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Autore: AxXx    08/08/2012    1 recensioni
Zieg, il padre di Dart, protagonista del gioco, combattè insieme ad altri dragoni nella guerra dei draghi 10.000 anni prima della storia di Dart. Cosa accadde in quel periodo? Cosa spinse i dragoni a prendere le armi contro Melbu Frahma? Io cercherò di raccontarlo
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Zieg scappò più veloce che poté. Sapeva che gli alati non avrebbero abbandonato le ricerche. Non di uno che aveva ucciso un alato, specie se quel qualcuno era un umano. Zieg non aveva dubbi su ciò che lo attendeva: lo avrebbero torturato fino a che non avesse avuto più voce per gridare, dopodiché lo avrebbero giustiziato in pubblico, per poi essere destinato alle pene degli inferi a cui gli alati lo avrebbero destinato nella città della morte. Però che cosa poteva fare ora? Non aveva famiglia, nessun amico, nessuna idea di dove andare, non aveva nemmeno la libertà del suicidio: non poteva certo uccidersi, gli alati che controllavano la città dei morti lo avrebbero riconosciuto e lo avrebbero destinato agli inferi. Disperato tentò di ragionare lucidamente, ma la sua testa sembrava ribellarsi, quasi a voler rimanere chiusa nel bozzolo do disperazione che la avvolgeva. Zieg si concentrò allora su un sasso che aveva tre i due piedi e si mise a respirare profondamente nel tentativo di regolare il battito cardiaco. Dopo alcuni minuti riuscì a pensare di nuovo in maniera logica. Tuttavia non c’ erano altre soluzioni: finché rimaneva nel dominio non aveva alcuna possibilità di fuggire. Se solo avesse potuto avere qualche possibilità, l’ avrebbe colta al volo. ‘Devo pensare: c’ è ancora qualche luogo che gli alati non hanno conquistato?’ Si chiese Zieg. La risposta arrivò improvvisa: Gloriano. Il regno governato da Diaz. Era ancora ufficialmente libero, anche se per qualche ragione sconosciuta Melbu Frahma non lo aveva già ridotto in macerie. Zieg però sapeva che si trovava a nord oltre il mare. Lu avrebbe dovuto superare Tiberoa e il confine letale per raggiungere le terre ghiacciate del Nord. Tuttavia non aveva altra scelta e animato da quella piccola speranza si incamminò verso Nord lasciandosi alle spalle la sua vecchia vita. ‘Non importa dove andrò, come vivrò o quando morirò.’ Pensò mentre si avviava lungo un tortuoso sentiero di montagna che si snodava sui monti che dividevano Serdio in due. ‘Io non mi sottometterò più agli alati.’ Questo giurò a se stesso. Giurò a se stesso di non sottomettersi alle bestie che gli avevano portato via la famiglia e che torturavano la sua gente. Non voleva essere un eroe, ne un condottiero, ma voleva essere libero, nei suoi ultimi attimi di vita voleva essere libero. Uccidere quell’ alato lo aveva liberato. Come tutti lui viveva schiacciato dalla paura di quelle creature che nessuno si pensava avrebbe potuto abbattere, ma lui l’ aveva fatto. Aveva sconfitto un alato, e se ne aveva ucciso uno poteva ucciderne anche altri. Ormai deciso si diresse verso i monti più alti.
I giorni passarono veloci: decine di alati setacciavano i monti. Ma Zieg era forte ed agile appena sentiva qualcosa si addentrava nel sottobosco per poi arrampicasi su un albero. Gli alati battevano i sentieri, spinti più dal desiderio di cacciare che di vendicare il loro compagno ucciso. Zieg invece si nascondeva con astuzia e attenzione: assicurandosi di non lasciare niente al caso: copriva meticolosamente i suoi rifugi con fogliame e cespugli, camminava in acqua per non lasciare impronte od odori e non si addormentava fino a che non aveva la certezza di essere al sicuro. Ormai viveva alla stregua di un animale: per non farsi vedere non accendeva il fuoco quindi mangiava carne cruda e beveva acqua contaminata. Tuttavia non aveva rimorsi, la sua vita precedente non era diversa: mangiava poco, beveva poco ed aveva paura. Ma questa volta era lui a decidere di vivere così, non era qualcosa che gli veniva imposto. Passarono i giorni, poi le settimane, poi i mesi, alla fine perse la cognizione del tempo. In due anni aveva raggiunto i monti di Tiberoa: una catena montuosa che divideva il desertico territorio Tiberoano dalle terre dei giganti. Le terre dei giganti erano tutte sotto il controllo degli alati a parte un piccolo territorio dove un gruppo di giganti viveva ancora libero. Zieg aveva passato gli ultimi mesi viaggiando nel deserto di Tiberoa. Aveva ucciso due alati. Il primo era morto al confine tra Serdio e Tiberoa. Quello lo aveva riconosciuto mentre attraversava il confine. Eccitato non aveva pensato che un umano lo avrebbe aggredito, quindi gli voltò le spalle per chiamare i suoi compagni. Ma non fu mai in grado di dire un’ altra parola. Zieg afferrò una freccia, e tenendola in mano come un pugnale la conficcò con tutta la forza nella gola dell’ alato. La bocca del soldato si riempì di sangue ancora prima che lui potesse rendersi conto dell’ accaduto. Rantolò cercando disperatamente di arginare lo scorrere del sangue per qualche secondo, dopodiché cadde a terra morto. Tutto era avvenuto così in fretta che Zieg faticava a crederci: aveva ucciso un altro alato senza che questi potesse fare alcunché per fermarlo. Si sentì euforico mentre correva velocemente verso una formazione rocciosa per evitare che altri alati lo scoprissero. Il secondo però fu diverso. Si trovava vicino ad una tenuta alata. Si era nascosto su un albero perché aveva sentito dei passi nella foresta. Fu con stupore che si rese conto che era stato un bambino a fare quel rumore. Era un bambino alato che con la madre si stava divertendo a svolazzare a pochi centimetri da terra, facendo capriole a mezz’ aria mentre la madre lo guardava con tenerezza. Quello sguardo. A Zieg ricordava sua madre, che lo guardava con la stessa tenera intensità da fargli venire le lacrime agli occhi anche prima che lei morisse. Fu un attimo: un alato maschio si era avvicinato alla donna e al figlio sorridendo, alzò lo sguardo verso il cielo e lo vide. Gli occhi di Zieg e dell’ alato si incontrarono per una frazione di secondi. Zieg fu preso dal panico e si gettò dai cinque metri di albero che lo separavano dal suolo. Fu una fortuna che non si ruppe una caviglia, ma l’ impatto fu comunque doloroso. Non si guardò nemmeno attorno; afferrò il bambino che non si era nemmeno accorto della sua presenza e lo frappose tra lui e l’ alato che stava per lanciare una palla di fuoco contro di lui.  La mano tesa spense il fuoco magico, ma rimase tesa. Questa volta era una preghiera. Zieg fu colto da un ricordo: gli occhi di quell’ alato erano uguali agli occhi di suo padre mentre gli portavano via la figlia per gettarla nell’ arena. Iniziò a sudare freddo, gli tremavano le mani e il suo cervello cominciò a non lavorare in maniera corretta. Era perso in quello sguardo che solo un padre premuroso rivolge all’ aguzzino di suo figlio: disperato, disposta a dare tutto per suo figlio. Zieg si distrasse il bambino gli sfuggì dalle mani e con le sue piccole aluccie luminose tentò di raggiungere la madre che si era messa in ginocchio da un lato con le lacrime agli occhi.
Fu un attimo…
Zieg temette di perdere l’ unica speranza di salvezza e si allungò per afferrare di nuovo il piccolo alato.
 un attimo…
Il padre del piccolo temendo per la vita del figlio estrasse una spada corta e si gettò su Zieg con tutta la forza.
Solo un attimo…
Zieg si abbassò istintivamente evitando la punta della lama ritrovandosi all’ altezza della cintola dell’ alato.
Un attimo indimenticabile…
Zieg estrasse un pugnale fatto con una pietra levigata.
Un attimo terribile…
Zieg piantò il pugnale nel petto dell’ alato uccidendolo sul colpo.
Un attimo troppo orribile per essere dimenticato.
Zieg guardo il corpo dell’ alato a terra poi la madre e il bambino che piangevano accasciati al limite della radura: guardandolo con un misto di odio e paura. Zieg si avvicinò: voleva consolarli, dire che non voleva, che si stava solo difendendo, che gli dispiaceva.
Ma come poteva?
Non era stato tanto più umano di un cane: cosa rendeva lui e Melbu Frahma diversi ora? Ora che aveva separato una famiglia, che aveva ucciso un padre separandolo dall’ amore del figlio.
 Lui non era diverso.
Inorridito fuggì tra gli alberi graffiandosi nei cespugli del sottobosco versando lacrime maledicendosi per il terribile atto commesso. Corse per minuti, ore, forse giorni, ma a lui non importava, si sentiva un mostro, e più che mai sentiva di meritarsi l’ inferno a cui era destinato dopo la morte. Si fermò in una radura dove continuò a piangere fino ad addormentarsi. Il giorno dopo si incamminò di nuovo senza meta. Attraversò per mesi zone desertiche e brulle ripensando a ciò che era successo, quasi desiderando di essere catturato. Ma qualcosa in lui era rimasto, qualcosa che lo spinse a non arrendersi, ad andare avanti. Non sapeva ancora cos’ era, ma per qualche ragione continuò a nascondersi. Era difficile: il corpo e la mente sembravano più pesanti, quasi a volersi ribellare da quella mente che aveva distrutto la felicità di una famiglia. Ma alla fine, nonostante condividesse quest’ odio verso se stesso raggiunse i monti ad est di Tiberoa. Era lì quando si voltò indietro per osservare le pianure desertiche ‘Tornerò mai?’ si chiese quasi malinconico di dover abbandonare quelle terre brulle. Quella sera si accampò presso un boschetto.  Quella sera si rese conto di non sentirsi bene: cominciò a tremare all’ improvviso, si toccò la fronte e si accorse di scottare: ‘Maledizione.’ Pensò con rabbia. ‘non riuscirò mai a superare le montagne ammalato, devo trovare una soluzione.’ Ma non l’ aveva. Tentò di riposare ma la febbre gli impediva di dormire. Cercò allora nello zaino delle erbe medicinali per alleviare il dolore e abbassare la temperatura, ma non le aveva. I giorni passarono molto lentamente, non potendo tornare indietro a causa degli alati che lo stavano cercando continuò ad avanzare tra le montagne. Avanzò a fatica, più andava avanti più freddo faceva, più freddo faceva più la sua temperatura corporea aumentava. Tentò di usare la neve per alleviare il dolore, ma non funzionava. La notte non riusciva a mangiare né a dormire, aveva sempre più sete e la neve non lo dissetava. Di notte veniva preso dalle convulsioni, e a poco a poco cadeva nell’ incoscienza. Fu la quinta mattina di febbre che si svegliò di soprassalto. Era ancora febbricitante, molto, ma a svegliarlo non era stata la febbre, ma il rumore di una battaglia che si stava svolgendo oltre un costone di roccia a non più di qualche centinaio di metri da lui.
 
 
 
OK, non uccidetemi è la mia prima Fanfiction. Forse dovevo provare qualcosa di più semplice, ma scrivere di Zieg mi ispirava, soprattutto di come si fossero conosciuti lui e Rose. Spero che vi piaccia, fate tante recensioni.  
 
 
  
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