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Autore: nevertrustaduck    14/08/2012    7 recensioni
"...Guardando i suoi occhi per una volta mi sentii a casa. Per una volta credetti veramente di essere importante per qualcuno, sentii di essere nel posto giusto. Pensai che non sarei mai più stata sola..."
Jessica vive in un orfanotrofio da quando ha cinque anni. E' cresciuta sotto l'occhio severo e premuroso di Tess, la sua migliore amica, con la quale ha intenzione di scappare non appena compiuti i diciotto anni. Nessuno si è mai curato di lei, a scuola è una continua derisione per quello che non ha, ma un incontro sul lavoro le cambierà radicalmente la vita. Tutto è innescato da delle coincidenze.
E' proprio vero: la vita è quell'entità che si pone tre te e i tuoi piani per il futuro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Never stop dreaming
 




Cercavo di lavar via dalle pentole che avevo tra le mani anche la faccia del mio “datore di lavoro”.
Per quanto mi ostinassi a grattar forte con la spugnetta era sempre lì, sorridente e beffardo.
Cosa ti ridi? Avrei voluto chiedergli. Poi pensai che mettersi a parlare con pentole e padelle non doveva essere una gran trovata, così tenni quella domanda per me.
Facendomi due calcoli trovai anche la mia risposta.
“Jessica lasciagli il punto”, “Jessica fallo vincere questa volta”. Jessica svegliati! Due volte che vi siete parlati e due volte che lui ha avuto la meglio su di te. E sa anche il mio cognome grazie al professore di letteratura! Però su quel versante siamo pari, dato che io so il suo nome. Se lo possiamo contare come un punto a favore…
«Ragazzi non crederete mai a quello che sto per dirvi!» disse Patty interrompendo le mie visioni, grazie al cielo.
Patty era una ragazza dello Universal Rainbow come me, solo di due anni più piccola. Aveva i capelli biondi raccolti in una coda alta che le solleticava il collo e una folta frangia che le riempiva la fronte. Il suo non era un biondo dorato come quello di Tess, bensì un biondo cenere con qualche ciocca tendente perlopiù al castano.
I suoi occhi verdi, già grandi di natura, ora lo erano ancora di più a causa dell’annuncio che doveva darci.
«Avanti, spara» disse qualcun altro vicino ai fornelli.
«Ho sentito dire che qualcuno è venuto per ottenere l’affidamento di un ragazzo!» disse sorridente.
Le sorrisi a mia volta, non potevo fare niente di più.
Non speravo più ormai da tanto tempo di essere quella ragazza, ma allo stesso tempo non volevo disilludere Patty e rovinare la sua felicità. In fondo i ragazzi di quindici anni qualche probabilità ancora ce l’avevano.
«Non prenderanno mai noi» disse scoraggiata la ragazza dei fornelli, facendo partire un coro di voci affrante.
«Siamo troppo grandi»
«Non abbastanza carini»
«Siamo indisciplinati, dato che siamo in questa cucina come punizione»
«Il nostro tempo è scaduto»
«Non abbiamo… »
«BASTA!» urlai stanca di tutto quel piagnucolare.
«Basta, vi prego» dissi diminuendo il tono.
Il viso di Patty che prima era illuminato dalla gioia, ora era soltanto dipinto con la smorfia amara della consapevolezza della verità che si nascondeva dietro quelle parole.
«Cosa c’è, credi ancora che a diciassette anni venga qualcuno ad offrirti una casa? Scusa se ho infranto i tuoi sogni!» mi disse la ragazza che stava accanto ai fornelli.
«No, non lo credo ormai da un po’. Però non voglio credere nelle considerazioni che avete appena fatto. Qui c’è gente che magari ha ancora una possibilità ed io non gliela manderò in fumo con le mie paranoie. Patty ha parlato di “ragazzo”, vuol dire che chi è venuto ha intenzione di adottare proprio uno di noi. Non un bambino, ma un ragazzo con il suo bel carattere già formato. Quindi adesso, quando suonerà la campana della fine del turno, ci andremo a preparare e ci faremo più carini che mai, almeno per ringraziarli» dissi chiaramente.
Mi voltai verso Patty e la vidi accennare un sorriso.
«Per ringraziarli di cosa? Di aver scelto qualcun altro al posto nostro? Ho sentito dire che un’idea già ce l’hanno» disse Madison, una ragazza di colore che aveva appena finito di pulire il forno.
«Li ringrazieremo per aver pensato a noi, per averci fatto sperare, per aver regalato una casa ad uno di noi, chiunque esso sia» dissi posando lo sguardo su ogni ragazzo che in quel momento abitava la cucina.
C’era Josh, un ragazzo basso e mingherlino, indaffarato a rimettere a posto le posate; Madison ancora accovacciata accanto al forno; Kurt, alto, biondo e mascella imponente, impegnato a lavare per terra; la ragazza che puliva i fornelli, Karen, con una lunga treccia nera che le cadeva lungo la schiena; Patty, sulla porta, ancora indecisa se tornare a sorridere del tutto oppure rassegnarsi allo sconforto generale; e poi c’ero io, Jess, intenta a levare faccia-di-macaco dal retro delle pentole.
Non so, per un momento il giorno prima aveva assunto un’espressione incredibilmente somigliante alla scimmia, e così adesso lo soprannominavo così.
«Non dobbiamo mai smettere di sognare, ragazzi. Questo per qualunque cosa» conclusi qualche istante prima che la campana che annunciava il termine del nostro lavoro nelle cucine suonasse.
Se ne andarono tutti poco dopo, lanciandomi occhiate dubbiose a mano a mano che uscivano.
Alla fine rimanemmo solo io e Patty.
«Grazie comunque Jess» mi disse con un sorriso prima di lasciare anche lei la cucina.
Perfetto, avevo davvero ottenuto l’effetto che desideravo con il mio grande discorso.
Perché nei film funzionava sempre?
Infondo volevo solo salvarmi dall’essere l’artefice della tristezza di qualcun altro.
Posai le pentole sul lavello, mi tolsi il grembiule e mi soffermai a guardare l’immagine che rifletteva il fondo di una di quelle.
Adesso anche quel ragazzo che prima rideva tanto scuoteva la testa riprovevole.
«Ma cosa vuoi ancora?» gli chiesi questa volta ad alta voce. Chiusi il grembiule nel cassetto con le altre divise e marciai fuori della cucina, decisa a mettere fine a quella follia delle visioni.
***

Diversamente da quello che avevo proposto di fare agli altri, andai al corso di letteratura quel pomeriggio. Le probabilità che scegliessero me erano bassissime e in cuor mio speravo vivamente che quella coppia di futuri genitori facesse ricadere la propria scelta su qualcuno al quale brillavano ancora gli occhi dalla speranza quando sentiva parlare di adozioni. Qualcuno come Patty, ad esempio.
Era l’unica lezione pomeridiana che seguivo, dopodiché sarei ritornata in istituto e avrei controllato chi fosse stato il fortunato.
Mi abbandonai sulla solita sedia in fondo all’aula. In fondo provavo un senso di riconoscenza verso i miei compagni che mi lasciavano sempre quel posto a disposizione. Dopo poco però arrivò anche il mio vicino. In orario, questa volta.
«Ciao» mi disse con un sorriso.
«Ciao» risposi senza entusiasmo, aprendo il libro di testo alla pagina del giorno.
«Hai passato una bella giornata?» mi chiese cogliendomi di sorpresa.
Come mai era passato dal ferirmi brutalmente a tutto questo interesse?
«Non lo chiederei a chi ha appena finito di lavorare in cucina» risposi prendendo un evidenziatore dalla borsa, iniziando a sottolineare le parti più importanti del paragrafo che avevo appena letto.
«Ah» lo sentii dire sommessamente, come se all’improvviso si sentisse in colpa.
«Allora mi avrai pensato almeno un po’» disse ritrovando il suo spirito da latin lover.
«Avrei dovuto farlo?» chiesi scettica.
Lo vidi passarsi distrattamente una mano tra i capelli, non sapendo dare una risposta precisa alla mia domanda.
Eccolo il tuo famoso punto, cara Jessica.
Il professore entrò in classe con un sorriso talmente ampio che poteva benissimo prestare il volto ad una pubblicità di dentifrici sbiancanti.
Si sedette alla cattedra e disse con fare eccitato che aveva avuto una bellissima idea per i lavori di ricerca su Shakespeare. Sembrava un bambino impaziente di provare il suo nuovo giocattolo, aveva lo stesso luccichio negli occhi, così senza tanti giri di parole ci disse che ci avrebbe diviso in coppie e che ci avrebbe assegnato un’opera da approfondire.
Beh, non capivo proprio dove fosse la genialità della cosa. Era un progetto che avevano fatto come minimo miliardi di persone in tutto il mondo prima di noi.
«Vi starete forse chiedendo cosa ci sia di speciale in questo progetto» disse poco dopo, leggendomi nel pensiero.
«Dato che molti di voi frequentano il Drama Club ho pensato che, alla fine del trimestre, potreste recitare un pezzo noto tratto dall’opera che vi sarà assegnata. Dareste la vostra impronta personale al dramma, dandone una visione diversa a tutti noi» spiegò concitato.
Mhh. C’era qualcosa che non mi piaceva in quel progetto, ma non ero ancora riuscita a capire cosa fosse. Sentivo come se ci fosse una sorta di tranello sotto.
«Per facilitare le cose farete coppia con il vostro compagno di banco» disse il professore indicando le singole coppie.
Ecco qual’era la parte che non mi piaceva. La fregatura non aveva tardato ad arrivare.
«Scusi, veramente preferirei… » dissi alzando la mano, cercando di protestare.
Io quello lì non lo volevo. E soprattutto non volevo starci gomito a gomito più del dovuto.
«Stia tranquilla signorina Switcherson, sarà un’occasione per socializzare. E in più sarete voi gli artefici del vostro destino» disse il professore interrompendomi e arrivando da me con un sacchettino.
«Avanti, peschi la sua opera» disse facendo saltare i pezzetti di carta che erano all’interno.
Infilai titubante la mano nel sacchetto.
Concentrati Jessica, almeno non prendere Romeo e Giulietta. Ci sono tantissimi foglietti, devi soltanto prenderne un altro.
Respirai profondamente e tirai fuori un bigliettino, porgendolo al professore.
Non Romeo e Giulietta. Non Romeo e Giulietta, ti prego.
«Oh, magnifica scelta! Sarà un piacere vedervi nei panni di Romeo e Giulietta, mi aspetto un gran lavoro da voi due» disse soddisfatto porgendomi il foglietto e dirigendosi da un’altra coppia.
Grandioso, riuscivo anche a incartarmi con le mie mani. Fantastico, davvero.
«E così da adesso facciamo coppia» disse in un sussurro il mio vicino.
«Ti proibisco di usare quella parola alludendo al nostro gruppo di lavoro» dissi categorica appallottolando il foglietto e stringendolo nella mano.
«Avanti, due persone non si possono chiamare gruppo» insistette.
«E noi faremo la storia essendo il primo gruppo da due persone, contento?» dissi in tono che non ammetteva repliche.
Lo sentii ridere sommessamente. La domanda di qualche ora prima adesso calzava a pennello.
«Cos’hai da ridere?» gli chiesi infastidita dal suo comportamento.
Sembrò volermi dare una risposta, ma poi scacciò via il pensiero con un cenno della mano.
Mi appoggiai allo schienale della sedia e attesi la fine dell’ora senza prendere appunti e senza rivolgergli più la parola.
Quando la campanella suonò misi in fretta il libro nella borsa e mi precipitai in orfanotrofio. Questa volta non entrai dalla solita entrata sul retro riservata ai ragazzi, ma scelsi quella principale, per vedere finalmente chi era stato chiesto in affidamento.
Passai per due saloni così orrendamente gialli da essere notati anche nella notte più profonda. Era così diversa la parte pubblica da quella riservata ai ragazzi. Molto più… accogliente. Scacciai il pensiero. Quella parola accostata allo Universal Rainbow avrebbe sempre stonato.
Arrivai finalmente nella sala dove erano affisse tutte le comunicazioni importanti, come per esempio gli ultimi affidamenti.
Vidi alcuni ragazzi uscire dalla sala lanciandomi occhiate a dir poco furenti. In fondo con il mio discorso non gli avevo promesso mica mari e monti, l’avevo fatto unicamente per non far perdere la speranza ai più piccoli, tutto qua.
Si aprì magicamente un corridoio tra me e la bacheca di vetro. Mano a mano cominciarono ad uscire tutti, vedendomi lì.
Grazie tante. Avevo fatto un discorso, non avevo diffuso la peste.
Mi avvicinai incuriosita alla bacheca. Sul foglio bianco spiccava una calligrafia sottile ed ordinata a riempire le varie voci del modulo di richiesta di affidamento.
Lessi i nomi dei richiedenti: Paul e Denise Jonas.
Denise, come la signora che avevo conosciuto al negozio, che coincidenza.
Il mio sguardo fu attirato dal grosso timbro rosso che copriva i nomi: accettata.
“Menomale” pensai con un sorriso, felice per chiunque fosse stato il ragazzo.
Mi soffermai sui suoi dati anagrafici.

Portsmouth, Gran Bretagna, 23 Marzo 1993.
Residente a Los Angeles, Stati Uniti, Universal Rainbow Institute.


Decisamente su quel foglio cominciavano ad esserci un po’ troppe coincidenze. Iniziai a tormentarmi il ciondolo della catenina che avevo al collo.
IO ero nata a Portsmouth, in Gran Bretagna, il ventitré marzo. Anche io, mi corressi immediatamente.
Presi un bel respiro e mi decisi a leggere il nome di quel ragazzo.
Ma quell’ultima coppia di dati non lasciò più spazio ai miei dubbi.

Switcherson Jessica Anne.

Ero stata adottata.




Ssalve dolcissime ❤
Ho pubblicato non appena ho finito! A dire la verità è pronto da ieri, ma non so voi, io devo ancora riprendermi da quei dieci secondi di Meet you in Paris, quando l'ho sentita ho cominciato a saltare per casa come una pazza! Poi ieri ci si mette pure Taylor che annuncia l'uscita del nuovo album, decidendo così di farmi morire una volta per tutte :P
Vaabè by the way continuerò a ringraziarvi all'infinito per inserire la storia tra le seguite/preferite e per le bellishime recensioni che lasciate *w*
Alla prossima meraviglie!
xx
Miki

P.s: per la data ho fatto in modo che si accordasse con quelle dei Jonas e non con quella attuale ;)
   
 
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