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Autore: Claudia    20/02/2007    12 recensioni
Dopo il proprio matrimonio con l'ultimo discendente dei Malfoy, Ginevra Weasley abbandona i propri affetti ed i propri cari per vivere la sua vita a fianco del consorte. Completamente emarginata dalla propria famiglia, Ginevra conduce una nuova esistenza tanto che la povertà così rinomata dei suo familiari è ormai un lontano ricordo. Tuttavia, il presente è pronto a portare alla luce vecchi ricordi dimenticati e molto spesso, tutt'altro che belli. [Capitoli revisionati]
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Weasley, Ginny Weasley, Hermione Granger | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Note dell'autrice (aggiornate al 27 ottobre 2007). Se state leggendo questo piccolo trafiletto, significa che o siete lettori di vecchia data o siete lettori nuovi. In ogni caso, ho deciso di riprendere Anatema dall'inizio. Ultimamente non sono una fan-writer molto produttiva; avrei diverse idee per diverse fanfiction ma tutto rimane bloccato nei recessi della mia mente. Quindi, per poter "curare" questo mio blocco, ho deciso di tentare di portare avanti (e possibilmente concludere) questa storia... sia perchè un po' ve lo devo, sia perchè è una delle prime storie serie su Harry Potter a cui sono molto affezionata. Gli eventuali commenti che lascerete, sia critici (ma costruttivi ed educati) che non, saranno largamente apprezzati dal momento che verranno interpretati dalla sottoscritta come un tentativo di sprono al miglioramento. Concludo, con il cuore in mano, nella speranza di poter scrivere la parola 'fine' a tutto questo.

Claudia

 

 

 

Capitolo 1

Visita a Diagonalley

Le strade di Diagonalley erano in fermento. Schiere di ragazzi vocianti camminavano frettolosamente, entrando dentro i negozi di magia che incorniciavano i bordi delle vie. I genitori ansimavano al loro seguito e trascinavano con loro i bambini più piccoli per iniziarli a quel mondo ed a quella atmosfera frenetica propria di quel periodo dell'anno. Come sempre, anno dopo anno, era di nuovo giunto il tanto atteso-odiato ritorno a scuola. I ragazzi più grandi camminavano sicuri con un sorriso spavaldo dipinto sulle labbra; le matricole seguivano meste i genitori con occhi sgranati per lo stupore e per la paura di perdersi in quelle strade affollate.

Mentre camminava, avvolta nel suo mantello nero, pensò con molta nostalgia al suo primo giorno di scuola. Non riusciva ancora a credere che il suo comportamento era stato esattamente come quello dei bambini, atterriti, spaesati e paurosi. Ma in fondo, Hogwarts rappresentava un'incognita per tutte le età. Nei piccoli rappresentava quell'alone di fascino e mistero che trapelava continuamente dai racconti dei fratelli più grandi, e nei grandi richiamava dignità, rispetto ed ammirazione. Sì, perché Hogwarts rimaneva sempre una scuola perfetta, che iniziava i giovani all'arte magica e permetteva loro di ricoprire cariche importanti al Ministero della Magia.

Davvero una scuola perfetta, pensò prima di essere accidentalmente colpita da un ragazzo che per la fretta non le aveva nemmeno chiesto scusa. Sospirò, capendo benissimo il suo comportamento e prese a camminare diritto per la strada, cercando di prevedere le persone che le sarebbero finite addosso. Il suo sguardo, anche se era in parte oscurato dal cappuccio del suo mantello, scorreva velocemente tutti i negozi di magia che incontrava lungo il suo cammino. Riconobbe il negozio di bacchette, di scope e di animali. Non erano cambiati molto dall'ultima volta che vi aveva messo piede. Ma del resto, a Diagonalley, tutto rimaneva perfettamente uguale. Difficilmente qualcosa cambiava. Ciò che cambiava erano i volti delle persone, dei ragazzi, soprattutto, che ogni anno frequentavano Hogwarts.

Abbandonò la propria nostalgia giovanile, quando vide un edificio che imponente si stagliava in fondo alla strada che stava percorrendo. Le pietre che formavano e sorreggevano l'edificio sporgevano fuori e non seguivano alcuna logica di costruzione. Le finestre erano caratterizzate da grandi archetti più o meno decorati, che colmavano l'edificio di un'aria ancora più spettrale e, laddove l'edificio mostrava i propri angoli, enormi gargoyles di pietra si protendevano minacciosi verso la strada. Quella era la Gringott, la banca di Diagonalley. Leggende, forse, comunque molto vicine all'essere vere, narravano che la Gringott ospitava tesori di ogni genere nei propri sotterranei. Tesori immensi, gioielli, e perfino corone che il mondo aveva creduto per secoli perdute. Un luogo che non poteva essere profanato molto facilmente. La Gringott era sicuramente il posto più sicuro che esisteva sull'intero pianeta, e proprio per questo, quelle poche volte in cui era stato profanato, l'opinione pubblica aveva destato grande preoccupazione. Ma ciò non succedeva da molti anni, dopo che Voi-sapete-chi era scomparso definitivamente.

Sorrise alla sua ostinazione di chiamare Voldermort in quel modo. Per anni aveva smesso di pronunciare quelle sillabe che molto spesso venivano accompagnate da tremori e brividi improvvisi.

Suonò il campanello della Gringott, mostrando un esile mano con dita affusolate. Chi vi entrava per la prima volta non poteva non essere sorpreso, ed osservò con attenzione i volti di molti bambini che fissavano il soffitto a bocca spalancata. La volta dell'edificio mutava forma ad ogni battito di ciglia, mostrando un gioco di luci e di immagini che solo a Hogwarts era possibile osservare. Ricordava il soffitto della Sala Grande: ognuno vedeva ciò che il suo animo era propenso a vedere.

Tornando alla Gringott, se in alto la visione era magnifica, in basso non si poteva dire altrettanto. Ad ogni banco sedevano piccoli elfi e gnomi, dai panni sporchi, anche se eleganti che muovevano le mani lunghe e affusolate, guardando con diffidenza ogni persona che stava loro davanti.

Proprio come stavano osservando lei. Non aveva mai sopportato quello sguardo untuoso e languido che ogni volta le veniva rivolto. I piccoli occhi sparuti dello gnomo la osservarono, scrutandola nel profondo. Sarà il mantello, aveva pensato. In quella banca le persone vestite di lunghi mantelli neri non andavano molto a genio.

"Camera 317, grazie." Da una tasca sfilò una chiave dorata, porgendola allo gnomo.

Si scoprì il capo liberando molte ciocche di capelli che le ricaddero senz'ordine sulle spalle. I suoi occhi castani fissarono con durezza il piccolo essere, che, avendo riconosciuto la propria cliente, prese la chiave e la esaminò attentamente. Dopo di che, fece cenno ad un suo simile di farsi avanti e gli porse la chiave.

"317." Bofonchiò.

Il nuovo arrivato fece cenno alla donna di seguirlo. Giunti alla piccola carrozza, la donna si sedette mentre lo gnomo rimise con cura la corda al suo posto.

"Mi tenga questa, prego."

La donna afferrò la piccola lanterna che emanava una luce tremolante e solo allora notò gli occhi acquosi dell'essere che la stava accompagnando. Aveva sempre creduto che quella vita non doveva essere certo una delle migliori. Il fatto era che nessuno la voleva fare, quindi erano soprattutto gnomi ed elfi che correvano il rischio... anche se, in fondo, quelle creature erano le più adatte per vivere in certi ambienti. Infatti la Gringott ospitava i propri tesori nei sotterranei e lì, l'aria non era molto salutare. Mano a mano che la piccola carrozza strideva sui binari, la donna osservò le porte di ogni camera. Un groviglio di meccanismi impedivano a chiunque di penetrarvi. Quando lesse il numero 300 su una porta, capì di essere quasi giunta a destinazione. La carrozza, così come era partita, si arrestò, emanando scintille dalle piccole ruote.

"Prego."

Lo gnomo aveva aperto il piccolo sportello, permettendo alla donna di scendere e di attendere da una parte.

"Mi faccia luce, grazie."

La donna sollevò la lanterna illuminando la grande serratura della 317. Non aveva mai capito il motivo, ma la porta della 317 era diversa da tutte le altre. Era dotata di numerosi meccanismi che presero a scattare nel momento stesso in cui il piccolo gnomo girò la chiave nella serratura. Per un ultimo secondo, fissò la decorazione della porta che racchiudeva quelle tre cifre di identificazione ed osservò lo stemma della famiglia a cui apparteneva.

"Prego, entri. Io l' attendo fuori."

Fece un inchino tanto profondo che quasi toccò con la testa il pavimento. Le sembrava rivoltoso il modo in cui quegli esseri sapevano essere tanto viscidi, quando capivano a quale famiglia tu appartenessi. Osservò la stanza. Molti anni fa avrebbe spalancato occhi e bocca nel vedere quanto denaro e quanta ricchezza quella stanza contenesse; ma con gli anni aveva perso completamente l'interesse. Forse era stata viziata, ma comunque il denaro non era diventato più un problema per lei. In fondo... aveva smesso di apprezzarlo. Fece un passo in avanti e scrutò con attenzione la stanza. Con la coda degli occhi vide il piccolo gnomo che la osservava curioso. Bastò un solo gesto della mano e il piccolo essere si allontanò all'istante.

"Stupidi gnomi."

Prese a cercare con gli occhi ciò che realmente voleva. In un angolo della stanza un pezzo di stoffa giaceva su una sedia. Si sorprese di trovare quell'oggetto, apparentemente insignificante, ma ne fu felice, in quanto era proprio ciò che andava cercando da molto tempo. Fin dall'inizio non aveva riposto molte speranze nel ritrovarlo. Era convinta che lui in qualche modo se ne fosse sbarazzato. E invece, per sua fortuna era rimasto ancora intatto. Posò un lembo di stoffa sopra il proprio braccio e con grande gioia, vide il proprio arto diventare invisibile. Si, l'ho trovato... non ci sono dubbi, e sorrise a se stessa. Con un gesto veloce della mano prese alcune monete e le infilò insieme alla stoffa sotto al proprio mantello. Quando uscì, lo gnomo si precipitò a chiudere la porta. Tornata nella sala principale, dopo esser stata salutata da centinaia di riverenze, un piccolo gnomo, con un grande occhio di vetro si avvicinò alla donna tirandole un lembo del mantello.

"Buongiorno, signor Wirsung."

"Buongiorno a lei."

La donna sorrise, un sorriso molto forzato. Le sue mani, poste sotto al mantello, strinsero inconsapevolemente la stoffa che aveva prelevato dalla 317.

"É venuta a prelevare... immagino."

"Sì, esatto."

Da molto tempo aveva cercato di essere diffidente con molte persone. In particolare con il Signor Wirsung. L'aveva conosciuto durante una ricorrenza molto particolare e non le era mai rimasto molto simpatico. Forse, proprio perché era il direttore della Gringott. Per questo, in sua presenza e durante le loro brevi conversazioni, cercava di dare meno spiegazioni possibili.

"La ringrazio per essersi servita da noi, Signora Malfoy."

"Niente."

La donna non attese che il signor Wirsung si sollevasse dal proprio inchino e andò diritto verso la porta principale. Per quel giorno ne aveva avuto abbastanza.

Quando uscì fuori dalla banca, un rantolo di vento le sollevò il mantello. Osservò con gli occhi il cielo grigio di Diagonalley, mentre piccoli schizzi d'acqua presero a scendere da quelle nubi poco rassicuranti. Si portò di nuovo il cappuccio sugli occhi e prese a camminare nella direzione da cui era venuta. Intanto il resto delle persone, camminava se non addirittura, correva, cercando un rifugio e un riparo dal temporale che sembrava imminente. Nel giro di pochi minuti, quelle strade, prima così affollate, si erano fatte completamente deserte. Alla fine, decise di accostarsi ad una grande vetrina che offriva un poco di spazio per riparsi dalla pioggia. Con le spalle al vetro, riuscì comunque a riconoscere il negozio a cui quella vetrina apparteneva. Decise di entrare, e come di consueto, dalla porta provenne un dolce tintinnio che richiamò una donna al bancone.

La donna sulle prime non riconobbe la figura, e per molte volte si sistemò gli occhiali sopra il naso appuntito. Non era molto alta, ma sicuramente era molto magra. E la tunica nera che indossava parlava da sola e mostrava a chiare lettere che la proprietaria del negozio era stata, a suo tempo, un eccellente strega. Quando la cliente si tolse il cappuccio, la donna occhialuta fece uno dei suoi più larghi sorrisi, mostrando molte protesi d'argento che sostituivano i suoi denti originali.

"Signorina!"

"Signora Moebius... è un piacere incontrarla di nuovo."

"Oh, forse mi dovrei correggere."

La donna sorrise e scosse la testa.

"Non si preoccupi, in fondo... a me va bene anche così."

"Ma che dici mia cara, appartieni ora ad una grande casata! Devi essere fiera del nome che porti! Ginevra Weasley Malfoy!"

La donna, leggermente imbarazzata, fece cenno alla strega di abbassare il tono della voce, e guardandosi intorno sperò che nessuno l'avesse sentita.

"Non ti preoccupare, qui dentro siamo solo io e te."

Ginevra osservò gli scaffali del locale, pieni di pentole magiche e di oggetti dalle forme più svariate. Da piccola era il suo negozio preferito. Molto spesso i suoi fratelli la prendevano in giro, in quanto era un negozio da femminucce. Ma in fondo, era una bambina ed era giusto che fosse così. Ogni volta che varcava la soglia, si sentiva come a casa. Forse perché aveva preso in simpatia la Signora Moebius, che tutti i suoi fratelli consideravano come una pazza psicopatica in vena solo di chiacchiere e quant'altro.

"Sai, Ginevra, fin dal momento che entrasti in questo negozio mi piacesti subito. Eri una bambina molto sveglia e non sembravi certo terrorizzata dal pensiero di andare ad Hogwarts..."

"Sì ed ero anche bruttina, per non dire quasi rachitica."

La vecchia strega sorrise e si sistemò di nuovo le lenti.

"Piccola mia, le cose piccole e brutte sono sempre le più affascinanti. A volte vengono lasciate in disparte, ma hanno sicuramente maggior valore. E tu ne sei un esempio. Quella che i miei occhi vedono è una bella donna, nel fiore della sua vita. Le persone cambiano piccola Ginevra."

Piccola Ginevra, ripetè dentro di sè la donna. Era da molto che le sue orecchie non udivano tale appellativo.

"Dimmi, bambina mia...Sei felice?"

Ginevra fece un cenno del capo in segno d'assenso. Sì, era felice. Anche se per avere quella felicità aveva sacrificato molte cose importanti nella sua vita, prima fra tutte, la sua famiglia. Sua madre, suo padre e i suoi fratelli. Non li aveva più visti dopo il suo ultimo anno ad Hogwarts, per il semplice motivo che la loro unica figlia si era innamorata dell'uomo che mai avrebbe dovuto condividere il suo letto. Un uomo forte, quanto lo stemma della casata che portava cucito al petto. Draco Malfoy, indubbiamente, non era l'ideale marito che la signora Weasley aveva visto per sua figlia. Malvagio, subdolo, sempre pronto ad avere tutto con ogni mezzo. Ma la vita era sua, le era stato detto. Libera di sceglierla. E lei lo aveva fatto. Aveva rinunciato a loro, per stare con lui.

A tutti coloro che le domandavano, con stupore, quali fossero le qualità del marito, lei non rispondeva. E nella mente di tali persone si alimentava l'immagine che tutti avevano dei Malfoy. Suo marito aveva delle qualità. Ma era inutile sprecare il fiato con persone che non le avrebbero mai creduto. Forse era sciocco da parte sua, ma adorava la malvagità del marito. Ciò non voleva certo dire che l'approvasse. Eppure, quelle parole velenose che spesso rivolgeva agli altri, l'affascinavano. Il suo modo di fare, sbrigativo e freddo, l'affascinava. Ma ciò che adorava in lui era la sua dignità. La dignità con la quale rendeva i Malfoy una delle famiglie più potenti. La dignità che gli impediva di abbassarsi al livello delle altre persone. Orgoglio, puro e semplice orgoglio di casta. E solo due volte, quell'orgoglio era stato messo da parte: il giorno stesso che gli aveva confessato d'amarla e quando l'aveva sposata.

Le qualità di Draco Malfoy erano esattamente quelle che facevano di lui un Malfoy. E lei, Ginevra Malfoy, riservava solo per sè l'immagine del marito quando stava con lei. Draco non era certo uno dei mariti più affettuosi, ma non le aveva mai fatto mancare niente, nè amore nè denaro. Era forse l'unica che trattava con rispetto. Era l'unica da cui poteva essere rimproverato. Era l'unica, che in un certo senso viziava.

"Non deve essere molto semplice essere una Malfoy..."

La strega prese una bacchetta e con un breve schiocco, comparvero un servizio da the sul bancone del negozio.

"Basta abituarsi agli sguardi della gente e convincersi che dietro alle loro reverenze ti temono. Ho capito che essere una Malfoy, significa non abbassarsi mai al livello di nessuno. Forse, molta gente ci considera persone tanto potenti quanto malvage. Non credo sia vero... bisogna solo mandare avanti la tradizione."

La 'tradizione'. Il solo pensiero, anni fa, l'avrebbe disgustata tanto quanto era disgustoso Malfoy ai suoi occhi. E non esagerava nel dire che lei, suo marito, l'aveva odiato. Quelle qualità che amava, un tempo le disprezzava. Forse perché era una Weasley, forse perché era l'opinione di tutti. Tutte le volte che si incontravano in corridoio volavano insulti. Erano davvero gli opposti di una stessa medaglia. Ognuno viveva la propria vita, affrontando come meglio poteva i propri problemi, escludendo a priori fatti o persone che li circondavano. E, naturalmente, l'ultimo anno era stato un capovolgimento totale.

"Comunque, a volte potresti mettere in riga tuo marito."

Ginevra sorseggiò un po' la bevanda che le era stata offerta, e sorrise. Come se non c'avesse provato.

"Credetemi... cercare di convincerlo a fare qualcosa che non vuole fare... bhè peggiora la situazione. Si dimostra ancora più spietato per farmi dispetto."

"É davvero una relazione interessante la vostra."

Stando accanto ad un Malfoy, Ginevra aveva notevolmente aperto gli occhi. Era sempre rimasta salda ai suoi principi, però in parte capiva ed accettava quelli del marito. E, in effetti, la loro relazione, agli occhi degli altri, era davvero interessante. Due persone tanto opposte continuavano ad amarsi. A volte nemmeno lei riusciva a crederci e in passato, sarebbe stata la prima a scartare l'ipotesi di condividere la propria vita con una persona tanto diversa. Sinceramente, l'amore che univa lei a Malfoy, non lo capiva. Ma era bello proprio perché irrazionale. E inoltre essere la moglie di Draco Malfoy aveva i suoi vantaggi. Innanzitutto eludeva le code nei grandi magazzini, la gente che la vedeva un po' si impauriva e per non fare torto al marito la lasciava passare. E in tante altre occasioni l'influenza dei Malfoy sull'opinione pubblica l'aveva notevolmente favorita. Fece una piccola risata tra sè e sè. La strega Moebius sorrise e posò la propria tazza da the.

"Però sono molto più serena. Ti vedo davvero felice...l'ultima volta che mi hai fatto visita non sembrava."

Ginevra ricordò la volta in questione.

"Vede, anche se sono felice, a volte i piccoli screzi possono comunque nascere. E quella volta cercai di imporre qualcosa a Draco... ma non ricordo bene cosa."

L'aria pensierosa di Ginevra ed anche il modo in cui aveva pronunciato tanto familiarmente il nome del marito, fecero sorridere la vecchia strega. Nessuno aveva mai chiamato per nome quell'uomo. Oh, qualcuno lo faceva sicuramente. E quel qualcuno era certo Ginevra Malfoy.

"Sai, quando vidi tuo marito entrare qui per la prima volta lo considerai un essere ripugnante."

La giovane donna arrossì vistosamente. A volte si vergognava dei comportamenti passati del marito e spesso si scusava, anche se lei, in fondo, non c'entrava poi molto. Draco, certo, non poteva esser considerato un ragazzo 'normale'. Portava sulle proprie spalle il fardello della famiglia Malfoy. Non lo voleva certo scusare, ma forse i suoi atti non erano sempre tutti ingiustificati.

"E poi con quell' Harry Potter è sempre stata guerra aperta."

La presa della tazzina si allentò per un secondo o due, il suo udito era rimasto comunque sensibile al nome di Harry.

"Mi spiace che quel caro ragazzo abbia fatto quella fine..."

Già, pensò tra sè Ginevra. Harry era morto. O per lo meno, questo lo credevano tutti. A lei, invece, piaceva sperare il contrario. In fondo, non esistevano prove che portassero alla conclusione certa della morte. Sembrava che Harry fosse sparito, più che morto. Si ricordò il giorno in cui aveva letto la notizia sulla Gazzetta del Profeta. O meglio, era stato Draco a mostrargli l'articolo gettandole il giornale sul tavolo. Tò, ecco la fine che ha fatto il tuo idolo. Non era stata molto felice per quella frase detta, e lui lo capì perfettamente dallo sguardo che gli aveva rivolto. Non chiese scusa, non lo aveva mai fatto, se ne andò semplicemente, chiudendo la porta. Non pianse, le lacrime giunsero solo qualche giorno dopo... mentre leggeva le sue riviste, mentre camminava nei corridoi di quella imponente casa. Aveva fatto di tutto per nascondere quelle lacrime a Draco, ma sapeva che non c'era completamente riuscita.

"É sempre stata una bella persona, ho avuto la fortuna di poterla conoscere."

Entrambe annuirono e tornarono alle loro tazze.

"Dimmi Ginevra, come mai sei da queste parti?"

La donna sorrise, osservando il proprio mantello appesso a una parete.

"Sono andata alla Gringott a prelevare un caro e vecchio ricordo."

Quel pezzo di stoffa che aveva nascosto dagli occhi curiosi dello gnomo, altri non era che il Mantello dell'Invisibilità. Il Mantello di Harry Potter. Non voleva specificare quale fosse il caro e vecchio ricordo, perché avrebbe dovuto raccontare quali fossero state le circostanze che avevano portato quel mantello nei forzieri della famiglia Malfoy.

Quel caro e vecchio ricordo concluse la discussione, in quanto una piccola luce all'interno del negozio materializzò un elfo, uno dei tanti servitori della famiglia Malfoy. Anche questo piccolo essere, come pensò poi Ginevra, non era molto differente dagli elfi e dagli gnomi della Gringott. Prima che l'elfo potesse riportare il messaggio del padrone, la donna rivolse un sorriso alla strega.

"A quanto pare, mi sono venuti a cercare. Mi ha fatto molto piacere parlare con lei."

"Anche a me ha fatto piacere rivederti, Ginevra. Mi raccomando, continua ad essere felice. E non far arrabbiare tuo marito! Sarebbe capace di rifarsela su tutti noi."

Ginevra rise sommessamente portandosi la mano alla bocca. La strega Moebius la guardò soddisfatta: era diventata una vera signora. Pacata, tranquilla e molto intelligente. Molte persone amavano spettegolare sul fatto che poteva essere lei a consigliare il marito in ogni questione che lo riguardasse. Anche se Ginevra non condivideva molto spesso l'ideologia della famiglia a cui apparteneva. Era una donna a cui tutti portavano rispetto, sia perché moglie di Draco Malfoy, sia perché donna dotata di grande intelligenza e gentilezza.

Ginevra afferrò il mantello e se lo avvolse intorno alla sua persona. Salutò la Signora Moebius ed uscì fuori dal negozio affiancata dal piccolo elfo. L'aria era rarefatta ed umida, ma aveva smesso di piovere del tutto. Le ultime gocce cadevano dai tetti e dalle grondaie dei negozi. La donna si inginocchiò all'altezza del suo elfo, causando sgomento in quest'ultimo.

"Si-signora lei non d-deve..."

"Tranquillo Pluff, mio marito non c'è."

Per anni, la famiglia Malfoy era stata servita dagli elfi. Vi era un vera e propria discendenza. Pluff era invece un elfo che Ginevra aveva raccolto ai margini della strada, offrendogli di servire lei e la sua famiglia. Il povero elfo aveva subito accettato e da un anno serviva i suoi padroni, mostrando verso la donna profondo rispetto e gratitudine. E nei Malfoy vigeva una regola ancora fortemente ancorata. Non bisognava mai mostrarsi accondiscendenti nei confronti dei servi. Una regola che Ginevra seguiva molto spesso, essendo una specie di etichetta, una regola che infrangeva completamente con Pluff.

"I-il padrone l-la vuole su-subito a casa..."

"Bene, Pluff, dì al signore che devo andare ancora da una parte."

"Ma, m-ma mi pu-punirà..."

"Digli che se mai dovesse punirti, potrà scordarsi di trascorrere le notti nel 'mio' letto."

L'elfo annuì, ancora molto timoroso. Le punizioni di Draco Malfoy erano molto dure e, soprattutto, molto dolorose. L'elfo scomparve e Ginevra imboccò una piccola strada. Era venuta a Diagonalley per la Gringott, ma non abbandonava mai quella città senza andare in un posto a lei molto caro.

  
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