-Mercy Street-
1° capitolo
Dicono ci sia un luogo,
nascosto tra cielo e terra, dove le anime dei morti si riuniscono, ed
aspettano.
Aspettano che gli dei
vengano a prenderle.
Aspettano gli anni, i
secoli.
Sono morti, certo.
Sono uomini.
Quando
Naruto si alzò, quella mattina, pensò subito che
sarebbe stata una pessima giornata. Glielo suggerirono, in successione,
il tappeto che decise proprio quel giorno per posizionarsi in quella strana
posizione nel corridoio, facendolo inciampare, la maniglia della porta, che
malauguratamente stazionava sempre nello stesso posto e non possedeva alcune
capacità cinetiche e, per ultimo, un consistente pasto al ramen
sfumato nel nulla, causa la perdita di tutti i soldi che aveva faticosamente
risparmiato nell’ultimo periodo.
Il vecchio
alla bancarella non aveva voluto sentir ragioni. « Niente credito. »
« Ma… »
« Ho detto:
“Niente credito” »
Così se ne era dovuto andare, la coda fra le gambe, con l’invitante
odore del suo cibo preferito che mano a mano andava affievolendosi, come un
beffardo ultimo addio.
Che poi:
era una vita che mangiava a quella bancarella con il maestro Iruka. Il vecchio avrebbe anche potuto capire.
Sfortuna
voleva che al momento il suo maestro fosse momentaneamente assente dalla città.
E Naruto, coerente con i suoi parametri di sfortuna,
aveva scelto l’unica giornata non adatta a dimenticare i soldi.
Quando
arrivò nell’ufficio di Tsunade, si sorprese di non
trovare Sakura ferma davanti alla scrivania, la solita espressione assassina
impressa sul volto, che aspettava giusto un secondo per cominciare ad inveire
in maniera – ben poco – femminile.
Niente.
L’ufficio era deserto, tutte le finestre chiuse, e un vago
odore di chiuso aleggiava nella sala.
La voce di Tsunade, da dietro, lo colse di sorpresa « Oggi Sakura non
verrà. »
« Tsunade-baachan. » Naruto fece un piccolo inchino,
lasciando vagare lo sguardo sul corpo prosperoso della donna. « Sapete dirmi cos’è successo, venerabile Tsunade?
»
Lei si
lasciò andare ad un sorrisino oltremodo compromettente. Sventolò una mano per
aria con fare disinvolto, arrotolò un paio di carte per lasciarlo cuocere sui
carboni, ed infine si decise a parlare di nuovo. « Quanto
formalismi, Naruto. Ti sei finalmente deciso a portar rispetto a chi di dovere? »
« No, Tsunade-baachan. »
« Si,
vorrei. »
« La verità
è che, ultimamente, ho perso il controllo di Sakura. Quando
torna dalle missioni, lei -»
« -Strana,
non è vero? » la voce di Naruto, limpida e calma, la fece sussultare. Lo fissò
negli occhi, annuendo brevemente, rendendosi improvvisamente conto di quanto il
ragazzo fosse cresciuto. Non riusciva più a scorgere,
dietro quegli occhi così azzurri, l’ombra che per anni era stata unica
silenziosa testimone della sua sofferenza.
« Già.
Pensavo che tu, essendo il suo ragazzo, ne sapessi qualcosa. »
Il biondo
alzò le spalle. « Mi proponevo giusto di discuterne con te – con Lei – in
questi giorni. »
Tsunade
represse all’ultimo istante il sorrisino che prepotente le era salito alle
labbra. In fondo, rimaneva sempre Naruto.
« Mi ha
chiamato dicendo che era malata. Non so. Potresti
passare da casa sua ed accertarti che vada tutto bene?
» non aggiunse altro, ma era chiaro – palese quasi – che entrambi sapevano che qualcosa non andava, recentemente, in Sakura Haruno.
« Lo avrei
fatto lo stesso. »
« Naruto. »
la voce dell’Hokage lo richiamò indietro sui suoi
passi. Tsunade aveva il viso corrucciato, estremamente teso, gli occhi dorati inquieti sulla pelle
bianca. Le labbra si piegavano ritmicamente verso l’interno,
e Naruto sapeva benissimo cogliere quei segnali che col tempo aveva imparato a
riconoscere. La donna era preoccupata. « Ultimamente le ho
affidato parecchie missioni difficili, capisci? Non vorrei che qualcosa
l’avesse sconvolta. Oltretutto, pare che qualcosa si muova
non appena lei termina un compito, distruggendo i villaggi che invece dovrebbero
rimanere illesi. Naruto, non ti nasconderò che Sakura è una delle mie
allieve migliori. »
« Lo so, Tsunade-baachan. »
« Non posso
rischiare di perdere un appoggio tanto prezioso per una cosa così stupida.
Trova cosa non va, rimettilo a posto. Sakura mi serve attiva. »
L’altro
annuì. « Vorrei che fosse così semplice. »
La donna
chiuse la conversazione con un banale sventolare di mani. Il capo era proteso
verso le scartoffie da compilare. « Lo è. Semplice, intendo. E
se non lo è, tu fallo diventare tale. »
« Già. »
A volte capita che
essi, presi dalle emozioni, si innamorino, seppur non
più vivi.
Così accadde che un
uomo dall’anima nera come il peccato baciò una donna
candida come il bene, e da essi nacque una figlia, che era costantemente divisa
in due.
Infine, vennero gli
dei.
La strada
per arrivare fino a casa di Sakura non gli era mai parsa così breve. Assorto
nella miriade di pensieri che il colloquio con Tsunade
aveva provocato nella sua mente, quasi non si accorse di aver superato la porta
della casa della fidanzata, e di star proseguendo oltre.
Bussò una
volta, con gentilezza. Dall’interno della casa non venne alcun rumore, così
Naruto pensò che forse Sakura doveva essersi
addormentata.
Bussò,
quella volta con maggiore insistenza, e più a lungo.
Nessuno si
degnò di una risposta, così il ninja – famoso per la
scarsa pazienza – diede un colpo alla porta, facendola
spalancare.
Era già
aperta.
Allarmato,
varcò la soglia con fare deciso, muovendo lo sguardo a destra e a manca. Nella
sala tradizionale, non c’era nessuno. « Sakura? »
Strano. Aveva detto a Tsunade di stare poco bene,
non avrebbe avuto senso allontanarsi rischiando di peggiorare le proprie
condizioni di salute. Così avrebbe ragionato la vecchia
Sakura, si disse.
Già, la
vecchia Sakura. Bel pensiero, il suo.
« Sakura-chan, si sei? »
La casa era
completamente deserta, la cucina abbandonata da tempo, la camera da letto,
spoglia. Il letto stesso, poi, praticamente
inutilizzato.
D’improvviso,
come se fosse comparsa dal nulla, vide una porta bianca come
la neve affacciarsi sull’angolo più buio del corridoio – forse per
quello, non l’aveva notata. Era di fattura notevolmente diversa rispetto a
quella dell’intera casa, più accurata, addirittura più vecchia.
Il legno che
ne ornava gli angoli emetteva quasi un aroma
invitante, che permeava tutto quel tratto di corridoio.
« Sakura…? »
Azzardò a
spalancarne un piccolo spiraglio. Era piccola, buia, e gli sarebbe
parsa completamente disabitata, se solo non avesse visto, con l’angolo
dell’occhio, una candela bruciare, appena accesa.
Aprì
maggiormente la porta, fino a che lo spazio non fu sufficiente per farlo
passare senza disagi. « Sakura, sei qui? »
Gli occhi
chiari facevano fatica ad abituarsi al buio, e la luce della candela, in quell’istante,
gli parve quasi accecante, tanto che fu costretto a voltare il viso da un’altra
parte.
Sbiancò.
Un fantoccio
spaventapasseri lo fronteggiava, dall’alto dei suoi due metri abbondanti,
agghindato con gli abiti di Sasuke, e sulla sua nuca,
un coprifronte probabilmente rubato e scheggiato in
seguito.
Un istante,
e gli parve di tornare agli istanti di una vita passata, quando l’acqua era
caduta a cancellare le sue lacrime – assolutamente inutili ma inevitabili.
Sasuke e
il suo tradimento.
Ogni volta che
la sua mente cercava di tornare a quei tempi, qualcosa la bloccava, impedendo
il fluire dei ricordi. Ma ogni volta, ogni volta,
sempre, il suo cuore sentiva quel dolore, e lo faceva proprio. Sempre di più,
come un’ossessione.
Spaventato,
di nuovo il suo sguardo tornò sulla candela, e sul tavolino si
cui era posata. Al suo fianco, un’immancabile immagine del moro, probabilmente
scattata di nascosto – era sfocata.
E poi, sul
pavimento, tracce di segni di unghie, parole scritte
col gesso, e nomi, un solo nome.
Sasuke.
Lo
scricchiolio che lo fece voltare, piano, gli gelò il sangue nelle vene.
Davanti allo
spaventapasseri stava una figura ciondolante, cenciosa, vestita di un abito
antico che emetteva cattivo odore, e i suoi lunghi capelli, biondi, scendevano
quasi fino a terra.
« Sakura…? »
chiese irrazionalmente.
Udì uno
squittio, e capì che lei – quella cosa – stava ridendo. Il corpo era scosso da fremiti, il capo lentamente aveva cominciato a
danzare al ritmo della propria risata.
Piano piano dai capelli emerse un viso
pallido, che il biondo colse solo di sfuggita. Come in un sogno, le sue labbra blu
si tesero.
Vide degli
occhi bianchi. Urlò.
« Oh no. Io non sono Sakura. »
Naruto corse
via urlando.
Infine,
scese la notte.
La dea della luce prendeva
le anime buone.
Il dio del buio, quelle
più scure.
Ma la bambina, la bambina era divisa a
metà.
A Oto,
stretto nel suo giaciglio, Sasuke sobbalzò.
Di nuovo
lei, che veniva a visitarlo di notte, lontano dagli sguardi indiscreti di Orochimaru.
Al buio non
sapeva cogliere alcun dettaglio del suo viso, e il solo tocco delle mani non
gli rivelava che antiche sensazioni, sopite da tempo.
« Tu…? »
Così, i due dei
cominciarono a litigare.
La bambina,
rannicchiata in un angolo, piangeva.
In quel piccolo
villaggio ai margini di Suna, dove ancora il deserto
lasciava spazio agli alberi e non prosciugava l’acqua, era improvvisamente
sceso un silenzio quasi innaturale.
Delle nove
case che ne costituivano il nucleo principale, non una lasciava trasparire alcun
segno di vita: parevano tutte sopite, colpite da un sonno violento e non
cercato.
Dentro una di esse, la ragazza chiuse gli occhi, lasciando che solo
il ritmico gocciolare del sangue che dalla sua katana
cadeva a terra scandisse il tempo che in quel luogo pareva essersi bloccato.
Secondo dopo
secondo, attese. Infine il sangue terminò la sua caduta verso terra, fermando
l’avanzata della pozza scura che andava formandosi sul pavimento.
Il corpo
dell’uomo cadde, il viso rivolto verso il suolo, gli
occhi ingenuamente spalancati sul viso della maschera, che ovviamente rimase
immobile.
Solo gli
occhi dietro di essa, vuoti, si muovevano. Lenti,
sorpassarono la figura del morto e si posarono sugli ultimi vivi, una donna che
stringeva un bambino.
Con un sussulto,
si accorse che l’altra la stava fissando. Il muso grottescamente ornato
dell’animale era liscio e senza imperfezioni, ma comunicava un disagio non
indifferente.
« La prego…
la prego mi risparmi. » la bocca era piegata in un
vano tentativo di non scoppiare in un pianto liberatorio, e le braccia forti
circondavano il neonato, nascondendolo parzialmente alla vista.
« Io… » la
ragazza aveva aperto bocca per parlare, dopo ore di assoluto
silenzio, ma come ovvio, la donna non ne vide il movimento. Non vide il labbro
inferiore tremare leggermente, impacciato, e nemmeno i denti torturarlo a
sangue.
« Io vorrei
tanto. »
Vide solo la
tigre dipinta sulla maschera avanzare sempre di più, fino a sbranarle il corpo.
La katana fu rapida e precisa, e la mano non esitò, nel
tagliare.
« Vorrei
tanto, davvero, è solo che proprio non posso. »
L’ANBU della
foglia si tolse la maschera da tigre, e la tenne nella mano sinistra,
sporcandola un po’ di sangue. Fissò quegli occhi inespressivi, e pensò che dovevano essere gli stessi che gli altri vedevano quando si
apprestava ad ucciderli.
Ad
attenderla all’aria aperta non trovò né fantasmi, né persone scampate al
massacro, ma solo un’arietta frizzante che la salutò, ultimo sussurro di
benvenuto, passando infine oltre il suo capo, diretta verso nord.
Falciò
l’aria con la lama per pulirne il metallo, ma ottenne come risultato un misero spruzzo di rosso sul terreno. Niente di significativo. Di certo non come quello che riusciva a fare
lui.
Aveva
bisogno di più sangue per riuscirci. Ma quanto, quanto
di più?
Possibile
che non riuscisse ad ottenere quella bella linea scarlatta che lui era riuscito
a lasciare per terra e sul suo viso, tempo fa? Cosa le
mancava?
Doveva
uccidere, uccidere.
Gli occhi
verdi, privi del peso della maschera, si muovevano inquieti. Quando
incontrarono loro stessi, sul riflesso della lama, si chiusero appena.
« Davvero,
vorrei tanto lasciarvi vivere. È solo che proprio non posso, dovete capirmi. Se
non uccido, se non mi faccio conoscere, io, come potrò mai sperare che lui si accorga di me? »
L’ANBU di Konoha Sakura Haruno si rimise la
maschera, lasciando finalmente che i suoi occhi si acquietassero, al di là di quel muro animale.
Il simbolo
degli Uchiha, rosso, dipinto di sangue, spiccava prepotente sul suolo grigio
del villaggio ormai morto.
E poi, il secondo giorno, alla bambina
fu imposta una scelta.
Ed ella
divenne pazza.
A/N:
Magari sono un po’ scaduta nell’horror – poco male, a volte bisogna
rischiare.
Dunque,
primo capitolo della long fic, ma questo probabilmente lo avrete
capito da soli.
Non
linciatemi, Below The Tree
è quasi finita – ne va della mia sopravvivenza, per cui,
non dubitate. Per quanto riguarda le Flavour,
ovviamente le userò come valvola di sfogo. Se non
scrivo one-shot non sono contenta, lo sapete.