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Autore: _Fy    13/08/2012    2 recensioni
Sara è una ragazza allegra e solare eppure così insicura e timida. Come ogni adolescente si troverà ad affrontare le problematiche della sua età. Frequenta il terzo anno di scuola superiore ed è sempre in compagnia della sua migliore amica storica, Liliana. Tra qualche gioia e qualche dolore tipico dei suoi 16 anni, Sara affronterà mille avventure e finalmente conoscerà l'amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo era incredibilmente limpido quella sera, nessuna nuvola oscurava le stelle; Sara le guardava assorta dalla piccola finestra situata nella sua stanza, le ammirava incantata mentre sulle sue labbra vi era dipinto un'accenno di sorriso che le donava un aspetto malinconico, lontano, proprio come i suoi pensieri. Ripensava alla conversazione avuta con Matteo quella mattina e a come inevitabilmente gli si fosse avvicinata, non solo con il corpo ma anche con la mente.

Il pensiero di poter perdere qualcuno che amava l'aveva sempre spaventata; quando aveva perdurto la nonna, era poco più che una bambina e faticava, adesso, nel richiamare a sé le emozioni che una perdita comporta. 

Lei in realtà, aveva sempre creduto di aver vissuto un piccolo lutto che non era riuscita a superare: l'abbandono del padre.

Non era certamente paragonabile alla morte dei tuoi più cari amici ma, seppur in maniera diversa e con minor intensità, le sensazioni erano simili: rabbia, senso di colpa, paura, dolore, vuoto.

Le stesse emozioni che aveva scorto la prima volta in quegli occhi color del ghiaccio, nascoste da quello strato di freddezza e indifferenza che costituivano solo una maschera creata accuratamente per proteggersi, per tenersi lontano dalle persone, per paura di poter fare ancora del male, per paura di farsi ancora del male. Quelle stesse emozione che ritrovava sempre lì ogni qual volta i loro occhi si incontravano e lei poteva immergersi dentro, senza temere il gelo.

Quelle stesse emozioni che leggeva nei suoi occhi ogni qualvolta si specchiava: la stessa maschera, due modi diversi di proteggersi.

Non aveva mai pensato così tanto alla morte prima d'allora e si sorprese non poco nello scoprire di non temerla: la fine non la spaventava, restare invece le faceva paura.

Chi resta soffre, chi va non è più nulla. 

Lo squillo del telefono la distolse dai suoi lugubri pensieri; Sara si affrettò a recuperare il suo cellulare che, chissà per quale arcano motivo, era finito sotto le varie coperte che giacevano attorcigliate ai piedi del suo letto disfatto. Si ritrovò più volte a maladire se stessa per il suo disordine e la sua pigrizia prima di schiacciare la cornetta verde del suo cellulare.

- Pronto?

Troppo concentrata nel recupero del cellulare prima che la chiamata si interrompesse, aveva dimenticato di guardare chi la stava chiamando. 

- Sara, sono papà! 

A Sara mancò un battito; da quando non sentiva suo padre? Ormai aveva perso il conto dei giorni.

- Ciao papà, come stai? 

- Tutto bene, sono solo un po' stanco, ho finito adesso di lavorare e sto tornando a casa. E tu? 

- Tutto bene.

Semplice, chiara, senza fronzoli, falsa.

- Che si dice? Tutto bene a scuola? 

- Tutto bene, i miei voti non sono calati e continuano ad essere almeno decenti, il professore si è ormai abituato ai miei ritardi e la mattina non mi sgrida più, si limita solo a qualche occhiataccia.

- Cerca di impegnarti! Comunque sono arrivato a casa tesoro, ci sentiamo nei prossimo giorni, ok?

L'espressione "nei prossimi giorni" non si poteva esattamente definire coerente alle abitudini del padre ma trattenne le parole e il suo cuore.

- Va bene papà, ciao.

Chiuse la chiamata e si gettò a peso morto sul letto; le chiamate di suo padre le lasciavano sempre un senso di angoscia misto a felicità e nostalgia. Una felicità effimera, sostituita dalla rabbia quando si rendeva conto di quanto fossero sporadiche quelle chiamate. Suo padre aveva sempre giustificato questa sua negligenza imputando la colpa al suo modo di essere non facendo altro che peggiore la situazione nonchè quel precario equilibrio che tra loro si era creato. Avrebbe voluto un piccolo sforzo da parte sua, qualche chiamata in più o un messaggio una volta a settimana, giusto per farle sapere che era ancora vivo e la pensava.

La situazione poi era peggiorata con l'arrivo di Kelly, prima sua compagna e poi nuova moglie. 

Trovava giusto il fatto che il padre si fosse rifatto una vita o almeno una parte di lei, quella matura e cresciuta, reputava fosse così. Eppure molte volte le sembrava di potersi vedere dentro e nel profondo del suo cuore, nascosta in un angolino, poteva scorgere benissimo la se stessa bambina, con le lacrime agli occhi e le guance gonfie dalla rabbia, la bambina gelosa e desiderosa di attenzioni che non voleva alcuna donna vicino a suo padre.

Ritornò indietro con la mente, nel giorno del loro matrimonio; quanti falsi sorrisi aveva dispensato, e quanta falsa felicità aveva mostrato per non far star male suo padre, per non farsi vincere dalla paura e non sentirsi ancora sola mentre lui guardava estasiato la sua compagna. Si era sempre ripetuta di poter accettare la situazione ma di non potersi affezionare in alcun modo a quella donna, in realtà non era stata nemmeno capace di accettare.

Aveva solo cercato di essere forte e di mandare giù l'ennesimo rospo.

Essere forte però non era da lei, la sua forza era solo una maschera ben costruita, una protezione che custodiva al suo interno una ragazza infinitamente fragile, pronta a spezzarsi a causa di un gesto, una parola o un semplice sguardo. 

Una maschera che le aveva consentito di mostrarsi orgogliosa e talvolta acida con suo padre o chi le stava intorno, di camminare a testa alta con sguardo fiero invece di inginocchiarsi a terra e vomitare il suo male.  

Sin da bambina, il suo dolore lo avevano visto solo le pareti della sua camera e la consistenza delle sue lacrime le aveva solo sentite il suo cuscino.

Con ancora quei pensieri per la testa, scivolò nell'oblio mentre una lacrima, sfuggita ai suoi occhi, le scivolava lungo la guancia.

Il mattino seguente Matteo si alzò di buon ora; dopo la confessione fatta a Sara, sentiva ancora l'ombra della leggerezza serpeggiare dentro di sè. Inoltre, il buon proposito di conquistarla, aveva riaccesso quell'assopita fiammella che da tempo non lo scaldava più. Si lavò e si vestì velocemente, dedicando lo stesso scarso tempo alla sua colazione; era impaziente di arrivare a scuola nonostante conoscesse l'attitudine  della ragazza nell'arrivare sempre in ritardo. Voleva arrivare primo e aspettarla in aula, voleva incontrare il suo sguardo e sorriderle, come non aveva mai fatto, come ormai non faceva da tempo, un sorriso speciale, il primo dopo anni per dedicarlo solo a lei. 

Uscì velocemente di casa urlando un saluto ai suoi genitori che lo stavano ancora fissando sorpresi a causa del suo evidente cambiamento; durante il tragitto, si ritrovò a pensare a come l'incontro con una persona, potesse rivoluzionare la vita, cambiare la realtà delle cose, invertire le prospettive e rivoluzionare le idee.

Sara aveva cancellato i suoi incubi, quella notte non aveva rivissuto l'incidente dei suoi migliori amici, bensì aveva sognato il suo sorriso, si era beato dell'eco delle sue risate e aveva riascolta le parole dolci che le aveva rivolto la mattina precedente, parole che lo avevano cullato e avevano lenito le sue ferite come un balsamo. 

Arrivato in classe si sedette al suo posto impaziente; chiunque avrebbe potuto vedere la sua agitazione, lo si poteva notare dai suoi occhi, dalle continue occhiate che rivolgeva alla porta, dai suoi sussulti ogni qual volta questa si apriva e dalla delusione che lasciava trasparire quando scopriva che non era lei.

- Ti vedo agitato questa mattina o sbaglio?

Troppo preso a non staccare gli occhi dalla porta, non si era accorto che Liliana le si era avvicinata ed ora lo stava guardando tra l'incuriosito e il malizioso. 

Le rivolse appena un'occhiata di sfuggita per poi rivolgere il suo sguardo nuovamente in direzione della porta. 

- Uhm

- Noto che sei anche molto loquace.

- Si, certo.

- Si, certo. Cosa?

- Già.

Liliana sbuffò infastidita rendendosi conto che non la stava minimamente ascoltando.

- Allora?

Esordì scocciata.

- Sei venuta con Sara?

Finalmente i suoi occhi incontrarono i suoi e dentro vi scorse una grande intensità e nuova luce.

- Si

- E dov'è adesso?

Le sembrò di sentire una poderosa stilettata al cuore quando si accorse che l'intensità del suo sguardo e quella nuova luce avevano una padrona e non era lei.

- Che ti importa? 

- Lascia stare.

Matteo si alzò di tutta fretta e schizzò via dalla classe lasciandola lì, sola e indispettita.

- Non finisce qua, arriverò al tuo cuore.

Si ripromise la ragazza.

Matteo conoscava solo un posto dove Sara poteva essersi rifuggiata prima delle lezioni, a guidarlo era il suo cuore. 

Si fermò davanti alla porta chiusa della terazza cercando di riprendere fiato dopo la corsa inconsapevole che si era ritrovato a fare per poterla raggiungere il prima possibile; abbassò piano la maniglia, quasi come se temesse la delusione che lo avrebbe attanagliato se non l'avesse trovata o forse ciò che temeva maggiormente era solo quel senso di felicità e di calore che provava ogni qual volta gli era vicino.

Il battito veloce del suo cuore, gli suggeriva che lei era là, l'aveva vista prima ancora che potessero farlo i suoi occhi. 

E infatti era lì, bella da far male nella sua semplicità, bella non per chiunque ma bella per lui.

La prima cosa che Matteo notò furono i suoi capelli, quel giorno non erano liberi ma li aveva imprigionati in un'alta coda di cavallo che le scopriva la nuca, poi si soffermò sulla sua figura armoniosa sentendo nascere dentro di sé il desiderio di specchiarsi nei suoi occhi e leggervi solo sorpresa e felicità, quello stesso sentimento che lo stava invedendo ora.

- Ciao

Sara sussultò spaventata e sentì il cuore correrle nel petto una volta associato il suono di quella voce alla persona a cui apparteneva.

- Ciao

Sussurrò senza voltarsi.

- Cosa fai qui?

- Avevo bisogno di stare da sola.

Sara abbassò il capo trovandosi ad osservare la ringhiera sulla quale era appoggiata, come se gli occhi di Matteo potessero raggiungere i suoi e capire cosa avesse dentro.

- Capisco, ti va di parlarne?

Voleva rispondere con una secca negazione ma qualcosa dentro di lei la spinse a parlare, per la prima volta capì di potersi aprire con qualcuno. 

Si girò permettendo ai loro occhi di incontrarsi, di comprendersi e scoprirsi.

- I miei genitori si sono lasciati quando io ero molto piccola, avevo 4 anni credo. Quel giorno lo ricordo come fosse ieri, ricordo le lacrime di mia madre, la schina di mio padre che avanzava verso la porta con le valigie in mano, senza voltarsi, senza nemmeno guardarmi, ricordo di averlo chiamato spaventata, ricordo che per un momento mi aveva guardata, aveva lasciato le valigie per terra e mi era venuto incontro, mi aveva accarezzata come fossi di cristallo, così fragile da potersi rompere da un momento all'altro, poi mi ha voltato nuovamente le spalle e ha proseguito per la sua strada. In quel momento, qualcosa dentro di me si è rotto davvero. 

Gli occhi di Sara non avevano mai abbandonato quelli del ragazzo così lui potè recepire da essi tutte le emozioni che per tanto tempo aveva provato a nascondere. 

- Mia madre era distrutta ed io la vedevo fragile, così ho iniziato a farmi forte per lei, a prendermene cura, spinta da chissà quali sentimenti, pena o rabbia, per quella donna fragile che si era lasciata scappare l'uomo che amava. Rabbia per lui che era riuscito a voltare pagina così facilmente, quasi come se non fosse la sua vita, come se in tutto quel tempo fosse stato uno spettatore annoiato che decide di cambiare film. Pena per me, una bambina che aveva appena scoperto che anche la persona che dice di amarti più al mondo può darti le spalle e allontanarsi. Rabbia per mia madre che mi aveva addossato la responsabilità di farlo tornare, rabbia per me che non ci sono mai riuscita. 

- Non hai alcuna colpa per quello che è accaduto.

Matteo credette di rivivere la mattinata precedente, solo che ora era lui a dover consalare un cuore ferito, era lui a dover scacciare i suoi fantasmi e farle ritrovare il sorriso.

- Mio padre si stabilì dalla nonna e nonostante abitassimo vicini, lo vedevo solo una volta a settimana per una pizza. Non passavo molto tempo in sua compagnia e spesso capitava che mi facesse buca per uscire con i suoi colleghi di lavoro dimenticandosi di avvertirmi ed io rimanevo ore con il naso e le mani spiaccicate sul vetro in attesa di vedere la sua auto, di vederlo scendere e farmi un cenno di saluto.Quando poi non lo vedevo arrivare, facevo finta di nulla e mi chiudevo nella stanza a piangere, lontana dagli occhi di mia madre, sola nel mio dolore per non pesare sul suo. Le cose sono precipitate quando poi mi ha detto che sarebbe partito per lavoro, stabilendosi in un'altra città perchè il suo mestiere prevedeva questo ogni 5 anni ed io mi sono sentita abbandonata una seconda volta. Non gli ho detto nulla sai? L'ho lasciato partire senza che sapesse come mi sentivo, ho lasciato che vedesse una forza che non mi apparteneva ma che ho tirato fuori per proteggermi da lui, forse per non dargli la soddisfazione di vedermi soffrire, volevo fargli male come lui ne aveva fatto a me, volevo fargli credere che non mi importasse come lui aveva fatto con me. 

Sorrise sentendosi stupida, sorrise rendendosi conto che in quel momento si stava riscoprendo davvero.

- Non si è mai fatto sentire più di tanto, lui non è tipo da chiamare spesso, però avrei preferito lo facesse, avrei preferito si sforzasse per me, per dimostrarmi qualcosa. Qualche tempo dopo mi ha annunciato che si era fidanzato, non l'ho presa bene ma non potevo fare nulla se non accettare quello che stava accadendo, accettare ma non approvare e non ho approvato fino all'ultimo, fino al giorno del suo matrimonio, fino ad ora. Una parte di me sa che è giusto così ma sento nel mio cuore la me stessa di 4 anni che piange e si dimena, quella parte non è altro che la mia fragilità, il mio non essere andata avanti. Mi fa pena pensare a quella bambina che piange, cresciuta con l'idea che tutti prima o poi vanno via, che cerca in tutti i modi di convincersi che l'amore esiste e per quanto possa essere cinica sull'argomento, ci spera ancora, quella bambina che piange sola lontana dagli occhi altrui, che nasconde le sue ferite come fossero un peccato, come se fossero una debolezza, uno sbaglio. Una bambina che si è addossata colpe e responsabilità, che ha punito se stessa, che aveva paura di essere debole e di sbagliare, che si è chiusa a riccio, spaventata dall'idea di legarsi a qualcuno e perderlo.

Matteo avanzò vero di lei, spinto dalle lacrime che scivolavano copiose dai suoi occhi.

In quel momento lei aveva abbattuto la sua barriera, si era mostrata fragile e insicura, non aveva sorriso e non aveva dato segno di possedere alcuna forza al riguardo, aveva solo mostrato cosa c'era aldilà del muro: una bambina, una donna, una ragazza che aveva cercato per anni di proteggersi dai sentimenti e dall'amore, un sentimento da lei odiato perchè visto come falso e non duraturo, ma nel frattempo tanto desiderato.

La strinse a sé e Sara si lasciò cullare.

- Non sei più sola, ora ci sono io con te. Permettimi di diventare tuo amico, lasciami passare. Lasciami arrivare da quella bambina e cullarla, calmare la sua paura. Lasciati guarire e ti prego, guarisci anche me. Diventa mia amica.

E contro ogi sua aspettativa, cullata dal quel dolce topore che quell'abbraccio le trasmetteva, Sara si ritrovò ad annuire. 

   
 
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