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Autore: Reaper_Hel    15/08/2012    1 recensioni
La storia è ambientata tra i nativi americani, dove il Grande Spirito, Wakan Tanka o Manitù, chiamatelo come volete, ha fatto il dono alla tribù dei tsunka-kokipapi (se vi intendete di nativo-americani saprete anche che questi NON erano una tribù, ma era il nome di un indiano: Uomo Teme i suoi Cavalli, letteralmente) della boh, per fare figo, chiamiamola "transustanziazione" in centauri.
Tutto comincia alle pendici degli Appalachi, ma finirà molto, molto lontano da lì. L'avvento della Compagnia delle Indie è l'inizio di una nuova era, dove forse non c'è spazio...
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Impigliata all’acchiappasogni di Pioggia Sulla Faccia, come un nodo che non può essere districato, giace la paura della fine dei giorni.

La luna zuccherina si ergeva pacifica in un cielo nero. Il fuoco bruciava fedele nel suo circolo di ciottoli. La mente degli uomini era deliziata dall’odore della zuppa di bisonte alle more e dalla distillazione della tisana di sambuco. La notte cominciava ad essere meno accogliente ed il sole era tramontato presto.
Le donne stavano ancora lavorando mentre gli uomini conversavano sulla caccia, sulla costellazione del cigno e su quella minaccia che aveva un volto pallido e affamato. Vi stupirebbe conoscere la natura di Toro che Cammina In Piedi, il Capo Tribù, ed il suo atteggiamento nei confronti dell’intera faccenda degli invasori. Era un uomo solenne dai pensieri di inarrivabile spiritualità. Raramente spendeva parole, ma quando le centellinava su quelle secche labbra nessuno poteva dichiararsi esente dal fascino che la voce esercitava sul cuore e sull’anima.
Furono serviti i primi piatti. Nel generale mormorio, il fuoco scoppiettava accogliente. I copricapo ornamentali tintinnavano con morbidezza quando le piccole ossa urtavano gli intrecci di legno e pietre preziose. A gambe incrociate sulla stuoia uno per uno furono serviti e mangiarono ciò che il Grande Spirito, quella sera, stava loro concedendo.
«Quello che intendi è poco saggio, ma molto lungimirante» esordì Nuvola Celeste dopo un lungo silenzio interrotto solo dallo spignattare delle ciotole e dei coltelli. Era un uomo minuto come le lontre, scivoloso come il loro manto. Il suo sorriso sfuggiva come qualcosa che non viene mai a mente quando è opportuno che si mostri. «La nostra terra langue indifesa. Egli ci ha dato gli strumenti per governarla e non dovremmo più pregarlo, poiché nonostante essi siano insufficienti Egli si è già espresso. E non lo farà di nuovo.»
Un uomo chiamato Monsone Che Tace esordì con imperiosità gutturale «Già ci pensavo, già ci pensavo! Le nostre terre non hanno un futuro se non ci congiungeremo presto con i nostri fratelli dell’ovest» Egli era un pellerossa molto autoritario, ed il suo nome esprimeva la quiete prima della tempesta, il silenzio dopo il nubifragio e l’attimo di stallo che precede una catastrofe. « Parlo dei cherokee. Loro chiamano Manitù colui che noi chiamiamo Wakan Tanka, ma che differenza può fare? Non ho memoria dell’ultima volta che ho visto i lupi migrare oltre la prateria, Grande Capo. Quella zona è ormai occupata dal viso pallido. Quel branco è più importante degli screzi tra noi e loro. Infatti, è l’ultimo rimasto.»
A quel punto tutti e dieci, uomini e donne, tacquero. Solo il sibilo del vento tra gli abeti distanti sussurrava di ancestrali meraviglie e Pioggia sulla Faccia si rannicchiò nel suo angolo, stringendosi sullo stuoino per paura d’andare in guerra.
Senza scomporsi, Toro Che Cammina In Piedi si fece portare il calumet con un paio di gesti. Tutti conoscevano il suo linguaggio somatico e, spesso, si faceva a gara a chi riusciva per primo ad accontentarlo. Con aria derelitta, il Capo Tribù parlò non prima d’aver elevato ben sulla testa ciò che restava del lauto pasto, in modo che tutti potessero ben vederlo.
« Quando al mattino vi svegliate, ringraziate Wakan Tanka per la splendida luce dell’aurora, per la vita che ha conferito a vostro figlio e per la forza che risiede ancora nel vostro corpo. Ringraziate Wakan Tanka anche per il cibo che vi dà, e per la gioia di aver aperto gli occhi sotto la promessa del nuovo sole.»
Con espressione dura, quindi, squadrò Monsone Che Tace, il quale chinò il capo in segno di remissione. « Se noi non troviamo motivo di elevare una preghiera di ringraziamento a Wakan Tanka, noi siamo in errore. E così tu sei, Monsone Che Tace. Nuvola Celeste, noi non cesseremo di pregare il Grande Spirito anche quando egli ci avrà voltato le spalle, poiché se egli compirà un simile gesto, lo farà solo perché ha fiducia in noi.»
« Ma l’uomo bianco è germogliato dal mare come le alte onde dei Menominee! L’uomo bianco non conosce la terra, eppure la desidera visceralmente. “Mio! Mio! Mio!” Quale torbido essere Wakan Tanka ha permesso che camminasse sotto il nostro stesso cielo… »
«L’odio è una facile risposta, Nuvola Celeste. La tua tempra non nasconde un carattere indomito, ma io ti dirò di più. Wakan Tanka creò il viso pallido lo stesso giorno in cui fummo generati noi.»
«Tradimento!» disse Monsone Che Tace con un ruggito, mandando lampi dagli occhi.
«Al contrario, buon amico. Ora – se vuoi - prendi la polvere di salvia e fumiamo tutti insieme, mentre vi parlo del giorno in cui Wakan Tanka ci fece figli suoi.»
L’atmosfera si alleggerì improvvisamente. L’idea del fumo e del racconto risollevò gli animi e lasciò che anche i più risoluti sprofondassero nel pacifico silenzio dell’assenso. L’odore dolce di quelle bianche volute impreziosì i sorrisi e rinfrancò le squaw, esauste, mentre il calumet passava di bocca in bocca ed ognuno disegnava con la forza dei suoi polmoni complesse architetture di nuvole e bambagia. Toro Che Cammina In Piedi aveva ora lo sguardo luminoso e sondava quell’armonia come un mite garante. La sua pacifica presenza mentre il fumo sbuffava dalle narici, come quello dei tori irosi, così contraddittoria e così possente! Pioggia sulla Faccia percepiva in ogni istante il desiderio di stringersi tra le braccia del padre di suo padre. Quando il Grande Capo cominciò a raccontare la sua voce era ferma.

«In principio la Terra era popolata dai grandi mostri, le creature a due teste che la Profezia del Diluvio cancellò. Essi erano belve feroci con cui non spartiamo che la stessa provenienza. Quando la terra cessò di essere una culla di creature ancestrali, il mondo fu subito un posto migliore. »
Toro Che Cammina In Piedi indirizzò le pupille alla danza ardente, facendo apparire nella sua mente il disegno delle proprie parole.
«Eppure, incredibilmente solitario»
Sollevò le braccia al cielo, onorando il grande fuoco e la sua grande tribù con un gesto che riconciliava l’energia e lo spirito.
« Così il Grande Spirito fumò il suo Calumet, il quale era magico e raffinato, e portò alla vita quattro animali che aveva immaginato con dovizia di dettagli: la lontra, il castoro, il topo muschiato e l’anatra. Siccome il mondo era una distesa d’acqua piovana, esso doveva procurarsi la materia necessaria alla creazione di un nuovo essere più specifico e più importante. Ordinò agli animali di scavare negli abissi dell’oceano e riportare limo e argilla»
«La lontra si tuffò e dopo lunghi minuti riemerse il suo corpo morto. Tra le dita nemmeno un briciolo di quel prezioso strumento. Fu il turno del castoro, ed egli non ebbe migliore fortuna. Il topo muschiato mai riemerse, ma l’anatra, fedele e caparbia, giunse a galla con una manciata di fango stretta al becco ed il respiro, affannoso, che gli scivolava via dall’anima per ricongiungersi alla terra assaporata un istante.»
«Ringraziamo l’anatra, amici miei, che ci ha resi ciò che siamo!»
«Allora Wakan Tanka prese il limo e creò nuova terra. Disseccò i canyon e ripulì le montagne, lustrandole di meravigliosi faggi e candida neve. Poi prese l’argilla e la plasmò in una bambola dalle fattezze simili alle sue. Accese un fuoco e si mise a cuocerla»
«Ma lo Spirito del Male era in agguato, e fece piovere! Così la fiamma si spense e la bambola d’argilla non fu mai pronta. Restò cruda ed acerba: pallida. Essa era l’origine della razza bianca»
Un sibilo di disapprovazione macchiò i volti del presenti, che ora sembravano comprendere la ragione della stoltezza dei visi pallidi. Quello che Pioggia sulla Faccia trovò commovente fu la compassione, incontenibile, che affiorò sull’espressione di Monsone Che Tace.
«Wakan Tanka gli permise di camminare la terra, ma decise comunque di ritentare. Questa volta l’argilla fu plasmata meglio e con più amorevolezza. Enormi tratti muscolosi e forti, ben determinati ad essere i migliori ed i più resistenti. Arti come tronchi e torsi d’ossidiana. Ma ahimé, Wakan Tanka era stanco ed ancora molto giovane. Cosse la nuova bambola. La cosse ad oltranza poiché si addormentò all’improvviso.»
Un bambino ridacchiò, gorgoglio argentino. Toro Che Cammina In Piedi gli rivolse un’occhiata amorevole e si dispose a braccia conserte. Il giro di Calumet finì e ricominciò per la quarta volta.
«Nacque così la razza negroide, poiché la pasta d’argilla era bruciata. Forti come la roccia e flessuosi come giunchi. Wakan Tanka gli permise di camminare la terra, ma decise comunque di ritentare. E questa volta niente l’avrebbe colto impreparato.»
Pioggia della Faccia scoprì d’essere emozionata, e sorrise ricevendo il Calumet, tirando forte. Gli occhi lucidi degli uomini, le membra ramate e l’odore della concia delle pelli. Era rimasta un po’ di sambuca?
«Si premunì di molti strumenti, ben otto. L’argilla sarebbe stata carne, questa volta come prima, affinché lo Spirito fosse racchiuso da qualcosa che la Terra poteva accettare dopo la caduta del nostro corpo; fece le ossa con le pietre, il sangue con la rugiada e gli occhi con l’acqua. Catturò l’essenza del sole e rese luminose le pupille, afferrò la propria beltà interiore e la soffiò nelle narici. Costruì i suoi pensieri con lo spirito di chi inventa la cascata scintillante, infuse nella bambola il respiro imitando il vento e prese la forza ispirandola all’uragano! Quindi accese il fuoco e la lasciò cuocere»
«E’ perfetto!» mormorò qualcuno all’apice di una forte commozione, venendo immediatamente zittito dagli altri nove, che a stento trattenevano i sorrisi.
«Ma lo Spirito del Male stava gonfiando i polmoni per spegnere il fuoco, nascosto dietro ad un grosso vischio.»
«Ah..!» si tradì nuovamente costui, un giovane che prendeva il nome di Accecato Dalla Neve. Esso era dato dal mese in cui era nato, il terzo, e dalla sua tendenza al fare di piccoli problemi un innavigabile oceano.
«Questa volta, però, Wakan Tanka aveva dalla sua parte l’esperienza. Con la forza del bisonte che carica, egli strinse forte una lancia e la scagliò sull’empio, trafiggendolo. Così lo Spirito del Male fu ferito gravemente e costretto a ritirarsi.»
«Dalla forgia il Grande Spirito cavò l’ultima bambola, né troppo cotta né troppo cruda. Bronzea e splendida, scolpita in un giorno di vittorie. Il suo capolavoro! Essa era il pellirossa, essa era il nostro primo uomo.»
Un profondo silenzio decorò la tepee.
« Perciò io vi dico, amici, non sdegnate l’uomo pallido perché non ha avuto la stessa nostra fortuna. Egli è come noi. Fatto come noi della stessa sostanza con cui venne creata la Terra. Amatelo poiché forse ha camminato troppo tempo lontano dalla verde foresta, ed ha dimenticato la canzone gloriosa del Grande Spirito! Siate dunque loro fratelli, e combattete solo quando l’occasione non può essere altra. »
« Dobbiamo vivere la nostra vita in maniera tale che la paura della morte non possa entrare nei nostri cuori. Amici miei, non attaccate qualcuno per la sua religione o per il colore della sua pelle; rispettate le idee altrui e domandate con più forza che le vostre idee vengano rispettate. Wakan Tanka vi ha dato buon ferro e zoccoli veloci, ma niente da dimostrare. Non siate impazienti di sporcarvi le mani, poiché il sangue non può essere lavato nei nostri fiumi sacri!»
Così la tribù di Toro Che Cammina in Piedi esultò, unanime e con gli occhi pieni di lacrime, innanzi a quella splendida verità che spense il desiderio di vendetta e sollevò l’anima dove osavano solamente i falchi.

 

Dopo lunghi festeggiamenti il piccolo powwow ebbe termine. Il fuoco stava per estinguersi e molti indiani avevano fatto ritorno nelle loro tepee. La temperatura esterna si era abbassata ancora, ma Pioggia sulla Faccia non riusciva a prendere sonno. La stuoia era comoda e la coperta piacevole: eppure il sonno non si degnava di pioverle addosso. Quando ogni tentativo divenne chiaramente vano, ella uscì dalla tenda e si rannicchiò su un grosso sasso da dove poteva vedere i riflessi della luna, i quali lambivano gli Appalachi. Ben presto il freddo la avvolse come un sudario e capì che non avrebbe chiuso occhio. Il canto del caprimulgo era intenso ed il silenzio profondo, ma nonostante questo la ragazza si rese conto di non essere l’unica persona sveglia della tribù.
Oltre la tepee, due figure ammantate di tenebra discutevano ancora e fumavano, sedute a gambe incrociate sotto la via lattea. Il loro tono era basso, ma dall’impronta inconfondibile ella riconobbe Monsone Che Tace e Toro Che Cammina In Piedi.
Così lentamente sgattaiolò non vista in loro direzione, per meglio udire la loro conversazione.
«Io sono molto stanco e molto adirato. Le tue parole sono belle, ma non mi danno la certezza che vorrei. Ho bisogno di sapere che i mohawk non lasceranno la loro terra, che non abbandoneranno i loro fratelli bisonti e lupi. »
«Ottimo amico, tu hai la pelle rossa, ma il cuore! Il tuo è bianco e prima di esso è la testa che fai lavorare. E’ ciò che ti rende figlio di tuo padre, e ciò che ti renderà il mio orgoglioso successore. Temi tu forse qualcosa?»
«Io temo» disse solennemente l’altro, lanciando lo sguardo oltre l’orizzonte scuro «La fine di ciò che conosco»
Immediatamente però Toro Che Cammina In Piedi sorrise, appoggiando una mano sulla spalla del compagno. «E’ un’eventualità assai probabile!»
Monsone Che Tace fece una pausa, al colmo dello stupore. Non riuscì a trovare niente che fosse adatto ad una replica, e così si limitò a dire: «Ma come?»
Allora il Capo Tribù rispose, con tono amorevole. «Molto a lungo, nella mia gioventù, ho viaggiato assieme ai tuoi padri. Non ho davanti tanta strada quanta ne ho alle spalle, ma una cosa so per certa: la fine è ovunque, e risiede in qualsiasi cosa.»
«Mi riferisco alla fine dei mohawk, Grande Capo, io ho timore di perdere la mia prateria. Ho timore di non svegliarmi più con la brezza che spira dagli Appalachi, e di non poter pregare ancora al fiume sacro. Se venderemo la terra, questo è ciò che ci spetta. La fine!»
«L’uomo bianco non sa che non possiamo vendere la terra, poiché essa non ci appartiene. Ed essa non apparterrà mai neanche a loro.»
«Loro si comportano come se potessero rivendicarla.»
«C’è abbastanza spazio per entrambi, mio buon amico.»
«Ciò che dici è vero, ma io non sono sicuro che loro si trovino qui per condividere la terra. Ci cacceranno, ed allora saremo finiti!»
«Finiremo, Monsone Che Tace, finiremo come ogni cosa ha fine. Nel grande ciclo della vita, tutto ha un inizio e tutto ha una conclusione. Essa non è mai un atto definitivo, un istante che pone un limite. E’ sciocco pensare che la fine sia l’ultimo atto di un uomo disperato.»
«E dove siamo diretti, allora?»
«Non mi è dato saperlo e forse riuscirai solo ad intravederlo tu, che hai molti passi da fare ancora nella tua vita. Ma se pensi che siamo diretti alla fine, Monsone Che Tace, allora ti dico che tutti sentieri del bosco portano ad Appalachi, perché è proprio così che funziona!»
«Io credo di non capire» disse l’altro dopo una lunga pausa. «Lasceremo che gli uomini bianchi uccidano i bisonti, che tolgano la terra ai lupi ed agli irochesi nostri fratelli, perché la fine è qualcosa che tutti devono attendersi?»
Pioggia sulla Faccia rabbrividì nel suo nascondiglio. Tutto l’amore per la vita che le faceva scoppiare il cuore toccava lo stesso punto, di tanto in tanto, e cadeva nel baratro della disperazione. Dopo quel pensiero, c’era solo l’abisso. Volle fortemente udire che cosa Toro Che Cammina In Piedi avrebbe detto. Così, trattenne il fiato.
«Ciò che dici è tremendo, ma sono certo che in cuor nostro l’abbiamo pensato tutti almeno una volta.»
«Ciò mi solleva, Grande Capo.»
«Però io ora ti dico una cosa: non temere la fine. Essa per noi non può esistere. Come l’albero non finisce con le punte delle sue radici o dei suoi rami, e l’uccello non finisce con le sue piume e col suo volo, e la Terra non finisce con i suoi monti più alti: così anch’io non finisco con le mie braccia, i miei piedi, la mia pelle, ma mi espando di continuo con la mia voce e il mio pensiero, oltre ogni spazio e ogni tempo.»
«La mia anima è il mondo. La fine è un momento transitorio: una tappa del nostro lungo viaggio. L’animale che muore concima la terra; la pianta che si secca fertilizza il suolo. Da spazio a nuova vita. Non vedere il finale come l’ultimo atto dei secoli dei secoli! Esso è un momento commovente, ma dopo prosegue »
«Prosegue senza limite!»
La gioia che Toro Che Cammina In Piedi poteva esprimere era indescrivibile per qualsiasi altro essere umano. Nella semplicità dei suoi discorsi non tutti riuscivano a cogliere le parole di un uomo retto, ma Pioggia sulla Faccia andò a dormire con un buon pensiero per risvegliarsi con un grande sogno.

 

Io amo la mia terra ed amo la mia gente.
Amo il silenzio del bosco ed il profumo del cielo.
Ogni giorno che passo lontano dalla mia terra io mi ammalo e mi debilito, poiché non posso più vivere senza sapere che morirò sotto i suo cieli meravigliosi. Il mio popolo non parla mai di cosa succede alla fine dei tempi. I discorsi si perdono nelle volute di fumo che esalano dai polmoni e dalle pipe. Le parole si intrecciano come vimini e perdono consistenza in discorsi pieni di cuore e passione. Siamo un popolo d’impulso. Pensiamo col cuore. Amiamo con tutte le nostre forze.
La fine, per noi, è un tabù. Trattiamo ogni piccola conclusione come un nuovo inizio e sappiamo che l’Happy Hunting World è solo la genesi. L’incipit di una terra promessa.
Il gran finale che il pellirossa, guardando il tramonto, si attende. La libertà! Questo Toro Che Cammina In Piedi mi ha insegnato. Ed il mio amore per un uomo infinitamente grande non smetterà mai di scoppiare e rinascere in ogni cosa che mi ricorda il suo cipiglio contemplativo, ed il fumo che sciorinava dalle sue narici come un velo di ragnatele battuto dal vento.

La fine, oggi, è una parola scritta con il sangue della gente.
Il finale è un atto intero, da smembrare: una tragedia che si consuma più lentamente di quanto i nervi possano tollerare, per consentire ad altre vite di germogliare.
Il letto su cui Toro Che Cammina si adagia ora è fresco ed erboso. Non abbiamo potuto seppellirlo, ma la Terra lo riavrà. Il cerchio non è ancora spezzato.
La fine è impressa nell’origine dell’uomo. E’ geneticamente iscritta nella sua identità. Perdere il finale è come perdere se stessi.

Io ho perso me stessa e la mia dignità quando i visi pallidi hanno disperso anche gli ultimi uomini dalla pelle ramata. Ma ho una canzone nel cuore ed uno spirito indomito. Mi ritroverò dove il lupo prega ed il tiranno comanda, ancora una volta, mi ergerò a difesa del mio popolo.
L’acchiappasogni mi ha detto questo, stamane, sul limitare del pianto. Io ve lo riporto affinché la vita non finisca mai.

 

Di notte, quando il gufo racconta dolcemente la storia della tua morte e di tutte
le morti degli uomini della mia gente, sogno di ritrovarti alla fine del Tramonto,
e di sedermi vicino a te, e cantare così:
- Perché tanto presto te ne sei andato via? - 

   
 
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