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Autore: Meahb    25/02/2007    6 recensioni
Un amore vecchio, e un amore nuovo. Un sentimento che si rinnova e uno che nasce silenziosamente. Può davvero, l’amore, resistere a tutte le intemperie? E può davvero, chi ama, lasciare andare il suo oggetto del desiderio?
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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UNDER PRESSURE

UNDER PRESSURE

Capitolo 1

 

 

 

 

 

Con un calcio Lisa allontanò le coperte dal suo corpo.

Si rizzò a sedere ansimando, la gola in fiamme, una terribile sensazione di soffocamento che le impediva di respirare con regolarità.

Allungò una mano verso il comodino, raccattando il bicchiere con l’acqua che, come di consuetudine, aveva preparato prima di andare a dormire.

Sorseggiò lentamente la bevanda, socchiudendo gli occhi, tentando di calmarsi.

Aveva avuto un incubo.

L’ennesimo.

Da quando aveva ripreso la cura ormonale, sembrava che il suo corpo si tendesse fino allo spasmo.

Fin quasi a strapparsi.

Sospirò, posando lentamente il bicchiere con una mano, mentre con l’altra si massaggiava lentamente il collo.

Era completamente contratta.

Sicuramente, il caso che quella mattina era arrivato al reparto di diagnostica, non l’aiutava a calmarsi.

Una donna, Dana Jensen, incinta, con minacce d’aborto e diversi sintomi di diverse origini. O meglio, apparentemente di diverse origini.

Linfonodi gonfi, febbre altissima e allucinazioni.

Dio!

Essere in procinto di avere un bambino, e temere quindi di perderlo.

Doveva essere qualcosa di terribilmente angosciante.

Quella mattina, aveva parlato con House a proposito del caso.

Lui, andando contro ogni legge della logica per quanto riguardava il modo contorto in cui di solito ragionava, le aveva chiesto gentilmente, di stare lontana da quella faccenda.

House che le chiedeva gentilmente qualcosa.

Com’era cambiato il loro rapporto da quel momento…

Un solo errore, una richiesta sbagliata, un momento particolare… una mattinata, era bastata a cambiare le loro vite.

A cambiare la sua.

Le sue prospettive, le sue aspettative, i suoi desideri.

Rendersi conto di aver finto di non sentire, di aver avuto paura, ma nello stesso tempo, aver compreso che essere coraggiosi non aveva portato a niente.

Aveva capito adesso, sì.

E non avrebbe voluto farlo. Avrebbe preferito mille volte poter ritrattare, tornare indietro e cancellare quei discorsi, quelle occhiate fugaci, quella complicità che non aveva portato a nient’altro che allo sfacelo.

Il suo, in primis.

Quello di House, Cameron e Wilson poi.

Un errore.

Un misero errore in tutta la sua esistenza inappuntabile, e si sentiva come se dovesse pagare per sempre.

Come se nessuna pena, fosse in grado di assolverla dal suo peccato.

Sospirò, quindi decise di ficcarsi sotto le coperte.

Il Princeton avrebbe aspettato.

Il mondo là fuori, con la sua scomoda realtà, avrebbe aspettato.

Adesso, voleva solo rifugiarsi nell’oblio di una mente vuota e silenziosa.

 

 

James Wilson entrò di gran carriera nel reparto di diagnostica.

Mirò dritto all’ufficio di House, ma stranamente, era vuoto.

Guardò il suo orologio da polso, e si domandò come mai House non fosse ancora in ufficio. Erano da poco passate le undici, ma tutto il team sembrava sparito.

Gettò un’occhiata alla sala riunioni vuota, quindi, rassegnandosi, tornò sui suoi passi.

Percorse il corridoio lentamente, senza fretta.

In un certo senso, non aver trovato Greg, lo faceva sentire sollevato.

Non doverlo affrontare, soprattutto.

Il suo amico Gregory House, già.

Quello che, per non uniformarsi alla media nazionale, aveva deciso di mandare a puttane la vita dell’unica donna che lo avesse mai amato.

Quello che aveva deciso che tradirla, non sarebbe poi stato questo grande errore. Convinto, a torto, che lei non avrebbe detto nulla a proposito. Convinto, soprattutto che lei avrebbe capito.

Povera Cameron.

Chissà come stava…

Non dovette domandarselo troppo a lungo perché lei, era appena uscita dall’ascensore.

I capelli sbrigativamente legati con un laccio, il volto pallido, gli occhi segnati.

Camminava a testa china, le mani che reggevano una cartellina ocra, le gambe esili che sembravano non sostenere il peso del suo corpo.

Vedendolo gli sorrise, “Dr. Wilson”, lo salutò.

“Ciao Cam”, ricambiò lui.

“Qualche problema? Cercava qualcuno?”

James la scrutò con attenzione. Non aveva non notato il suo tentativo di non pronunciare quel nome.

“A dir la verità cercavo House. Devo mandargli un paziente per una consulenza”, le spiegò sbrigativamente.

Allison annuì, “Non so dove sia”, mormorò.

Lui si strinse nelle spalle, “Non importa, passerò più tardi”.

Rimasero in silenzio, imbarazzati. Improvvisamente a corto di qualsiasi argomento che esulasse dal motivo della loro tristezza.

“Come…”, Jimmy esitò, “… come stai Cam?” le domandò infine.

Lei si nascose dietro un sorriso artificiale, che niente aveva a che vedere con i suoi veri sorrisi. Quelli che Jimmy aveva conosciuto fino a qualche giorno prima di allora.

Quelli che le illuminavano il viso e gli occhi.

Quelli che Greg smaniava continuamente.

Ci provo”.

Non aggiunse altro, ce n’era bisogno?

Ci stava provando, si. Ci provava da una dannata settimana a non cedere a quel malsano desiderio di ritirarsi nel suo guscio fino a scomparire.

“Ci riuscirai”, le sorrise lui.

Ma Allison non la bevve. Era sicura che, se mai avesse dovuto scommettere, il Dr. Wilson non lo avrebbe fatto sulla sua ripresa.

Sarebbe stato come puntare sul cavallo più vecchio.

Tuttavia gli sorrise a sua volta, grata per quel breve istante di conforto.

“Devo andare ora”, spiegò, “Ci vediamo”.

“Ci vediamo, si”, la salutò Wilson.

Allison annuì, e s’incamminò verso la sala riunioni.

Si, ci avrebbe provato.

 

 

Foreman incrociò le braccia sul petto, l’espressione assorta, lo sguardo fisso sulla lavagna che House stava riempiendo con possibili diagnosi.

“Non potrebbe trattarsi di qualcosa di virale?” domandò Chase, accarezzandosi la nuca.

“Questo è sicuro angioletto”, lo rimbrottò House, “La ves è altissima, ed escluderei che sia a causa della febbre…”

“Pensi che sia la febbre ad essere una conseguenza?”, gli domandò infine Foreman, incrociando le gambe.

“Non è da escludere”, sussurrò Greg, giocherellando con il pennarello nero.

“Avanti marmocchi! Si accettano proposte!” li incitò House.

Chase sospirò, “I linfonodi sono gonfi, la VES è alta, questo indica un malfunzionamento delle difese immunitarie. Il corpo della donna sta combattendo contro qualcosa…”

“Interessante”, borbottò House, “Prova a vederlo, è un buon prodotto per un film!”, lo guardò di traverso, quindi si rivolse a Foreman, “E tu?”

L’uomo scosse il capo, mostrando i palmi delle mani, “Propongo di fare analisi complete per qualsiasi patologia, se la VES è alta, ci dev’essere qualcosa che non va”.

“Scusatemi”, la voce di Cameron, che fino ad allora era rimasta in silenzio, suonò distante, “Avete visto la paziente?” domandò, “E’ incinta, e non di rado la gravidanza aumenta il valore della VES. A mio avviso dobbiamo concentrarci su qualche patologia virale”.

I tre uomini rimasero in silenzio.

House raccattò il suo bastone, senza guardarla, “Ottima osservazione. Fate le analisi e poi chiamatemi. Se si tratta di un virus ce ne liberiamo in fretta”, borbottò.

Fece per uscire, ma la voce di Cameron lo fermò.

“Cosa c’è?” domandò, chinando il capo.

Guardarla, era una pena abbastanza sufficiente per quello che le aveva fatto.

Sembrava sfiorita, improvvisamente privata del suo smalto lucente che aveva tanto amato.

“E’ passato Wilson prima, ti cercava. C’è un consulto da fare, ti manderà qui il paziente nel primo pomeriggio”, lo informò in tono neutro.

Greg annuì, “Ne sai qualcosa?” chiese.

Cameron si strinse nelle spalle, “E’ un bambino. La diagnosi precedente parla di un tumore al cervello, ma la TAC risulta essere pulita. Muscoli tesi, irrigidimento del torace, momentanea perdita delle capacità manuali precedentemente sviluppate”.

Greg inspirò, quindi lasciò andare l’aria lentamente.

“Quando arriva, chiamami”, disse.

Allison annuì, ma poi scosse la testa con convinzione, “Manderò qualcuno. Ho delle analisi da fare”.

Il tono freddò che usò, colpì Greg come un pugno ben piazzato.

Cosa aveva fatto alla sua Cam?

Come c’era riuscito a renderla così?

Rimase fermo, immobile dinanzi alla porta, “Come vuoi”, sussurrò.

Allison lo guardò uscire, tentando di limitare i danni.

Chase e Foreman la stavano guardando, e non sarebbe crollata ancora un volta di fronte a loro. Per niente al mondo.

Si concentrò sul respiro, cercando di regolarizzarlo.

Quando si sentì meglio, si voltò verso i ragazzi, che la guardavano in silenzio.

“Andiamo?” domandò, alzandosi.

Senza dire nulla, la seguirono nel corridoio, e le loro occhiate sembravano dardi infuocati che le incendiavano la schiena.

 

 

Dal suo ufficio, Lisa notò House camminare verso il reparto di oncologia.

Con uno scatto fu alla porta e lo chiamò, “House!”

Lui si voltò, e la sua espressione valeva più di qualsiasi parola avesse detto in quel momento.

“Puoi venire un momento?” domandò.

Lui sospirò, quindi s’incamminò nell’ufficio. Fu in quel momento che Lisa si rese conto di quanto effettivamente fossero cambiate le cose.

“Puoi venire, House?”

“Oh Raggio di Sole, mi piacerebbe ma ormai sono un uomo impegnato”

Era passato un misero mese da quel giorno. Ci aveva riso, a quella battuta.

L’espressione di House nel professarsi impegnato, l’aveva fatta ridere così tanto, da beccarsi una scarica di battute sarcastiche per tutta la durata della riunione.

Adesso, invece, lui non aveva detto nulla.

Si era limitato a seguirla nel suo ufficio.

“Qualche problema?” domandò Greg, chiudendo la porta e poggiandocisi con la schiena.

“Dobbiamo parlarne”, sentenziò lei, decisa.

“Di cosa?”

Lo sai”.

Greg non rispose, si limitò a fissare un punto indefinito dinanzi a lui, come se la questione non lo riguardasse. Come se non fosse altro che un semplice spettatore.

“Dobbiamo cercare di risolvere il problema, House. Così non va. Mi sento uno schifo e non mi piace sentirmi così”.

“Cosa pensavi succedesse?” domandò lui sarcastico.

Lisa sbuffò, “Oh smettila” lo ammonì, “So che è colpa mia, cosa credi? So di aver sbagliato ma… Cristo Greg, eravamo in due quella mattina, capisci? E voglio che siamo in due a risolvere la situazione”.

Lui avanzò verso la scrivania, poggiandoci sopra entrambe le mani.

La fissò infuriato, improvvisamente collerico, “Eravamo in due si. In due abbiamo commesso un errore, e in due non lo risolveremo. Non lo risolveremo nemmeno se fossimo in cento. Mi spiace ma la frittata è fatta. Quel che è stato è stato. Si può solo andare avanti”.

Lisa deglutì a fatica. Le lacrime che le pizzicavano gli occhi.

“Non posso credere che la pensi così…” mormorò con un filo di voce.

“Problemi tuoi”, ribatté lui.

“Andiamo House! Non è facile nemmeno per me. Ma sono convinta che le cose non siano del tutto rovinate”, lo fissò risoluta, “Possiamo ancora fare qualcosa…”

Lui scosse la testa, ridacchiando, “E cosa? Sentiamo cosa avevi in mente”, non le diede il tempo di rispondere, “Presentarmi da Cameron con un mazzo di rose e chiederle perdono mentre cado tremante ai suoi piedi?”, scosse la testa, “Meno film romantici!”

Lisa si alzò dalla sedia, piazzandoglisi di fronte, “Qualcosa possiamo fare”, sibilò.

Greg la guardò, e per un momento provò tristezza per lei.

Per quello che stava passando e per il suo viscerale bisogno di sentirsi perdonata.

Purtroppo per lei, però, non c’era nessuno disposto a farlo.

Come nessuno era disposto a perdonare lui.

Gli occhi di Lisa si riempirono di lacrime, “Greg…” sussurrò.

Lui, intenerito da quella debolezza adesso così palese, allungò una mano a sfiorarle la guancia.

Avrebbe voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, ma sapeva che non era così.

Il vetro era rotto, ricomporlo era impossibile.

Lei posò una mano sulla sua, socchiudendo gli occhi.

Rimasero in silenzio, fermi, cercando reciproco conforto da quel contatto, finché la porta non si aprì.

Allison li guardò.

Guardò i loro sguardi stupiti, la mano di Greg che si ritraeva di scatto, la Cuddy che spalancava gli occhi.

Sospirò, quindi girò sui tacchi e uscì, senza dire nulla.

“Non c’e niente che si possa fare…” mormorò Greg.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TO BE CONTINUED

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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