Caduta libera, niente nubi all’orizzonte
“Loki Laufeyson,
per i crimini che ti sono stati imputati, quali il tradimento alla
famiglia reale, l’alleanza con i Chitauri e la
tentata distruzione di Midgard, il Consiglio
presieduto dal padre degli déi Odino ti condanna,
dopo aver discusso a lungo del tuo caso, all’esilio forzato sul pianeta Terra.
Privo di poteri. E privo del tuo corpo”
Il tribunale degli déi esplose in un
brusio intenso. Tutti volevano esprimere la propria opinione, tutti volevano
sputare cattiverie sul dio delle malefatte, sul falso figlio di Odino.
Ma nessuno ebbe il coraggio, come l’imputato sospettava, di
rivelare i propri pensieri a voce abbastanza alta da farli giungere al suo
orecchio.
Loki sorrise di questo, sorrise nella
solita maniera effimera e canzonatoria che gli era solita, ma non alzò gli
occhi da terra. Non li alzò neppure quando vennero a sollevarlo di peso e a
trascinarlo al luogo dell’esecuzione.
Li tenne ostinatamente a terra, a osservare il pavimento dorato e lustro,
stupendosi quasi infantilmente di quanto fosse perfetto e lucido, privo di
crepe. Non guardò neppure coloro che fin dalla tenera età aveva imparato a
chiamare padre, madre e fratello. Era
perso nei suoi pensieri, chiuso nel suo silenzio, a riflettere.
A meditare vendetta.
Vendetta contro chi l’aveva offeso.
Vendetta contro quegli eroi che si erano messi contro di lui.
Vendetta contro suo fratello, che più di tutti disprezzava.
Vendetta.
You were my conscience
So solid now you’re like water
And we started drowning
Not like we’d sink any farther.
Una folata di vento gelido le scompigliò i capelli,
sollevandoglieli appena, come lunghi tentacoli neri dotati di vita propria.
Gettò un veloce sguardo in basso, indifferente all’altezza su cui si trovava, e
poi lo ruotò intorno a lei: i palazzi del centro la circondavano, la cingevano
nel loro freddo abbraccio, fatto di metallo e cemento. Non c’era niente, in
tutto quel grigiore, che la distogliesse dal suo proposito.
Alzò allora gli occhi, sentendo un lieve giramento di testa per il
brusco cambio di prospettiva.
Cielo e terra, in quel momento, erano una cosa sola, un solo
colore.
Grigio. L’incontro fra il bianco e il nero, fra luce e ombra.
But I let my heart go
It’s somewhere down at the bottom
But I’ll get a new one
And come back from the hope that you’ve stolen.
La voce di Hayley Williams rimbombava
sonoramente nella sua testa, trascinandola come al solito in un vortice di
emozioni. In un’altra occasione si sarebbe messa a battere i piedi per terra, a
scuotere i lunghi capelli corvini che le arrivavano fino al fondoschiena,
chiudendo gli occhi e lasciando che il sangue le ribollisse, così da diventare
un tutt’uno con la voce e la musica dentro la sua testa.
Ora, però, non poteva. Se l’avesse fatto, sarebbe caduta giù, fra
le braccia della Morte. E voleva farlo, ma seguendo un preciso piano dentro la
sua testa che non prevedeva balletti improvvisati sul tetto del palazzo.
Estrasse dalla tasca del suo giubbotto un piccolo specchietto dai
bordi dorati e brillanti. Lo portò davanti a sé e si guardò: il volto pallido,
sciupato, le pronunciate occhiaie viola, unica traccia della sua insonnia che non
la lasciava riposare, un paio di occhi grigio perla, spenti e tristi, come se
tutta la loro energia vitale fosse stata risucchiata. Sua madre le diceva che
aveva degli occhi unici, che mai nessuno nella sua famiglia aveva avuto: alla
luce diventavano di un verde splendente, al buio di quel grigio chiaro.
Ma ciò che vedeva era solo grigio, uno spento e fiacco grigio,
identico a quello dei palazzi e del cielo.
Un cielo privo di nuvole.
Il cielo, l’intera galassia, non gli era mai parsa così vuota come
ora.
Eppure era adatta al suo stato d’animo in quel momento: perché
perfino lui si sentiva vuoto, arrivato al Bifrost.
Solo il pensiero incessante della vendetta pulsava vivo nella sua testa, come
una canzone ascoltata troppe volte e di cui non si riusciva a dimenticare il
ritmo.
Loki teneva ancora lo sguardo basso.
Una guardia lo prese per i capelli e gli sollevò la testa in modo rude,
strappando al malcapitato uno sbuffo infastidito.
Il silenzio era finalmente calato sulla lunga processione di déi, capitanata dalla famiglia reale, che lo aveva
accompagnato fino alla sua ultima meta. Non un gemito, non un pianto o un
singhiozzo sommesso per il dio degli inganni, ormai caduto.
Thor non osava guardarlo. Ora era lui a tenere fisso lo sguardo a
terra, perso in pensieri che forse Loki poteva
indovinare, ma non gli interessava.
Frigg guardava con rammarico celato la
testa di colui che in tutti quegli anni aveva chiamato figlio, e che perfino in
quel momento considerava tale. Sperava – dandosi della sciocca – che prima o
poi si voltasse, cercandola un’ultima volta con lo sguardo. Ma non lo fece.
Odino stava invece di fronte a lui, fissandolo intensamente con il
suo unico occhio. Era impossibile per Loki capire
cosa pensasse di lui il padre degli dei. Per un momento si guardarono, si
studiarono come estranei. Poi Odino distolse lo sguardo e fece un cenno alla
guardia che teneva Loki per i capelli.
La guardia lasciò andare la testa e lo liberò dalle manette. Con
un calcio che doveva sembrare lieve lo intimò ad andare avanti, facendo però
scattare da lontano Thor che era già pronto a prendere le difese del fratello
per un’ultima volta. Il padre, però, lo ammonì a stare al suo posto con
un’occhiata.
Loki avanzò sul ciglio del Ponte
Arcobaleno e abbassò di nuovo gli occhi.
Vuoto. Non c’era niente dall’altra parte.
Sarà una caduta libera e
abbastanza lunga, pensò poco
prima di buttarsi in avanti e lasciarsi cadere, davanti alla meraviglia di
tutti i presenti che non si aspettavano quel gesto volontario.
Le ultime cose che udì furono il suo nome gridato da Thor.
E una lontana voce femminile che cantava con dolore.
I’ll stop the whole world,
I’ll
stop the whole world
Si tolse in fretta il giubbotto nero, tirò fuori dalle tasche
tutto ciò che aveva: cellulare, chiavi, biglietto dell’autobus, il resto del
biglietto, l’Ipod. Infine si strappò dalle orecchie
perfino gli auricolari e gettò tutto dietro di sé. Poteva ancora sentire il
brusio dell’ultima canzone che aveva scelto, la canzone che l’avrebbe
accompagnata dovunque sarebbe andata.
Salì senza tremare sul cornicione del palazzo e rimase in perfetto
equilibrio lassù, a osservare ancora il cielo grigio.
Niente nubi all’orizzonte: buona
cosa, vuol dire che sta per succedere qualcosa di positivo.
Sorrise amaramente a quel pensiero. Non c’era niente di positivo e
speranzoso nel suo gesto.
Non c’era più niente per lei, niente che la tenesse legata al
mondo.
Né un futuro.
Né un sogno.
Né una famiglia.
Nessuno.
From turning into a monster, and eating us alive
Don’t you ever wonder how we survive?
Strinse ancor di più lo specchietto, unica cosa che non aveva
buttato nel mucchio alle sue spalle. Si specchiò un’ultima volta: la sua
immagine non le era mai sembrata tanto patetica.
Devi sparire!
Allungò la mano in avanti e lasciò cadere nel vuoto lo specchietto
dorato, sicura che fra poco lo avrebbe raggiunto.
Poco prima di abbassare lo sguardo, le sembrò di aver visto un
veloce fascio di luce nel cielo, simile a una cometa. Si disse che era
impossibile.
Dondolò le gambe prima indietro, poi in avanti e, con un placido
sorriso, si gettò anche lei nel vuoto, sentendo l’impatto violento con la gravità
e il vento che la intimava di tornare indietro.
Le persone dentro il palazzo fatto di vetro videro di sfuggita
l’ombra scura di una ragazza che cadeva giù nell’abisso.
La ragazza vestita di nero vide riflesso nei vetri non la sua
consueta immagine, ma un uomo che non aveva mai visto, anch’esso nero e con
qualche traccia di verde, che cadeva come lei – insieme a lei – nel
vuoto.
Entrambi si osservarono smarriti, ma non spaventati.
Poi arrivò il buio. E con lui un nuovo e opprimente peso che si
posò sopra al suo cuore.
Un peso che gridò, si dibatté, tentò di abbattere le barriere e si
placò, dopo aver trovato finalmente un posto in quel luogo oscuro che fosse
adatto a entrambi.
L’ultima cosa che vide, al contrario delle sue aspettative, non fu
il suo riflesso nello specchietto dorato. Ma due occhi verde smeraldo che la
fissavano, con la stessa confusione e la stessa coscienza che avrebbero
affrontato quell’ultimo viaggio insieme.
Well, now that you’re gone the world is ours.
SPAZIO DELL’AUTRICE:
Dunque, che dire? È la prima volta che pubblico in questa sezione,
sono inesperta ma avevo una voglia matta di buttare giù questa idea che da un
po’ mi martellava. Appena sono entrata qui, ho visto un casino di storie su Loki, Loki e Thor, Loki e Nuovo Personaggio, Loki e
la redenzione, Loki e il mio gatto… (no, scherzo, non
ho neppure un gatto XD) Magari vi saranno venute a noia…
Mi dispiace per voi, ma dovrete sorbirmi anche la mia! Muahahahahah!
Ehm, *coff, coff*…
Per questa fanfiction mi sono ispirata a un’immagine
vista mente giravo per il web (ecco qui: http://th07.deviantart.net/fs70/PRE/i/2012/123/2/9/the_avengers_by_matsuomiyako-d4ydmht.jpg) che, non so per quale oscura
ragione, mi è rimasta parecchio impressa. Da ciò, è venuta fuori questa storia.
Vi prego di essere clementi con me, forse non ho capito una pippa
del carattere di Loki, ma ho tentato di renderlo come
meglio potevo e come sempre me lo sono immaginata da prima del film “Thor” e
“The Avengers”, grazie alla lettura de “Le parole
segrete” di Joanne Harris (ve lo consiglio, per chi non l’avesse ancora letto)
e di vari racconti nordici.
Con questa luuuunga presentazione, vi
lascio finalmente in pace e vi aspetto al prossimo capitolo.
See you again!