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Autore: imber    07/08/2012    5 recensioni
{Katniss&Peeta: cosa accade dopo l’ultimo capitolo di Mockingjay}
“Incubi. Credevo di essere riuscita finalmente a sfuggirgli, nascondendomi negli abbracci di Peeta. Rifugiandomi nei suoi baci, nelle parole che sembra non essere mai stanco di sussurrare al mio orecchio fino a quando non è certo che io stia dormendo.
Forse mi ero semplicemente illusa di poter negare l’evidenza. Perché quando lui non c’è, la realtà è il peggiore dei miei incubi.”
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Incubi
 


Per te, anche se non lo saprai mai.
Tu sei il mio sogno nell’incubo.

 
 
 
 
Il tepore del letto è tutto ciò che in questo momento mi trattiene da una crisi.
Stringo forte un lembo del lenzuolo tra le dita. Ha ancora il suo profumo. È l’aroma del pane caldo e dorato, il tramonto che si tinge di arancio screziato di rosa, ma anche la pioggia che bagna il terriccio e il sapore salato dei nostri baci nell’arena.
E allora perché Peeta non è qui? Dove sono le sue braccia, che dovrebbero stringermi a lui e cullarmi nel dolce silenzio della notte mentre tutto dentro di me sembra continuare ad urlare?
Mi alzo. Una rapida ispezione della stanza conferma ciò che avevo già iniziato a temere. Ciò che a dire il vero avrei preferito fosse soltanto un’altra delle allucinazioni causate dall’effetto che gli incubi sembrano avere sulla mia mente.
Incubi.
Credevo di essere riuscita finalmente a sfuggirgli, nascondendomi negli abbracci di Peeta. Rifugiandomi nei suoi baci, nelle parole che sembra non essere mai stanco di sussurrare al mio orecchio fino a quando non è certo che io stia dormendo.
Forse mi ero semplicemente illusa di poter negare l’evidenza. Perché quando lui non c’è, la realtà è il peggiore dei miei incubi.
Peeta, dove sei?
Scarto subito la possibilità che sia uscito di prima mattina a raccogliere le primule. Quell’abitudine è solo una delle tante che condividiamo, ma forse la più importante. Lui sa bene quanto io ci tenga. Non sarebbe mai andato senza di me.
Raccolgo i capelli in una treccia e indosso frettolosamente la camicia che Peeta ha abbandonato sulla sedia la notte precedente. È esageratamente larga per la mia statura, ed è questo il motivo per cui adoro indossarla. Infilo un paio di calzoni aderenti e gli scarponi, e mi preparo ad uscire. Katniss.
Spalanco gli occhi, immobilizzandomi sull’uscio.
Katniss. Katniss...
Il cuore raschia dolorosamente contro la mia gabbia toracica per uscire, in questo momento.
Vorrei tanto che Peeta fosse qui.
Ilprofumo ripugnante di rose che percepisco è reale. Vero o falso?, gli chiederei.
L’angoscia mi stringe lo stomaco in una morsa ferrea. Richiudo la porta e mi volto, pronta ad affrontare qualunque cosa stia tentando di strappare via Peeta da me. Perché sono piuttosto certa che la sua scomparsa sia legata alla voce che - ancora una volta,  nella vita reale -  sussurra il mio nome e striscia lungo la mia schiena.
Ma quando i miei occhi tornano a posarsi sul copriletto sgualcito, sui vestiti accatastati per terra, non rilevano nulla fuori luogo. Anzi, tutto è perfettamente al proprio posto.
Katniss.
“Fatti vedere!”, urlo in preda al panico. Sto per correre verso l’anta dell’armadio, dove io e Peeta abbiamo nascosto arco e frecce, quando sento qualcosa strisciare proprio sotto al letto.
Mi inginocchio, il respiro spezzato. Sollevo un lembo del copriletto che ricade fino al pavimento, e improvvisamente grido di dolore.
Una mano si serra intorno al mio polso, portandomi in basso. Punto con i piedi per terra per non essere trascinata sotto al letto prima di accorgermi che le dita chiuse intorno al mio braccio appartengono a Peeta.
Mi lascio sfuggire un gridolino.
“Peeta?”, poso la mano sul suo polso violaceo.
Che cosa diavolo gli è successo?
Quell’attimo di esitazione mi è inevitabile, non posso farne a meno, eppure Peeta è più svelto di me e sembra rendersi perfettamente conto che la persona che sta trascinando sotto il letto sono io.
La sua compagna, la sua metà. Perché non vuole lasciarmi andare?
“Peeta, fermati, ti prego. Non c’è bisogno di...”, attacco, piuttosto certa che Peeta sia preda degli incubi. Ma le parole mi muoiono in bocca quando con un violento strattone le sue mani corrono dai polsi alla mia gola. E stringono. Stringono.
Quelle stesse mani che molte altre volte prima mi hanno accarezzato nel cuore della notte, scostandomi i capelli dalla fronte madida di sudore. Mani che hanno coccolato la mia schiena e che hanno sfiorato le mie gambe. Mani che si sono suggellate alle mie.
Ma ora la mia guancia preme con violenza sul pavimento freddo, il mio viso è contorto in una smorfia e sento il corpo pressato verso il basso, in una posizione innaturale. Sono piuttosto sicura di essere stesa - o forse dovrei dire schiacciata? - sotto al letto. Vedo due occhi brillare nel buio non troppo distanti da me, e mi chiedo se appartengano davvero a Peeta.
Perché non è possibile. Abbiamo superato da tempo la fase in cui ogni suo singolo impulso gridava di saltarmi addosso e tagliarmi la gola.
I suoi occhi non mi soppesano mai in questo modo, non mi giudicano, vanno oltre l’apparenza. Mi scrutano dentro e capiscono esattamente cosa io voglia.
E ora voglio solo che lui mi lasci andare, voglio poterlo abbracciare e sussurrargli che va tutto bene. Che andrà bene, perché ci sono io con lui. Che non potrei mai lasciarlo, e che supereremo questa crisi insieme. Ma al momento mi è piuttosto difficile parlargli, visto che le sue dita sono serrate intorno al mio collo.
“P-Peeta...”, riesco a bisbigliare mentre sono preda delle convulsioni. Il mio corpo tenta di divincolarsi alla sua presa ferrea, mi tiene ancorata al pavimento mentre le sue ginocchia premono sulla mia schiena, sulla mia spina dorsale. Tento di lottare, e solo in un secondo momento mi rendo conto che la persona contro la quale mi sto dibattendo è Peeta. Non posso davvero pensare di fargli del male. Ma è ciò che lui ora sta facendo a me. E mi chiedo da dove abbia preso tutta quella potenza, perché sono certa che Peeta non sia mai stato più forte.
“Peeta”, mugolo di nuovo, la gabbia toracica pressata contro le piastrelle fredde, il cuore che batte all’impazzata contro il mio petto, quasi volesse schizzarne fuori.
Ma non trovo compassione negli occhi febbricitanti che mi stanno fissando. Al contrario, sembrano trarre piacere da ogni minimo grido che manda il mio corpo. Dalla contrazione dei miei muscoli sotto le sue ginocchia, dal modo in cui mi agito provando a liberarmi.
Un terrore cieco mi afferra le viscere mentre un dubbio si insinua dentro di me.
Questa è davvero la fine?
Sento l’aria abbandonare lentamente i miei polmoni, le dita dei piedi contrarsi.
Peeta non si fermerà, non ne è in grado. Non più.
Il peso di questa consapevolezza mi annebbia la vista. Gli occhi bruciano a causa delle lacrime, la gola è secca e la mia lingua raschia inutilmente contro il palato.
Dunque è così che finisce? Tra tutti i modi possibili in cui ho sempre sognato che sarei stata uccisa, questo è il meno improbabile. Mai avrei immaginato che uno dei miei incubi sarebbe stato messo a punto proprio dalla stessa persona che dormiva accanto a me, nel letto. Che restava sveglio tutta la notte piuttosto che lasciarmi sola.
Non riesco più a vedere niente, ora. Sento la vita scivolare via, lentamente, da ogni singola fibra del mio corpo; dall’ultimo respiro che riesco ad esalare prima che tutto diventi buio. Nessuna luce per me. Solo il buio.
 
 
 
Katniss.
Deglutisco, tendendo ogni muscolo del mio corpo come fossero frecce pronte ad essere scoccate.
Scuoto la testa, non è possibile. Non mi ero mai affidata alla speranza che dopo la morte vi sarebbe stato un luogo migliore per me, un posto in cui riposare in pace. Ma non posso credere che quella voce continui a perseguitarmi anche qui. È questo l’inferno?
Katniss. Katniss!
Urla la voce. E io mi sento schiaffeggiare.
Katniss. Svegliati. Katniss!
Spalanco gli occhi. Perché mai l’inferno assomiglia in un modo così incredibilmente inquietante alla mia camera da letto?
Poi con la coda dell’occhio scorgo qualcos’altro.
Mi immobilizzo, trattenendo il fiato.
Lui è in piedi, sopra di me. No, è steso affianco a me. In ginocchio sul letto. Tiene il mio capo in grembo, e mi accarezza dolcemente i capelli.
Peeta.
“Sì, proprio così. Sono io”, sussurra lui. Mi rendo conto di aver pronunciato il suo nome ad alta voce. “Ti sei svegliata, finalmente.”
Svegliata?
“Credevo che questa volta non ce l’avrei fatta, Katniss”, sussurra Peeta. È rimorso quella nota stonata nella sua voce? Lo vedo chinare il capo, sfuggendo al mio sguardo.
“Che non sarei riuscito a svegliarti”, prosegue lui.
Sgrano gli occhi, lasciandomi sfuggire dalle labbra un sospiro di sollievo, e finalmente capisco.
“Incubi”, sussurro, chiudendo gli occhi per scacciare quell’orribile visione di Peeta che continua a fissarmi imperterrito mentre mi toglie la vita.
“Già. Non ti chiederò di cosa si tratta questa volta, Katniss”, emette un risolino strozzato, “ma sono piuttosto sicuro di averci qualcosa a che fare, giusto?”
Annuisco. “Mi hai ucciso”, mi lascio scappare prima che possa tenere a freno la lingua.
Lo vedo bloccarsi, il suo sguardo s’incupisce.
Perché non potevo semplicemente tenerlo per me?
“Scusa”, mormoro mentre, ancora stesa sulla sua pancia, allungo una mano per spostargli i capelli dal viso. “Non volevo rattristarti”.
“Rattristarmi?”, Peeta sembra incredulo. “Katniss, i tuoi incubi... sono qualcosa che non sarò mai in grado di controllare.”
Attendo, so che c’è dell’altro.
“Posso proteggerti da Capitol City, dalla gente del villaggio, da chiunque tenterà di strapparti via da me. Ma non dai tuoi incubi. Non dai fantasmi del tuo passato.”
“Peeta...”, bisbiglio, perché so che cosa sta per dirmi. Una sensazione strana mi si gonfia in petto. È amore, realizzo qualche istante dopo, mentre Peeta continua a parlarmi.
“Ma posso prometterti una cosa, Katniss. Io tenterò sempre di salvarti. Ti riporterò indietro. Sempre”, ripete. I suoi occhi si incatenano ai miei.
Mi sporgo in avanti, e lui solleva la mia testa con la mano, per facilitarmi il compito. Sento le sue labbra calde schiudersi sotto le mie, il tocco della sua lingua esplodere nella mia bocca come dinamite.
“Lo so”, sussurro semplicemente. Non si aspetta che gli dica quanto lo amo. Mi conosce troppo bene. Nessuno dei due ne ha bisogno, in fondo. È un qualcosa che già sappiamo, che condividiamo da troppo tempo. 
  
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