«Cosa
gli
è successo?» L’infermiera correva a
perdifiato fra i corridoi del castello,
affiancando la barella che trasportava Hugo. Con una serie di oggetti
magici e
di colpi di bacchetta misurò una serie di parametri, come la
pressione, il
battito cardiaco e la dilatazione delle pupille.
«L’hanno
but.. » James tappò la bocca a Rose prima che
questa potesse finire la frase.
«Un
bolide l’ha colpito ed è caduto dalla
scopa».
«Dev’essere
stato un bel volo, perché ha subito un trauma cranico. E
alcune ossa sono
ridotte in polvere. Dovrò farle evanescere e
ricrescere»
Trauma
cranico.
Ossa in polvere.
Quelle
parole continuarono a martellare nella testa della Weasley come un
tarlo. Non
avrebbe mai pensato che Jodie fosse capace di simili
atrocità. Era una stronza,
quello sì, ma non credeva fosse un’assassina.
Arrivati
in infermeria, l’odore di disinfettante le riempì
le narici fino a provocarle
un conato di vomito.
L’infermiera fece
levitare Hugo dalla barella
ad un letto e, con un colpo di bacchetta, chiuse le tende intorno,
intimando a
tutti di uscire, compresi i parenti. James trascinò fuori
Rose a fatica, intenta
a imprecare contro tutto e tutti, lui compreso: si beccò
perfino una gomitata
fra le costole cercando di impedire che prendesse a calci la porta
dell’infermeria,
chiusa a chiave.
**
Due ore
dopo, le porte dell’infermeria si aprirono.
Rose era
sdraiata sul pavimento, con la testa poggiata in grembo a James che le
accarezzava delicatamente i capelli e non voleva saperne di entrare
nella
stanza. Dopo aver passato quasi due ore a dimenarsi era collassata al
suolo, stremata.
«E’
morto» Continuò a ripetere con un filo di voce,
rannicchiandosi sempre di più.
«L’infermiera
non è uscita a chiamarci, è morto. Giuro che
strapperò gli occhi a Malfoy e
compagnia e li darò in pasto ai troll di montagna. In
seguito appenderò le loro
teste ai lampadari della Sala Grande».
«Non sarò
certo io a fermarti. Entriamo a vedere come sta Hugo, ci
starà aspettando»
James incoraggiò per diversi minuti Rose, finché
non si decide ad alzarsi e ad
entrare.
E infine
lo vide: il corpo ricoperto al settanta per cento da garze, il volto
macchiato
da enormi ematomi viola. Si avvicinò a sfiorare le chiazze
come se potesse
guarirle attraverso il contatto umano.
Poco dopo
l’infermiera entrò per aggiornarli sulle
condizioni del ragazzo: la donna gli
aveva somministrato numerosi medicinali e pozioni, facendolo cadere in
uno
stato di incoscienza perenne, affinché non soffrisse durante
il processo di
guarigione.
L’aveva
definito “coma farmacologico”, un metodo usato dai
babbani, ma ottimizzato con
metodi magici.
Nonostante
l’infermiera fosse stata chiara sul fatto che Hugo non si
sarebbe svegliato
prima di quarantotto ore, lei non aveva accennato a voler lasciare la
stanza,
per paura che si svegliasse e non la vedesse.
**
Nel pomeriggio vi furono diverse
visite: Lily portò una
decina di scatole di gelatine tutti gusti+1 per Hugo, che avrebbe
mangiato
volentieri al risveglio e una tazza di succo di zucca e un muffin per
Rose, che
tuttavia rimasero sul tavolino ai piedi del letto.
Sua madre e suo padre si precipitarono il prima possibile e
passarono due ore con lui, dovendo poi tornare al lavoro, promettendo
di
ritornare il prima possibile.
Diversi amici di Hugo fecero un salto fra una lezione e
l’altra lasciando parte delle loro scorte di dolciumi e
perfino Zabini si
trascinò in quel girone infernale: con una gamba ingessata e
una spalla slogata
nell’intento di proteggere suo fratello, aveva ancora le
forze per sorridere e
preoccuparsi per lei.
Quando infine tutte le visite si esaurirono e iniziò a
credere di poter rimanere da sola con i suoi pensieri, qualcuno busso
alla
porta. Voltandosi per vedere chi fosse riconobbe, nascosto
nell’ombra, suo
cugino Albus.
«Mi
chiedevo quando saresti venuto» Mormorò lei.
«Ho avuto
da fare» Avanzò incespicando verso il letto del
cugino.
«Ha a che
fare con l’occhio nero e la gamba zoppicante?» Non
poté fare a meno di notare
le unghiate e il vistoso segno circolare intorno al suo occhio. Anche
da
diversi metri era possibile distinguere perfettamente il segno delle
nocche
appena più su del sopracciglio.
«Già»
Istintivamente, si coprì il viso con una mano, mostrandole
il profilo meno
sfigurato.
«Non
avrai fatto a botte con Jodie spero. Quelle unghiate sembrano opera
sua». Al
pensiero abbozzò un sorriso. Ma lui non sembrò
dello stesso avviso: i suoi
occhi si rabbuiarono ulteriormente e la sua pelle impallidì
fino a diventare
quasi trasparente.
«Veramente
con Price. Ce l’avevo in pugno, quel verme! Finchè
non è intervenuto il resto
del gruppo. Non fosse stato il resto della squadra sarei
anch’io ospite
dell’infermeria» Mimò la sequenza con
cui aveva steso Price e assestato un paio
di colpi agli altri prima di essere messo k.o. a sua volta.
«Ti farai
espellere» La rossa scosse la testa e sbuffò,
rassegnata.
«Allora
sarò in buona compagnia. Quando si è saputo del
casino al campo di quidditch si
è scatenato l’inferno. Scoppia una rissa ogni
dieci minuti fra Grifondoro e Serpeverde.
E’ caccia alla biscia… senza offesa»
Precisò Albus alzando le mani per coprire
il viso da un eventuale colpo.
Il lieve
sorriso sulle labbra di entrambi fu ricoperto da un velo di gelido
silenzio.
«Rose..io..mi
dispiace per quello che è accaduto nell’aula di
pozioni..» Balbettante, il
Grifondoro non osò guardarla in faccia, preferendo fissare
il cugino
addormentato. Rose gli accarezzò il dorso
della mano, stringendola delicatamente e accennandogli un
sorriso
garbato e comprensivo.
«E’ acqua
passata. E se ti fa stare meglio, anch’io ci ho fatto un
pensierino» Ammiccò
furtivamente, mostrando poi tutti e trentadue i denti n un sorriso
smagliante.
Lui la faceva stare meglio.
Albus le
strinse a sua volta la mano, sospirando. Si era tolto un enorme peso
dalle
spalle, che da giorni non lo faceva dormire.
«Ed ero
bravo?».
«Discreto».
«Come
minimo mi sono meritato un “Oltre Ogni
Previsione”».
«Io direi
più una T di “Troll”».
«Ma
davvero? E tu ti meriteresti una T di t.. » Un cuscino gli
volò in faccia
interrompendo la sua battuta. Pensò di averla offesa, ma
quando se lo tolse
dagli occhi la vide ridere spensierata.
«Chi sei
e che ne hai fatto della temibile Rose Weasley? ».
«Credo di
averla sedata un paio di pillole fa» Gli mostrò un
blister trasparente pieno di
pillole bianche.
«Sono
antidolorifici. L’infermiera ha dimenticato di chiudere
l’armadietto e ne ho
approfittato».
«Pensavo
ci volesse di più di un paio di pillole per renderti
simpatica» La schernì lui.
«Hey! Io
sono sempre simpatica! ».
«Certo,
come l’eventuale prole di Patel e un dissennatore!»
A quel punto Albus
ricevette un pugno su una spalla e un’espressione di falso
odio da parte di
Rose: era bastata un’occhiata perché il suo cuore
perdesse un colpo. Solo la
risata di lei gli fece riacquistare lucidità.
«E non
fare quella faccia da vittima.. » Lei gli cinse le spalle con
un abbraccio,
senza accorgersi del fremito che il contatto con la sua pelle gli aveva
provocato. Continuò invece a ridere di gusto. Ridere per
dimenticare, ridere
per non piangere. Serrò le palpebre e rise finché
non ebbe più fiato e quando
smise, con lo stomaco dolorante per gli spasmi, aprì gli
occhi e trovò davanti
a sé il viso del ragazzo a pochi, impalpabili millimetri.
Il
respiro le si fermò in gola: rimase pietrificata dallo
sguardo abbaglianti del
ragazzo, i suoi occhi color del ghiaccio che la bramavano intensamente.
Albus scambiò
il suo silenzio per un consenso : attirò a sé con
un braccio i fianchi della
ragazza, mentre una mano affondava nei suoi boccoli scomposti.
Rose sospirò
profondamente quando incontrò le sue labbra, calde e
delicate, quasi avessero
paura di farle male, in netto contrasto con le sue, nervose e bramose
di
esplorarlo, di sguazzare dentro di lui fino a rimanerne stremata. Avvampò sempre
più ad ogni tocco, mentre le
dita di lui le provocavano fremiti di piacere in tutto il corpo.
Sentendosi
sicuro, il Grifondoro si avventò con maggior foga sulla
rossa: le mani scesero
velocemente lungo i fianchi, fino ad insinuarsi sotto l’orlo
della divisa, a
sfiorare il suo corpo, così liscio e sodo.
La sua
pelle pallida e fredda bruciò a quel contatto. Fu a quel
punto che, come
scottata, si staccò da lui, frapponendo fra loro un buon
metro di distanza.
Osservò Albus inorridita da quello che stava per accadere in
quella stanza.
Il freddo
invasenuovamente i punti in cui, fino a pochi secondi prima, si erano
posate le
mani di lui.
Si
accarezzò furtivamente le labbra con incredulità,
mentre Albus, avvilito, la guardava
dall’altro lato della stanza.
«Non
possiamo farlo, Albus. Tu..io..noi.. » Questa volta fu lei a
balbettare frasi
insensate sotto lo sguardo imperioso di Albus.
«E’
sbagliato» Sentenziò. Ripudiò con forza
ogni sentimento che cercava di
emergere, trattenendo quello tsunami di emozioni che voleva solamente
riversarsi su di lui, usandolo per dimenticare ogni problema. Avrebbe
potuto,
se non avesse avuto un briciolo di cuore. Ma teneva troppo a lui e non
sapeva
se le sarebbe sopravvissuto, una volta passata la tempesta.
«Non se
lo vuoi anche tu. E so che lo vuoi, l’ho sentito!»
Si accanì contro di lei,
colmando nuovamente la distanza e afferrandole una mano, che lei
ritrasse
subito.
«Non hai
sentito nulla, Albus. Era solo un bacio..».
«Dimmi
che non hai provato quello che ho provato anch’io. Che il
cuore non ha smesso
di battere neanche un secondo, perché non ti
credo».
«E’ stata
una brutta giornata, avevamo entrambi bisogno di calore
umano» E forse era
vero. Guardandolo negli occhi, le sembrò invecchiato di
cent’anni, sotto il
peso dei sentimenti. Sarebbe finito schiacciato se avesse infierito.
«DIMMELO!»
Urlò e il suo eco risuonò a lungo fra le ampie
pareti dell’infermeria.
«Non ho
provato niente» Fu lapidaria e l’unico sentimento
che trapelò dal suo viso fu
l’indifferenza.
«Chiaro.
Certo. Grazie per la sincerità» La voce ridotta d
un sibilo stanco, come se quel
bacio gli avesse risucchiato le energie. Fece dietrofront e, prima di
allontanarsi, ribaltò il tavolo ai piedi del letto di Hugo,
facendo volare via
le scatole di gelatine che si sparsero come un carnevale in festa sul
pavimento. Infine, esausto, marciò fuori dalla stanza, senza
voltarsi mai
indietro.
**
Accovacciata
accanto al letto, il viso nascosto fra le pieghe del lenzuolo madido di
lacrime
di rabbia e sudore, Rose aspettava inerme che il fratello si
svegliasse. Erano
passate ore dall’ultimo contatto umano e quel silenzio
lugubre cominciava a
soffocarla.
Ormai era
notte fonde e nell’infermeria della scuola erano calate le
tenebre, animate
solamente dai respiri lenti e pesanti dei suoi ospiti e dalla flebile
luce di
candele.
Cercò la mano
di Hugo tastando le lenzuola alla cieca, intrecciando le sue dita a
quelle del
fratello, infine si voltò ad osservarlo mentre dormiva
beatamente.
Nonostante
tutto lo invidiava: era in un mondo suo, lontano anni luce da persone
che
potessero fargli più male di quanto già non gli
avessero procurato.
Scrutò
quello strano marchingegno, la flebo, conficcata nel braccio,
rilasciare
liquidi per un tempo lunghissimo e inesorabile.
L’avevano
attaccato a quell’arnese per alimentarlo e di lì a
qualche ora l’infermiere del
turno di notte sarebbe tornato a cambiarla.
Per
l’ennesima volta il suo stomaco brontolò. Avrebbe
avuto bisogno di mangiare
qualcosa, ma non voleva lasciare solo suo fratello. Attese
così che
l’infermiere del turno di notte entrasse in servizio, prima
avviarsi al
passaggio segreto per le cucine.
Attraversò
i corridoi bui evitando quelli principali, camminando sempre
nell’ombra per non
farsi scoprire dal guardiano, un omuncolo che avrebbe urlato
“al fuggiasco”,
fino a svegliare ogni studente nel castello.
Attraversando il quadro di Lord Montgomery si ritrovò a
gironzolare fra le dispense dell’enorme cucina.
Avrebbe potuto mangiare qualunque cosa invece, dopo
un’accurata ispezione del perimetro, si avventò
sull’armadietto del capo chef,
l’unico non elfo ad usufruire di quello spazio, che era
risaputo nascondesse
sempre un paio di bottiglie di liquore.
Scassinò il lucchetto babbano con una forcina per capelli e
tirò fuori la bottiglia di Gin.
«Bingo»
Non era certo la prima volta che rubava dalle scorte dello chef; era
stato lui
a rivelarle, un paio d’anni prima, del suo vizio del bere sul
lavoro.
Si defilò
in una manciata di secondi, il bottino nascosto sotto la maglietta. Una
volta
fuori, scelse, come luogo predestinato al suo imminente collasso, la
torre di
Astronomia.
Lì,
lontana dall’infermeria, dalla sala comune e da docenti e
piantagrane, lasciò
che il baratro prendesse il sopravvento.
**
Boom.
Il rumore
di ferro caduto sul marmo echeggiò per i corridoi.
Il
ragazzo si mosse per i corridoi bui seguendo il tonfo sordo.
«Lumos »
Quello che la luce gli rivelò fu più sconcertante
di quanto potesse pensare. Si
diede un pizzicotto sull’avambraccio per controllare che non
stesse ancora
dormendo.
A terra,
fra i resti di un’armatura smontata, c’era Rose,
che si rigirava fra le mani
quella che doveva essere l’asta della bandiera sostenuta
dall’uomo di latta.
«Albusss!
Sono inciampata e caduta su questa..cosa! Hai avuto paura
vero?» Gli riservò un
sorriso scomposto, come se parte della sua faccia fosse paralizzata.
Si tirò
su goffamente, appendendosi alla parete più vicina, restando
a stento in piedi.
«Che ci
fai qui, a quest’ora di notte? Stai bene?» Nella
sua voce risuonò una nota di
preoccupazione e di ansia trepidante. Che fosse lì per lui?
Non ci sperava.
«Mai
stata meglio! Dai un abbraccione alla tua Rosie!»
Scagliandoglisi addosso perse
l’equilibrio e si abbatté contro di lui,
sbilanciandolo. Albus la sostenne per
miracolo, impedendo ad entrambi di cadere ruzzoloni sul pavimento. La
bacchetta
rotolò ai suoi piedi, lasciando i due nella penombra.
L’odore
di alcol fu la prima cosa che percepì: era così
forte da fargli pizzicare il
naso e gli occhi.
«Puzzi
come una distilleria».
«E’
l’odore dell’infermeria!» Un sorriso
sornione
comparì sul suo viso, certa di averla fatta
franca.
«Non
sapevo che usassero della vodka sui pazienti» La
schernì lui.
«Era Gin,
non vodka. Ma forse non dovevo dirtelo!».
«Come se
facesse differenza» Afferrandola per i fianchi la
issò lentamente su una
spalla, sperando che non vomitasse sulla sua spalla.
«Dove
andiamo?» Cantilenò lei, divincolandosi malamente.
«Ti
riporto al dormitorio».
«Non
voglio andarci..ho sonno! Resta qui con me!»
Biascicò, stringendosi a lui con
braccia e gambe. In ogni caso, come avrebbe fatto a farla entrare nella
sua sala
comune, se non sapeva dove fosse esattamente? Non poteva certo girare a
vuoto,
affidandosi all’istinto di un’ubriaca.
Fu in
quel momento che un lampo di genio lo fulminò:
l’avrebbe portata nella sala
comune dei Grifondoro.
A notte
fonda non se ne sarebbe accorto nessuno.
«Se mi
beccano è la volta buona che vado a dare la caccia agli
gnomi nell’orto di
nonna Molly» Rabbrividì alla sola idea.
«Va bene,
vieni con me» Raccolta la bacchetta e nascosta la bottiglia
di gin, si diresse
furtivamente al suo dormitorio.
«Come mai
sei in giro a quest’ora? Andavi dalla tua ragazza?»
Non voleva dirle che era lì
perché non riusciva a dormire per colpa sua.
«Non ho
una ragazza».
«E
perché? Sei un cosììì bel
ragazzo! Ah, HO CAPITO!» Gridò
all’improvviso, quasi
avesse fatto una grande scoperta.
«Abbassa
la voce, o sveglierai tutti!».
«E’
perché tu mi ami, ma io..ahah..non ti voglio! Come
Darren..lo conosci? Anche
lui è innamorato di me da anni, ma non amo nemmeno lui..lui
non sa che io lo
so, perciò SSSH,è un segreto!» Ecco
spiegato perché si è preso un paio di bolidi in
campo questa mattina pensò.
Le sue
parole furono più dolore si un pugno alla bocca dello
stomaco. Respirò a
fatica, e non per via del peso che doveva trasportare.
Il
tragitto proseguì in un silenzio religioso
finchè, dopo diversi minuti, non
raggiunsero la stanza in cui dormiva Albus. Era vuota: i suoi compagni
di
stanza avrebbero passato la notte a fare baldoria da qualche parte,
rientrando
solamente la mattina seguente.
«Dormi
con me?» Non aspettò una risposta da parte del
cugino: lo trascinò nel letto
con lei e si accoccolò contro di lui.
«Grazie,
Alb» Stampò un bacio sulla sua guancia, che
andò in fiamme. Infine si voltò
dandogli la schiena. Lui l’abbracciò, stringendosi
a lei e posando il naso fra
la sua chioma rossastra che, nonostante tutto, odorava di buono.
«Rose? Di
chi sei innamorata?» Non resistette all’impulso di
chiederglielo.
Troppo tardi:
la ragazza era caduta fra le possenti braccia di Morfeo. E a lui non
resto
altro da fare che mettersi il cuore in pace e chiudere gli occhi.
NOTE:
Ringrazio inoltre recensori, lettori e chi ha aggiunto la storia fra
le-preferite-ricordate-seguite e invito tutti a lasciare un commento al
fine di farmi sapere cosa ne pensate.
Al prossimo capitolo.