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Autore: Reaper_Hel    15/08/2012    0 recensioni
La storia è ambientata tra i nativi americani, dove il Grande Spirito, Wakan Tanka o Manitù, chiamatelo come volete, ha fatto il dono alla tribù dei tsunka-kokipapi (se vi intendete di nativo-americani saprete anche che questi NON erano una tribù, ma era il nome di un indiano: Uomo Teme i suoi Cavalli, letteralmente) della boh, per fare figo, chiamiamola "transustanziazione" in centauri.
Tutto comincia alle pendici degli Appalachi, ma finirà molto, molto lontano da lì. L'avvento della Compagnia delle Indie è l'inizio di una nuova era, dove forse non c'è spazio...
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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DONNA-PENSIERO
E' SEDUTA NELLA SUA STANZA
E TUTTO QUELLO CHE PENSA
APPARE


«Questa era l’ultima da caricare sulla bombardiera»
Un uomo si stava grattando la faccia con i laidi polpastrelli.
«devo ammettere che pesano tanto. Ho la schiena spaccata in due, dannazione. Mi stai ascoltando?»
Il suo interlocutore non rispose. Se ne stava lì a fissare una bolla di spedizione, picchiettando un pince-nez sulla sozza cartaccia.
«Parleremo a pranzo del mio onorario, boss. Adesso – il diavolo ti porti – puoi prestarmi il tabacco?»

La voce era risuonata nella eco della sua mente, ben lontano da qualsiasi tipo di realtà presente. Si sentiva pesante, ottenebrata. La mente offuscata proiettava ombre che non esistevano, e stemperavano i pensieri in una brodaglia disgustosa. Pioggia sulla Faccia aveva i nervi a pezzi, la bocca saldamente imbavagliata ed ogni singolo muscolo, abbastanza dolente da potersi considerare sotto un forte crampo. Qualcosa di tremendo aveva da essere accaduto.

«Sono tutte qua?» domandò quindi l’uomo che aveva il pince-nez, come se l’altro non avesse mai parlato.
« Andiamo, boss, sì» insistette quindi l’uomo grasso e lurido, con la mano vuota ed ancora tesa per ricevere il fumo. «Tutte tutte, ci puoi scommettere l'anima, boss! Siamo o non siamo in affari da una vita?»
Ancora una volta l’uomo autorevole ignorò l’esortazione irriverente. Quindi, con occhio truce, disse «Te lo chiederò per l’ultima volta, prima di cominciare a sentire odore bruciato»
Il tono non lasciava spazio a menzogne. Dall’altra parte di un’ombra che danzava inesistente oltre lo sguardo appannato di Pioggia sulla Faccia, una voce familiare aveva emesso un rantolo gorgogliante. La centaura si irrigidì, riconoscendo in quel suono il timbro vocale di Cedro Profumato. «Sono tutte qua?»
Questa volta il laido grassone non fu troppo entusiasta. Si passò una mano ansiosa tra i capelli unticci, quindi la lingua sulle labbra secche. «Ora che mi ci fa pensare bene, una potrebbe mancare.»
«Cosa!»
«Ah, ma era smagrita. Era malata. Nemmeno Lisbona l’avrebbe pagata granché. Ammesso che il viaggio non l’avrebbe accoppata, naturalmente – non faccia quella faccia! Non vede che mi vergogno come un ladro?Ah, me misero!»
L’uomo divenne una furia, e con gesto iracondo incollò al muro l’unto faccendiere. Mandava saette dagli occhi, e nei suoi lineamenti s’annidava una belva.
«Non mi tocchi, non mi tocchi! Sant’Egidio mi ha benedetto prima di partire, sono santo, sono intoccabile! Ah! Guardie, guardie, m’ammazzano!» starnazzò l’uomo grasso, messo alle strette con disarmante facilità. Nessuno però venne a soccorrerlo.
Il risoluto indossatore di pince-nez squadrò l’elemento con forte disprezzo. «I patti erano cristallini, vecchia pantegana. Ti ho chiesto tutte le cavalle, e qui ce ne sono solo sei. Ma io te lo posso giurare sul sangue maledetto degli Elmore, ce n’erano otto! Le ho viste correre lungo la prateria che facevano la festa ad un bisonte, tu maledetta serpe in seno! Non ti pago forse abbastanza per le tue puttane, per le tue stupide carte, per i tuoi dadi scialacquatori?! Ti farò fucilare come un cane, ecco cosa farò.»
«Pietà» implorò il vecchio, ridotto ai ferri corti «Risparmia uno stolto che deve pagar i suoi debiti, ma sei cavalle come queste non hanno prezzo. Mille, Centomila sterline cadauna. Seicentomila sterline non le ha mai viste neanche Maria Tudor, tutte assieme. Per due capi, non sarai di certo povero...» Di nuovo e con più voluttà l’idiota venne buttato contro al muro. Emise un grugnito suino, prima di implorare ancora per la sua vita.

Pioggia sulla Faccia era legata impeccabilmente. Non riusciva a muoversi, ma l’odio che l’assalì fu tremendo e totale. Completo. Maledisse il viso pallido, maledisse il buio, maledisse sé stessa e quella stupida lingua che i due parlavano così velocemente che non le era dato capire un accidente. Ringhiò, ma il risultato fu solo un gemito pigro. L’avevano forse drogata? Oh, era troppo... Era troppo anche pensare! Nel dolore e nella solitudine di un buio allucinogeno, Pioggia sulla Faccia perse i sensi.

«Tu ignori un fatto importante» sibilò lentamente l’assalitore, con tono feroce «E non sarà certo la mia voce a rinfrescartelo. Queste amazzoni non devono finire in qualche collezione privata, brutto idiota, sono patrimonio del mondo! Come puoi pensare anche solo di disperderle, abbatterle, consegnarle ai bracconieri! Tu, cane fetente! Quando sono partite? Dove le hai condotte, maledetto quadrumane?! Ti farò pentire d’aver anche solo pensato di fregare me, Phineas Elmore!»
Fu talmente incisivo ed il pugnale sgusciò dalla di lui manica con tanta rapidità, che il vecchio laido non poté far altro che chiudere gli occhi, deglutire e pregare di non orinarsi nelle braghe. Le rughe sul viso di Elmore erano una mappa contorta di rilievi d'impeto rabbioso. I suoi occhi cerulei si increspavano in un mare prima della tempesta. «Ah, tu sei un demonio, ecco che cosa sei, la tua sete di danaro non ha limite! Io, tuo umile aiutante, non posso tenere per me nemmeno una piccola porzione di questa ricchezza, pur se io fatico e mi sganghero le ossa. Tremenda è la tua ira, ed io non posso difendermi… Guardie… Guardie!»
«Ancora parli! Le guardie le ho congedate poc’anzi, affinché fossimo soli ed io potessi lasciarti a morire se m’avessi fregato!»
«Ah, canaglia! Ormai è tardi, è tardi, sono salpate la scorsa notte, le due cavalle, nella stiva dei Pirati del Borneo. Le hanno pagate bene a me, ma certamente il sultano del Varauni le pagherà pure meglio!»
A quel punto l’ira fu incontenibile, e con un enorme manrovescio l’uomo chiamato Phineas atterrò il vecchio, emettendo un grido da tigre. Negli occhi del contrabbandiere si disegnò il panico, e la sete di bieca ripicca.
«Che ti prende ora, Elmore? Ah, lo posso immaginare! La perdita di soldi ti rende una belva! Dì, che cosa s’è venduto tuo padre questa volta per pagare i debiti? TUA SORELLA?»
Fu troppo. Con un sol gesto ben bilanciato, l’uomo trafisse il ventre del vecchio, affondando la lama fino all’impugnatura. Egli, come il suino che era, emise un grugnito strozzato prima di venir meno. Dopo aver gettato in acqua, adeguatamente zavorrato, il corpo di quel faccendiere, Elmore fece ritorno nella stiva. Con aria afflitta s’inginocchiò davanti ad una delle centaure legate ed immobilizzate. Caso volle che essa fosse Pioggia sulla Faccia. L’uomo poggiò due dita sulla gentile guancia dalla pelle ramata. Vide che era svenuta. Nei suoi occhi il furore mutò in compassione ed un piccolo sussurrò scaturì, come un bocciolo, dal fiore delle sue labbra europee.
«Presto.»

Dunque si rialzò. «UOMINI! PARTIAMO PER IL VARAUNI, STIAMO CERCANDO UN PRAHO CHE GARRISCE LA BANDIERA DEI PIRATI DEL BORNEO! ISSATE LA VELA, SALPIAMO SUBITO.»
Un boato redarguì il capitano, e lo scalpicciare di un’infinità di passi segnalò che l’equipaggio si stava mobilitando.

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Il mare era una tavola. Il cielo, rastrellato da nuvole, esprimeva il suo benestare alla spedizione con un fresco vento di potente, che incrementava di parecchi nodi la loro velocità di crociera. Al timone, l’uomo che diceva di chiamarsi Phineas Elmore scandagliava i flutti alla febbrile ricerca del suo obiettivo.
Un tonfo secco proveniente dalla stiva lo rianimò improvvisamente, sul calare del sole. I marinai che lo accompagnavano emisero un fischio, e qualche grido di stupore. Un lupo di mare dai corti capelli e dalla barba incrostata di salsedine zoppicò al luogo dove il capitano s’era chiuso in quel forte silenzio. Con aria piena di ossequi abbassò il capo e mormorò: «Si stanno per destare, buon capitano.»
«E’ troppo presto, ancora»
Il lupo di mare esitò, stringendo nervosamente il cappello. «Il cambusiere ha detto che non possiamo più esagerare con il sedativo delle Antille, o metteremmo a rischio la loro vita.»
Elmore sospirò. «D’accordo, allora. Quanto ci vorrà prima che siano completamente sveglie?»
«Poco. Una mezzora al massimo. E se fossero ostili?»
«Se fossero?» domandò l'altro, sinceramente divertito dall’affermazione.
«Sì, buon capitano. Se fossero ostili?»
Virando leggermente a babordo, Phineas Elmore scoprì i denti bianchissimi mentre il vento gli scompigliava i capelli platinati. «Solo Iddio sa quanto sarei ostile io, se mi ingabbiassero per ammararmi con una ciurma di filibustieri. Ora – per cortesia – prendi il timone. Devo prepararmi»
   
 
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