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Autore: csgiovanna    08/08/2012    2 recensioni
Jane, Lisbon ed il team dovranno indagare su un inquietante omicidio avvenuto all'interno della Coffin Academy, un istituto che pratica una ambigua e singolare terapia anti-suicidio. Chi ha ucciso Samantha Greenwood, avvocato di grido di Sacramento? Perché Jane si comporta in maniera più strana del solito? Cosa sta nascondendo a Lisbon e alla squadra? FF ambientata durante la 4/a stagione, dopo l'episodio 4x22 e prima dell'episodio Red Rover, Red Rover (4x23)
Genere: Angst, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Eccomi con il secondo capitolo (un po' più lungo del precedente) e finalmente arriva il nostro eroe! ;-) Spero vi piaccia e se avete voglia lasciate una recensione, mi fa sempre piacere conoscere le vostre opinioni. 

 




Novanta minuti ed una trentina di interrogatori più tardi, un taxi si fermò davanti al centro congressi ed uno stanco e scarmigliato Jane scese dal veicolo, allungò alcune banconote all’autista e si avviò verso l’ingresso. Indossava il suo completo tre pezzi gessato, ma la giacca era semplicemente appoggiata sulle spalle. Un tutore, che teneva immobile il braccio sinistro, spuntava da sotto il doppiopetto.

Jane sbuffò, prese il flacone di antidolorifici che gli avevano prescritto in ospedale, ne inghiottì uno, quindi decise di sbarazzarsi del tutore infilandolo nella tasca della giacca. Trasalì per il dolore, ma non si fermò: non aveva tempo, né voglia di dare spiegazioni. Si sentiva piuttosto sciocco in quel momento, oltre che dolorante. Fece mentalmente il conto della sua situazione medica: un paio di costole incrinate, una leggera contusione alla spalla e diversi tagli al braccio sinistro. Sembrava un bollettino di guerra. Ridacchiò tra sé, quindi, con le mani in tasca, avanzò verso il nastro della polizia che delimitava l’ingresso. Mostrò il suo badge all’agente che lo salutò con un cenno, quindi entrò nella hall pressoché deserta. Si mise subito a studiare l’ambiente con attenzione, una porta si aprì davanti a lui ed un paio di uomini uscirono con una barella e il corpo della presunta vittima all’interno di un sacco nero.

«Ehi, state portando via il corpo? Potete aprire il sacco? Dovrei dare un ‘occhiata.»

Patrick mostrò il suo badge e i due uomini si fermarono, si scambiarono uno sguardo dubbioso, quindi il più alto dei due aprì il sacco. Jane studiò la giovane donna: il volto pallido, le labbra perfettamente truccate piegate in un sorriso sereno, i lunghi capelli biondi appena tagliati e tinti, le unghie perfettamente laccate e curate. Non indossava anelli, ma solo un paio di orecchini con brillanti veri. Sotto una tunica gialla orientaleggiante, si intravvedeva un vestito a sottoveste blu elettrico. Si chinò verso il corpo e l’annusò, prese un fazzoletto dalla sua tasca e scostò i lunghi capelli, notò un piccolo e vezzoso tatuaggio sulla clavicola destra vicino alla spalla: una semplice scritta a caratteri orientali. Era stato fatto da poco, la pelle intorno era ancora irritata. Jane ringraziò i due uomini, quindi si diresse dentro alla sala conferenze.

Il consulente piegò la testa di lato incuriosito dalla scena. Una ventina di bare erano distribuite con regolarità nella stanza, gli uomini della scientifica stavano finendo di impacchettare quella che, ipotizzò Jane, doveva aver ospitato la vittima.

«Ehi Jane.» Van Pelt lo raggiunse alle spalle.

«Buongiorno Grace.» le rispose voltandosi appena, tornando rapidamente ad osservare la scena davanti a sé.

«Lisbon è già tornata al CBI con Cho e Rigsby. Era piuttosto arrabbiata – lo informò la rossa studiandone la reazione – Sei sicuro di stare bene? Hai un aspetto orribile.»

Jane sorrise «Mai stato meglio, Grace. – le rispose spostandosi verso la cassa e i tecnici del CSI. – Mai stato meglio.»

Lei si strinse nelle spalle borbottando qualcosa, seguì con lo sguardo il biondo consulente che si avvicinò alla bara, scambiò due parole con gli uomini della scientifica e, come di consueto, iniziò la sua analisi meticolosa: scrutò con calma l’esterno e l’interno della cassa, quindi l’annusò, infine passò agli effetti personali della vittima. Frugò con calma nella borsa, controllando il portafogli e il resto del contenuto. Grace corrugò la fronte, era la sua immaginazione o Jane si muoveva in modo strano? Dopo aver controllato altre tre casse nelle vicinanze e perlustrato il resto della sala, Jane tornò verso Van Pelt. Camminava lentamente, con le mani in tasca.

«Trovato qualcosa?» chiese lei quando la raggiunse.

«Uhm… avrei preferito vedere la scena del crimine intatta.» si lamentò come se il ritardo non fosse dipeso da lui.

Grace sorrise e scosse la testa, in quel momento fu felice che Lisbon fosse già rientrata al quartier generale. Probabilmente gli avrebbe sparato se lo avesse sentito.

«Meh… non esageriamo, avrebbe roteato gli occhi e abbaiato un rimprovero, ma non mi avrebbe sparato.» commentò lui come se le avesse letto nel pensiero.

«Non ci scommetterei. Hai finito qui? – Patrick annuì, quindi la rossa si diresse verso l’uscita, accortasi che Jane non la seguiva si fermò e si voltò verso di lui spazientita – muoviti se vuoi un passaggio.»

«Ci fermiamo da Marie’s?» chiese il biondo con uno sguardo implorante.

«Non c’è tempo. E poi non è sulla strada.»

«Lo sai Grace, la colazione è il pasto più importante della giornata, è al mattino che il nostro corpo si mette in moto… Saltare la colazione può portare a seri danni a lungo andare.» spiegò con tono pseudo scientifico, lisciando il panciotto con la mano destra.

Van Pelt lo guardò di sbieco con un sorrisetto divertito. «Certo, come no - poi ridacchiando - A volte sei peggio di Wayne.»

Jane fece una smorfia, quindi le sorrise. I due uscirono dalla sala.

«Posso guidare?» chiese poi faticando a tenere il passo.

La rossa alzò gli occhi al cielo senza rispondere.

 


 

Teresa, Rigsby e Cho sedevano intorno al tavolo nel bullpen analizzando i dati al momento disponibili: fascicoli e blocchi degli appunti insieme ad alcune foto della vittima erano distribuiti sul piano di lavoro. Lisbon muoveva nervosamente la penna tra le dita e, di tanto in tanto, lanciava sguardi furtivi verso l’entrata. Jane e Van Pelt fecero il loro ingresso e i tre si voltarono a guardarli. Kimball e Waybe si scambiarono uno sguardo di sottecchi.

«Oh…Finalmente ti sei degnato di unirti a noi.» l’apostrofò Lisbon, con tono aspro e quasi senza guardarlo.

«Buongiorno Lisbon, anch’io sono felice di vederti. – esclamò Patrick con un ampio sorriso. Mani in tasca, si dondolava sui tacchi e la fissava con un sorriso impertinente sulle labbra. Poi rivolgendosi a Van Pelt – ti avevo detto di fermarti da Marie’s per comprare qualche ciambella.»

Van Pelt non rispose, si limitò a sedere accanto a Cho, mentre Lisbon lo guardò stizzita bofonchiando una specie di rimprovero. Sollevò lo sguardo verso di lui e iniziò ad osservarlo in silenzio, imbronciata. Il volto del consulente dietro al suo solito sorriso malizioso, notò Teresa, sembrava stanco e tirato più del solito.

«Cosa ne pensi?» chiese poi distogliendo lo sguardo e indicando le foto della scena del crimine.

«Meh…era una donna ambiziosa e determinata, meticolosa, quasi maniacale direi, ma le piaceva trasgredire le regole, talvolta. Era ricca e potente, ma non le piaceva ostentare troppo la sua ricchezza. Dimostrava il suo potere in altri modi… Non aveva un buon rapporto con la sorella minore, ma le voleva bene nonostante la considerasse una fallita.».

Rigsby, Van Pelt e Cho lo guardarono sorpresi, non si sarebbero mai abituati ai suoi metodi, neanche dopo anni di lavoro fianco a fianco. Teresa, invece, corrugò la fronte e guardò Van Pelt, che scosse la testa e si strinse nelle spalle. Jane sorrideva compiaciuto.

«Sono felice che le informazioni raccolte da Rigsby e Van Pelt ti siano state utili.» commentò acida.

Jane corrugò la fronte un po’ deluso. Si mise ad osservare le prove raccolte ed imbustate distribuite sul tavolo. Una busta di plastica con all’interno la lettera d’addio scritta a mano dalla vittima prima della cerimonia attirò la sua attenzione. Lisbon lo guardò mentre la leggeva assorto.

«Oh dimenticavo… - aggiunse senza alzare lo sguardo dalla lettera - Non era fidanzata, ma aveva una relazione, probabilmente clandestina.»

«Rigsby abbiamo novità sulla causa della morte?» chiese Lisbon, ignorando volutamente l’ultima osservazione del consulente.

Wayne tossicchiò nel tentativo di nascondere una risatina, quindi scosse la testa. «No, il medico legale sta ancora analizzando il corpo. Non siamo ancora sicuri che si tratti nemmeno di un omicidio.»

«Oh lo è sicuramente.» disse Jane muovendosi verso il suo divano.

«Come puoi esserne sicuro?» chiese Van Pelt.

«Non credo nelle coincidenze.»

«Purtroppo ho la stessa sensazione anch’io - ammise Teresa – Jane…»

Il consulente si fermò, voltandosi appena verso la bruna.

«Non avevamo finito qui…– puntualizzò seccata – sta per arrivare Richard Sullivan, marito di Hea Woo Chung e cofondatore della Coffin Academy, per parlarci delle minacce ricevute. Magari sarebbe utile che ci fossi anche tu.»

«Sono sicuro che ve la caverete benissimo senza il mio aiuto.» disse, quindi proseguì verso il divano.

Lisbon lo fissò perplessa. Che diavolo aveva oggi? Si morse il labbro inferiore.

«Ok. Cho pensaci tu.»

L’asiatico annuì e si alzò.

«Rigsby, Van Pelt, voi due sentite la sorella e i colleghi per verificare se aveva veramente una storia con qualcuno. Voglio scoprire con chi. Cho, prima dell’interrogatorio contatta il medico della Greenwood e verifica le sue condizioni di salute, magari aveva qualche problema fisico che ha tenuto nascosto.»

«Certo.» risposero in coro.

I tre uscirono subito dal bullpen. Lisbon, invece, non si mosse, rimase seduta al tavolo, pensierosa, guardando Jane che nel frattempo si era disteso sul suo divano. Diversamente dal solito non si era nemmeno tolto la giacca. Se ne stava disteso, quasi immobile, con gli occhi chiusi. Teresa cercò di distrarsi sistemando i fascicoli del caso, poi spazientita si alzò di scatto, si diresse decisa verso il divano. Si bloccò a pochi passi da lui.

«Cosa posso fare per te, Lisbon?» chiese senza nemmeno aprire gli occhi.

«Cosa c’è che non va?»

«Non capisco. Cosa c’è che non va, dove?»

«Jane…»

«Lisbon…»

Lei diede un calcio al divano innervosita, lui soffocò a stento un lamento. Aprì gli occhi e la fissò con aria innocente.

«Non prendermi in giro. Arrivi in ritardo su una scena del crimine senza darmi spiegazioni, mi sbatti il telefono in faccia ed ora non vuoi nemmeno interrogare un testimone. Cosa c’è di sbagliato in te?»

«E tutto a posto. Ho avuto solo una mattinata complicata.» si limitò a dire guardandola negli occhi.

Lei rimase a fissarlo in silenzio per qualche istante, poi distolse lo sguardo. Era preoccupata.

«Non hai chiuso occhio, è così?»

«Mai sentito parlare di sonno polifasico? Leonardo da Vinci alternava 4 ore di veglia a un periodo di 20 minuti ad occhi chiusi, il che lo portava ad un totale di 120 minuti di riposo, lasciandogli ben 22 ore da impiegare per attività produttive.»

«Jane…»

«Stavo giusto cercando di avere i miei 20 minuti proprio adesso.» la rimproverò lui tornando a chiudere gli occhi.

«Buon riposo, allora!» rispose piccata e un po’ delusa, quindi si allontanò rifugiandosi nel suo ufficio.

Jane sorrise affettuosamente. Poteva urlargli contro quanto voleva, ma era certo che quello era il modo in cui Teresa Lisbon mostrava la sua preoccupazione per lui. Sospirò, per questo non voleva dirle cos’era successo. Non subito almeno. Trattenne il respiro quando, spostandosi sul divano, le costole gli ricordarono l’avventura della sera precedente. Aveva bisogno di riposare, si sentiva come se lo avesse investito un tir. Oltre alle costole, anche il braccio sinistro aveva cominciato pulsare sotto la fasciatura, inoltre faticava a muovere la mano e le punte delle dita erano indolenzite. Gli antidolorifici non sembravano ancora aver fatto il loro effetto, forse un po’ di riposo lo avrebbe aiutato.

 


 

Van Pelt e Rigsby arrivarono alla villetta di Christine Greenwood nella periferia nord di Sacramento. Wayne parcheggiò lungo il viale a qualche metro dall’abitazione e i due scesero dal SUV camminando fianco a fianco.

«Bel quartiere… - commentò Rigsby dando un’occhiata alle numerose casette con giardino – Ehi volevo comprarne uno uguale a Ben» affermò poi vedendo un triciclo in plastica colorata parcheggiato nel vialetto del vicino.

«Per i suoi 18 anni?- scherzò Van Pelt – Non ti sembra un po’ presto, ha solo pochi mesi!»

Rigsby ridacchiò imbarazzato.

«Lo so, ma cresce così in fretta!»

L’abitazione su due piani era modesta, ma aveva un piccolo giardino ben curato sul davanti, dove era parcheggiata una vecchia moto scassata. La donna era seduta sotto il portico e appena li vide si alzò e gli si fece incontro.

«Qualche novità?» chiese ansiosa. Aveva i lunghi capelli biondi raccolti in una coda disordinata, indossava una blusa verde con decori viola a motivi orientali ed un paio di jeans a zampa, leggermente consunti.

Grace e Wayne si scambiarono uno sguardo imbarazzato.

«Stiamo seguendo alcune piste. – rispose Van Pelt tenendosi sul vago – siamo qui per raccogliere informazioni su sua sorella. In modo da capire chi potesse volerle fare del male.»

«Allora è stata uccisa.» affermò la donna abbassando lo sguardo.

«Non ne siamo sicuri, ancora.» intervenne Rigsby.

La bionda annuì, si lasciò sfuggire un singhiozzo, quindi asciugandosi velocemente una lacrima con il dorso della mano fece cenno ai due di entrare in casa.

L’interno dell’abitazione era semplice ed ordinato, arredato con mobili chiari molto lineari e pochi oggetti etnici: alcune lampade africane, dei batik indonesiani alle pareti e degli incensi accesi qua e là. I tre si sedettero al tavolo della cucina. Christine mise il bollitore sul fuoco.

«Volete un tè o un caffè?»

I due agenti scossero la testa. Lei si sedette sul bordo della sedia, di tanto in tanto si riavviava i capelli dietro l’orecchio nervosamente.

«Signora Greenwood, sua sorella aveva dei nemici, qualcuno poteva volerle fare del male?»

Christine si lasciò sfuggire una risatina, alzò lo sguardo verso i due agenti che la fissavano perplessi.

«Forse faremo prima ad elencare chi le voleva bene.- disse sarcastica – Non fraintendetemi. Amavo mia sorella, ma non era esattamente un angelo.»

Van Pelt annuì pensando alle testimonianze raccolte, poco prima, tra i suoi colleghi d’ufficio. Samantha Greenwood era un’arrivista, tutt’altro che benvoluta.

«Lei ha… - fece una pausa – lei aveva un modo diverso di vedere la vita. E Dio mi è testimone, quante volte abbiamo litigato per questo. – sorrise quasi con tenerezza al ricordo - Non condivideva il mio modo di vivere. Io amo viaggiare, tutti i soldi che guadagno li spendo in viaggi. Ma ci volevamo bene… a modo nostro ci volevamo bene.» concluse con un sospiro.

«Aveva un fidanzato, una relazione con qualcuno?» chiese la rossa.

«No. Non mi risulta. Era troppo impegnata con il lavoro… E poi lei non mi raccontava queste cose… non mi raccontava nulla, in realtà. Se anche avesse avuto una relazione, sarei stata l’ultima ad averlo saputo.»

«Nessun regalo speciale. Nessun comportamento strano?» incalzò Van Pelt.

Christine sorrise e scosse la testa.

«Samantha era la tipica donna in carriera, agente. Il lavoro era il suo amante.»

 


 

L’interrogatorio di Richard Sullivan, un affascinante cinquantenne con capelli appena spruzzati di grigio sulle tempie e vivaci occhi azzurri, era iniziato da una decina di minuti, Teresa stava osservando le sue reazioni alle domande di Cho da dietro il vetro, quando la porta si aprì e Patrick Jane fece il suo ingresso con la sua immancabile tazza azzurra in mano.

Teresa lo fissò con gli angoli della bocca leggermente piegati in un sorriso soddisfatto. Alla fine aveva ottenuto la sua presenza all’interrogatorio. Lo osservò un attimo, aveva un aspetto ancor peggiore di qualche ora prima, i capelli erano scompigliati e adesso aveva due profonde occhiaie scure sotto gli occhi azzurri.

«Wow, il sonno polifasico fa davvero miracoli.» commentò sarcastica.

«Uhm…Sarcasmo…sai Lisbon, il sarcasmo è - osservò Jane.

«…è la forma più bassa d’arguzia. Lo so» concluse lei con un sorriso.

«L’allieva supera il maestro…» aggiunse sorridendo.

Si scambiarono uno sguardo divertito, quindi Teresa tornò ad ascoltare Cho e Sullivan, mentre Jane si accomodò accanto a lei. Un sorriso increspava appena le sue labbra. Il consulente si muoveva con cautela, cercando di evitare di fare movimenti bruschi, Teresa parve non notarlo.

«Perché non avete denunciato alla polizia gli atti di vandalismo?» chiese Cho dall’altra parte.

«Per qualche vetro rotto, un paio di scritte sui muri e delle lettere vagamente minatorie dovevamo chiamare la polizia? Speravamo che con il tempo avrebbero rinunciato.»

Cho prese nota, ma non disse nulla. Sullivan si mosse a disagio sulla sedia.

«Perché pensate che la morte di Samantha sia collegata alle minacce che abbiamo ricevuto?»

«La vittima è morta avvelenata.» spiegò Cho asciutto.

«Oh.»

«Uhm… - commentò Jane – il signor Sullivan, non pare dispiaciuto per la morte della vittima, sembra quasi sollevato.»

Teresa lo osservò interessata. Dall’altra parte del vetro Cho sembrò sentire il suggerimento di Jane.

«Non sembra sconvolto, anzi….» commentò l’asiatico senza alcuna emozione.

Patrick sorrise soddisfatto, mentre Teresa sospirò rumorosamente, quasi infastidita.

«Come scusi?- rispose spaventato l’uomo – No, no… Si sbaglia.»

Cho lo fissò senza aggiungere altro.

Sullivan sospirò «Ecco…io – balbettò - Senta…Se Samantha…se la signorina Greenwood, fosse morta per una nostra negligenza allora, ecco… sarebbe piuttosto complicato per noi… ma se è stata uccisa…uhm… non mi fraintenda...»

«Business.» commentò Cho continuando a scrivere.

«Si, giusto. Lei mi capisce, no?» l’uomo sorrise impacciato.

«No.»

Sullivan impallidì.

«Ma… - tossì in difficoltà – ma, questo non significa che sia felice che sia morta.»

«Certo.» commentò l’asiatico chiudendo il fascicolo e uscendo dalla stanza.

L’uomo lo guardò andarsene con gli occhi sgranati, quindi abbassò la testa preoccupato.

«Credi che sia coinvolto?» domandò Teresa.

Jane prese un sorso del suo tè.

«Nasconde qualcosa? Si… Ha ucciso Samantha Greenwood? No, non lo credo. C’è sollievo nel suo sguardo, ma non senso di colpa.»

Teresa annuì «In ogni caso non avremmo nessuno straccio di prova per trattenerlo.»

«Il veleno è stato trovato?»

Lisbon sospirò «Qui viene il bello. La nostra vittima è stata sicuramente avvelenata. Il coroner ha trovato nel sangue un cocktail di sostanze chimiche sconosciute, con una composizione molto simile alla tetradotossina, ma non abbiamo idea di come l’abbia assunto. Non c’è nulla nello stomaco, niente di niente.»

«Interessante. Sai ad Haiti il veleno proveniente dai pesci palla veniva usato dagli stregoni nei loro rituali vudù.»

«Uhm, ci mancherebbero solo i riti vudù adesso. Questa accademia non è già abbastanza inquietante?»

«Oh andiamo Lisbon, cosa c’è di inquietante nel sperimentare in anticipo come sarà davvero l’ultimo istante, l’ultimo e fatale respiro.» sussurrò teatralmente con un lieve sorriso sulle labbra.

«Ah ah…Spiritoso.»

«Hanno controllato i chiodi? – chiese il consulente - Basta un puntura di uno spillo perché la tetradotossina sia fatale.»

«La scientifica non ha trovato nulla di strano a parte un po’ di resina e dell’antisettico. Qualche altra idea?»

Prima che Jane potesse risponderle la porta si aprì e Van Pelt entrò trafelata.

«Capo, è scoppiato un incendio presso la sede della Coffin Academy!»

   
 
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