Capitolo 3
Finn e Rachel in
realtà erano andati a fare una passeggiata. Lei si guardava attorno, aveva un
po’ paura del bosco, temeva che qualche creatura l’avrebbe aggredita
all’improvviso. Lui era riuscito a rassicurarla con le forti braccia attorno
alla sua vita e le sussurrava parole dolci all’orecchio, poi la ragazza avvertì
un rumore sordo e stritolò letteralmente la mano del suo caro e lo rimproverò: “Oh
mio Dio Finn, dove mi hai portato?Mi avevi assicurato che qui non ci sono
bestie, ma non mi sembra affatto vero!”. Allora quello tentò ancora una volta di
utilizzare frasi convincenti nel tentativo di calmarla : “Sta tranquilla, Burt mi ha detto che da
giovane è stato qui, non corri alcun pericolo, non ci sono animali. Nessuno ti
farà del male, in ogni caso io non lo permetterò mai!”. “Quanto sei dolce … ma
non basta!” – asserì cambiando velocemente tono, da grave ad acuto,
stuzzicandolo. Erano le 22:00 e ormai da un po’ c’era buio fitto ovunque, si
distinguevano a malapena alberi e cespugli e certe figure erano talmente
confuse, che sembrano prendere forma di creature spaventose. Fortunatamente,
lui aveva una torcia e illuminava ogni passo che percorreva. A un certo punto
abbagliò qualcosa di sospetto, che subito si dissolse. La giovane lo vide di
sfuggita, ma era sicura che si trattasse di una zampa. Entrò nel panico più
totale e svignò come una pazza isterica cercando di dirigersi verso la tenda,
ma fece un buco nell’acqua e si smarrì. Piantò in asso il diciottenne molto
confuso, non si era accorto di nessun movimento dubbio. Non capiva cosa
l’avesse fatta filare in quel modo, apparentemente senza riflettere. Adesso
però, era deciso a ritrovarla, poteva fare una brutta fine, visto che non aveva
totalmente il senso dell’orientamento e che era la prima volta che si accampava
in un bosco. Si rendeva conto di essere responsabile, le aveva appena giurato
che con lui al suo fianco non le sarebbe successo niente, che l’avrebbe
protetta ad ogni costo, mentre ora la situazione gli si era rivoltata contro,
come se la sorte gli avesse giocato un brutto scherzo. I battiti del suo cuore
invece di accelerarsi durante la corsa, gli si rallentarono decisamente per
l‘angoscia. Si sentiva svenire e si accasciò sotto un grande albero per
riprendere il respiro e si asciugò le gocce di sudore che scendevano dalla sua
fronte. Non si riteneva così colpevole, da quando aveva creduto di essere il
padre del figlio che portava in grembo Quinn. Tentò di scostare quei pensieri e
di ritornare in se il più velocemente possibile, per proseguire il ritrovamento
della sua metà. Udì un altro strillo, questa volta era deciso a non lasciarsi
prendere dalle emozioni e andò dritto come una scheggia.