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Autore: Sheriarty    10/08/2012    3 recensioni
"È certo un avvenimento più unico che raro che il volto di uno dei nostri clienti resti noi sconosciuto per tutta la durata di un caso. [...] In un’occasione, però, ci accadde di non vedere affatto l’uomo in questione prima della chiusura del caso. Quanto a lui, per lungo tempo neppure seppe da chi provenisse l’aiuto ricevuto.
Tale uomo di chiamava Phileas Fogg, sarebbe andato in capo al mondo – o ne avrebbe fatto il giro – per una scommessa, e aveva al proprio servizio un maggiordomo francese."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Piano B - #9. È Stato il Maggiordomo

Autore: Taminia

Titolo: Di manichini che sembrano uomini e uomini che sembrano manichini

Personaggi/Pairing: Sherlock Holmes, John Watson, Fogg e signora, Passepartout

Wordcount: 1256 (fiumidiparole)

Rating: G

Warnings: Crossover con Il giro del mondo in 80 giorni

Riassunto: "È certo un avvenimento più unico che raro che il volto di uno dei nostri clienti resti noi sconosciuto per tutta la durata di un caso.

[...] In un’occasione, però, ci accadde di non vedere affatto l’uomo in questione prima della chiusura del caso. Quanto a lui, per lungo tempo neppure seppe da chi provenisse l’aiuto ricevuto.

Tale uomo di chiamava Phileas Fogg, sarebbe andato in capo al mondo – o ne avrebbe fatto il giro – per una scommessa, e aveva al proprio servizio un maggiordomo francese."

Note: Nel caso malaugurato nel quale non conosciate Il giro del mondo in 80 giorni (esiste tale essere umano?) andate tranquilli, visto che grazie alle varie note che ho sparpagliato nel testo dovrebbe essere chiaro.

A livello di date, Il Giro è ambientato nel ’72, ma naturalmente per semplice natura del crossover ho dovuto ignorare la data corretta.

Ah, e ovviamente questa shot generalmente idiota è per il piano B della torre: È stato il Maggiordomo.

Musica: ///

 

 

È certo un avvenimento più unico che raro che il volto di uno dei nostri clienti resti noi sconosciuto per tutta la durata di un caso. Logicamente, ciò che è di competenza di Holmes è risolvere un mistero, non due, e per quanto questo sarebbe comunque un modo interessante di mettere a frutto le proprie capacità deduttive – così sostiene – tende a esser piuttosto irremovibile sulla questione.

In un’occasione, però, ci accadde di non vedere affatto l’uomo in questione prima della chiusura del caso. Quanto a lui, per lungo tempo neppure seppe da chi provenisse l’aiuto ricevuto.

Tale uomo di chiamava Phileas Fogg, sarebbe andato in capo al mondo – o ne avrebbe fatto il giro – per una scommessa, e aveva al proprio servizio un maggiordomo francese.

Potemmo trovarci davanti a Fogg, alla sua signora e al suddetto maggiordomo Passepartout solo alcune settimane dopo la risoluzione del caso e – in fede mia – fu probabilmente più interessante l’incontro del caso stesso.

Erano gli inizi del ‘96; la visita trovò me intento alla lettura sulla mia poltrona preferita, e Holmes a sfogliare il Daily Telegraph del giorno.

Lui avvertì la sua presenza, Dio solo sa come, prima che io potessi vederlo. Ridacchiò; e, sfioratami la spalla meno malmessa e mormorato «Phileas Fogg», si diresse inspiegabilmente verso il manichino che aveva ingannato a proprio tempo Sebastian Moran e lo orientò diversamente.

Gli scoccai un’occhiata perplessa. «Si tratta proprio del Fogg che ha girato il mondo?» chiesi.

Lui sogghignò, e m’invitò nell’altra stanza con la mano; lo seguii senza capire.

Solo a tal punto realizzai lo scherzo infantile del quale mi ero reso inconsapevole complice. Storsi il naso: potevo comprendere un momento di teatralità fuori luogo, ma non v’era ragione di comportarsi in modo tanto inadeguato alle circostanze.

«Fogg mi porta a pensare a mio fratello» fu la giustificazione, laconica.

«Ossia, te lo ricorda poiché è stato lui a presentarti il caso».

«Sciocchezze. Vedi, in realtà Mycroft non ha mai voluto che dimostrassi l’innocenza di quell’uomo. Credo che semplicemente lo divertisse l’idea di uno sciocco che abbia la brillante idea di girare il mondo per motivi perlomeno futili e rimanga incastrato in un reato che non ha commesso nel tentativo o ne venga miracolosamente salvato – e io, via, ho lasciato che si divertisse, poiché alla fin fine il caso mi era interessante».

«Mi sembra una faccenda piuttosto sciocca. Avevi sempre usato sostenere come tuo fratello fosse più intelligente di te, per quanto decisamente più pigro».

«Avevo sempre usato sostenere come un uomo intelligente fosse impassibile a influenze esterne, poi ho avuto la sfortuna di trovarmi nel bisogno di un coinquilino».

Ignorai la frecciata. «Non può essere realmente tutto qui. Cos’altro avrà mai fatto il signor Fogg per meritarsi dell’astio da parte del Governo Britannico in persona?»

«Avrò modo di spiegartelo a tempo debito. Ciò che importa è quanto Fogg adesso sta facendo, e cioè essere preceduto da Passepartout nel mio...»

Giusto Cielo, sono certo pochi gli uomini in grado di interrompere Sherlock Holmes. Si tratta principalmente di uomini di una certa tempra e autorità, nonché di grande intelletto. Fu in quell’occasione Passepartout a guadagnarsi tale onore, esclamando «Che Dio ci aiuti, supera il padrone nell’immobilità! Sembra realmente un manichino di Madame Tussauds!»

«Quello è un manichino, Passepartout» replicò, fredda e solo a tratti divertita, la voce che doveva appartenere a Phileas Fogg. Sentii distintamente un’educata risata femminile a corollario, e fu in quel momento che realizzai di essermi imbattuto in una famiglia.

«E non è neppure della Tussauds» completò Holmes, avviandosi nella stanza ove si erano riuniti i tre ospiti. Lo seguii, curioso di incontrarli.

«Buongiorno» salutò svelto quello che riconobbi come Passepartout, e similmente fece la signora.

«Salve» s’introdusse a propria volta Fogg. «Credo si sia intuita la ragione della mia visita. Ho pensato fosse auspicabile ringraziare lei come suo fratello per l’immenso servigio resomi».

Ripensai a quanto avevo letto di lui e ai suoi percorsi quotidiani rigidi e immutabili – non per pigrizia, a differenza del maggiore degli Holmes, quanto per precisione. Mi chiesi se l’aver occupato tre mesi girando il mondo l’avesse cambiato e mi risposi che, se così non era, v’era certo da sentirsi onorati da quella visita.

Ma probabilmente era cambiata ogni cosa, e non per la semplice, ingenua convinzione che un’avventura del genere cambierebbe chiunque. In fede mia, dall’Afghanistan avrei potuto girare la Terra e anche la Luna più d’una volta, ma la mia vita non avrebbe fatto il suo corso sinché non fossi finalmente approdato a Londra.

«È un piacere conoscerla, signor Fogg. Ha già parlato con mio fratello?»

«Era nelle mie intenzioni; ma comprenda come vi sia un certo… astio fra il Reform Club e il Diogene’s. Francamente sono poco interessato a tale rivalità, ma sono consapevole di come comunque ci si trovi in un periodo di tensione».

Holmes si strinse nelle spalle, fingendosi ignaro. «Dopotutto, due club nella stessa strada sono una provocazione spiacevole».

«Le garantisco che il Reform Club vanta una lunghissima tradizione».

«Non lo metto in dubbio».

Sia io che Holmes nascondemmo, lui in un modo comprensibile solo da chi lo conoscesse bene e io in uno tremendamente mal riuscito.

«Ad ogni modo» riprese il signor Fogg. «La conoscevo di fama, signor Holmes, ma non avevo idea che fosse stato lei a risolvere il caso. È stato l’ispettore Lestrade a indirizzarmi presso di lei».

«Conosco bene Lestrade. E a proposito di ispettori, signor Fogg, cerchi di non averla troppo a male con l’ispettore Fix. Le assicuro che il suo livello non è affatto sotto la media».

Fogg dovette prenderlo come un’esortazione a riconsiderarlo benevolmente, e non come un insulto generale a Scotland Yard come istituzione.

«Non disprezzo eccessivamente quel Fix, si figuri. Sono ad ogni modo riuscito ad arrivare in tempo, come saprà».

«Naturalmente. Credo sia questo, in effetti, il più interessante dei risvolti della storia. Ho necessitato di un paio di pipe per raccapezzarmi, nonostante il caso fosse stato ormai chiuso, poiché in termini di ore i conti non tornavano affatto».

Trascurai di sottolineare come, alla fine di tali due pipe, Holmes avesse avuto uno dei propri eccessi di teatralità nell’esclamare un “Ma certo! L’orologio del maggiordomo francese. Cielo, ricordi la pendola della stanza di Passepartout, regolata su un orario errato di quattro minuti? È chiaro!” [1]

«Sono lieto» intervenni «che sia stato portato a termine tutto ciò con esiti tanto positivi su ogni fronte. So che non si è effettivamente arricchito, ma non si può non dire come la sua vita sia cambiata».

Fogg sorrise. E v’era qualcosa di insolito e noto in quel sorriso; qualcosa, individuai dopo un attimo, che segnalava tale sorriso come quello di qualcuno che li usasse come temesse di finirli, o come fosse un errore da concedersi solo nei momenti d’indulgenza verso se stessi.

Non m’ero sbagliato: sorrisi come quelli non m’erano sconosciuti.

«Signor Fogg» disse Holmes «potrebbe soddisfare una mia curiosità, comunque?»

Fogg gli fece cenno di parlare.

«Perché mai il becco del gas ardeva nella camera di Passepartout?»

«Ebbene» intervenne Passepartout stesso «poiché io stesso dimenticai di spegnerlo». [2]


 

Fu quando Fogg si fu allontanato – non prima di una cospicua quantità di giri di whist, [3] ad ogni modo – che sprofondai nella mia poltrona, accorgendomi che non sarei stato io il primo a parlare.

«Allora – cosa pensi di tutta questa faccenda?» disse infatti Holmes.

Alzai lo sguardo «Che il signor Fogg è un uomo fortunato» risposi semplicemente. «Dovrebbe scriverne, probabilmente. Avrà compiuto il giro del mondo, ma evidentemente l’importante non è stato quante miglia abbia percorso, bensì quanta strada abbia fatto a livello emotivo. Sembrerà strano, ma quell’uomo ti è simile».

Holmes inarcò un sopracciglio. «Relativamente».

Io accennai un sorriso, e da allora tacqui.

Perlomeno, un uomo che appariva come un manichino aveva cessato d’esserlo nell’animo.



 

[1] L’orologio da taschino di Passepartout segna sempre l’orario francese; e lui, considerando il regolarlo un insulto al fatto che fosse ereditario e non comprendendo che in Inghilterra o in India l'orario differente non è una questione d’imprecisione ma di legge fisica, s’impunta spesso pensando che siano quelli altrui a essere in errore.

Dato che Passepartout vive in Inghilterra utilizzando un orologio con il fuso orario francese, trovandosi di fronte ad un orologio di Fogg (segnante ovviamente l'orario esatto), può aver deciso di regolarlo secondo l'orario francese.

[2] Come sarà intuibile, Passepartout dimentica il becco a gas acceso, che “arderà a sue spese per due scellini al giorno”. Infine Fogg lo ripaga, dopo tutto quel viaggio; ma comunque è una bella sbadataggine.

[3] Fogg. Gioca. Sempre. Al. Whist. Una pagina sì e l’altra pure.

   
 
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