrea e implacabile, che gli aveva mozzato il fiato mentre un vampiro avanzava verso di lui con un paletto stretto in pugno, come una cacciatrice.
Richiuse gli occhi.
I frammenti di quello che si ricordava si mischiavano nella sua mente, confondendolo ancora di più. Strofinò leggermente quella mano, immobile sotto le sue dita, e si costrinse ad allontanare i ricordi. Ora solo una cosa aveva importanza: l'alba. Già sentiva sulla pelle il pizzichio del sole nascente e sapeva che tra pochi minuti il sole sarebbe sorto, senaz lasciargli scampo. Doveva fare presto! Aprì gli occhi, strattonando quella mano e un moto di terrore lo invase quando riconobbe l'anello che portava al dito. Arrancò nella sua direzione con il solo risultato di sputare un altro fiotto di sangue… ma non importava. Si avvicinò di più, e spostò con tutte le sue forze la trave di ferro che gli nascondeva il volto, chiedendosi cosa mai era successo per ridurlo in quello stato.

Improvvisamente, altri ricordi gli affiorarono alla mente, più prepotenti che mai.

"Ucciderli tutti… dar fuoco alla caverna con noi ancora dentro…" "Qualcosa del genere"

E Connor…

Fred

e Cordelia…

e Wes, Lorne, Harmony, Gunn…

Morti.

Tutti.

Morti…

Strinse più forte gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime che già gli bruciavano il volto al ricordo del corpo esanime di Fred sdraiata nel suo stesso studio, mentre un demone di nome Illyria ne infestava senza pudore le spoglie mortali;

e Cordelia, spentasi in ospedale senza che lui nemmeno sapesse cosa le era successo;

e Wes, che non poteva sopportare di separarsi dalla donna che amava,

e Connor, con la sua forza di combattente,

e Angel…

Angel… Angel… Angel… Angel…

Angel…

E la sua battaglia.

Con un impeto di rabbia Spike si deterse la polvere dal volto e si ricordò di come lo avesse visto combattere senza sosta nel conflitto che li aveva portati fino a quel momento.
Di come avesse accettato, senza remore, di affiancarlo.
Di come avesse sperato, durante quell’ultima notte, che almeno lui si salvasse.
Di come avesse pregato, anche quando ormai era inutile farlo, che Angel riuscisse a correre a Roma per avvisare Buffy del disastro incombente.
Che la difendesse, come l’aveva difesa sempre.
Che l’aiutasse, come l’avrebbe aiutata lui, se solo ne fosse stato capace.
Che la salvasse.
Anche se era impossibile.
E che l’amasse, come solo lei si meritava,
dopo che di lui non fosse rimasto altro che una manciata di polvere.

E adesso…

Adesso si ritrovava a sperare che almeno Angel fosse ancora vivo...

perché questo significava che, in qualche strano modo, avevano vinto… che il mondo non era finito… e che lui, Angel, aveva sconfitto la più grande delle apocalissi a cui avesse mai partecipato
salvandola non solo nei suoi sogni, ma anche nella realtà.

Si aggrappò a quella mano, fredda come il ghiaccio e risalì lentamente quel profilo immobile.

Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco.

E lo vide.

Una statua.
Angel giaceva riverso sui calcinacci polverosi.
Sereno, anche se estremamente malridotto e ricoperto di sangue.
Il suo e quello di molti altri.
Un angelo caduto, ora come non mai.
Una trave di ferro gli era franata addosso, schiacciandolo. Aveva tagli, contusioni, lividi ovunque. E le palpebre abbassate nell’espressione tranquilla di chi, semplicemente, aveva scelto di smettere di combattere.
Ma era vivo.
Grazie al cielo era vivo!

Spike si rialzò in piedi senza nemmeno pensare a cosa stesse facendo. Spostò i calcinacci e lo sollevò con entrambe le mani.
Le gambe gli cedettero, ma si rialzò.
Infilò le braccia sotto le spalle del vampiro, e lo trascinò malamente al riparo dai raggi del sole dentro una specie di capannone per gli attrezzi scampato miracolosamente al massacro.
Lo appoggiò in un angolo. Delicatamente. Scostando i vestiti dai tagli più profondi, in modo che si rimarginassero e cercò con lo sguardo qualcosa per detergere quel disastro di lividi e sangue.
Angel era messo male.
Ma Angel era un vampiro. Per fortuna.
Gli sarebbero bastati un paio di giorni di riposo e un bel po’ di sangue per riprendersi, e allora-

“William…”

La voce di Angel era poco più di che un sussurro. Spike gli si avvicinò velocemente, posandogli una mano sulla spalla, e gli sorrise.

“Will…”

“Sono qui…”

“Cosa… cos'è successo?”

Spike si guardò intorno.

Quanto avrebbe voluto sapere cosa rispondergli… quanto avrebbe voluto potergli dire che andava tutto bene, che non era successo niente e che i suoi amici lo aspettavano lì fuori per festeggiare… ma non poteva.

“Non lo so, sembra… sembra che sia passato un maledetto tornado dannazione! Non c’è più una sola casa in piedi in tutto l’isolato!” esclamò allora, con la solita testardaggine di chi deve sempre trovare una risposta a qualunque domanda.

“Abbiamo vinto?”

Il vampiro rialzò automaticamente il volto da quello di Angel, incapace di sostenere ancora il suo sguardo e puntandolo sull’esterno polveroso.
Cosa poteva rispondergli? Cosa diavolo poteva rispondergli?!
Guardò il maglione scuro del suo sire ridotto a brandelli. Sapeva bene quanto avesse dato per quella battaglia, a quanto avesse rinunciato e quanto, alla fine, gli fosse stato strappato.

“Sì, abbiamo vinto” rispose quindi Spike con un sorriso deciso, quasi forzato “Il mondo è ancora un posto sicuro…” nascondendogli il resto.

Angel sorrise

"Bugiardo…" disse infine "ma… grazie."

Anche Spike sorrise allora.
Alla fine erano ancora vivi.
Potevano ancora combattere.
Lo scontro finale… era solo rimandato.

******

Francia, 16 maggio 2004

La ragazza correva disperata. Alle sue spalle centinaia di migliaia di demoni avanzavano a ranghi serrati, come un esercito. Un esercito di tenebra e morte che si sarebbe ben presto riversato sulla terra. Distruggendo ogni cosa.
La ragazza chiuse gli occhi, cercando di correre più forte. I polmoni le bruciavano per l’odore nauseabondo dello zolfo e le orecchie erano piene delle urla alle sue spalle.
“Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male. Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male. Distruggere la minaccia. Fermare il destinato. Ridare forma al male…”
Uno di loro l’afferrò per una caviglia facendola inciampare. Christal si voltò. Un altro la prese per la gola e la sollevò da terra, mentre il plotone continuava ad avanzare.
“É inutile che ci provi. Non puoi fermarci. Non più!” esclamò il demone levando in alto la spada. La ragazza vide lo scintillio metallico della lama calare velocemente verso la sua gola.

Chiuse gli occhi.

E si svegliò terrorizzata.

Christal si prese il volto tra le mani, nascondendolo in un singhiozzo disperato.

Quando si rese conto di essere ancora viva, afferrò il telefono e compose un numero.

"Pronto?"
"Manson?"

"Christal… che è successo?"

"Manson… dobbiamo trovarlo… non c'è più tempo!"

*****

Roma, Italia, 15 maggio 2004

Buffy si voltò
Sistemare la tavola era una delle prime cose che sua madre le aveva insegnato a fare. I piatti, le posate, i bicchieri… persino tovaglioli e bottiglie, tutto aveva una sua disposizione precisa, un posto determinato.
Buffy aveva sempre trovato distensivo mettere tutto al suo posto.
La forchetta a sinistra al piatto, la caraffa al centro della tavola, il vassoio della frutta sopra il centrino…
Anche ora quei semplici gesti le infondevano una calma innaturale. Quasi come se mettere a posto quelle poche cose la aiutasse a mettere a posto anche nella sua vita.
Afferrò una pentola e mise l’acqua a bollire sul fuoco. Quella sera avrebbero mangiato pasta al ragù, in barba a tutte le diete ipocaloriche che sua sorella sembrava non smettere mai di seguire nonostante la sua corporatura esile non le richiedesse affatto.

Sua sorella…

Down…

“Fammi sapere quando la tua vita privata ti concederà di interessarti di nuovo al mondo Buffy!”

Scosse la testa con forza, scacciando quelle poche parole.
Down non capiva!
Doveva smetterla di fare la bambina viziata e di attendersi attenzioni anche quando non era il momento.

Doveva crescere!

Buffy si sedette sulla sedia della cucina mettendosi le mani tra i capelli.
Nella sua testa la stessa domanda che la torturava da quando era tornata dal paradiso…
‘Sarò ancora in grado di mentire a me stessa?’
Quando la tua vita privata ti concederà di interessarti di nuovo al mondo…
Facile a dirsi, soprattutto per gli altri!
In fondo loro non avevano una sorta di fidanzato vampiro che era morto pur di salvarla e un altro che preferiva nascondersi a Los Angeles piuttosto che fare anche una semplice telefonata. Per non parlare di Riley, o di quel tizio tutto d’un pezzo che l’aveva portata fuori qualche giorno prima a ballare e che ora le recapitava qualsiasi tipo di messaggio d’amore sotto la porta in un inglese talmente sdolcinato da farle venire il voltastomaco! E poi che nome buffo che aveva: Immortale. Un nome altisonante per una persona totalmente priva di scrupoli. Eppure quel ragazzo non voleva proprio saperne di lasciarla stare, anzi! Una notte era arrivato persino a pedinarla. La seguiva di soppiatto con la sua bella automobile nera, sportiva, decappottabile. Buffy non ci aveva messo troppo a capire che la stava sorvegliando. Istinto di cacciatrice? Mah… Di sicuro sapeva solo che era un tipo molto stravagante, terribilmente fastidioso, e con quel qualcosa di tanto oscuro e irresistibile che sia Angel che Spike, se l’avessero vista in sua compagnia, ne sarebbero stati sicuramente gelosi…

“Sempre a pensare agli altri, vero sorellina?”

La voce aspra di Down la destò di colpo dalle sue riflessioni.

“Lascia perdere!” sbottò Down, sedendosi al tavolo “Dimmi piuttosto: da quanto tempo è su quella pasta?”

Bene. A quanto pareva Down aveva deciso di non darle tregua nemmeno per un istante quella sera…

“Non ti preoccupare, sono solo una decina di minuti che bolle!”

“Ah-ah, certo… e tu l’hi letto sulla scatola, vero, che questa pasta cuoce in sette?”

“Oh santo cielo!” esclamò la cacciatrice correndo a spegnere il fuoco.

Down si sedette di fronte al tavolo, sogghignando.

“Smettila!”

“E perché scusa? Vedere il terrore del male che si dispera davanti ai fornelli è uno spettacolo da non perdere… potrei anche metterlo su internet…”

“Finiscila Down!” Buffy scolò la pasta nel piatto versandoci sopra un po’ di sugo riscaldato.

“Scommetto che per il formaggio dovrò pensarci io…” sospirò la sorellina aprendo il frigorifero.

Lo squillo del telefono le fece sobbalzare entrambe.

Buffy sollevò il ricevitore con una mano, appoggiandoselo alla spalla.

“Pronto?” disse con tono frettoloso, incominciando nel frattempo a grattugiare il parmigiano sulla pasta scotta.

“…”

“Pronto?”

“Buffy?”

“Giles!”

Down si avvicinò al telefono, felice come non mai di poter risentire il tono dell’ex-osservatore che le aveva fatto praticamente da padre.

“Aspetti un attimo, metto il vivavoce, così può salutare anche Down!” esclamò allegramente

“Buffy….”

“Oh, su, non sia timido! Appena trovo il bottone giusto la faccio…”

“Buffy! – esclamò Giles, ritornando subito dopo al suo solito tono calmo – perdonami, è… è solo che… insomma… non è esattamente una telefonata di piacere. Dovrei pararti. In privato…”

“Oh… ma certo, mi scusi, io pensavo…”

“Cosa pensavi?”

“Non ha importanza. Mi dica.”

Lo sguardo della cacciatrice era teso ora.
Down si avvicinò maggiormente all’apparecchio cercando di captare qualche parola. Buffy le fece cenno di allontanarsi.

“Gli altri sanno già tutto?”

“Ho chiamato Xander e Willow. Prenderanno il volo delle 22.30 Buffy…”

“Lo so… avete notizie di-”

“Non so ancora nulla. Ho un aereo per L.A. tra meno di un’ora, ti chiamo appena so qualcosa.”

“Grazie”

“Buffy…”

“Sì?”

“Non dire niente a Down per ora. É inutile che cominci a preoccuparsi in anticipo. Ti ho già prenotato due posti sullo stesso volo di Xander.”

“Ok. Mi tenga informata, mi raccomando…”

“Non preoccuparti.”

Buffy rimise a posto la cornetta con lo sguardo fisso nel vuoto.
Passò a fianco della sorella che la guardava stralunata e cominciò a salire lentamente le scale che portavano in camera sua.

“Buffy?” Down era ferma sui primi gradini con gli occhi sgranati, in attesa di una risposta

“Che cosa è successo?”

La cacciatrice si voltò. E per la prima volta dopo tanto tempo Down fu certa di aver visto gli occhi di sua sorella diventare vuoti e spenti, di fronte al suo sguardo.

“Prepara la tua roba Down. Dobbiamo andare a Los Angeles…”

******

Londra, 16 maggio 2004

L’osservatore appoggiò il ricevitore del telefono su una spalla e cominciò a sfogliare con aria distante un vecchio volume.

“É una situazione delicata”

“Lo so…” la voce dell’uomo, all’altro capo del filo, tradiva una certa insicurezza.

“Vincent…”

“Sì?”

Giles era turbato. Non aveva mai sentito Vincent Claidfort così preoccupato. E sapeva che di solito non era uno che cedeva agli allarmismi.

“Cosa faremo se non funzionerà…?”

“Non lo so... ma intanto dobbiamo capire cosa possiamo fare.
Buffy deve sapere.
Le diremo tutto, non appena arriverà a Los Angeles”

“E…se rifiutasse?”

Ecco. Quella sì che era una bella domanda…

Vincent si riportò il sigaro alle labbra aspirando un’intensa boccata di fumo.
Lo distendeva.
Fumare.
Non le sigarette, ovviamente! No, lasciava quel tabacco da pochi soldi mischiato con ogni sorta di schifezze a quelli che non avevano altra aspirazione nella vita che rovinarsi i polmoni prematuramente e in modo duraturo! Ma il vero tabacco… c’era ben poco che potesse reggere il confronto…
Ma purtroppo fumare non rispondeva alla domanda di Giles.
Sfogliò con noncuranza il vecchio libro ingiallito. Le pagine delicate seguivano le sue dita foglio dopo foglio, fino a che i suoi occhi non caddero su un’illustrazione a china di un nero molto intenso.

“Ho dedicato la mia vita a cercare questo rituale Rupert. Ti porterò quello che ho non appena ci vediamo a L.A.” tagliò corto. Era inutile mettere il carro davanti ai buoi. Giles parve capire.

“Perfetto” disse solo.

“Ah, Giles!”

“Sì?”

“Spero che Angel sia ancora vivo. Abbiamo bisogno di un vampiro per completare il tutto”

“Ok. Serve qualcos’altro?”

“La Lama di Tékal…”

Giles aggrottò la fronte pensieroso.

"Non l'ho mai sentita. Sei sicuro di aver tradotto bene?"

“Ti prego Rupert! Sono stato il tuo insegnante di babilonese per oltre quattro anni!”

"Ok. Altro?"

"Un pendente di Giava, ma questo credo di sapere dove trovarlo. E una strega."

“Ovviamente.”

“Perfetto. Allora a presto Rupert.”

“Buon lavoro, Vincent…”


[FINE CAPITOLO 3]



Nota autrice: innanzitutto volevo ringraziare chiunque abbia letto e/o commentato la storia. Sono davvero contenta che recensiate, le vostre parole mi fanno davvero piacere quindi grazie di cuore!! Ok, e ora, che ve ne pare? Continuo a postare? Un bacio!
  
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