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Autore: Night_    02/08/2012    4 recensioni
Takeshi era un guerriero. Un distruttore senza patria e senza scrupoli. Quelle sillabe... quel nome le apparve a dimensioni piccole piccole nella sua testa, fra tantissimi altri scritti più grandi, in modo quasi ingombrante.
Eppure, anche se era così minuscolo, era il primo che i suoi occhi della mente leggevano all'istante – brillava.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E se farà male, sarà vero.

Yuki.

 

 

 

 

 

 

 

 

L'inizio o la fine?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Yuki Akawa era quel genere di persona inavvicinabile e che, in un modo o nell'altro – volontariamente o meno – riusciva sempre a sorprendere chi le stava attorno.
E certo, in un paesino sperduto come quello in cui lei viveva, non era troppo difficile sorpassare gli altri, che si trattasse di intelligenza o bellezza.
Ma lei non riusciva a rendersi conto dell'effetto devastante che esercitava il suo aspetto – o la sua aurea stessa, insomma.
I capelli, lunghi sino ai fianchi, di uno splendente colore argentato, setosi e chissà come, perennemente sani e senza nodi, e gli enigmatici occhi color oro – belli e luminosi come soli, bisognava solo interrogarsi sulla loro esistenza in natura. C'era comunque un piccolo inconveniente che riguardava, stavolta, il colore dei suoi capelli: visto il colore argentato tendente al bianco, veniva chiamata “albina”. Ed era esattamente una delle cose che più urtavano il suo impaziente sistema nervoso – detestava le nomine.

E odiava tanto anche quella strada in salita che, proprio adesso, camminava con passo deciso – per dirigersi a scuola. Un edificio costruito all'occidentale, ossia, l'unico liceo esistente in quel paesino – assurdo.
L'unica consolazione – mera consolazione – era quel piacevole venticello primaverile che accarezzava le guance e la fronte, scostando i filamenti argenti indietro, a creare piccole onde.
Una mera e... alquanto breve, consolazione.
Pochi istanti dopo, la sentì. Quella voce squillante, che ti penetrava in testa a tartassare la vittima – il cervello – e non ti lasciava andare per il resto della giornata, fino a quando non chiedevi pietà. E questa voce, alta e frizzante, apparteneva a colei in grado di correre, o meglio inciampare, la mattina presto.
Sayumi “Yumi” Ichinomiya.
Era pochi metri distante da Yuki e, in men che non si dica, era già arrivata al fianco dell'amica. I capelli rosa – ecco, un altro strano colore per i tratti somatici – erano in disordine per la corsa sfrenata e gli occhi, di un azzurro limpido, un po' nascosti dalle palpebre socchiuse.
Una ragazza graziosa quanto burrascosa.
Era piegata leggermente su se stessa, i palmi appoggiati sulle ginocchia.
«Ma... stai pensando di partecipare ad una maratona, per caso?», la voce dell'albina, perplessa e divertita, era accompagnata dal sopracciglio chiaro inarcato. Sayumi stava già sorridendo raggiante, prima di rimettersi dritta e sistemarsi la corta chioma sopra le spalle. «Qualcosa del genere».
Yuki storse le labbra sottili e pallide – hm. «Non è che semplicemente ti sei svegliata tardi, come tuo solito?». Sayumi aveva già spostato lo sguardo stordito altrove, a guardare i ragazzi camminare.
«Certo che no», rispose, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Se ho corso così, è per mantenermi in forma. Si avvicina l'estate».
E vabbè, pensò Yuki, sorridendo.
Emettendo un breve sospiro, si girò.
«Vabbè, che ne dici di andare? Sai com'è, la mia pelle non è resistente al sole come la tua», aveva poi borbottato, quando un raggio solare, violento e accecante, aveva centrato il volto immacolato dell'albina.
Sayumi lo sapeva bene – della sua poca resistenza. E, al contrario di lei, non ne soffriva per niente: l'incarnato rosa chiaro era simile a quello dei suoi capelli. Sorrise, annuendo.
«Ah-a».

 

 

 

 

***


 

 

 

Se c'era una cosa che Yuki davvero odiava – tra le tante, per la cronaca – erano i suoi compagni di classe. Quegli inutili, codardi e pettegoli compagni di classe che la ragazza aveva avuto la disgrazia di “conoscere”. A primo impatto, un anno fa, quando si era trasferita – più precisamente a metà anno scolastico – la classe le era sembrata apposto. Nella norma, insomma.
Poi, forse per il suo aspetto, forse per il modo di fare, Yuki si era guadagnata il deplorevole soprannome di “Principessa di Ghiaccio”.
Ma non è che avesse fatto qualcosa... davvero niente. Okay, aveva destato scalpore, ma niente di più, niente di meno.
Lei non parlava con loro e viceversa. Ma quest'ultimi avevano ben altro motivo per non rivolgerle la parola: soggezione. Lei non ne era cosciente – non lo credeva affatto.
E comunque, non era importante se quei balordi decidevano di non conversare con lei... ma il fatto che la mattina, appena giunta in classe, dovesse sorbirsi quel chiacchiericcio sommesso...
«Eccola, la “Principessa di Ghiaccio”», bisgbigliava una.
«Ahah, chissà come è riuscita a procurarsi quello stupido nome... », ghignava una seconda.
«E' così insulsa! Eppure ha già una schiera di ragazzi cotti.. bah».
E allora lei si voltò, schiarendosi la voce. Credevano di star parlando a bassa voce o cosa?
«Non avete niente di meglio di cui parlare se non della sottoscritta, la mattina presto? E se credete che io sia così insulsa, allora non vedo l'ora di vedere i vostri voti al prossimo test di algebra. Sarà uno spasso». Un sorriso altezzoso e si era accomodata al suo posto, un banco poco più dietro della finestra in prima fila.
Sayumi, invece, continuava a guardare con calma quei ragazzi che, indignati, avevano ripreso a parlottare – d'altro, chiaramente.
«Che branco d'idioti, eh», aveva detto, posando lo sguardo sull'amica. Yuki sospirò, ancora, appoggiando il mento sul dorso della mano. «Onestamente, mi chiedo come abbiano fatto ad entrare in questa scuola».
«Boh», rise l'altra. «Magari hanno dato una bustarella o qualcosa del genere».
«Ne sarebbero capaci!».
E così, le loro chiacchiere continuarono, ma per ben poco – poi Yuki si fermò. C'era un suono. Lo sentiva. Un suono molto basso, quasi impercettibile, ma che lei aveva sentito chiaramente, limpido e risuonante. Era il passo felpato di una persona che si aggirava lì vicino.
In quell'istante, era come se tutti i suoni e rumori fossero svaniti, lasciando uno spazio bianco e un silenzio assordante, sovrastato da quell'unico passo.
Era tutto sordo-- il vento, una brezza più violenta, le scompigliò i capelli. La porta era aperta. Non ci aveva fatto caso.
Lei...
«Yuki-chan?».
Sussultò. Fu quando l'amica chiamò il suo nome, con quell'adorabile onorifico, che si rese conto della presenza del professore d'inglese. Rivenuta, si alzò in piedi – di scatto, urtando la sedia. Nel silenzio imbarazzante della classe, Yuki spostava gli occhi da Sayumi al professore – ma... cosa... ?
«Stai bene?», chiese Yumi, un po' in apprensione, ignorando bellamente i richiami dell'insegnante.
L'albina fece un cenno col capo, sconnesso. Sì, stava... bene. «A dopo, allora».
«Akawa-san?», chiamò dopo la voce del professore. La diretta interessata portò l'attenzione sull'uomo. Alto, dai lineamenti delicati e con una mascella ben disegnata, più o meno sulla trentina. I capelli corvini erano portati indietro con il gel – sostanza strana, la chiamava Yumi – e gli occhi, come giusto che sia, di un marrone scuro. Informazione più importante: era single.
In totale, Yamato Okamoto era un bell'uomo.
«Sì, prof. Okamoto?».
L'uomo tenne lo sguardo fisso in quello oro di Yuki, per un po', allargando le labbra in un sorriso gentile. A parte Yumi, era l'unico in grado di tenerle testa e, soprattutto, di parlarle decentemente.
«Potresti distribuire questi?». Yamato sollevò un mazzo compatto di fogli con la mano destra, indicandoli con l'indice della sinistra. Lei annuì. Era certa di avere addosso un paio di sguardi carichi di astio e pura invidia, considerato quanto poco “espansivo” fosse il professore e, naturalmente, perché doveva essere quel pezzo di ghiaccio ad avvicinarcisi?
Ma non era importante, adesso, non quando nella sua testa c'era ben altro – lasciò il foglio sul banco di Sayumi. Le mimò con le labbra la frase «Anche oggi sostanza strana!», strappando una risatina all'amica.
Considerando che trascorreva la giornata insieme a quegli idioti, aveva bisogno di qualcosa di divertente o di un minimo soddisfacente o sarebbe stata ardua, sopportarli. I fogli erano terminati.
Quieta, tornò al suo posto – e i ciuffi che cadevano sulle orecchie, furono tirati dietro esse.
Stava cercando quel suono. Doveva.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Non se n'era accorta, Yuki, ma era arrivata l'ora di pranzo. Le ore erano passate, veloci e comunque tediose, ed ora guardava Sayumi intenta a prendere il suo bento*.
Guardandola, si era resa conto di quanto risultassero sicuri e fluidi, come torrenti d'acqua. Sin dalla prima volta che si erano parlate, le era sembrata diversa; da ogni cosa, da ogni persona, da tutto. Il modo di parlare, di dimostrare il suo affetto, il modo di osservare.
Era una persona interessante.
«Yuki-chan, pranziamo?», aveva chiesto, una volta al banco dell'albina. Yuki, per risposta, aveva sorriso sorniona. «Pranzi, vorrai dire».
«Ah, sì, giusto. Pranzo», uno sbuffo, un sospiro e un assottigliare le palpebre. «volevo dire. Continuo a chiedermi come fai a resistere così tante ore senza mangiare».
Yuki era in piedi e stava scostando la sedia indietro. Sayumi seguì i movimenti dell'amica e, quando le fu proprio affianco, prese il suo braccio sotto il proprio.
«Su, muoviamoci, ho voglia di gironzolare – dopo, dico!». Yuki fece una smorfia e, in pochi gesti veloci, si era liberata dalla presa dell'amica per prendere la sua mano.
«Come vuoi, ma conduco io! Con te ci perdiamo», rise, avanzando verso la porta scorrevole parallela alla cattedra. D'altronde, l'albina sapeva dove Yumi avrebbe voluto dirigersi, per il pranzo. Era diventata un'abitudine; raccattava Yuki dovunque ella fosse e poi andavano, tutte contente, nel luogo stabili.
La rosa arricciò il naso, offesa. «Come sarebbe? Sono qui da due anni, la strada ormai la conosco!». Ma Yuki rideva, scuotendo la testa, mentre si allontanava dall'altra per avviarsi davanti a sé – le scale che conducevano al terzo piano.
«Speriamo. Il terrazzo non è difficile da trovare, sai».
Ci fu un obiettare sconnesso, riempito di “bleah!” e linguacce, naturalmente stavano scherzando fra di loro; non avevano davvero argomenti in particolare da condividere, avendo avuto infanzie e crescita completamente diverse, ma a loro bastava sentirsi vicine.
L'una con l'altra.
Salivano le scale, aumentando la velocità e dopo riducendola, arrivando ridendo e scherzando fino al terzo piano – ossia dove c'erano gli studenti del terzo anno.
Al secondo piano, invece, c'erano quelli del primo e secondo anno e, al piano terra, stanze come lal segreteria, laboratori e classi utilizzate per i club.
Ogni volta, passare di lì... era una tortura. Una punizione.
Per qualche irrazionale motivo, i ragazzi erano sempre appostati alle porte delle proprie classi, spiando la gente che andava e veniva con falso disinteresse. Non appena vedevano passare le ragazze, partivano i fischi, i complimenti, le idiozie. Tante parole vuote e di pura circostanza, seguite da altre molto più sincere. Del tipo che ti venir voglia di romperti i timpani.
Dio solo sapeva quanto Yuki avrebbe voluto rispondere a quei decerebrati ma Sayumi riusciva sempre a fermarla in tempo, distraendola o facendole tornare la ragione con i suoi occhioni azzurri. D'altronde, Yuki non voleva scatenare dicerie o scenate.
«Comunque, hanno coraggio. Quelli del primo e secondo anno non tentano neanche di guardarti», disse Sayumi. «Sarà perché siamo senpai**?».
«Beh, evidentemente, i nostri senpai si sentono coraggiosi e spavaldi perché andranno all'università», disse l'albina. «Tra l'altro, non hanno certo paura di una ragazza, anzi».
Si fermò per un attimo, arricciando le labbra con disprezzo.
«Mi guardano come se fossi un innocente scoiattolo», aggiunse, dopo.
Sayumi scoppiò in fragorose risate, mentre superavano il terzo piano e si apprestavano a salire le scale per il terrazzo. «Già! E quando si avvicineranno per accarezzare il presunto scoiattolo... ».
«... capiranno di aver preso un abbaglio perché, in realtà, lo scoiattolo non è altri che una serpe».

 



* bento: i cestini che contengono il pranzo, sono carinissimi ahfosdhh-- 
** senpai: compagno di scuola o al lavoro, più grande. 

 

NOTA DELL'AUTRICE:

Haro! ♥

Lo so, volete Unmei no Hana. * crii crii*
Allora... questa storia ha un passato luuuuungo lungo. u.u

La ideai circa cinque anni fa' e col passare del tempo l'ho cambiata e rimodellata. In tutto sono tre serie/stagioni! E forse, ci sarà una specie di speciale. X”
Sarà un vero parto farle tutte e tre, ma ne vale la pena. x°D L'idea era di rendere questa storia il mio primo manga, quando sarò fumettista, ma per ora e per ovvie ragioni dovrò accontentarmi della fan fiction. Uwu
E poi, scrivendo i vari capitoli, mi sembra di avere più sotto controllo la storia e avere un quadro migliore dei rapporti tra i personaggi – ossia tantissimi.
Vabbé, vi lascio con il primo capitolo~ spero vi piacerà così quanto la amo io!

Night, ovviamente, con affetto. ♥ 

  
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