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Autore: Night_    10/08/2012    1 recensioni
Takeshi era un guerriero. Un distruttore senza patria e senza scrupoli. Quelle sillabe... quel nome le apparve a dimensioni piccole piccole nella sua testa, fra tantissimi altri scritti più grandi, in modo quasi ingombrante.
Eppure, anche se era così minuscolo, era il primo che i suoi occhi della mente leggevano all'istante – brillava.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Segnava qualcosa.

Yuki.

 

 

 

 

 

 

 

 

Incontri spiacevoli o... piacevoli

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Yuki si era fermata – per qualche strana ragione – davanti alla massiccia porta grigia che sfociava nel terrazzo. L'albina stava così, con la mano sospesa a mezz'aria e Sayumi uno scalino, spettatrice del suo atteggiamento – un ripensamento?
La rosa batté sulla spalla dell'amica, leggermente. «Yuki-chan? Che c'è, hai visto un ragno? In tal caso, ti saluto».
Nuovamente, era stata la voce acuta dell'amica a riscuoterla; scosse il capo leggermente, come per destarsi da un forte mal di testa e rivolse un sorriso debole all'amica.
«Già», disse. «Mi era proprio sembrato di vedere un ragno. Ma è stata solo un impressione. Credo».
A chi vuoi darla a bere?, pensava Sayumi, lo sguardo fisso in quello della ragazza – tuttavia, sembrava pacato, anche se lei non era né convinta né soddisfatta della risposta. I tratti si rilassarono ancora, in una piccola risata.
«Quindi anche alla famigerata Yuki Akawa i ragni fanno paura! Non l'avrei mai detto», esclamò, salendo quello scalino di differenza.
«Non mi fanno paura, ma schifo», la corresse la diretta interessata, storcendo le labbra sottili in una smorfia disgustata. Yumi posò la mano sulla maniglia, di un nero lucido borbottando un: «Certo, come no».
La porta si aprì.
A primo acchito, quest'ultima non pareva affatto antica – anzi – eppure il tremendo rumore che emetteva ogni volta che veniva chiusa, smentiva l'aspetto – e faceva sorgere i dubbi.
Era un nervoso. Oltre che un dolore irritante all'udito.
«Oh, mio Dio, che palle», mugugnò la rosa, posando i palmi sulle proprie orecchie. «Ogni volta, è la stessa storia. Ma non potrebbero fare qualcosa?».
«E cosa potrebbero fare? Olio?», domandò Yuki, mentre si avvicinavano al loro posto preferito; poco distante dall'entrata, sedute a terra – non prima di aver spolverato come si deve – e con le schiene rivolte contro le ringhiere. Non era comodissimo, sentendosi i fondoschiena duri come marmo, ma piaceva comunque a tutte e due.
Una volta sedute, Yumi si appoggiò il bento* sulle gambe. «Boh. Per me potrebbero metterci anche lo shampoo. Baste che fanno qualcosa, quei scansafatiche!».
L'altra scoppiò a ridere.
«Cosa ridi?! Guarda che la mia è un'ottima idea!», imbronciandosi, sciolse il nodo del fazzoletto che teneva il bento. Yuki strofinò il dorso della mano sugli occhi, asciugando delle fuggenti lacrime dalle risate. «Niente in contrario, figurati, ma perché... lo s-shampoo?». 
«Ho tirato a casaccio», disse l'altra. «Avrei potuto dire anche, che so, di... usare una lumaca!».
Yuki, per risposta, storse il naso per niente convinta – e Sayumi batté le palpebre, sorpresa.
«Non ti piacciono?», chiese, quasi delusa, immotivatamente delusa.
«Le lumache? Per niente», si fermò un secondo, il tempo di cacciare un sospiro – un pochetto dubbiosa. «sono viscide».
E la ragazza dagli assurdi capelli rosa non rispose, decidendo di cominciare a mangiare – perché il tempo era agli sgoccioli – conscia che la sua migliore amica non avrebbe cambiato idea. Ma non era poi così importante. Yuki stava ancora ridacchiando quando, voltandosi, la vide. Credeva che Sayumi avrebbe cominciato a mangiare, a dare la sua attenzione al cibo e, invece, guardava in alto.
Il profilo rivolto verso un cielo color cobalto; le labbra semichiuse e lo sguardo lontano, come se le sue iridi stessero salutando qualcosa – o qualcuno – che aveva perso.
Yuki, dal canto suo, non riusciva a provare niente in quei istanti – un po' di curiosità, forse. Si limitava a tacere, guardando lo stesso punto.
Erano momenti intensi e, da una parte, strani.
Si chiedeva se un giorno sarebbero mai terminati.

 

 

 

***

 

 


«Io vado, allora».
Non avevano più parlato.
Per tutta la durata del pranzo della rosa, avevano taciuto, guardando il cielo. Quelle parole erano state le uniche che aveva sentito da Sayumi, quando finalmente aveva staccato lo sguardo dal pranzo. Yuki era semplicemente frastornata – come sempre. Annuì. Mentre la guardava alzarsi e darle le spalle, si domandava silenziosamente – e mentalmente – se mai le avrebbe spiegato quello strano atteggiamento. Ma dopotutto, anche Yuki aveva segreti da mantenere.
«Segreti, eh... », mormorò. Si alzò dal pavimento, con qualche pacca alla gonna, appoggiandosi piano alla sbarra della ringhiera con i gomiti.
Avrebbe dovuto andarsene, teoricamente.
Da lì a poco, il suono della campanella che segnava il ricominciare delle lezioni avrebbe invaso tutto l'istituto e costretto l'albina a tornare anche lei in classe. L'idea non era attellante.
«Ho di meglio da fare che seguire delle stupide lezioni». Già.
C'erano molte cose da fare e quella che più le premeva era...
«... che ne dici di scendere da lì?».
Annoiata, portò leggermente il capo indietro, lasciando scoperto un collo bianco. Una risata echeggiò. Una risata che le sembrò dannatamente irritante, di quelle che ti urtano feroci il sistema nervoso. E per tipi come Yuki, palesemente infastiditi da tutto, quella era sfida. Una sfida che urlava “Uccidemi, uccidemi!”.
E poi, sentì il rumore di passi e il tonfo di qualcuno che saltava e atterrava – sollevò il capo e guardò davanti a sé.
Una figura. Un ragazzo – dai passi decisi e felpati.
Era un ragazzo. Probabilmente, come lei e l'amica, del secondo anno; lo si notava bene dai lineamenti leggermente spigolosi, quelli che sembravano avviarsi verso l'aspetto più maturo, ma che contribuivano bene alla sua... bellezza.
Oh.
Ed eccolo, lui era davanti a lei. I capelli di un castano chiaro, un po' arruffati – sembravano davvero tanti –, cadevano sugli occhi scuri come cioccolato fondente amalgamato al latte. Non riusciva a staccare lo sguardo da quelle gemme scure.
Erano la cosa più bella che lei avesse avuto l'onore di vedere. Intensi, penetranti. Capaci di renderti loro succube, in cui, se non prestata attenzione, ci si poteva annegare. Non riusciva a spiccicare parola.
Le labbra schiuse e il viso un po' sollevato – il ragazzo era nettamente più alto –, con lo sguardo di chi non lo avrebbe mai distolto. Anche lui la guardava.
Le labbra carnose e rosee allargate in un fascinoso sorriso, le mani nelle tasche.
«Yuki», disse solamente – dannazione, la voce era come una carezza. L'albina non rispose.
«Sei tu, non è vero?».
Silenzio.
«O forse dovrei... chiamarti “Principessa di Ghiaccio”?».
Silenzio.
«Qual è il tuo colore preferito?».
«Lilla».
Lui sorrise ancora e ancora. E Yuki inspirò abbassando di poco la testa. Espirò – senza fiato.
«Che vuoi?». Poteva essere bello quanto voleva, dannazione, ma non si sarebbe sciolta. No.
Anche se quel ragazzo continuava a guardarla, come se volesse strapparle di dosso la pelle, come se volesse studiare la sua muscolatura.
Dannazione.
La stava consumando.
«Non mi chiedi di che classe sono o come mi chiamo e via dicendo?».
«Okay. Di che classe sei, che diavolo vuoi?».
«Il mio nome è Takeshi Katugawa», e Yuki poteva giurarlo sulla sua testa, ma se possibile, aveva il sorriso più ironico e divertito del mondo. «e la mia classe è la “classe in fondo”. Ovvero, la 2-C. Ne avrai sentito parlare e... beh, il piacere è tutto mio, cherì».
Yuki dovette fare appello a tutte le sue forze per non pestarlo a sangue lì, sul momento, sul posto – niente da fare.
«E che vuoi?», disse, alzando due dita per toccarsi la tempia.
«Che voglio... ?».
Takeshi fece un passo in avanti, svelto e improvviso, afferrando quella stessa mano posata sulla tempia – e con l'altro braccio, andò a circondarle la vita, attirandosela contro. Con dolcezza, con attenzione. Ora, la ragazza poteva affermare che non era solo bello, ma che il suo corpo parlava da sé – fermo e tonico, una specie di scultura.
Ma non era questo che---
«Sappi che non ti lascerò mai più, una volta che ti avrò detto le mie intenzioni».
La sua voce era una fitta.
Ma lei, non faceva una piega, limitandosi a guardare quelle iridi. Non mostrava sorpresa, non mostrava rabbia – era immobile. Lo vide avvicinarsi ancora e ancora, fino a quando non si trovarono a sfiorarsi le punte dei nasi.
E solo a quel punto, lui parlò davvero.
«Voglio... perseguitarti».

 

 

 

***

 


 

Ancora.
Quel silenzio – lei cominciava ad odiarlo – era calato di nuovo. Ma non era lo stesso silenzio freddo e intoccabile, sfuggente come la stessa aria che lambiva i volti di quei due, no. Era diverso. Era un silenzio caldo come il sole.
E che palle!, pensò lei, sbuffando. Vide Takeshi – quel nuovo arrivato – alzare appena le sopracciglia e aprire le labbra, davvero perplesso. Beh, di solito, non si reagisce così ad una frase del genere – eh, no.
Approfittando della distrazione, lo scansò, spaesata.
Aveva ricevuto delle dichiarazione, pure troppe. Ma mai... «Hmm... beh, addio». Doveva andare via. Subito.
Ora che era libera da quel abbraccio, passò affiancò a Takeshi, rapida ma lui ebbe il riflesso di prenderla per il sottile polso. Ecco, ora lei cominciava a sudare freddo, con il volto che andava a fuoco e il battito che andava accelerando.
La gola e le labbra diventavano secche, come deserti in piena estate. La vista si faceva instabile, sfocata – e le forze sfuggivano via. Il corpo, era un macigno, ogni tentativo di passo era messo in discussione.
Ormai era impossibile anche solo pensare – e cadde. In avanti, a rallentatore, improvvisamente sicura che avrebbe fatto male, considerando che il viso avrebbe battuto contro il cemento.
Non riusciva a salvarsi la pelle.
«Yuki, tutto bene?». Non sentiva dolore. Non era caduta... ?
Aveva chiuso gli occhi, d'istinto, aspettando semplicemente che il dolore la prendesse – e invece, no. Lentamente, aprì gli occhi.
Braccia solide che stringevano il suo corpo. Viso preoccupato, sinceramente preoccupato. Seduto sui talloni.
La schiena di lei appoggiata sulle sue gambe.
«Ah». Monosillabi. Di nuovo!
«Stai... bene?», mormorò Takeshi.
«No. No, non sto bene!», perché cavolo stava urlando? «... vado in infermeria. Non mi seguire».
«Sì, ma---».
«Maledetto stalker».
«Prego, le apro la porta».
E lo fece, sul serio, dopo averla aiutata a rimettersi in piedi – anche se lei era decisamente riluttante –, aveva raggiunto la porta, aprendola senza farle emettere un solo cigolio.
Yuki alzò un sopracciglio.
«Faccio finta di niente. Beh... », si voltò per guardarlo, alle sua spalle – a disagio. «... ciao, allora».
Gli occhi di Takeshi brillarono elettrizzati. «Ciao. Se ti senti male, fammelo sapere».
«Mai».
Lui sorrise – diciamo che gli andava bene. Il suono della campanella fu così improvviso e assordante da far sussultare entrambi che, dopo un cenno di lei, si divisero. Finalmente. Mentre scendeva le scale, Yuki si portò una mano dietro la nuca, sfiorando con i polpastrelli i capelli argentei.
L'incontro più strano della mia vita, pensava, scuotendo il capo, veramente, veramente strano. Spero di non vederlo più.
E sovrappensiero... «Classe in fondo, eh? Devo chiedere a Yumi. Ma... ».
non mi importa di quello stalker! Tsk!
«Non me ne importa... niente... eh?».

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL'AUTRICE:

Tutturu! – guardo troppo Steins;Gate.
Okay, facciamo i seri. X”
Ecco a voi... *rullo di tamburo*
Il secondo capitolo di Vampire Devil! *applausi*
L'altra volta non l'ho detto, ma sto cambiando quasi completamente tutti i capitoli. Difatti anche nel secondo capitolo - questo qui - ci sono cose e dettagli che nell'originale non c'erano. xD
Comunque, la storia non subirà cambiamenti... forse il passato di Sayumi... ma per scoprirlo, non vi resta che leggere!


Night, ovviamente, con affetto.
 

  
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