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Autore: Linpatootie    16/08/2012    15 recensioni
Sherlock e John hanno una sorta di crisi di coppia. Il che è strano, dato che non sono una coppia.
[Traduzione a cura di Yoko Hogawa della serie Two Coffees One Black One With Sugar Please di Linpatootie - Parte II]
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Due Caffè, Uno Nero e Uno Zuccherato per Favore'
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Desclaimer: *preme il pulsante del registratore* tutti i personaggi citati ed usati in questa fanfic non sono miei, ma appartengono prima a Sir Doyle poi a Moffatt e Gatiss. Non ricevo soldi e/o favori di altro tipo per la traduzione di questo lavoro, né dall’autrice né da altre persone.

 

Note: seconda parte della serie di “Two Coffees”. Ammetto di essere una poco di buono, in quanto non ho ancora finito di tradurre a Lipantootie i commenti alla prima parte D8 però gliene ho accennato, ed è commossa e felicissima di avere ricevuto cos’ tanti apprezzamenti vi ringrazia tutti quanti.

 

Qui il link alla serie originale in inglese: Two Coffees One Black One With Sugar Please

 

Auguro a tutti voi una buona lettura ;D

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Un’Epifania è Solo un Modo Sofisticato per Capire che Sei un Idiota

– An Epiphany is Just a Fancy Way of Realising You’re an Idiot

 

 

 

 

John ha dormito nel letto di Sherlock per 101 notti. Le ha contate. Non necessariamente in modo conscio, non necessariamente per uno scopo particolare, ma tutte le notti il conto veniva in qualche modo scolpito nel suo cervello come se non volesse farlo dimenticare. Cento-e-uno. Se le notti fossero dalmata si sarebbe potuto fare una bella pelliccia, ed è una metafora inutile quanto lo è il conto in primo luogo, ma è andato in giro con quel numero in testa per tutto il giorno, chiedendosi se fosse l’inizio di una qualche specie di ossessione.

Aveva anche scritto un post sul blog in proposito, una singola linea con scritto “101” che si era guadagnata solo un commento da Harry contenente nient’altro che un poke.(1)

Sherlock lo aveva visto, e Sherlock aveva colto il riferimento – compiaciuto – informandolo del fatto da sopra il suo microscopio; il che era stato davvero seccante per John, perché significava che Sherlock aveva tenuto il conto a sua volta e cosa diavolo stava a significare?

È anche estremamente consapevole di non aver dormito con nessun altro, in tutti quei mesi. Aveva avuto qualche appuntamento, ma non erano mai andati al sodo. Era anche uscito con la stessa ragazza un paio di volte, una piccola cameriera dai capelli rossi e con un seno abbondante, ma Sherlock l’aveva terrorizzata dopo una settimana o due, ovvero prima che John avesse avuto l’occasione di pensare a come diamine cercare di spiegarle che dormiva regolarmente nel letto del suo fastidioso coinquilino; felicemente, sia chiaro, spero che tu non pensi che sia troppo strano.

A John piaceva dormire di fianco a Sherlock. A John piaceva addormentarsi di fianco a Sherlock e a John piaceva svegliarsi di fianco a Sherlock e mentre all’inizio lo aveva semplicemente fatto (di solito è la strategia migliore per tutto ciò che riguarda Sherlock Holmes), si era trovato a pensare sempre più spesso a cosa tutto quello significasse.

Le poche notti in cui avevano dormito separati durante gli ultimi mesi erano state sgradevoli, irrequiete, e provava un agio ed una sicurezza intensi nell’andare a dormire sapendo che Sherlock era lì con lui.

Ovviamente, la risposta di Sherlock non era stata d’aiuto. Non era mai stato un dormiglione, ma era molto più propenso ad andare a dormire, in quei giorni, il che, per John, era allo stesso tempo lusinghiero e terrificante. Anche nelle notti più frenetiche del detective John andava a dormire nel suo letto e si svegliava con Sherlock al suo fianco, scivolato chissà quando sotto lo coperte prima del suo risveglio.

C’è una sorta di domesticità in tutto ciò che comincia davvero a disturbare John, perché insinua cose. Cose che, onestamente, non può dire che siano del tutto false.

Era come se lui e Sherlock fossero finiti in una vera relazione, implicazioni e tutto, senza decidere effettivamente di farlo, e Sherlock sembrava stranamente compiaciuto di quella situazione, e John semplicemente non sa più cosa fare con tutta quella faccenda. Si considera decisamente troppo vecchio per questo tipo d’incertezze.

 

È steso sul letto di Sherlock, mani dietro la testa, e ascolta i suoni che fa Sherlock armeggiando in bagno. Ha ormai memorizzato la routine di Sherlock, quasi la stessa ogni notte. Prima si lava la faccia e le mani, di solito con l’acqua fredda, rubinetto aperto e l’acqua che scorre sul lavello di porcellana. Poi si lava i denti per quello che John pensa sia un periodo di tempo assurdamente lungo, facendo attenzione ad ogni singolo dente (ma, ad essere sinceri, da quando lo conosceva Sherlock non aveva mai avuto bisogno di un dentista). Poi si pettina i capelli. Non che John possa davvero sentirlo ma sa che lo fa, probabilmente per togliere i rimasugli di gel che si mette durante il giorno per tentare di tenerli in ordine. Infine c’è un momento di silenzio, il rumore dello sciacquone, e ne esce sembrando stranamente soddisfatto. È uno sguardo che John riesce a vedere solo quando sono insieme in quel modo, e gli da’ delle sensazioni che non è sicuro di come catalogare.

« Dobbiamo parlare » dice John alla stanza mentre Sherlock scivola sotto le lenzuola.

« Di cosa? » chiede in un modo che fa capire sia a malapena presente con la testa, ancora all’inseguimento di qualche pensiero cominciato probabilmente mentre era davanti allo specchio a spazzolarsi i denti.

« Di questo ».

Sherlock sospira e si volta per fronteggiare John, una mano infilata sotto al cuscino. « Dovrai essere un po’ più specifico di così, John » dice, ma non c’è malizia nella sua voce. È felice, John riesce ad intuirlo. Lo innervosisce.

« Questo, Sherlock. Tu. E io. Nel tuo letto. Da oltre tre mesi ormai ».

« E? ».

John tiene i suoi occhi incollati al soffitto perché se guardasse Sherlock potrebbe finire per dargli un pugno in testa – potresti afferrare cosa sto cercando di farti capire, somaro?

« Stiamo decisamente oltrepassando i confini dell’amicizia qui, Sherlock. È di questo che dobbiamo parlare ».

Sherlock rimane in silenzio, osservandolo con curiosità.

« Senti, è solo che... Non è normale, no? Coinquilini che dormono nello stesso letto? ».

« “Normale” è noioso. Perché ha importanza? ».

« Perché semplicemente ne ha, Sherlock, va bene? Ha importanza. Solo... cosa succede se mi trovo una ragazza? ».

Sherlock lo guarda, accigliato. « John, credi davvero che insisterò a voler dormire con te se avrai una donna nel tuo letto? ».

« Non è quello che– Dio, spero di no. Ma non è quello che sto cercando di dirti. Come potrei spiegarle questo? ».

« Perché dovresti farlo? ».

« Perché è così che funzionano le relazioni, e io non so spiegare il perché non riesco a dormire bene a meno che non abbia il mio coinquilino che dorme accanto a me ».

Ecco. L’ha detto. Respira, il mondo che danza attraverso la stanza mentre Sherlock ci pensa sopra silenziosamente.

« Davvero non dormi quando non ci sono? ».

« Sì che dormo, è solo che dormo meglio quando chiacchieri nel sonno vicino a me » dice John, vagamente depresso.

« Io non parlo nel sonno » dice Sherlock perplesso, e John vorrebbe prenderlo a calci perché non è esattamente ciò che voleva trasmettergli con quella conversazione.

« Sì, sì lo fai, e anche parecchio. Il che va bene. Solo che– ».

« John, ho dormito in dormitorio per buona parte della mia infanzia e nessuno mi ha mai detto prima che parlo nel sonno. Penso che lo saprei se– ».

« Sherlock. Fidati di me. Tu parli nel sonno. Rispondi anche alle domande, a volte. Scusa per avertelo rivelato in questo modo, ma per l’amor di Dio, possiamo restare sull’argomento? ».

Sherlock sembra lievemente inorridito, e di sicuro sta pensando a quali inconfessabili e oscuri segreti i suoi vecchi compagni di collegio erano riusciti ad estorcergli mentre dormiva. John si sente un po’ in colpa ma gli passa in fretta, come capita per certe cose.

« Senti, è solo... questo. Qualunque cosa sia. Dobbiamo parlarne ».

« Non capisco ».

« Sherlock, cazzo, no. Non sei ingenuo, sai benissimo di cosa sto parlando ». La sua pazienza termina, trascinata sulla superficie irregolare del palese rifiuto di Sherlock di dare una spiegazione a tutto quello. John non vuole tirare fuori il discorso così quanto non lo vuole Sherlock ma semplicemente deve, e lo fa imbestialire che l’altro continui a tirarsi indietro.

Sherlock lo guarda, secondi ticchettanti che scorrono dall’orologio sul comodino, il suo cervello che lavora vertiginosamente per cercare la cosa giusta da dire.

John sa che è una cosa difficile, per lui. Persone, relazioni, non è qualcosa in cui è bravo, ma per l’amor di Dio, è solamente lui, solamente John, l’uomo al fianco del quale dorme pacificamente da ottobre, quindi deve provarci.

« Non vedo perché debba avere importanza » se ne esce finalmente: « siamo io e te, ecco tutto. Di cosa dobbiamo discutere? ».

Ovvio. « Io non sono gay, Sherlock » sibila John fra i denti.

E Sherlock esplode. È davvero l’unico modo in cui John può descriverlo. Si gira supino, le braccia in aria, e sbatte il tallone contro il materasso.

« Cos’ha a che fare quello con tutto il resto?! » esclama, la frustrazione appuntita sulla sua lingua. « Tutte le volte che qualcuno anche solo accenna a... a qualcosa fra noi, tu tiri fuori quel discorso e te lo metti davanti come uno scudo, ma che importanza ha? Tutti sanno che non sei gay, John, ti piacciono le donne, ti riduci ad una pozzanghera di bava tutte le volte che una abbastanza attraente ti  passa vicino, ma per quale motivo dovrebbe escludere... dovrebbe impedirti di... è quasi offensivo, ecco ».

John si irrigidisce. Le parole di Sherlock lo colpiscono in un modo che non gli piace.

« Questo, qualunque cosa sia... » continua Sherlock agitando la mano fra loro: « ...perché è necessario che tu lo faccia? Ritrattare in quel modo? Solo perché è capitato che io abbia un pene? È ridicolo. Lo è. Mi fa arrabbiare. Dividiamo il letto, non ti sto chiedendo la mano né ti sto obbligando a sfilare al Gay Pride ».

John si siede, appoggiando i gomiti alle sue ginocchia e strofinandosi la faccia con le mani prima di farle scivolare fra i capelli e lasciarle lì, combattendo al contempo contro l’urgenza di alzarsi e lasciare la stanza. Sherlock lo fissa dal letto, occhi che aprono un buco incandescente sulla nuca di John.

« Senti, semplicemente importa. So che per te non è così, perché no, a te non interessa cosa possano significare cose di questo tipo, ma a me sì. E non è nemmeno per il giudizio della gente. Sono io. Ho 37 anni e ho sempre creduto di sapere chi fossi ma poi... tu. E questo. Qualunque cosa sia. Avrà delle conseguenze e io non so cosa farmene del fatto che tra noi due io sono l’unico preoccupato di quali potrebbero essere. Sarebbe bello fregarsene come fai tu, accoccolarsi di fianco a qualcuno e pensare a quanto sia piacevole, ma io non posso, ok? ».

Sherlock rimane in silenzio. Le parole di John hanno sgonfiato la sua piccola scenata, quindi aspetta che lui finisca.

« Io credo... » comincia John, e la sua gola è all’improvviso secca: « che sappiano entrambi, so che anche tu lo sai. Che siamo... beh... che fra noi c’è un legame forte. Anche senza il... dormire insieme » sospira: « È solo che questo, il dividere il letto, rende così dolorosamente chiaro il fatto che non è... non è completamente platonico, ecco, e non so se sono pronto per affrontare una cosa simile ».

Sherlock ancora tace, un silenzio dai contorni scioccati che fa nascere in John la voglia di buttarsi dalla finestra. I bidoni di mrs. Hudson gli donerebbero un atterraggio meravigliosamente violento.

« Mettiamoci a dormire » grugnisce poi, affondando di nuovo nel cuscino e allungandosi per spegnere la luce. Il buio rimane silenzioso mentre John ci respira dentro, girato sulla schiena, mani sopra e di fianco alla testa. Fanculo al dormire meglio con Sherlock di fianco a lui, quella notte sarebbe stata una tortura. Forse avrebbe fatto davvero meglio a trascinarsi in camera sua, coda fra le gambe, per dare ad entrambi un po’ di spazio.

Sherlock si sposta e si gira e inaspettatamente c’è calore quando copre la mano destra di John con la sua, dita lunghe intorno alle sue, il pollice che sfrega contro il suo palmo. Il respiro gli si blocca in gola e lui lo nasconde con una risatina soffocata, ma risponde prudentemente alla presa, solo per cercare di fargli capire che va ancora tutto bene.

Non posso fare a meno di lui pensa, ed è difficile, quindi chiude gli occhi e si concentra su quanto piacevole sia, in realtà, quello strano contatto mentre al suo fianco Sherlock scivola facilmente nel sonno.

 

« Centodue » dice Sherlock la mattina dopo, con la bocca piena di toast, mentre passa accanto a John in cucina. John sente il desidero di lanciare la sua intera colazione in testa a Sherlock.

« Non farlo. Non cercare di farmi innervosire, è infantile » dice invece, fissando male il proprio caffè.

Sherlock non risponde, mangiando il suo toast in due morsi prima di prendere il violino e cominciare a suonare una melodia a caso, che John riconosce per metà come Vivaldi. Beve il suo caffè talmente in fretta che si brucia la lingua e lascia l’appartamento per fare un po’ di spesa.

 

 

Nei successivi quattro giorni ha a malapena il tempo di respirare, figuriamoci sedersi e riflettere sulla situazione. Spunta fuori un serial killer – Sherlock è fin troppo eccitato, ci sono già tre morti, uomini anziani trovati strangolati nei loro letti senza segni visibili di effrazione. Finisce tutto con Sherlock che rintraccia il killer, un giovane affetto da una grave psicosi, e combattono finché non si buttano letteralmente da una finestra al primo piano di un edificio. L’assassino si rompe due costole, Sherlock ne esce con qualche taglio ed escoriazione, mentre le ginocchia di John stanno ancora tremando dallo shock inaspettato di averlo visto volare giù dalla finestra.

Dormono a malapena in quei giorni, il che rende più semplice evitare la situazione. Poi, come sempre, l’agitazione svanisce; John rimprovera Sherlock per un buon quarto d’ora riguardo al buttarsi giù dalle finestre e all’effetto che fa sulla pressione sanguigna di un certo coinquilino, ed eventualmente si siedono, in silenzio, in soggiorno, John che scrive un post nel suo blog e Sherlock che tenta di manovrare una bottiglia mezza vuota di disinfettante per curare un graffio sul suo avambraccio.

John gli aveva offerto aiuto, Sherlock aveva detto no; John in realtà è intenzionato a lasciare che faccia da solo per dieci minuti, prima di afferrare la bottiglietta e farlo stare fermo.

« Dormi da me stanotte? » chiede Sherlock lentamente, deliberatamente lento, senza staccare gli occhi dal proprio braccio. Il disinfettante scivola piano creando una piccola pozza accanto al gomito.

« Se per te va bene » dice John, indice sinistro e dito medio destro che scrivono il caso lentamente, in un modo che, ne era sicuro, avrebbe irritato Sherlock.

« Certamente » risponde Sherlock. Sospira, appoggia la bottiglia, afferra un fazzoletto e comincia a tamponarsi il braccio. Il graffio gira attorno al suo avambraccio e anche Sherlock si inclina per raggiungerlo nella sua interezza. La mano di John sobbalza, alla vista, ma non dice nulla.

 

Finisce una frase. Punto fermo. A capo. Nuovo paragrafo. Sospira, stiracchiandosi, girando la testa e facendo scrocchiare il collo. « Allora » dice.

« Allora » ripete Sherlock, un momentaneo spalancarsi degli occhi, un significativo incurvarsi del sopracciglio sinistro.

« Non fare il brusco » dice John: « solo perché è saltato fuori un caso e tu ti sei buttato da una finestra non significa niente. Ancora non siamo obbligati a... » non sa come finire la frase, il che è più che frustrante perché sa che Sherlock lo farà al suo posto.

« Dobbiamo discutere ancora di quanto ti fa sentire a disagio il fatto che ti piaccia stare accanto a me? Certo. Discutiamo ».

« Non fare così. Non è giusto ».

« Forse hai ragione. Sono solo stanco » sospira e si alza: « a pensarci meglio, vai a dormire nel tuo letto. Vorrei stare da solo » e se ne va, a passi lunghi attraverso la cucina verso la sua camera da letto. La porta si chiude silenziosamente. John la fissa, perplesso. Sono a malapena le nove di sera e questo è più che ridicolo, ma oltre ad inseguirlo e gettarsi a capofitto in quello che diventerebbe inevitabilmente un inutile litigio, non sa cosa fare.

 

Se la svigna su per le scale nella sua camera appena venti minuti più tardi e si stende sul letto, ancora completamente vestito, cercando di mettere in ordine i suoi pensieri per più di un’ora. Non funziona.

 

 

A John farebbe piacere che Sherlock non tappezzasse la scena del crimine con i loro problemi, ma sono tutti lì: nel modo in cui cammina impettito oltre il nastro giallo, contando i pezzi di cadavere sparsi per tutto l’argine. Lestrade li ha chiamati e Sherlock gli era parso eccitato nel sapere che qualcosa che una volta era umano era stato in un qualche modo sparso lungo mezzo miglio(2) di riva coperta di muschio. Sherlock aveva già annunciato che la vittima era un maschio, caucasico e probabilmente un autista di autobus. Come aveva capito l’ultima parte, John non ne aveva proprio idea.

Sherlock lo ignora, girandosi ogni volta che incrocia il suo sguardo mente fa le sue valutazioni vagamente maniacali, evitando palesemente di guardarlo.

Distratto, John calpesta qualcosa di appiccicaticcio ed indietreggia. « Attento, intestino tenue » lo deride Sherlock mentre gli passa vicino, sogghignando in sua direzione.

« Grazie per l’informazione, segaiolo(3) » brontola John, più a se stesso che ad altri, pulendosi la scarpa su di un ciuffo di erba gialla.

« Beh, è di malumore » dice Lestrade affiancandolo, le mani nelle tasche.

« Sì, è un po’ arrabbiato con me » dice John. Probabilmente avrebbe dovuto buttar via quel paio di scarpe, ora. O forse bruciarle.

« Cos’hai fatto? ».

« Oh, tu non vuoi davvero saperlo ».

Lestrade non chiede altro – sa benissimo che se John dice che non lo vuole sapere, lui seriamente non vuole saperlo. John pensa di dirglielo comunque: dormiamo nello stesso letto da tre mesi e credo di essere diventato tipo il suo ragazzo senza accorgermene e non so come sentirmi a riguardo e quindi ora lui è offeso dalla mia stupida insicurezza – ma sarebbe davvero troppo da sopportare, per il caro Lestrade. Specialmente se detto sopra le viscere sparse di un ignaro autista d’autobus. Batte le mani dietro la schiena e osserva Sherlock evitare una costola, gesticolando freneticamente a Donovan di prendere nota di qualcosa, e aspetta che abbia finito.

 

« Pensi di poter tenere privati i nostri problemi? » John chiede più tardi, seduto nel sedile posteriore di un taxi diretto a Baker Street, guardando fuori del finestrino un gruppo di turisti che camminano sul marciapiede.

« Non ho detto niente di fuori luogo » ribatte Sherlock pigramente, fissando la nuca del tassista.

« Non ce n’è stato bisogno. Persino un cane avrebbe capito che sei arrabbiato con me ».

« Se non vuoi che la gente sappia che sono arrabbiato con te, forse non dovresti farmi arrabbiare ».

« Oh, per l’amor del– Sherlock. È ridicolo. Siamo destinati a litigare ogni tanto, ma questo non vuol dire che devi ciondolare per Londra comportandoti come se ti avessi rubato il gelato ».

« Abbiamo già litigato, prima. Questo è diverso, e mi sento giustamente arrabbiato con te. Non chiedermi di scrollarmelo dalle spalle come se fosse un vecchio cappotto quando lasciamo l’appartamento, non voglio farlo e non lo farò ».

John lo fissa guardare fuori dal finestrino, completamente illeggibile. « Sherlock, non farlo. È come se mi stessi punendo per la mia confusione. Sto cercando di capirci qualcosa, va bene? Ci sto provando ».

« Non riesco semplicemente a capire perché hai un bisogno così disperato di catalogarlo » dice Sherlock verso il finestrino, occhi scattanti mentre osserva Londra passargli accanto.

« Perché è importante, va bene? Per me è importante, e qualunque cosa sia ci sono dentro anche io, dunque ho diritto di voto. Ecco tutto ». Si sente insolente, solo un po’. Sherlock può anche smettere di fare il moccioso e dargli lo spazio che gli serve senza che debba lottare per averlo.

« Ti sarà più facile accettarlo una volta che gli avrai dato un nome? ».

« Non lo so. Forse. Spero di sì » John fa una pausa appena può, dopo la domanda, e arriva alla sua conclusione con qualcosa di molto simile alla soddisfazione. Sì.

Sherlock mugugna, sopracciglia aggrottate. John è quasi preoccupato per cosa significhi quel gesto – a quanto pare Sherlock sta realizzando qualcosa che John, invece, dovrà capire da solo.

Il taxi svolta in Baker Street e Sherlock esce per primo, in un turbino di fruscii. « Ti lascio alle tue deduzioni » dice, implicando di avere già la risposta, e John paga il tassista ponderando di trasferirsi a Cardiff e farla finita.

 

 

Dormono di nuovo separati, quella notte. John si addormenta cercando di capire cosa manca quando Sherlock non c’è e si sveglia al mattino capendo che la risposta a quella domanda è fin troppo vaga. Le interazioni umane, la natura umana, non sono categorizzabili tramite domande a cui rispondere semplicemente “si” o “no”, a quanto pare. Non c’è un binario. Riesce a capire l’associazione, ad unire i puntini, e si sente strano a riguardo.

Ciò che gli manca quando Sherlock non dorme con lui è Sherlock. Il che ha senso, tranne per il fatto che non ne ha, tranne per il fatto che John si rende conto di non essersi sentito così per nessun altro prima, e quindi si innervosisce per l’intera faccenda e si taglia con il rasoio mentre si rade.

 

 

« Vuoi venire a letto con me? ».(4)

John quasi si strozza con il caffè. Sono seduti in un piccolo ristorante di fronte ad un negozio di animali che Sherlock vuole tenere d’occhio per un po’ a causa di un traffico illegale di animali esotici. Stava spiegando a John i vari metodi per smerciare serpenti, fino a dieci minuti prima, dunque la domanda è più che inaspettata.

« Non intendo per dormire, ovviamente, quello lo facciamo già. Mi riferisco al sesso » aggiunge Sherlock, e rende il tutto fantasticamente peggiore.

« Cosa?! ».

« È una domanda seria, John. Stiamo affrontando una sorta di crisi di coppia, il che è strano, dato che non siamo una coppia. Hai già ammesso che i tuoi sentimenti non sono del tutto platonici. Posso forse presumere che tu voglia venire a letto con me? ».

Il tono è piatto. Sta puntando ad un approccio scientifico, distaccandosi dal problema per cercare di semplificarlo, tentando di aiutare John a capire cosa diavolo stanno portando avanti, ma sta chiaramente fallendo. Evita gli occhi di John giocherellando con una bustina di zucchero vuota sul tavolo. Persino il grande Sherlock Holmes non riesce a mantenersi completamente distaccato da questo problema.

John lo fissa, tamponando una macchia tiepida di caffè che si sta espandendo sulla sua maglietta.

« Allora? » dice Sherlock.

« Oh, per l’amor di Dio » borbotta John, distogliendo lo sguardo. Non c’è nessuno intorno a loro. La cameriera annoiata pulisce poco minuziosamente la macchina del caffè ed il ristorante è vuoto, tranne che per loro. « Sherlock, senti, non è... non è questo il punto. Non lo è. Se avessi voluto fare sesso... se fosse per il sesso, forse sarebbe più facile da gestire ».

Sherlock solleva un sopracciglio. « Interessante ».

John vorrebbe strozzarlo.

« Quindi riguarda l’amore ».

La parola cade fra loro come un autoribaltabile pieno di mattoni. John lo fissa a bocca semi-aperta e con la mano ferma a mezz’aria.

« È così? » insiste Sherlock.

« Dimmelo tu » gliela rigira John.

Sherlock non si era aspettato quel depistaggio e sbatte gli occhi, la sua faccia piena di malcontento. Accartoccia la bustina di zucchero e non dice più niente.

John finisce ciò che rimane del caffè e siedono nel più imbarazzante silenzio che sia mai esistito fra loro. Per un solo momento pensa di non essersi mai sentito così infelice.

 

 

«» dice John dal nulla quella sera, mentre è curvo sulla sua poltrona e Sherlock è in cucina a fare chissà cosa al microscopio.

« Sì cosa? » gli chiede.

« Solo sì ». John non se la sente di chiarire. Capirà o non capirà e in ogni caso non farà un minimo di differenza, ad essere sinceri. Questa intuizione è sua e sua soltanto.

« Oh » alla fine ci arriva. La cucina è silenziosa per un momento prima che ritorni a fare quello che stava facendo prima, accendendo il becco di Bunsen e facendo tintinnare qualche fiala.

John siede ricurvo sulla sua poltrona e guarda fuori dalla finestra, verso il cielo nero. Non è più felice di quanto lo fosse quel pomeriggio, in quel piccolo e squallido ristorante, ma sente come se i propri pensieri si stessero allineando in un ordine comprensibile.

 

 

Dormono ancora nello stesso letto, quella notte. Sherlock parla dell’Ungheria mentre dorme e John rimane sveglio a guardarlo per un po’, steso sul letto a pancia in giù, viso premuto sul cuscino.

È innamorato di quest’uomo. È un dato di fatto talmente ovvio che non è nemmeno sicuro del perché ha avuto così tanti problemi ad ammetterlo. Anche la parte di sé che, effettivamente, è sempre sulla difensiva su quanto non sia gay è stranamente d’accordo con la cosa. Può sentire Irene Adler nella sua testa, le parole che ha detto e contro le quali si è così veementemente difeso, e che improvvisamente hanno talmente tanto senso che gli piacerebbe poterla chiamare nell’aldilà per dirglielo. Semplicemente, non ha importanza. L’intera etichetta, quell’insignificante aspetto della sua identità, che è solo un altro esempio di qualcosa che Sherlock Holmes è in grado di – in mancanza di un termine migliore – trascendere. È come se corrispondessero, su quell’incredibilmente strano livello che va oltre cose basilari come genere e sessualità, e buttassero tutto dalla finestra facendoli ripartire da zero nel definire quell’adorabile cosa che stanno portando avanti insieme. John pensa che potrebbe scriverci dei componimenti, pezzi estasiati di scorrevole narrativa, per quanto ne è ispirato.

Invece, rimane semplicemente sdraiato a guardare Sherlock immaginando si stare con lui. Non platonicamente. Forse dovrebbe cominciare ad usare la frase “in modo romantico”, anche se essa suggerisce che le cose siano abbastanza ironiche, perché si tratta di Sherlock, quanto romantico potrebbe essere, onestamente? Eppure. È innamorato di quest’uomo. È anche abbastanza orgoglioso di essere capace di pensare una cosa simile senza mandare metà del suo cervello in cortocircuito. Lo considera un progresso.

Ora deve solo decidere che cosa farne.

 

 

Sherlock è seduto, immobile come una statua, sulla sua poltrona di pelle da ormai due ore. Sta pensando. John non sa a cosa, ma non è insolito. Ha già provato a stabilire un contatto due volte, la prima chiedendogli se voleva del tè e la seconda sventolandogli davanti la lista della spesa, ma non c’è stato verso.

Potrebbe mettersi a brontolare, tranne che solitamente assapora il silenzio che momenti come questo portano. Ancora prima che se lo immagini, Sherlock scatterà in piedi con una delle sue pazze idee fisse in testa, quindi il momento è... gradevole. John sta seduto sulla sua poltrona e si gode il suo tè. Se l’è guadagnato, dopo gli ultimi giorni di tumulto emotivo.

A Sherlock servono altri 35 minuti per tornare alla realtà. John ha finito da parecchio il tè e si è messo a leggere una vecchia rivista che ha trovato infilata sotto la poltrona, sentendosi stranamente al sicuro nel calore del loro appartamento. Fuori la luce solletica le finestre e lui sta benissimo dov’è, grazie.

« Dovremmo smetterla di girarci attorno e affrontarlo faccia a faccia ».

« Cosa? » dice John, sul punto di finire un articolo sul pattinaggio su ghiaccio in Alaska. Roba interessante, quella. Interessante quando la caccia al mastino, crede.

« Risolvere il nostro piccolo problema. Facciamola finita ». Le sue dita vanno da sotto al mento ai braccioli della poltrona. « Tu sei molto importante per me ».

John alza un sopracciglio in sua direzione da dietro la rivista, poi la posa e si risiede. « Va bene. È una cosa carina. Anche tu sei molto importante, per me. Stiamo davvero per avere un discorso serio? Perché se tiri di nuovo fuori il sesso, io me ne vado ».

Sherlock sfodera un’espressione a metà fra il seccato ed il disgustato e John si sente, per un momento, quasi offeso. Poi Sherlock si alza, girando in circolo lungo la stanza mentre parla. John non ha idea del perché lo faccia, a volte, ma è abbastanza affascinante da fargli dimenticare la sua espressione di poco prima.

« Mi piace passare del tempo con te e mi piace dormire nello stesso letto con te. So che per te è lo stesso. E non sono nemmeno, effettivamente, abbastanza ingenuo da credere che sia un comportamento normale per due uomini adulti che non sono impegnati in una relazione ».

John si alza e lo segue, andando in cucina per chissà quale ragione. Sherlock non ci va senza motivo, ma semplicemente rimane lì in piedi, forse per mettersi sotto una luce migliore. John davvero non lo sa.

« Allora? » chiede Sherlock.

« Allora cosa? ».

« La scorsa settimana hai chiesto di poterne parlare. Te ne sto dando... l’opportunità ».

« Io sono un uomo d’azione, non di parole ».

« Ironico, per qualcuno che detiene un blog ».

« Oh, sta zitto » dice John affettuosamente.

« Sono serio, però. Sei stato tu a sollevare la questione. Volevi discutere di quanto stessimo oltrepassando i limiti dell’amicizia. Vai avanti. Oltrepassali. Apprezzo il fatto che lo facciamo, quindi mi piacerebbe continuare a farlo ».

« Mi sono innamorato di te ». Lo dice ancora prima di accorgersene, e lo shock non arriva dal dirlo ad alta voce  ma da quanto è assolutamente soddisfatto di averlo detto. È sorprendente. È facile. Le parole escono dalla sua bocca con la stesa facilità dell’ordinare due caffè uno-nero-uno-zuccherato-per-favore e si ritrova persino a sorridere a Sherlock. Il quale, per dovere di cronaca, lo sta guardando come se avesse appena rivelato il suo grande piano per assassinare il Papa.

« Beh? » continua John: « hai detto di smettere di girarci intorno. Ho smesso ».

« Va bene » esala Sherlock: « è più di quello che mi aspettavo ».

« Cosa ti aspettavi? ».

« Una vaga ammissione di attrazione sessuale? O qualche livello basilare d’affetto. Non tutto... questo » dice gesticolando, indicando John con entrambe le mani.

John è ancora scandalosamente calmo. Si era aspettato molto più panico. Si ricorda storie di persone che avevano avuto esperienze di quasi-morte, veri e propri tunnel con la luce in fondo, e che avrebbero descritto lo scivolare in un dolce oblio come una benedizione. Può solo concludere che sta per avere un’emorragia cerebrale a causa di un’epifania(5) di lunga durata.

« Beh... » continua Sherlock: « È una buona cosa. Davvero. Anche io ».

« Anche tu? ».

«».

« Anche tu cosa? ».

« Oh, andiamo. Solo... tu. E io. È un’idea alquanto affascinante, credo ».

« Affascinante? Davvero? È questa la tua scelta di parole? ».

« Sì, beh... ».

John ridacchia, appoggiandosi al tavolo. Questa è follia. Questa potrebbe essere la follia più grande di tutte quelle che Sherlock gli ha fatto passare, ma è tutto quello che ha sempre voluto, non è così? Quindi va tutto bene. È solo un altro tipo d’avventura.

Sherlock gli fa un ampio, meraviglioso sorriso. John gli appoggia una mano sulla nuca e lo bacia e tutto il mondo intorno a loro svanisce.

 

 

 

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1. il testo originale recita "(...)a single entry with a single line stating ‘101’ which had earned only a comment from Harry containing no more than a lone quotation mark." ora, quel "quotation mark" dovrebbe essere la citazione automatica del testo presente in molti forum, ma anche se fosse, la frase in sé non mi sembrava molto sensata - o meglio, mi pareva incompleta. Mark Zuckerberg mi perdonerà se prendo il prestito il "poke" di Facebook per dare un'idea migliore di quello che credo sia il significato del commento di Harry.

 

2. Il Miglio Terrestre o Miglio Inglese (statute mile) corrisponde a circa 1,6 km. Ciò significa che mezzo miglio corrisponde a circa 800 metri.

 

3. Sì, John usa proprio il termine "wanker" (segaiolo). Che linguaggio scurrile, dottor Watson.

 

4. In inglese, il verbo "to sleep" viene usato sia per indicare il classico "dormire", sia come modo mediamente formale per chiedere ad una persona di fare sesso con lei/lui. Essendo che il testo parla del dormire in generale, la domanda di Sherlock che in originale è "Do you wish to sleep with me?" può avere due interpretazioni - motivo per cui è lui a specificare cosa intende, dopo.

 

5. Non credo ci sia bisogno di specificarlo, ma l'epifania intesa qui non è il 6 gennaio. Dicasi "epifania" una rivelazione illuminata che risolve un problema e/o stato e/o situazione particolare.

  
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