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Autore: Lady Antares Degona Lienan    22/02/2007    15 recensioni
L’ANBU di Konoha si rimise la maschera, lasciando finalmente che i suoi occhi si acquietassero, al di là di quel muro animale.
Il simbolo degli Uchiha, rosso, dipinto di sangue, spiccava prepotente sul suolo grigio del villaggio ormai morto.
Lui - preso tra due ossessioni diametralmente opposte.
Lei - ossessionata da ricordi che non pensava di avere.
[ThreeSome - Team 7]
Genere: Romantico, Triste, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Eden’s crimson rain

 

 

 

 

 

Eden’s crimson rain

 

-Mercy Street-

1° capitolo

 

 

 

 

 

 

 

 

Dicono ci sia un luogo, nascosto tra cielo e terra, dove le anime dei morti si riuniscono, ed aspettano.

Aspettano che gli dei vengano a prenderle.

Aspettano gli anni, i secoli.

Sono morti, certo.

Sono uomini.

 

 

Quando Naruto si alzò, quella mattina, pensò subito che sarebbe stata una pessima giornata. Glielo suggerirono, in successione, il tappeto che decise proprio quel giorno per posizionarsi in quella strana posizione nel corridoio, facendolo inciampare, la maniglia della porta, che malauguratamente stazionava sempre nello stesso posto e non possedeva alcune capacità cinetiche e, per ultimo, un consistente pasto al ramen sfumato nel nulla, causa la perdita di tutti i soldi che aveva faticosamente risparmiato nell’ultimo periodo.

 

Il vecchio alla bancarella non aveva voluto sentir ragioni. « Niente credito. »

 

« Ma… »

 

« Ho detto: “Niente credito” »

 

Così se ne era dovuto andare, la coda fra le gambe, con l’invitante odore del suo cibo preferito che mano a mano andava affievolendosi, come un beffardo ultimo addio.

Che poi: era una vita che mangiava a quella bancarella con il maestro Iruka. Il vecchio avrebbe anche potuto capire.

 

Sfortuna voleva che al momento il suo maestro fosse momentaneamente assente dalla città. E Naruto, coerente con i suoi parametri di sfortuna, aveva scelto l’unica giornata non adatta a dimenticare i soldi.

 

 

Quando arrivò nell’ufficio di Tsunade, si sorprese di non trovare Sakura ferma davanti alla scrivania, la solita espressione assassina impressa sul volto, che aspettava giusto un secondo per cominciare ad inveire in maniera – ben poco – femminile.

 

Niente. L’ufficio era deserto, tutte le finestre chiuse, e un vago odore di chiuso aleggiava nella sala.

 

La voce di Tsunade, da dietro, lo colse di sorpresa « Oggi Sakura non verrà. »

 

« Tsunade-baachan. » Naruto fece un piccolo inchino, lasciando vagare lo sguardo sul corpo prosperoso della donna. « Sapete dirmi cos’è successo, venerabile Tsunade? »

 

Lei si lasciò andare ad un sorrisino oltremodo compromettente. Sventolò una mano per aria con fare disinvolto, arrotolò un paio di carte per lasciarlo cuocere sui carboni, ed infine si decise a parlare di nuovo. « Quanto formalismi, Naruto. Ti sei finalmente deciso a portar rispetto a chi di dovere? »

 

« No, Tsunade-baachan. »

 

La Godaime sospirò, affranta. « Troppo bello per essere vero, ma altrettanto troppo poco realistico. Vuoi sapere cos’è successo, Naruto? »

 

« Si, vorrei. »

 

« La verità è che, ultimamente, ho perso il controllo di Sakura. Quando torna dalle missioni, lei

 

« -Strana, non è vero? » la voce di Naruto, limpida e calma, la fece sussultare. Lo fissò negli occhi, annuendo brevemente, rendendosi improvvisamente conto di quanto il ragazzo fosse cresciuto. Non riusciva più a scorgere, dietro quegli occhi così azzurri, l’ombra che per anni era stata unica silenziosa testimone della sua sofferenza.

 

« Già. Pensavo che tu, essendo il suo ragazzo, ne sapessi qualcosa. »

 

Il biondo alzò le spalle. « Mi proponevo giusto di discuterne con te – con Lei – in questi giorni. »

 

Tsunade represse all’ultimo istante il sorrisino che prepotente le era salito alle labbra. In fondo, rimaneva sempre Naruto.

 

« Mi ha chiamato dicendo che era malata. Non so. Potresti passare da casa sua ed accertarti che vada tutto bene? » non aggiunse altro, ma era chiaro – palese quasi – che entrambi sapevano che qualcosa non andava, recentemente, in Sakura Haruno.

 

« Lo avrei fatto lo stesso. »

 

« Naruto. » la voce dell’Hokage lo richiamò indietro sui suoi passi. Tsunade aveva il viso corrucciato, estremamente teso, gli occhi dorati inquieti sulla pelle bianca. Le labbra si piegavano ritmicamente verso l’interno, e Naruto sapeva benissimo cogliere quei segnali che col tempo aveva imparato a riconoscere. La donna era preoccupata. « Ultimamente le ho affidato parecchie missioni difficili, capisci? Non vorrei che qualcosa l’avesse sconvolta. Oltretutto, pare che qualcosa si muova non appena lei termina un compito, distruggendo i villaggi che invece dovrebbero rimanere illesi. Naruto, non ti nasconderò che Sakura è una delle mie allieve migliori. »

 

« Lo so, Tsunade-baachan. »

 

« Non posso rischiare di perdere un appoggio tanto prezioso per una cosa così stupida. Trova cosa non va, rimettilo a posto. Sakura mi serve attiva. »

 

L’altro annuì. « Vorrei che fosse così semplice. »

 

La donna chiuse la conversazione con un banale sventolare di mani. Il capo era proteso verso le scartoffie da compilare. « Lo è. Semplice, intendo. E se non lo è, tu fallo diventare tale. »

 

« Già. »

 

 

 

A volte capita che essi, presi dalle emozioni, si innamorino, seppur non più vivi.

Così accadde che un uomo dall’anima nera come il peccato baciò una donna candida come il bene, e da essi nacque una figlia, che era costantemente divisa in due.

Infine, vennero gli dei.

 

 

La strada per arrivare fino a casa di Sakura non gli era mai parsa così breve. Assorto nella miriade di pensieri che il colloquio con Tsunade aveva provocato nella sua mente, quasi non si accorse di aver superato la porta della casa della fidanzata, e di star proseguendo oltre.

 

Bussò una volta, con gentilezza. Dall’interno della casa non venne alcun rumore, così Naruto pensò che forse Sakura doveva essersi addormentata.

Bussò, quella volta con maggiore insistenza, e più a lungo.

Nessuno si degnò di una risposta, così il ninja – famoso per la scarsa pazienza – diede un colpo alla porta, facendola spalancare.

 

Era già aperta.

 

Allarmato, varcò la soglia con fare deciso, muovendo lo sguardo a destra e a manca. Nella sala tradizionale, non c’era nessuno. « Sakura? »

 

Strano. Aveva detto a Tsunade di stare poco bene, non avrebbe avuto senso allontanarsi rischiando di peggiorare le proprie condizioni di salute. Così avrebbe ragionato la vecchia Sakura, si disse.

 

Già, la vecchia Sakura. Bel pensiero, il suo.

 

« Sakura-chan, si sei? »

 

La casa era completamente deserta, la cucina abbandonata da tempo, la camera da letto, spoglia. Il letto stesso, poi, praticamente inutilizzato.

 

D’improvviso, come se fosse comparsa dal nulla, vide una porta bianca come la neve affacciarsi sull’angolo più buio del corridoio – forse per quello, non l’aveva notata. Era di fattura notevolmente diversa rispetto a quella dell’intera casa, più accurata, addirittura più vecchia.

Il legno che ne ornava gli angoli emetteva quasi un aroma invitante, che permeava tutto quel tratto di corridoio.

 

« Sakura…? »

 

Azzardò a spalancarne un piccolo spiraglio. Era piccola, buia, e gli sarebbe parsa completamente disabitata, se solo non avesse visto, con l’angolo dell’occhio, una candela bruciare, appena accesa.

Aprì maggiormente la porta, fino a che lo spazio non fu sufficiente per farlo passare senza disagi. « Sakura, sei qui? »

 

Gli occhi chiari facevano fatica ad abituarsi al buio, e la luce della candela, in quell’istante, gli parve quasi accecante, tanto che fu costretto a voltare il viso da un’altra parte.

 

Sbiancò.

 

Un fantoccio spaventapasseri lo fronteggiava, dall’alto dei suoi due metri abbondanti, agghindato con gli abiti di Sasuke, e sulla sua nuca, un coprifronte probabilmente rubato e scheggiato in seguito.

 

Un istante, e gli parve di tornare agli istanti di una vita passata, quando l’acqua era caduta a cancellare le sue lacrime – assolutamente inutili ma inevitabili.

 

Sasuke e il suo tradimento.

 

Ogni volta che la sua mente cercava di tornare a quei tempi, qualcosa la bloccava, impedendo il fluire dei ricordi. Ma ogni volta, ogni volta, sempre, il suo cuore sentiva quel dolore, e lo faceva proprio. Sempre di più, come un’ossessione.

 

Spaventato, di nuovo il suo sguardo tornò sulla candela, e sul tavolino si cui era posata. Al suo fianco, un’immancabile immagine del moro, probabilmente scattata di nascosto – era sfocata.

 

E poi, sul pavimento, tracce di segni di unghie, parole scritte col gesso, e nomi, un solo nome.

 

Sasuke.

 

Lo scricchiolio che lo fece voltare, piano, gli gelò il sangue nelle vene.

 

Davanti allo spaventapasseri stava una figura ciondolante, cenciosa, vestita di un abito antico che emetteva cattivo odore, e i suoi lunghi capelli, biondi, scendevano quasi fino a terra.

 

« Sakura…? » chiese irrazionalmente.

 

Udì uno squittio, e capì che lei – quella cosa – stava ridendo. Il corpo era scosso da fremiti, il capo lentamente aveva cominciato a danzare al ritmo della propria risata.

 

Piano piano dai capelli emerse un viso pallido, che il biondo colse solo di sfuggita. Come in un sogno, le sue labbra blu si tesero.

 

Vide degli occhi bianchi. Urlò.

 

« Oh no. Io non sono Sakura. »

 

Naruto corse via urlando.

 

Infine, scese la notte.

 

 

 

La dea della luce prendeva le anime buone.

Il dio del buio, quelle più scure.

Ma la bambina, la bambina era divisa a metà.

 

 

 

A Oto, stretto nel suo giaciglio, Sasuke sobbalzò.

 

Di nuovo lei, che veniva a visitarlo di notte, lontano dagli sguardi indiscreti di Orochimaru.

 

Al buio non sapeva cogliere alcun dettaglio del suo viso, e il solo tocco delle mani non gli rivelava che antiche sensazioni, sopite da tempo.

 

« Tu…? »

 

 

 

Così, i due dei cominciarono a litigare.

La bambina, rannicchiata in un angolo, piangeva.

 

 

 

In quel piccolo villaggio ai margini di Suna, dove ancora il deserto lasciava spazio agli alberi e non prosciugava l’acqua, era improvvisamente sceso un silenzio quasi innaturale.

 

Delle nove case che ne costituivano il nucleo principale, non una lasciava trasparire alcun segno di vita: parevano tutte sopite, colpite da un sonno violento e non cercato.

 

Dentro una di esse, la ragazza chiuse gli occhi, lasciando che solo il ritmico gocciolare del sangue che dalla sua katana cadeva a terra scandisse il tempo che in quel luogo pareva essersi bloccato.

 

Secondo dopo secondo, attese. Infine il sangue terminò la sua caduta verso terra, fermando l’avanzata della pozza scura che andava formandosi sul pavimento.

 

Il corpo dell’uomo cadde, il viso rivolto verso il suolo, gli occhi ingenuamente spalancati sul viso della maschera, che ovviamente rimase immobile.

 

Solo gli occhi dietro di essa, vuoti, si muovevano. Lenti, sorpassarono la figura del morto e si posarono sugli ultimi vivi, una donna che stringeva un bambino.

 

Con un sussulto, si accorse che l’altra la stava fissando. Il muso grottescamente ornato dell’animale era liscio e senza imperfezioni, ma comunicava un disagio non indifferente.

 

« La prego… la prego mi risparmi. » la bocca era piegata in un vano tentativo di non scoppiare in un pianto liberatorio, e le braccia forti circondavano il neonato, nascondendolo parzialmente alla vista.

 

« Io… » la ragazza aveva aperto bocca per parlare, dopo ore di assoluto silenzio, ma come ovvio, la donna non ne vide il movimento. Non vide il labbro inferiore tremare leggermente, impacciato, e nemmeno i denti torturarlo a sangue.

 

« Io vorrei tanto. »

 

Vide solo la tigre dipinta sulla maschera avanzare sempre di più, fino a sbranarle il corpo.

La katana fu rapida e precisa, e la mano non esitò, nel tagliare.

 

« Vorrei tanto, davvero, è solo che proprio non posso. »

 

L’ANBU della foglia si tolse la maschera da tigre, e la tenne nella mano sinistra, sporcandola un po’ di sangue. Fissò quegli occhi inespressivi, e pensò che dovevano essere gli stessi che gli altri vedevano quando si apprestava ad ucciderli.

Ad attenderla all’aria aperta non trovò né fantasmi, né persone scampate al massacro, ma solo un’arietta frizzante che la salutò, ultimo sussurro di benvenuto, passando infine oltre il suo capo, diretta verso nord.

 

Falciò l’aria con la lama per pulirne il metallo, ma ottenne come risultato un misero spruzzo di rosso sul terreno. Niente di significativo. Di certo non come quello che riusciva a fare lui.

 

Aveva bisogno di più sangue per riuscirci. Ma quanto, quanto di più?

 

Possibile che non riuscisse ad ottenere quella bella linea scarlatta che lui era riuscito a lasciare per terra e sul suo viso, tempo fa? Cosa le mancava?

 

Doveva uccidere, uccidere.

 

 

Gli occhi verdi, privi del peso della maschera, si muovevano inquieti. Quando incontrarono loro stessi, sul riflesso della lama, si chiusero appena.

 

« Davvero, vorrei tanto lasciarvi vivere. È solo che proprio non posso, dovete capirmi. Se non uccido, se non mi faccio conoscere, io, come potrò mai sperare che lui si accorga di me? »

 

L’ANBU di Konoha Sakura Haruno si rimise la maschera, lasciando finalmente che i suoi occhi si acquietassero, al di là di quel muro animale.

 

Il simbolo degli Uchiha, rosso, dipinto di sangue, spiccava prepotente sul suolo grigio del villaggio ormai morto.

 

 

 

E poi, il secondo giorno, alla bambina fu imposta una scelta.

Ed ella divenne pazza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A/N:

 

Magari sono un po’ scaduta nell’horror – poco male, a volte bisogna rischiare.

Dunque, primo capitolo della long fic, ma questo probabilmente lo avrete capito da soli.

Non linciatemi, Below The Tree è quasi finita – ne va della mia sopravvivenza, per cui, non dubitate. Per quanto riguarda le Flavour, ovviamente le userò come valvola di sfogo. Se non scrivo one-shot non sono contenta, lo sapete.

 

   
 
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