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Autore: Shiori Sato    16/08/2012    2 recensioni
One-shot su Chiyo Mori, nuovo personaggio creato ed inserito al posto di Tenten. E' una breve biografia in previsione di una fanfiction a più capitoli, vorrei quindi sapere qualche parere.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neji Hyuuga, Nuovo Personaggio, Rock Lee
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Note d’autrice

Breve one-shot su ChiyoMori, nuovo personaggio da me creato ed inserito nel mondo di “Naruto”. Ho deciso di inserire Chiyo all’interno del Team Gai, al posto di Tenten, apportando quindi moltissime modifiche alla storia originale. Questa one-shot /biografia è stata creata in previsione di una storia a più capitoli. Potrebbe essere letto come un primo capitolo. Ma prima di dare il via ad una fan fiction più lunga sarei lieta di poter leggere il vostro parere J

 

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Quando mio padre decise che sarei andata all’Accademia di Konoha io non ero ancora stata concepita. Non conosceva mia madre e non aveva nemmeno sul viso quei quattro peli che i giovanotti chiamano, gonfiando il petto come i galli prima del canto dell’alba, barba. Nonostante fosse un uomo semplice, mio padre aveva due assolute convinzioni a cui si aggrappava con la stessa forza con cui un uomo caduto in un dirupo si attacca ad un appiglio di fortuna: avrebbe sposato una bella donna del suo paese e sarebbe diventato un grande ninja. Nessuno dei due divenne realtà, o almeno non come lui avrebbe voluto. I suoi sogni di infanzia si frantumarono sin da subito sull’espressione granitica (e pure un po’ disgustata) di suo padre, ovvero mio nonno. -Sciocco ragazzo!- esclamava con la sua voce roca -Dovrei farti assaggiare il legno del bastone per farti passare queste idee balzane. Un ninja, che idiozia! Impara a far bene il mio mestiere che ti darà di che campare quando non ci sarò più.- E così il sogno di diventare un grande ninja della Foglia era sfumato, per poi diventare un sogno nel quale suo figlio sarebbe senz’altro diventato un forte e valoroso shinobi. Quando, poi, all’età di diciannove anni mio padre si sposò con mia madre, anche il sogno di un matrimonio felice con la più bella del paese sfumò definitivamente. Solo i miei occhi da bambina mi facevano apparire quella donna come la più bella del mondo, ma ad oggi, nonostante le voglia profondamente bene, devo riconoscere che di bello, attraente o femminile nel suo fisico non c’era assolutamente niente. Eppure, ieri come oggi, vedevo nel suo animo la bellezza e la grazia che ogni donna dovrebbe avere. Così come vedevo in Giotto, il mio inseparabile amico a quattro zampe, un mio fratellino con cui condividere le marachelle.

Sono nata in un paesino a meno di un giorno di viaggio da Konoha, quattro case che scomparivano in mezzo agli alberi grigi e marroni dalle fronde sempreverdi. Era uno di quei posti in cui tutti conoscono tutti, i pettegolezzi sono l’unico passatempo delle mogli, un bicchiere di birra ed una partita a freccette la consolazione degli uomini alla sera, i giochi per strada lo svago dei bambini. Ed io ero ancora una bambina quando mio padre decise che era arrivato il momento di portarmi a Konoha.

 

Ricordo distintamente quel giorno, non fosse altro che per la paura che provai nell’entrare all’Accademia. Quegli uomini, quei ninja, mi facevano istintivamente spavento, come una mosca che sente di star finendo nella tela del ragno ma se n’è accorta troppo tardi. A nulla servirono i pianti, se non a procurarmi un sonoro ceffone. Ero una bambina molto vivace, ma naturalmente docile e obbediente, quindi le mie proteste non si protrassero oltre. Furono gli anni più brutti della mia vita. Tornavo a casa ogni fine settimana e mio padre mi investiva di domande come un fiume in piena. Pretendeva racconti dettagliati su ciò che avevo imparato, voleva qualche dimostrazione, senza accorgersi, apparentemente, dell’astio che celavo con sempre maggiore fatica. Io non avrei mai scelto quella vita, e negli anni mi rendevo conto sempre più che a me era spettato quel destino che avrebbe voluto lui. Ma tornare a casa a riabbracciare mia madre e Giotto mi riempiva il cuore e ripagava di tutte le ore di supplizio che subivo all’Accademia: non capirò mai come una studentessa scarsa come me sia riuscita a prendere il diploma. Ma so perfettamente come sia riuscita ad arrivare al grado di Jenin. Quando ormai ero convinta che la sorte mi fosse avversa, la Fortuna decise di gettarmi un salvagente inserendomi in un gruppo con a capo un certo Gai. Un tipo un po’ strambo, di certo molto montato, ma, come capii presto, con un cuore d’oro. Rock Lee era un compagno ideale, sempre di buonumore ed incoraggiante, mentre Neji…beh, Neji Hyuuga dava una chiara idea di quanto freddi potessero essere gli iceberg. Il mio essere timida mi aveva portata ad avvicinare sua cugina, Hinata Hyuuga, e dalla vita da “estranea in casa propria” che doveva condurre mi ero convinta che in fondo io fossi una ragazza molto (ma molto) fortunata, non avendo quindi il diritto di lamentarmi della mia sorte. Provavo una profonda pena quando quella ragazzetta si faceva piccina piccina se il cugino appariva nella sua visuale.

Comunque, come ho già detto, la Fortuna mi venne in soccorso dandomi un maestro come Gai. Come per Rock Lee, Gai mi aveva inquadrato subito pensando ad una strategia su misura per me. Nonostante fossi ancora in quell’età in cui i bambini sono troppo grandi per essere chiamatati “bimbi” e troppo piccoli per essere definiti “ragazzi”, capii subito che sotto l’apparenza di un esibizionista, forse un po’ folle, il Maestro Gai era la mia salvezza. Dopo due giorni sapeva già cosa fare con me. -Ascoltami bene- mi aveva detto -Concorderai con me che i corpo a corpo non sono il tuo punto forte.- Probabilmente era giunto a questa conclusione dopo che Neji mi aveva atterrata in un minuto e quindici secondi. -Quindi dobbiamo puntare tutto sulla difesa. D’accordo?- Ed io da brava bambina annuii.

Fu così che feci la mia fortuna. Insieme al maestro studiai tecniche difensive di ogni genere e ne creai di nuove. Alla fine riuscii perfino a realizzare quello che io definivo scherzosamente il “puntaspilli”, poiché dalla barriera di chakra che mi avvolgeva si propagavano centinaia di aghi di chakra. Attacchi ad ampio raggio, ideali per chi, come me, voleva evitare gli scontri diretti.  Al tempo, comunque, nemmeno nella mia immaginazione credevo che avrei fatto tanta strada. Fu un lavoro di proporzioni ciclopiche, ma alla fine erano ben pochi gli scontri in cui non avevo la meglio. Quasi tutti gli incarichi che mi venivano affidati erano di scorta, dapprima poco importanti, poi sempre più rilevanti (e quindi molto ben retribuiti). Io dovevo solo stare attaccata all’uomo (o alla merce) da scortare come una cozza allo scoglio, al resto ci avrebbero pensato i miei compagni. Era raro che nelle mie missioni non fossi accompagnata da Rock Lee e Neji, e quando accadeva il mio umore subiva un’incredibile mutazione. Non che non mi fidassi dei miei compagni di squadra e delle loro abilità, quali che fossero, ma non c’era quella conoscenza che rendeva prevedibili quali schemi avrebbero adottato Rock Lee e Neji. E, in fondo, mi ero affezionata a loro.

Ma per quanto le mie nuove “tecniche su misura” fossero apprezzate oltremodo, tanto da farmi ricavare una mia nicchia nelle future promesse ninja, la mia vera risorsa era un’altra. Nessuno l’aveva mai vista prima, il mio ultimo baluardo se proprio rischiavo la pelle. Come sempre era stato il maestro Gai ad insegnarmi quell’ultima via, anche se, proprio poiché non l’avevo mai usata se non davanti a me stessa e al Maestro, non ne avevo mai assaggiato i lati negativi. Cioè finché in una soffocante notte di primavera non cercai di uccidere Neji, anche se la rabbia che muoveva la mia mano non era la mia…

  
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