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Autore: darkronin    08/08/2012    3 recensioni
Sequel di "Il labirinto visto dal castello". Quindi è la mia prima -vera- fic su Labyrinth.
Sono passati esattamente dieci anni dall'avventura nell'Underground.
La vita di Sarah ha subito particolari cambiamenti ma ancora non le sono chiare molte delle cose occorse in passato, specialmente l'atteggiamento di Jareth.
Il decimo anniversario scivolerà via come una giornata tra tante o dobbiamo prepararci a una nuova avventura? Verranno chiariti i punti controversi e le incomprensioni?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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30. Black Shadow




Una risata divertita si propagò nella sua testa mentre le immagini scorrevano veloci in avanti.
“Jareth mi sorprendi...” echeggiò Rajeth, divertito “Che problemi ti poni? Secondo te io cosa ho fatto per tutti e trecento gli anni del tuo regno?” domandò con acredine “Trecento anni di esilio forzato? Ho vissuto in giro per i vari regni, in particolar modo nell'Aboveground. Tu venivi istruito a corte e io, in quanto tuo sostituto, dovevo pur conoscere il mondo con cui, forse, avrei avuto a che fare, un giorno lontano... Tu ti lamenti per qualche mese passato in superficie senza i comfort della magia! La tua ombra si è creato una vita, ha acquisito conoscenze... E quando Sarah ha invocato il re di Goblin... beh... in quel momento tu giacevi infermo privo di conoscenza. Il mio ruolo era solo temporaneo, dovevo adempiere solo al minimo indispensabile. Non ero ancora re a tutti gli effetti, come quando sei stato spedito nell'Aboveground... Avevo i miei impegni... Far comparire la mia auto, quindi, era uno scherzo da ragazzi e narcotizzare gli umani ogni volta che Sarah si recava in ambulatorio ancora più semplice... Forse..” disse facendo il finto tonto che raggiunge l'illuminazione “...ti stai domandando proprio come facessi a sapere quando lei vi si recasse? Quando mi ha convocato, sono rimasto sinceramente sorpreso. Chi può essere il folle che chiama due volte il re di Goblin? La riconobbi subito, nonostante fosse cresciuta e ne rimasi affascinato: lei era riuscita a batterti, era bella come si diceva e... beh... ero curioso di capire che persona potesse essere e direi che, osservandola... da umano ad umana... credo di essermi innamorato di lei... per questo lunghissimo anno l'ho seguita sempre, arrivando quasi a non chiudere mai occhio: l'ho vista crescere e fiorire. Direi di avere quasi più diritto di te, ad averla. Potrei anche proporti un baratto... che ne dici? Ti lascio il regno, in cambio. Ti avviso, se la risposta dovesse essere negativa... preparati ad affrontarmi davvero come un nemico. Non mi farei scrupoli... fratello. Non temere... non pretendo una risposta immediata. Ti lascio ancora un po' di tempo per riflettere...”
Quindi il nastro si interruppe ancora.


Era una calda sera d'estate.
Sarah aspettava impaziente davanti alla solita clinica in un semplice e grazioso abitino di cotone tutto balze e trine. Sembrava più grande, ora... non molti anni prima del loro nuovo incontro.
“Scusa, ci ho messo un po'...” l'aveva salutata Rajeth comparendo dal nulla. Armeggiò un attimo con le chiavi, chiudendo la porta di ingresso.
“Non ti ho sentito arrivare...” rispose la giovane con un sorriso divertito
“Sono magico, io” rispose l'altro di rimando
“Potrei aspettarmi di tutto da te...” fu la risposta sempre più divertita della ragazza.
Andavano tremendamente d'accordo, sembravano davvero amici di vecchia data. E stavano davvero molto bene, assieme.
“Non dire cose di cui potresti pentirti...” la redarguì lui, tra il serio e il faceto
“Ho più paura di quello che credi, di ciò che mi esce di bocca...” rispose lei
Rajeth, chino sulla serratura, le lanciò uno sguardo indecifrabile.
“E ora cosa ho detto?” domandò la ragazza, perplessa
“Meglio che non te lo dica...” rispose lui con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
“Dai...non puoi dirmi così! Ora sono anche più curiosa!” si imbronciò lei, piantando le mani sui fianchi, indispettita “E poi cos'è quella sacca? E' enorme! Dove devi andare?”
“Ma non puoi stare un po' buona e aspettare i tempi della gente?” la folgorò Rajeth esasperato dalla sua curiosità. Lei rise di rimando e lui sbuffò. “E va bene... tanto non te lo posso nascondere a lungo...” bofonchiò chinandosi sulla sacca nera. Aprì la zip con movimento fluido e ne estrasse un fagottino altrettanto scuro “Non so se sei pronta ma...beh...” disse esponendo alla luce del sole morente quanto stringeva in braccio. A terra raggomitolato su se stesso c'era un cucciolo di lupo nero. Le porse il guinzaglio di cuoio “Se lo vuoi... è tuo... mia preziosa...”
Sarah si era inginocchiata a osservare meglio quella piccola cosina nera che si stava svegliando e stiracchiando. Il riflesso degli occhi gialli dell'animale calamitò il suo sguardo. Con la coda dell'occhio notò che la codina aveva preso a spazzare velocemente il terreno. Diede un piccolo abbaio, si mise in piedi, quindi le si arrampicò su per la gamba, saltellando per raggiungere col musino umido la sua faccia.
“Allora?” domandò ancora Rajeth, impaziente e preoccupato “Guarda che altrimenti lo tengo io...”
“Posso davvero?” domandò lei con occhi lucidi
“Beh...credevo che dopo Merlin...” rispose lui
“Certo che lo voglio! E'... è troppo carino!” e così dicendo lo abbracciò d'istinto per strapazzarlo di coccole. Il cucciolo, non ancora abituato a quel tipo di atteggiamento, si divincolò dalla presa, fino a cadere con un tonfo sordo a terra. Si rialzò e abbaiò violentemente, codino a uncino che svettava in cima al sedere, muso e zampe anteriori protese in avanti, quasi a sfidarla.
Rajeth, dopo aver riposto il trasportino nella sua auto, si sedette per terra, aspettando che i due familiarizzassero. Sarah non si fece problemi a buttarsi per terra col cane, carponi, nonostante l'abitino carino.
“Dai...vi accompagno a casa...” disse Rajeth tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi. Si avviarono a piedi verso il quartiere residenziale, fianco a fianco, col cagnetto che già tirava al guinzaglio
“Però poi tu devi tornare da solo...” protestò Sarah, più d'una volta
“Non ti preoccupare” rispose lui con un alzata di spalle “Oggi vado dai miei...”
“Davvero? E abitano in zona?” aveva domandato la ragazza, ignara di tutto
A due passi...” aveva detto ridendo Rajeth e un insulto era passato nella mente di Jareth
“E... lui da dove viene?” domandò la ragazza, dopo qualche metro, indicando il cane
“Oh... un mio... amico... ha avuto la cucciolata... e questo era un po' sotto peso e non potevano tenerlo... sai, la caccia...” disse con fare allusivo.
Allora Jareth si ricordò: poco prima che fosse dimesso e spedito nel mondo umano -i tempi coincidevano alla perfezione- Garmr1, che con i suoi figli presiedeva i confini di tutto l'Underground, aveva figliato ancora una volta. Uno dei cuccioli era sparito, ritenuto troppo debole per sopravvivere. Quindi era stata opera di Rahjeth; lui l'aveva portato nell'Aboveground. Un ragionamento sensato e molto umano: i pochi mesi che avrebbe potuto vivere nel sottosuolo sarebbero stati anni umani, durante i quali avrebbe avuto tutto il tempo di rimettersi in forze.
Stavano camminando tranquillamente in silenzio quando per qualche motivo, Sarah sentì il bisogno di prendere Rajeth per mano. Chinò la testa, visibilmente imbarazzata.
“Grazie” sussurrò “Grazie per tutto...” disse alzando lo sguardo su di lui “..per essermi stato dietro ed esserti preso così cura di una ragazzina tanto problematica...”
“Non sei poi molto più giovane di me..” replicò lui distogliendo lo sguardo in evidente difficoltà
“Ecco... una cosa che non ho mai capito... di che anno sei? Perché quando ci siamo conosciuti, praticavi già...” domandò dubbiosa
“Avevo appena cominciato... ero solo un apprendista sbarbatello fresco fresco della facoltà di medicina... avevo...” esitò, facendo rapidamente due conti. Non riusciva in alcun modo a farli quadrare, quindi improvvisò “Sai... io ero un piccolo genio..”
“Scusa tanto se mi son fatta bocciare!” replicò lei indispettita “E non mi hai ancora risposto...”
“Se ti dicessi che ora ne ho ventisette2?”
Lei si incupì “Sì... sei un piccolo genio...” borbottò.
“Su su...hai appena cominciato l'università e già ti deprimi?” Ridacchiò lui.
Passarono davanti a un locale, dalla cui porta aperta uscivano le note melodiose del live che si svolgeva all'interno. Riconobbe subito la musica arabeggiante e l'interferenza che essa cercava di esercitare: Jareth, consciamente o meno, cercava di riaffiorare nei suoi, di lei, ricordi.
Istintivamente, le strinse la mano: non gliel'avrebbe ceduta così facilmente.
“Cosa c'è?” domandò perplessa la mora, notando il suo comportamento strano

In the shadow of the moon,3
She danced in the starlight
Whispering a haunting tune
To the night...

[All'ombra della luna/lei danzava alla luce delle stelle/sussurrando una melodia incancellabile/ alla notte]

“Reciti ancora di notte, sotto la luna4?” domandò di getto, roso dalla gelosia, dopo aver sentito le prime parole della canzone.
La sentì irrigidirsi “Come...come lo sai...?” aveva gli occhi sbarrati dalla paura

Velvet skirts spun 'round and 'round
Fire in her stare
In the woods without a sound
No one cared...

[Gonne di velluto danzano girando, girando/ il fuoco nel suo sguardo fisso/ nel boschetto privo di suoni/ nessuno se ne interessa]

“Me l'hai raccontato tu una sera... forse eri sbronza... dicesti che era la tua valvola di sfogo...” rispose Rajeth cercando di parare il colpo e ricacciare la gelosia, mentre la pensava abbracciata al fratello “Questa non era la tua preferita?”
Lei accennò una risposta affermativa “Non credevo potesse..interessarti... o che, addirittura, potessi ricordartene...”

Through the darkened fields entranced,
Music made her poor heart dance,
Thinking of a lost romance...
Long ago...

[Attraverso l'entrata dei campi oscuri/ la musica fa danzare il suo cuore/ pensando a un amore perduto/ molto tempo fa]

“Io so tutto di te... molto più di quello che immagini...” le aveva risposto lui dopo un attimo. Le si era avvicinato, spinto a muoversi da quella melodia e da quella voce di sirena che sentiva così familiare e affine.
Si chinò su di lei e la baciò, delicato a fior di labbra, quasi un bacio consolatorio, nulla di possessivo.
Nonostante tutto.
Quando si rese conto di quello che stava facendo, pensò che lei si sarebbe ritratta subito. Invece, con sua grande sorpresa, lei non si era allontanata.

Feeling lonely, feeling sad,
She cried in the moonlight.
Driven by a world gone mad
She took flight...

[Sentendosi sola, sentendosi triste/ lei piangeva alla luce della luna/ Guidata da un mondo ammattito/prese il volo]

Una lacrima, però, le aveva solcato la guancia.
Lui si era scansato immediatamente, sentendosi colpevole. Ma lei l'aveva trattenuto, stringendogli la mano di rimando: non gli permetteva di lasciarla. Si sentì in dovere di rassicurarla e assecondò la canzone. La conosceva fin troppo bene. Ricalcò le parole. Offrendogli se stesso.

"Feel no sorrow, feel no pain,
Feel no hurt, there's nothing gained...
Only love will then remain"
She would say.

[“Non sentire afflizione, pena/ ferite, nulla è garantito... / solo l'amore rimarrà”/ avrebbe voluto dire]

Lei si liberò dalla sua stretta e Rajeth pensò di aver rovinato tutto, di aver passato il segno. Ma le esili e tremanti dita della ragazza lo riagguantarono, andando ad intrecciarsi tra i lunghi capelli scuri. Lo tirò a sé e lo baciò.
La musica in sottofondo scemava verso la fine e loro sembravano essere intrappolati in una bolla insonorizzata e invisibile al mondo.


“Scommetto che la cosa ti infastidisce parecchio” La voce di Rajeth soffiò, improvvisamente, troppo vicina al suo orecchio. “Eravamo una splendida coppietta, non trovi?” disse ancora l'altro, canzonandolo. “Peccato che di lì a poco le cose sarebbero precipitate...”
Così dicendo, il nastro prese ad avvolgersi, nuovamente, a gran velocità. Non si soffermò su nessun dettaglio in particolare e si interruppe quasi subito.
Era il primo pomeriggio di una bella giornata primaverile.
La scena si svolgeva, ancora una volta, in strada al centro di un incrocio dove le lamiere contorte di un paio d'auto sembravano essere spaccature del terreno da cui fosse fuoriuscita la lava sottostante. Tutt'attorno, a mo' di cordone di sicurezza, gazzelle della polizia, camionette dei pompieri e ambulanze. Dietro quella barriera di nastri gialli e neri e di mezzi di soccorso, una grande folla si accalcava, curiosa. Appena oltre il nastro di plastica che delineava il perimetro oltre il quale i civili non potevano avvicinarsi, Sarah avanzava lentamente verso le auto sventrate. A terra diversi teli coprivano altrettanti corpi.
Si chinò, esitante. Prese un gran respiro e quando si sentì pronta, sollevò un lembo di tessuto. Immediatamente girò la testa altrove. Un poliziotto la affiancò, dicendole che non era necessario che lo facesse da sola e tutto in una volta. Ma lei si era subito riscossa e si era diretta verso il secondo corpo che le era stato indicato. Ripeté l'operazione. La reazione fu la medesima anche se riuscì a sostenere la vista della donna morta un po' più a lungo. Coprì di nuovo con cura. Con una calma che non le apparteneva, alzò lo sguardo sull'uomo in divisa e annuì soltanto “Sono loro...”
Una donna la avvicinò e la prese per le spalle, guidandola verso la volante che aspettava con i lampeggianti che giravano a vuoto, senza emettere un sibilo. Sarah fu portata in centrale dove dovette deporre e fornire tutti i dati per il decesso e la tumulazione dei due adulti.
Quei funzionari furono così freddi, sbrigativi...burocratici, da non permettere alla ragazza di elaborare il proprio lutto. Forse, si sarebbe giustificata poi, il suo sangue freddo era determinato dal fatto di non aver assistito alla tragedia in prima persona. Forse, era stata vaccinata dalla morte di Merlin. Ma quei corpi stesi sull'asfalto non le sembravano minimamente quelli dei propri genitori. Erano più simili a bambole di cera, con un colorito così emaciato da far pensare solo a delle bambole abbastanza fedeli ma per niente somiglianti.
Quando uscì dalla centrale, si avviò a casa, meditabonda. Doveva dirlo a Toby e doveva scegliere con cura le parole. Ora sarebbero stati da soli. Loro due e basta. E lei, la più grande, non poteva permettersi il lusso di dare in escandescenze come aveva fatto con Merlin, doveva assorbire con amore tutto il dolore che il fratello avrebbe espresso. Sapeva come ci si sentiva e sapeva di cosa si aveva bisogno in quel momento. Svoltato l'angolo, però, non poté impedirsi di farsi venire un groppo in gola. Forse, aveva realizzato solo in quel momento cosa comportasse realmente tutto quello che era successo. La sua, la loro vita era stravolta. Era vero che non andava a confidarsi con nessuno dei due adulti, ma... se avesse voluto, avrebbe sempre potuto. Ora non avrebbe avuto nessuno a casa che l'aspettasse e le chiedesse come stesse, nessuno da cui, eventualmente, farsi consolare e carezzare la testa. Nessuno con cui prendersela, alzare la voce o sbattere la porta qualora fosse stata irritata.
“Re di Goblin...” biascicò implorante “Aiutami! Aiutami...ti prego...” aveva detto accasciandosi contro un muro e raggomitolandosi su se stessa. Attorno a lei, la vita continuava come nulla fosse accaduto. Nessuno partecipava del suo dolore, nessuno era interessato alla sua sofferenza. Nessuno sembrava minimamente notare una ragazza distrutta sul ciglio della strada. Tutti tiravano dritto, quasi infastiditi da quella scena pietosa.
E nessun essere magico in abiti svolazzanti era comparso dinnanzi a lei.
Nessuno l'avrebbe aiutata. Quella era la vita reale e doveva rimboccarsi le maniche per uscirci: non c'erano scorciatoie fantastiche.
Alzò lo sguardo quando un frusciare di foglie aveva agitato l'albero vicino, quasi sperando che la sua fantasia infantile finalmente si realizzasse. Ma tra i rami, non c'era nessuno.
Chinò la testa, vinta dalla tristezza e dall'abbandono. “Che tu sia maledetto!” sibilò rancorosa. Si rialzò in piedi, cacciò le lacrime e si diresse verso casa.
Quando si fu allontanata, dall'albero si srotolò un lungo pitone nero la cui lingua sferzò l'aria in segno di disapprovazione. Gli occhietti verdi dardeggiarono alla luce del sole, seguendo la direzione imboccata dalla ragazza.
Le immagini mostrarono, quindi, sommariamente, Sarah che tornava a casa e parlava con Toby, lo consolava e lo faceva piangere. Ripresero a scorrere normalmente nel momento in cui si chiuse la porta della camera da letto alle spalle, sul calar del sole.
Lo scampanellio alla porta le fece fare le scale di corsa. Si precipitò alla porta e quando aprì, Rajeth era lì, trafelato. Senza dirle nulla, la abbracciò di slancio, comunicandole tutta la sua solidarietà “Mi dispiace...” le disse all'orecchio “Mi dispiace tanto...”
Lei si tirò indietro, come indebolita da quel contatto. Con occhi lucidi cercò i suoi “Come... come hai fatto a saperlo?”il sospetto e la rabbia la travolsero. Forse era davvero un essere magico. Quella somiglianza non poteva essere casuale. Ma allora perché aveva tardato tanto? Poteva davvero essere lui, sotto mentite spoglie, come aveva pensato anni prima, che giocava a fare l'essere umano? Ma perché essere così crudele, allora? Perché giocare con lei a quel modo?
“La mia radio è sintonizzata con quella delle forze dell'ordine...” disse lui solamente, perplesso dalla sua reazione.
Sentendosi una sciocca, lei si rituffò nel suo abbraccio caldo e protettivo “Perché non c'eri tu, oggi, al posto di quella manica di... di... oddio... erano così freddi... così... non gliene fregava nulla... un morto per loro è come... non è altro che un numero da aggiungere agli archivi...”
“Ti hanno trattata così male?” domandò preoccupato, avanzando in casa sua senza chiederle nemmeno il permesso
“No...quello no...mi hanno offerto anche da bere ma... non capivano...erano come seccati della mia... emotività... io..io...ho cercato di essere il più forte possibile...di...di non scoppiare a piangere..di non ...farmi tremare la voce come adesso...ma....” Non riuscì a dire altro che l'abbraccio di lui la soffocò
“Ecco perché odio gli esseri umani...” ringhiò Rajeth tra sé





1    Diciamo, in soldoni, che Garmr è il corrispettivo norreno di Cerbero

2    La vicenda si svolge, nello specifico, quando Sarah ha 21 anni. Vedo di farvi uno schema di quello che ho io nel cervello.
Ricordo che per conti errati (ma tanto nelle opere di fantasia è sempre così...si usano attori pure vecchi per ruoli di giovincelli) avevo deciso, a inizio della fic, che Jareth (e quindi anche Rajeth) ne abbia una trentina. Sarah -ve lo ricordo- ne ha 25-26.
Dunque, quando morì Merlin, Sarah ne aveva 19. Di conseguenza, Rajeth, al loro primo incontro, deve dire di averne avuti 24. Un piccolo genio potrebbe effettivamente essersi laureato per quell'età.
E cmq è una fic, fatevelo andare bene come ragionamento! XD già lui si è incasinato....perché avendo, in realtà, 300 anni, ciclicamente è costretto a ricominciare da zero il proprio percorso formativo per riuscire a sopravvivere nel mondo umano.

3    Blackmore's Night, Shadow of the moon, 1. Shadow of the moon

4    La cosa casca a fagiolo, dato che nel libro ispirato al film  “al chiar di luna […] sotto le stelle […] la ragazza si allontanò lentamente dagli alberi verso il centro della radura dove luccicava uno specchio d'acqua […] alla luce del crepuscolo






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E direi che con questa, ho chiuso la serie di disgrazie che hanno offuscato il passato di Sarah e Toby.
Ho chiarito anche, una volta per tutte, cosa agitasse Rajeth sin dall'inizio? :) una gran bastardata, lo so. Ma lui, sin dall'inizio, non era minimamente interessato a far del male a Sarah...
Dai...tra un mese sarà tutto finito, promesso!



   
 
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